Chapter Twentyfive - Part Two: True friends stab you in the front
"I know the game, I've been there
Come back and claim that you care
You say it's always been you
We both know that's far from the truth
I know it's cold and lonely
But I'm not your one and only"
-Tonight Alive, Dont' wish
Gli occhi bruciano, mentre le gambe tremano. Le guance sono segnate dalle lacrime e la coscienza mi chiede: perché sei venuta qui? Non lo so. Non dovrei esserci infatti, però ci sono e devo decidermi sul da farsi. Entro o me ne vado? Ma se scappo, dove potrò cercare conforto?
Allungo la mano, l'appoggio sulla maniglia, poi la ritraggo e faccio un passo indietro. Non è forse ipocrita, da parte mia, presentarmi qui dopo tutto ciò che è successo? E non è forse un atto vile e riprovevole cercare sostegno in una persona che ho ferito?
Sì, ma senza Jace mi sento persa.
Senza mio fratello a dirmi quale mossa sia meglio fare mi ritrovo in balìa degli eventi: non so come tornare da Seth e men che meno come affrontare Caroline - per questo alla fine ho cercato Charlie. Le sue braccia sono il mio rifugio, lo sono da anni, eppure dubito di poter nuovamente buttarmici dentro.
Mordo il labbro. Premo con forza i denti nella carne e questa si spezza appena, riempiendomi la bocca con il sapore del sangue. Era una giornata iniziata male sin dal principio, non potevo aspettarmi che migliorasse con lo scorrere delle ore, eppure l'ho fatto - ed ora eccomi qui.
Bagnandomi la ferita allontano lo sguardo, provo a sbirciare oltre la vetrina per trovare un appiglio. Aguzzando la vista tra i vinili e l'oggettistica appesa cerco la figura di Benton, la sua schiena, la stoffa di qualsiasi indumento stia indossando oggi in modo d'aggrapparmici e costringerlo a notarmi, venirmi incontro, fare pace.
Sono passati giorni dal mio compleanno, dal fraintendimento, ma lui ai messaggi non ha mai risposto, anche se l'ho sperato ogni volta che con lo sguardo cadevo sul cellulare, lo stesso che ora vibra senza sosta, alternando chiamate ed sms come se fossi la persona più importante del mondo.
So che a tartassarmi è Caro, per questo motivo ignoro ogni notifica - non voglio vederla, ora. Non voglio nemmeno parlarle vista la situazione. Udire la sua voce riporterebbe a galla le risatine complici, i sospiri di piacere, le parole dolci che certamente avrà condiviso con Misha - e la semplice idea mi dà ancora la nausea.
E chissà se anche Charlie, dopo che l'ho messo da parte per Morgenstern, si è sentito così. Chissà se mi ha considerata l'amica peggiore che potesse avere, se si è sentito nauseato dal mio atteggiamento. Chissà su quale spalla ha appoggiato la testa stanca, piena e strapiena di pensieri tutt'altro che allegri, visto che io ero altrove.
Socchiudo gli occhi, sospirando.
Potrei chiederglielo, ma comunque la mia presenza qui non apparirebbe diversa da quella che è: un atto egoista, un bisogno personale di lui e...
«Jay?»
Sussulto.
Il cuore prendere a battere svelto, mi agita senza però impedirmi di voltare il capo e incontrare lui, i suoi occhi color mare, il suo ciuffo scuro che si sottomette ai colpi di vento che sferzano di tanto in tanto intorno a noi.
Tra tutte le persone che avrei preferito non vedere, in un momento di tale delicatezza, Seth era certamente tra i primi della lista. Peccato che ora sia di fronte a me e, nell'esserlo, mi rendo conto che ho sofferto questa assenza.
La sua presenza mi ha perseguitata tra i pensieri per tutto il tempo che siamo stati lontani, illudendomi di non esserne succube, ma alle mani che fremono, desiderose di stringersi a lui e accaparrarsi avidamente la sua pelle e il suo calore, è mancata. Necessitavo la concretezza del suo corpo perchè, adesso che l'ho assaggiato, che ho scoperto com'è la sua compagnia, come sono i suoi baci e le carezze, comprendo di aver peggiorato un'assuefazione già di per sé grave.
