Chapter Twentyone - Part Three: Broken Hopes Sounds like Bass Drum
And do you think of me at night
I still wish we could've made it right
You can't say that I never tried
I guess everything seems more clear
Here on the other side
Here on the other side
And there are so many things I wanted to say
That I want so much
And you moved away
And I think of all the times that you were right
I wish I could explain
'Cause every time I ran
I ran to you
- Tonight Alive, The Other Side
I baci di Seth hanno offuscato la mente. Il suo trasporto è stato tale da farmi perdere coscienza di ciò che mi stava attorno. E dentro. La preoccupazione scaturita nei confronti di Charlie si è fatta inconsistente come lo zucchero filato dopo che lo si mette in bocca e mentre Morgenstern si premeva a me, io dimenticavo la sua dolcezza, la morbidezza della pelle, il profumo dei vestiti che indossa. Esattamente come quando si finisce di mangiare quella nuvola colorata, mi sentivo al pari di non averla mai iniziata: so che c'era stata, ma che l'avessi trangugiata o meno poco importava - non c'era nulla a ricordarmelo.
Così, ammaliata dalla contentezza di aver avuto premute addosso le labbra del ragazzo a cui anelavo da una vita, ho lasciato che l'egoista nascosta in me avesse la meglio, facendomi correre verso l'attaccapanni appena le nostre bocche si erano separate e ignorando il fatto di aver deluso una tra le persone più importanti della mia vita.
Scivolando lungo il vialetto di casa mi ero sentita leggera quanto un palloncino pieno d'elio e, nonostante mi fosse difficile capire cosa mi stesse trattenendo a terra, ignoravo la minaccia avanzando per le strade di Londra mano nella mano con Seth. Le sue dita intrecciate alle mie per un po' mi erano apparse come le vere ancore che mi impedivano di librarmi in cielo: salde come mai gli era capitato d'essere prima. Per qualche ora mi avevano illusa di essere ciò che mi tratteneva a terra, ma era bastato che Seth si alzasse dal tavolo per andare in bagno, lasciandomi sola dopo la cena, che quella convinzione si era frantumata di fronte al mio medesimo riflesso.
Ora il sorriso si spegne e il vetro accanto a me ne è testimone.
Sono stata una stronza.
E per questo devo rimediare.
Allora, colta dalla smania, batto le dita sul display del cellulare, illuminando una schermata piena di notifiche provenienti dalla moltitudine di social che come campanelli d'allarme hanno avvertito chiunque, dalla zia in Paraguay alle compagne di scuola a cui non ho mai rivolto la parola, che oggi è il mio diciottesimo compleanno.
Le fisso giusto qualche istante, poi inizio a nasconderle nei meandri delle applicazioni che le hanno generate e, infine, vado alle chat private.
Sotto agli ultimi auguri, quelli di parenti vari che non vedo da secoli, trovo Caroline, Jace e poi Charlie. Accanto alle loro foto c'è un'icona verde, ennesima e inconfutabile prova del fatto che Seth catalizza e si appropria di ogni mia attenzione, facendomi scordare ogni cosa.
Lascio in sospeso il video di mio fratello e il poema della mia amica per aprire l'unica chat che m'interessa veramente, lì dove un "10 minuti e arrivo, parto ora" troneggia minaccioso, ricordandomi l'errore commesso.
Dannazione.
Me lo aveva persino scritto, ma io sono stata troppo occupata a farmi carina in previsione di questo appuntamento per preoccuparmi di guardare uno stupido cellulare. Sarebbe bastato così poco, giusto uno sguardo, invece non sono nemmeno stata in grado di fare un gesto tanto naturale.
Gioco con questo affare e lo fisso per interminabili minuti quando meno è necessario e poi, nei momenti in cui serve, semplicemente, lo dimentico come un bambino con il suo "tanto amato" giocattolo. E forse un po' bambina lo sono se ho scordato di dare importanza al mio migliore amico.
"Ehi..." digito per cancellare subito dopo, conscia che sia il peggior modo per approcciare qualcuno che probabilmente ora nemmeno vuole sentir citare il mio nome.
Così, per quelli che mi paiono essere interminabili minuti, resto immobile a fissare lo schermo colorato, pensando. Chissà come Benton ha deciso di occupare quella che sarebbe dovuta essere la nostra serata: forse al cinema c'è andato da solo, oppure si è rifugiato in qualche locale ad ascoltare band emergenti. Può darsi persino che sia andato allo skatepark nonostante l'orario e il freddo marzolino, o nel peggiore dei casi sarà tornato nella propria stanza e si sarà messo a suonare.
Me lo immagino da solo a cercare un modo per colmare del tempo che doveva essere condiviso, che nei suoi piani non sarebbe stato sprecato - e più lo faccio più mi sento in colpa, perchè dimostra quanto il mio bisogno di attenzioni ottenebri il fatto che per avere sia necessario dare, che i rapporti umani, quelli veri, si costruiscono su un continuo scambio di emozioni e sensazioni, di cure verso l'altro.
Ed io non l'ho fatto. Non con lui, quantomeno.
Allora le mie dita riprendono a pigiare sul display e in meno di qualche battito di ciglia il testo è composto.
"Scusa, sono stata una cretina. Domani però ci vediamo, vero? Devo farmi perdonare" e appena lo invio lo stomaco prende ad attorcigliarsi.
Mi domando quando lo vedrà, se mi darà risposta o invece deciderà di sostenere un silenzio che mi farà pentire di ogni singolo errore fatto negli ultimi dieci anni di conoscenza. Mi chiedo se basterà così poco a rattoppare il buco che ho fatto, oppure se ci vorrà molto di più, perchè in fin dei conti nessuna delle mie gaffes era mai stata tanto umiliante. Forse dovrei presentarmi da lui con una fetta di torta, un dvd a noleggio e un paio di birre sottobraccio, o magari dovrei solo pregarlo in ginocchio di capire la mente di una povera idiota innamorata... chissà.
Seth torna e cogliendomi alla sprovvista mi ritrovo a bloccare lo schermo in un disperato gesto imbarazzato. Paio quasi un criminale che viene colto in flagranza di reato, ma lui non sembra sorprendersi né infastidirsi.
«Charlie?» Con il mento indica il telefono che tengo sotto al palmo, premuto tra la pelle e il tavolo. Annuisco.
«C'è qualcosa che dovrei sapere?»
«C'è qualcosa che vorresti sapere?»
Morgenstern mi sorride: «No, ora no.»
Però io in realtà vorrei parlargli, avrei bisogno di qualcuno con cui sfogare tutte le frustrazioni che mi premono sul petto - e in fin dei conti che male ci sarebbe a farlo? In questo preciso momento lui è l'unica persona che può darmi dei consigli sensati, che può svelarmi la soluzione all'arcano mistero del "come farmi perdonare". Seth conosce me esattamente quanto Benton, anzi, con lui il rapporto è persino più radicato e, inoltre, sono entrambi maschi. Chi potrebbe spiegarmi come agire, se non lui?
«Ho dimenticato di avergli fatto una promessa» sibilo, leggermente imbarazzata.
Detta così sembra quasi una sciocchezza da marmocchi, un bisticcio tra due amichetti al parco giochi, eppure per me la questione è molto più grave, è un errore che a quest'età non dovrebbe capitare. Mi sono dimenticata di Charlie in fin troppe occasioni ultimamente: dapprima a causa della scaramuccia tra mio fratello e il suo migliore amico, poi per via della comparsa di Caroline all'interno della mia routine - e quello che è successo poco fa non è altro che l'ennesimo, e probabilmente non ultimo, disastro rivolto nei suoi confronti.
Il mio ragazzo corruga le sopracciglia: «Riguardava stasera?» mi domanda mentre inizia a picchiettare il filtro della sigaretta sul bordo del tavolo, forse preparandosi ad abbandonare il locale per prendere un po' d'aria e proseguire il nostro appuntamento altrove.
Annuisco ancora, stavolta iniziando a mordicchiarmi il labbro. Sono certa che ad attendermi ci sarà qualche battuta infelice, oppure una paternale su quanto superficiale io sia - da lui me lo aspetto -, eppure dalla sua reazione capisco che non andrà affatto come ho previsto. Seth sbuffa dal naso in una sorta di risata strana, poi mugugna: «Proprio non capisce...» Mette la sigaretta tra le labbra, infila qualche banconota nel fermacarte con il conto e infine sospira, facendo bene intendere che non si sarebbe aspettato questa risposta.
«Cosa?»
Lui torna al presente, mi sorride con malizia. I suoi occhi azzurro-verde si fissano sul mio viso e per un attimo sento lo stomaco contorcersi e il battito aumentare: «Che voglia un po' di intimità con te, Jay. Non è questo che fanno le coppie? Hanno appuntamenti romantici, escono insieme, se ne stanno appartati e se hanno voglia d'infilarsi la lingua in bocca o farsi una sco-»
«Seth!» Lo rimprovero prima che la sua lista di cose che dovremmo fare arrivi dove non sono certa di voler sentire e d'improvviso lui scoppia a ridere.