Un tepore lieve mi invade le viscere mentre lo guardo, beandomi della sua bellezza un po' più sfatta del solito - e sono felice di saperlo a pochi passi da me, visto che le gambe provano a tradirmi.
«Che ci fai...?» la sua domanda si blocca, lo stupore tramuta in preoccupazione: «Stai piangendo?» E nel pormi quella domanda fa esplodere nuovamente la frustrazione, piegandomi sotto alla pressione dei singhiozzi.
Lo sento corrermi incontro, poi avverto il viso premersi su un petto bollente. Le sue braccia mi cingono, eppure i singulti non si attenuano, piuttosto si fanno più frequenti.
La mia dignità ormai è completamente persa, sono una bambina che affoga nei propri piagnistei - e lui mi sorregge mentre sprofondo, sussurrandomi di stare tranquilla.
Muove la testa, con il mento mi sfiora la nuca. Passa le dita tra i miei capelli, accarezzando con dolcezza la cute sotto di essi - i suoi polpastrelli sono fuoco puro, scottano tanto che, con gli occhi rossi e gonfi e il trucco colato, alzo il viso in direzione del suo e, a questa distanza ridotta, quello che prima ho definito un aspetto trasandato si fa più definito. Riesco a riconoscere lo sguardo languido e le gote arrossate, la pelle d'oca nonostante il bollore della pelle e gli strati di vestiti, così mi allontano lievemente dal suo petto, corrugando le sopracciglia: «Hai la febbre?»
La voce è impastata, rotta, però udibile senza poi chissà quanta fatica - così Morgenstern abbozza un sorriso, forse per provare a calmarmi: «Credo» dice leggero, quasi fosse una sciocchezza in confronto al resto.
«Credi?» ripeto. La frustrazione provocata dagli eventi a cui ho assistito alla Saint Jeremy si trasforma presto in un'apprensione maggiore e allora allungo una mano, poggiandogliela sulla fronte: è calda.
«Non ho un termometro, nemmeno al lavoro».
La confusione aumenta: «Okay, ma... perché sei qui allora?»
Lui strizza gli occhi, pare faccia fatica a comprendere il senso delle mie parole - per raggiungere casa sua bisogna spostarsi due traverse più in là, prendere l'autobus e percorrere qualche chilometro in direzione Westminster, lo so perché è il tragitto che facevamo insieme quando venivamo via dal negozio: quindi per quale ragione il suo rientro è stato allungato in questa maniera? Perché è finito proprio di fronte a questa vetrina?
«Mi devo essere confuso a qualche incrocio» nuovamente abbozza un sorriso: «Sono un po' frastornato» stavolta dalle labbra gli esce una sorta di risata e si picchietta la testa a indicare le conseguenze della febbre.
Ma se invece...
"Possiamo parlarne?"
D'un tratto il ricordo di quel messaggio mi assale, la conversazione con Benton compare di fronte ai miei occhi e, inesorabilmente, mi domando se non fosse venuto sin qui per lui, esattamente come me; anche se mossi da motivazioni differenti.
Possibile che, avendo concluso il turno prima del previsto, abbia deciso di venire a parlare con il suo migliore amico? Potrebbe realmente essersi spinto sin qui per mettere fine alla diatriba che va avanti da settimane?
Vorrei voltarmi per cercare Charlie, per arpionarlo con lo sguardo e cercare di capire meglio la situazione, eppure, prima che possa farlo, la voce dell'interessato ci coglie alla sprovvista, richiamato dall'eccessivo accanimento dei miei pensieri nei suoi confronti.
«Ehi...» dice trafelato. E il cuore, nell'udire la sua voce, mi balza in gola - peccato che non sia la sola a venir sopraffatta dalla sorpresa. Seth infatti mi afferra la mano, intreccia le dita con le mie e mi muove fin quando con una mezza piroetta il suo braccio non arriva a cingermi le spalle, stringendomi al suo fianco con una certa avidità.
Ora sono faccia a faccia con Benton.
Lo vedo.
E' proprio a qualche metro da me e sta bene.
Dal berretto di lana spuntano i suoi meravigliosi capelli leggermente ramati, lisci come spilli che tentano di coprire gli occhi che ci scrutano con sospetto e preoccupazione. Il septum manda piccoli riflessi di luce che provano a catalizzare la mia attenzione sul suo viso e dalle maniche arricciate della camicia a quadri le braccia penzolano stanche, segnate qua e là da qualche crosta o cerotto - lasciti di allenamenti recenti.
Vorrei corrergli incontro, saltargli al collo e ripetere un milione di volte quanto mi dispiaccia di averlo messo da parte, però al momento muovermi mi viene faticoso.
Poco più in alto della mia testa sento Morgenstern rispondere con un altro "Ehi", solo che il suo è più flebile, spossato. Per lui restare in giro deve essere faticoso.
Charlie dapprima guarda lui, lo studia, poi i suoi occhi calano su di me e, a quel punto, muove un passo avanti: «Tutto okay, Jay?»
Sento la trepidazione agitarmi le viscere, scuoterle tutte come vento tra le fronde, eppure aprendo la bocca mi scopro afona. Vorrei rispondergli, parlargli, dirgli un'infinità di cose, eppure taccio. Perchè?
«E' successo qualcosa?» continua, sempre più preoccupato.
E se stesse pensando che il colpevole delle mie lacrime è Seth? E' per questa ragione che avanza verso di noi con sempre maggior serietà? Ma a lui quell'espressione sta male, non deve indossarla! Benton è gioia e risate, abbracci caldi e spensieratezza - così mi affretto ad asciugare gli occhi e le guance con il dorso della mano libera, provando a riacquistare un minimo di compostezza: «No, no...» biascico, ma Morgenstern mi precede.
«Probabile, ma era già così quando l'ho incontrata qui fuori».
Charlie sussulta. Corrugando le sopracciglia fa nuovamente passare lo sguardo dall'amico a me e viceversa, forse cercando di trovare una spiegazione all'insieme di eventi e situazioni - ma non voglio che sappia che sono venuta qui solo per trovare conforto, quando per prima cosa avrei dovuto presentarmi con l'intento di chiedergli scusa.
«No, no... va tutto bene, davvero» tendo un sorriso, anche se lo faccio a fatica: «è per la scuola, lo giuro». Chino la testa da un lato, poi tiro su con il naso dando larga dimostrazione della mia femminilità latente. «O-ora però andiamo, okay? Ci spiace non poterci fermare, ma Seth ha la febbre e...» con le dita preme sulla mano che stringe, mi frena. Sicuramente non vuole far vedere che è in difficoltà - il suo orgoglio non gliel'ha mai permesso, nemmeno con Jace e figurarsi con noi. Neppure essere la sua ragazza mi esula da questi suoi comportamenti; le difese di Morgenstern non si abbassano mai, anche se nei momenti di solitudine, quando mi bacia o mi stringe a sé, mi illudo che accada.
«Anche i diavoli si ammalano?» la domanda di Benton è condita d'ironia e mentre incrocia le braccia al petto, sul viso appare una smorfia meno contrita; si addolcisce improvvisamente, tornando il ragazzo di sempre.
Un angolo della bocca di Seth si alza in una smorfia di maliziosa sfida. Fissa l'amico dritto negli occhi e soffia: «L'aria del Paradiso è un po' troppo fresca per me».
Ma l'altro non controbatte. Potrebbe, eppure non lo fa. Socchiudendo le palpebre pare incassare quel colpo immaginario, poi alza le spalle, arrendendosi.
Un atteggiamento insolito, visto il loro costante battibeccare fraterno.
«Stai molto male?»
Il ragazzo accanto a me soppesa la domanda, si prende qualche secondo per valutare le proprie condizioni: «Credo di poter sopravvivere ancora qualche ora».