E il dubbio che possa aver fatto apposta quel commento scocciato si insinua nella mia mente paranoica - dopotutto non ha mai perso occasione per beffarsi della pudicizia in cui sono cresciuta nonostante un fratello maggiore e loro due al seguito, quindi perché escludere questa possibilità?
D'un tratto mi rendo conto che sul suo viso non vi è più nemmeno una traccia di stizza, solo ilarità - e più lo guardo, più divento rossa pomodoro. Morgenstern però continua imperterrito a godersi il mio disagio, conscio di quanto sia sensibile alla questione; e lo sono in particolar modo se a parlarne è lui o uno del gruppo. Sì, perché il fatto che mio fratello o i suoi migliori amici discutano di sesso e amoreggiamenti vari come se nulla fosse è, per le mie orecchie di verginella, già di per sé imbarazzante, figuriamoci quanto mi possa sentire in imbarazzo quando i loro discorsi e le battute vertono nella mia direzione. L'idea che Jace possa conoscere determinati lati di me è più umiliante di quello che potrebbe sembrare, inoltre vorrei evitare che sapesse con chi-faccio-cosa.
E ora che Seth è il mio ragazzo dovrebbe stare attento a ciò che dice, viste le premesse.
Afferro il tovagliolo, unica arma rimasta sul tavolo oltre ai bicchieri, poi glielo tiro con violenza: «Sei un idiota!» Incrocio le braccia davanti al petto in un gesto di evidente chiusura. Davvero non si rende conto di quanto mi dia fastidio il suo atteggiamento? Non capisce che così facendo aizza in me una sorta di invalicabile timidezza?
«Eddai! Che c'è di male?» subisce il colpo, ma non per questo smette di sorridere: «Permetti che dovrebbe essere abbastanza palese che, il giorno del tuo compleanno, io ti voglia tutta pe me? Che se ti voglio baciare non mi devo preoccupare di chi ho attorno?»
«Ne hai avuti diciotto, di compleanni, per star solo con me!» Bofonchio sovrappensiero senza nemmeno ascoltare i suoi commenti, inconsapevole inoltre di cosa gli abbia appena confessato, di quale segreto mi sia sfuggito di bocca.
Lui però è un segugio, lo è sempre stato, per questo motivo recepisce subito e forse fin troppo bene.
La sua testa si piega di lato, l'espressione si fa curiosa. Avvicinandosi minacciosamente verso il centro del tavolo e assottigliando gli occhi mi domanda: «È da tutta la tua vita che mi brami?»
Ed io non so da che parte nascondermi.
Anche se vorrei evitarlo, in modo da potermi salvare da qualsiasi azione sconsiderata gli stia stuzzicando la coscienza, non posso fare a meno di notare la luce ammaliante che gli illumina le pupille, un interesse che improvvisamente mi dà l'idea di essere simile a fuoco vivo. Seth ora è pericoloso, esattamente come mi era stato detto e come avevo provato a immaginare ogni volta che negli anni si era allontanato da noi per flirtare con una sconosciuta. È cacciatore che studia la sua preda, che ne beve la paura e si crogiola all'idea di averla in pugno - è così ovvio! Persino un orbo riuscirebbe a notarlo.
E in questo istante, mentre scruta ogni sfaccettatura della mia espressione, affascinato come mai prima da ciò che sono, mi ritrovo a pensare a quanto sia bello e temibile; a come la luce, colpendolo di bieco, lo renda ancora più ammiccante e irraggiungibile.
Il tono con cui mi si rivolge ha una nota peccaminosa, sensuale, e per un momento mi pare d'essere Tantalo di fronte all'ambrosia: ne desidero un assaggio, ancora uno, ma non sono certa di poterlo avere.
Forse è questa la soggiogante malia dei primi amori, quelli desiderati fino al logorio. Forse è per colpa di ciò che ho segretamente provato per lui che ora mi pare diavolo e angelo messi insieme, rinchiusi come animali in una gabbia che è questo suo affascinante corpo umano.
Ciò che dovrei tenere a mente però, è il fatto che ho svelato a Seth il segreto che per anni ho custodito con tanta gelosia, intimorita all'idea che qualcuno lo potesse usare contro di me o che lui potesse deridermi, allontanarmi nel modo più brusco - perché in fondo io non sono mai stata altro che la sorellina del suo migliore amico, quella simpatica, innocente e che certo non spiccava in bellezza. Invece, nonostante quello che ho detto lui non scoppia nell'ennesima, fragorosa risata, sembra piuttosto esserne lusingato.