«Lo volete un passaggio?»
E a sentire una simile domanda il cuore mi scoppia.
***
Il citofono suona, esattamente come previsto, ed io mi infilo la prima giacca che trovo sul bordo del divano, pigiando un pulsante e urlando: «Vado a prendere le cose!» in direzione della camera in cui Seth si è finalmente deciso a mettere piede per riposare.
Lo sento bofonchiare qualcosa, ma prima che possa aver modo di alzarsi e venirmi dietro scivolo fuori dall'uscio, socchiudendo la porta alle mie spalle.
Scalza inizio a scendere i gradini verso l'ingresso della palazzina, andando incontro a Charlie di ritorno dalla farmacia - mentre ci accompagnava qui ha affermato di avere poco tempo, ma che comunque avrebbe sfruttato quello a disposizione per recuperare un mini-kit di sopravvivenza per l'influenza del suo amico e, nonostante le lamentele e i rifiuti di Morgenstern, io ho accettato per lui.
In casa sua è pressoché impossibile trovare dei medicinali ancora buoni, così ho preferito sfruttare l'offerta. Inoltre, ciò mi avrebbe permesso di scambiare ancora qualche parola con Benton, il meraviglioso ragazzo che ora mi fissa dal fondo dell'androne.
Mossa dal desiderio quasi incontenibile di raggiungerlo, stargli accanto, parlargli o addirittura sfiorarlo, supero gli ultimi due scalini con un balzo, rischiando la vita in un gesto del tutto innaturale per me, eppure approdo più o meno in sicurezza a qualche passo da lui, titubando una volta messo piede sul marmo freddo.
Repentinamente, Charlie si sposta sulla mia traiettoria, in modo da impedirmi, in caso di sbilanciamenti, di ruzzolare troppo in là - ma fortunatamente per una volta l'equilibrio mi è amico. Benton, constatando a sua volta questo dettaglio, abbozza un sorriso. Il primo che mi rivolge direttamente, eppure ancor ben distante ai soliti a cui sono abituata; ma è un inizio, soprattutto visto il silenzio che ci ha divisi.
Allungando la mano verso di me, mi porge la bustina stracolma: «C'è un blister di vitamina C, una confezione di paracetamolo, un flacone di sciroppo e... non sapevo se lo avesse, quindi ho preso anche un termometro».
Fisso dapprima ciò che mi sta dando, poi il suo viso. Non mi sta realmente guardando, piuttosto i suoi occhi restano impigliati da qualche parte tra noi, forse sulle pieghe della plastica.
Perché è così faticoso osservarmi?
Ti ho deluso fino a questo punto?
«Grazie» soffio, afferrando il pegno. Il cuore mi si stringe e la voglia di mordermi il labbro pare aumentare con lo scorrere dei secondi. Mi pare vi sia un oceano a dividerci, quasi fossimo su due pezzi di terra che possono guardarsi, ma non toccarsi.
Ti ho davvero ferito fino a questo punto?
«Sì, beh...» fa spallucce: «è pur sempre mio amico. Aiutarlo mi sembrava il minimo, non credi?» ancora quel sorriso a labbra strette, quello sguardo vago. Gli pesa parlare con me, fingere che non sia rimasto deluso dalla mia negligenza nei confronti dei suoi sentimenti. D'un tratto ruota il busto, si volta e sembra sul punto di andarsene, abbandonandomi qui senza alcun saluto, poi però si ferma, dalla sua espressione, che scorgo solo a metà, deduco che si sia ricordato qualcosa. Con le sopracciglia corrugate torna a fronteggiarmi: «Perchè piangevi, prima?»
Mi conosce così bene da sapere che persino il voto peggiore non arriverebbe a urtarmi a tal punto, che per la Saint Jeremy non sprecherei nemmeno una lacrima - e quindi domanda, sollevandomi da almeno un peso.
«E' per Caroline».
«La tua nuova amica?»
«Se così posso ancora definirla...»