«N-n-non...»
E anche se la sua reazione è ben lontana da ciò che mi sarei aspettata, le parole fanno comunque fatica sia a formarsi nella mente, sia a uscire dalla gola.
Cosa dovrei dirgli, sì? Non credo sia il caso, dopotutto non voglio mostrargli per quanto tempo ho patito l'assenza delle sue attenzioni - ho un orgoglio, da qualche parte.
Allora provo a tirarmi indietro, a fuggire da questa situazione che inizia a essermi un po' scomoda, ma lui mi ferma. Afferra la mia mano, se la porta alla bocca e ne bacia il dorso, poi il palmo e con il labbro inferiore sfiora il polso, generando un brivido che dalle guance scende lungo la nuca e il collo, arrivando alla base della schiena. È una sensazione nuova, estranea a quelle che ho provato fino ad adesso con qualsiasi ragazzo io sia mai uscita, eppure mi piace, ne sono assuefatta. Seth è come una scatola di cioccolatini: ne prendo uno, un'altro, poi voglio assaggiare quello con le noccioline e alla fine li desidero tutti, ritrovandomi con lo stomaco pieno e il cofanetto vuoto.
«Andiamo?» Domanda mentre intreccia le nostre dita. La sua è una mano grande, magra, segnata qua e là dai tatuaggi un po' sbiaditi che ancora mi affascinano nonostante ormai li conosca a menadito. Sul fianco dell'indice, in una calligrafia tutt'altro che definita, ha scritto holy shit, mentre sul medio del medesimo lato c'è un osso stilizzato. Se ne stanno lì a indicare un po' la sua scorrettezza, quell'adolescenza che ha vissuto alla mercé dell'alcol e dei concerti punk-rock. Poi sull'altra ci sono un'ancòra e il simbolo dei pirati, entrambi prolungamenti di un intero braccio dedicato a quel mare che tanto ama ma a cui dice che non farebbe mai ritorno. È una dedics a suo nonno, un marinaio della Cornovaglia che ogni estate, da bambino, lo portava con sé in barca.
Con queste mani, le stesse che ora mi toccano come ho sognato per anni, ho visto Morgenstern fare mille cose: suonare, sfogliare riviste e spostarsi i ciuffi ribelli, coccolare Chucky, accarezzare persone ma anche dare pacche agli amici. Gli ho visto stringere bottiglie, salutare, poi chiudersi a pugno e colpire - nonostante questo però, con me hanno la delicatezza della schiuma di mare che si arena sulla spiaggia.
Annuisco, persa nella contemplazione di ciò che finalmente è mio. L'ho anelato così a lungo che ancora mi pare un sogno, un'illusione da cui prego non allontanarmi più.
E così lui salta in piedi, mi fa strada fuori dal ristorante mentre ci infiliamo i cappotti alla bene e meglio, proteggendoci dal freddo e dalla pioggerellina che lieve ha preso a cadere su Londra. Camminiamo abbracciati lungo le strade che portano a Camden, forse per raggiungere qualche locale che ha appositamente scelto per l'occasione.
Con le sue braccia Seth cerca di farmi scudo, prova a salvaguardare il duro lavoro che Josephine ha fatto per rendermi presentabile, peccato che più avanziamo, impavidi sotto alle gocce d'acqua, più queste si facciano intense e, alla fine, quasi rassegnandosi, il mio ragazzo svolta in una traversa che ci riporta verso il cuore del Brent.
La palazzina dove abita diventa il nostro faro sicuro in mezzo alla tempesta che imperversa.
Ci muoviamo svelti sul marciapiede sempre più bagnato, infradiciandoci a ogni metro che togliamo dalla distanza tra noi e l'ingresso, eppure non ci fermiamo mai, nemmeno quando qualche tettoia prova a darci rifugio. Potremmo nasconderci sotto ai porticati o i tendoni dei negozi aspettando un momento di tregua, certo, ma l'idea di restar qui fuori e patire il freddo credo non piaccia a nessuno dei due - per questo, aggrappandomi al suo braccio per evitare cadute rovinose, rinuncio al dopocena promesso.
A una manciata di passi dalla porta sento Morgenstern bofonchiare qualche imprecazione. Con la mano libera cerca qualcosa nelle tasche del cappotto, forse il mazzo di chiavi che ci condurrà alla salvezza e, quando finalmente lo trova, grida un "Eureka!" del tutto inaspettato. È piacevole vederlo così, sicuramente più di quando tiene il broncio, eppure non è poi evento raro, solo strano.