Charlie si fa più curioso, ora sento realmente il suo sguardo su di me, finalmente. E' una sensazione piacevole, una carezza calda che scivola dal capo alla nuca, solleticando la pelle.
«Perché non dovresti?»
Stringo la busta della farmacia al petto, i lati delle scatole premono sulla carne infastidendola, però non allento la presa. Seppur ne stia per parlare con lui, il ragazzo da cui sono corsa appena le cose sono andate in frantumi, mi risulta ancora difficile pronunciare la verità ad alta voce.
«Mi ha tenuto segrete delle cose» mi mordo la lingua, la stringo tanto da temere di staccarla: «in particolare che va a letto con Misha» confesso poi, sbloccando la mandibola.
Benton mi fissa un attimo, la sua curiosità si dissipa. Infila le mani in tasca lasciandosi andare a un sospiro: «Capisco».
Solo?
Ha semplicemente questo da dirmi?
Non dovrebbe comprendere la mia frustrazione e abbracciarmi, cercare di consolarmi in qualche modo o darmi dei consigli da fratello maggiore? Perché ora tace? Perché si volta ancora?
«Io no, sinceramente. Lo trovo un gesto spregevole» mi sfugge involontariamente, infastidita dal fatto che le mie aspettative si siano nuovamente rivelate vane. Cosa credevo? Che mi avrebbe perdonata così facilmente?
Sì.
Mi aspettavo che riprendesse a stringermi a sé per lenire le delusioni?
Sì.
Avrei voluto sentirgli dire qualcosa, qualsiasi, pur di saperlo dalla mia parte?
Ovviamente. Però non è successo nulla di tutto ciò.
Lui sembra trattenere una risata, una di quelle scocciate e io mi ritrovo a sentire la fermezza delle gambe venir meno.
«Davvero? E con quale presunzione, Jay?» Il cuore perde un colpo. Il suo tono è poco più di un sussurro, eppure pare rimbombare ovunque. E' colmo di riluttanza, di stanchezza, di un'esasperazione che preferirei non sentire, ma c'è e mi graffia i timpani. «Non vorrei essere io a ricordartelo, ma tu sei la prima a tenere nascoste le cose, a dimenticarti degli altri».
Ha ragione, eppure non voglio sentirglielo dire.
Non mi piace il modo in cui la verità esce dalla sua bocca, sa di rancido e scende lungo la trachea fino a diventare veleno per le interiora. Da lui non vorrei mai udire simili parole, mi fa male, un dolore che ora, mentre tutti mi si stanno allontanando, è ingiusto - anche se ho sbagliato.
«E se "gli altri" non possono giudicare di fronte a chi scegli di aprire le gambe, allora perché ti avvali di poterlo fare tu con loro?»
Cosa vorrebbe dire?
«I-io non...» mi interrompe, evidentemente riluttante all'idea di ascoltarmi.
«Fammi un favore, Jay» ormai è alla porta ed io nemmeno mi sono accorta avesse ripreso a camminare: «Se le vuoi bene, e davvero ci tieni a lei, accetta le sue decisioni a prescindere da quanto ti possano urtare» ora afferra la maniglia, spalanca l'uscio: «Salutami Seth» sibila - e nonostante provi a fermarlo, chiamandolo, lui sgattaiola via sotto ai raggi pallidi di un sole malato.
Perchè vai via?
Ania:
So far credo che questo sia il capitolo peggio revisionato, ma forse perché già di partenza non aveva chissà quale senso/maturità. Lo trovo molto inconcludente, nonostante abbia cercato di rattoppare tutte le lacune e le imprecisioni.
Spero di non aver fatto più disastri di quanti ve ne fossero prima.
Il senso comunque (visto che prima questa parte era scaglionata in 3 capitoli da mille parole l'uno e il filo conduttore era assai altalenante) deve essere quello che Jay e Charlie si rivedono, però non chiariscono la situazione - piuttosto la peggiorano, anche se lei resta nel limbo del "perché nemmeno tu mi sostieni?"
E nulla, questo è quanto
Datemi un vostro parere.
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