Senza esitazione si porta verso il portoncino, litiga con ciò che ha in mano e infine, con un sospiro, spalanca l'ingresso aprendoci i cancelli di quello che ora appare proprio come il paradiso - e come se non bastasse, a rincarare questa visione biblica, sotto alla luce dorata dell'androne i capelli di Seth scintillano, creando una sorta di aureola intorno alla sua testa scompigliata.
Il mio angelo sospira ancora, poi sbuffa, scuote la testa e appoggiandosi al muro mi dice: «Scusa »
Ma scusa di che?
Stringo le dita intorno al manico della borsa e glielo chiedo: «Per cosa, esattamente?»
Lui corruga le sopracciglia, pare persino più confuso della sottoscritta: «Per questo...» dapprima indica noi, i nostri vestiti inzuppati e subito dopo la sua attenzione si sposta verso l'esterno della palazzina, dove ormai la pioggia scende a catinelle.
Ed io rido.
Si sta realmente lamentando del tempo? Non è una di quelle abitudini tipiche dei vecchi o dei megalomani?
Che Londra sia uggiosa è un dato di fatto, non qualcosa d'inaspettato o che può essere cambiato secondo il proprio volere, quindi è inutile crucciarsi per una sciocchezza simile.
«Volevo portarti in un posto carino, darti il regalo e...»
Inizio a salire le scale, interrompendo le sue inutili lamentele: «Siamo in un posto carino» faccio presente. Il suo appartamento oserei dire che è uno dei luoghi che più preferisco, forse perché sa di casa, oppure perché ci associo solo ricordi belli; inoltre lo ha arredato in modo completamente diverso da come ci saremmo aspettati da lui. Le pareti color pastello hanno appese sopra fotografie di luoghi lontani, paesaggi mozzafiato di un itinerario che i ragazzi hanno stipulato da bambini. I tappeti chiari e il divani liso, vintage, danno un senso di calore che saprebbe mettere a proprio agio anche la persona più scorbutica - poi ci sono le librerie piene di vinili, dvd e videogiochi dove ogni tanto spunta qualche libro che gli ha regalato Jace o che si è scordato di riportare in biblioteca. Insomma, il bilocale di Seth ha il suo fascino, è intriso di una pace che persino nelle serate più allegre non svanisce mai - per questo mi piace.
Saltello sull'ultimo gradino: «E il regalo, visto che c'è e non si rifiuta mai, puoi tranquillamente darmelo insieme a una tazza di tè caldo» concludo atterrando sul pianerottolo del primo piano, voltandomi e strizzandogli l'occhio con complicità.
Certo che a vedermi compiere queste scenette, comunque, devo sembrare ridicola, un po' come le protagoniste stereotipate che vivono all'interno di quelle sceneggiature di serie B.
Lui mi guarda dal fondo della rampa di scale, lo fa con uno stupore che addosso gli sta bene, poi sorride e butta indietro la testa: «Dove ti ha trovata, Jace? In una soap opera coreana?»
Mi fermo.
Che intende dire?
Prima che possa chiederglielo però, Seth si stacca dalla parete e compiendo un paio di falcate, facendo i gradini a due a due, ritorna al mio fianco: «Alle volte ti comporti proprio in modo strano!» Lo dice spostandomi una ciocca bagnata dal viso, poi torna alle chiavi e l'ennesima serratura.
È sereno, ora, ma appena mettiamo piede in casa il suo lato dittatoriale riemerge, esattamente come qualche tempo fa nella macchina di Charlie.
Senza giri di parole mi ordina di andare in bagno, togliermi le collant bagnate, il cappotto fradicio e qualsiasi cosa possa essersi inumidita nel tragitto dal ristorante a qui. Ubbidire diventa naturale, un gesto che compio subito dopo aver provato a muovere qualche flebile opposizione.
Entro in bagno seguita da qualche suo avvertimento, annotazioni che da oltre la porta non riesco più a sentire e, una volta sola, sospiro.
È tutto vero.
Sono qui, ancora a casa Morgenstern, sola con colui che è stato protagonista di qualsiasi mia fantasia romantica e più spesso inappropriata, ma nonostante sia ormai la seconda volta, terza se includiamo la notte della sbronza, non riesco a credere sia vero. Potrei pizzicarmi, certo, peccato che temo di scoprire che sia tutto un sogno. Quanto deludente sarebbe? Quanto soffrirei all'idea di non aver mai realmente conosciuto i suoi baci o catturato il suo interesse? Non credo di volerlo sapere, così mi limito a sfilare il soprabito e rivolgermi verso lo specchio.
Lasciamo che tutto ciò resti reale, almeno per me.
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