Chapter Twenty: Please, be careful

Happiness hit her like a bullet in the back
Struck from a great height

By someone who should know better than that

- Dog days are over, Florence+The Machine

Con la testa di Caro appoggiata alla spalla, in una posizione tutt'altro che comoda, mi ritrovo a girare l'ennesima pagina di un libro preso a casaccio sullo scaffale dei nuovi arrivi. Sto leggendo nel tono più basso che sia possibile tenere in biblioteca, anche se oltre a noi c'è solo la vecchia receptionist che, ad occhio, pare essersi allontanata per un'altra tazza di tè, forse dimenticandosi della nostra presenza.

La mia amica, perchè ormai si può ufficialmente definire tale, passa le sue lunghe unghie color canarino sull'avambraccio con cui sorreggo il tomo, accarezzandomi e al contempo facendomi capire di essere ancora sveglia. Ascolta in silenzio, passando gli occhi sulle parole che la mia voce pronuncia, rapita più di quanto mi aspettassi dalla narrazione. Ogni tanto, il moto ondulatorio della sua mano si interrompe, facendomi rallentare quando resta indietro, poi riprende quando nuovamente ci ritroviamo allo stesso punto - ed è piacevole. Più che il fatto di venir coccolata parlo della sua presenza qui, accanto a me. In un momento di tale tumulto come è questo primo periodo di uscite con Seth, silenzio con Jace e assenteismo di Charlie, lei è una sorta di roccaforte in cui trovare conforto dalle intemperie.
Ci sono occasioni, come questa, in cui mi piacerebbe confessarglielo. Vorrei girarmi e dirle grazie per il sostegno che mi sta dando, anche se è ancora ignara di gran parte delle questioni che mi ruotano attorno.

D'improvviso le sue dita si allontanano dalla mia pelle e con la coda dell'occhio vedo la mano levarsi pigramente verso l'alto. Quando fermo la lettura per guardarla meglio e capire cosa la stia distraendo, noto i suoi occhi persi sul display del telefono che ha di fronte. Esamina con minuzia un messaggio che fatico a scorgere, quasi vi siano sopra le istruzioni per conquistare il mondo e, prima che possa riuscire a identificare anche solo mezza frase, lei chiude la chat e si rimette composta.

«Non abbiamo programmi per dopo, vero?» Nella sua espressione posso chiaramente scorgere una sorta di ansiosa eccitazione, una fretta che fino a questo momento ci aveva lasciate annegare nella pigrizia di un post-lezione assai tranquillo, fatto di moquette blu, profumo di carta stampata e parole sussurrate piano alle orecchie del vicino. Sembra quasi essersi improvvisamente risvegliata da un lieve dormiveglia e, sinceramente, la cosa mi preoccupa.

«Non ufficialmente, no» confusa, le do conferma di essere libera da qualsiasi ipotetico piano con la sottoscritta, cosa che le fa sorgere sulle labbra un enorme sorriso. I suoi occhi si fanno luminosi, le sue guance rosee e, d'un tratto, mi afferra una mano tra le sue, comprimendola tra carne e vari componenti tecnologici.

«Quindi è un problema se vado via?»

Oh! Questa domanda mi prende in contropiede, aizzando uno strano senso di smarrimento. Seppur non avessimo organizzato nulla per oggi, mi sarei aspettata di passare il pomeriggio insieme. Avrei letto ancora qualche paragrafo, proposto una merenda in qualche caffè nei dintorni e poi una passeggiata verso mete sconosciute fino all'ora di cena - un programma semplice, nulla di troppo impegnativo. Mi avrebbe fatto piacere restare con lei ancora qualche ora, soprattutto perché Seth è impegnato, Jace arrabbiato e Charlie... beh, lui ha risposto a spizzichi e bocconi a qualsiasi messaggio gli abbia inviato fino a stamattina. Non pare incattivito da qualcosa, solo assente, come se all'infuori di me ci fossero decine di cose e persone più interessanti; insomma, Caroline è stata la mia unica salvezza dalla noia in questi giorni, nonché un'ottima compagnia - farla andare via mi lascerebbe in balìa di una solitudine che quasi mi fa paura.

Però non posso obbligarla a restare, in particolare vista la smania nei suoi occhi.

«No, assolutamente» abbozzo un sorriso, fingendo di non essere rattristata dalla sua richiesta anche se in realtà vorrei fingere che non me l'avesse mai domandato. Persino dopo poche settimane sto sviluppando per lei qualcosa di simile alla gelosia che provo per Benton e, il fatto di saperli entrambi lontani, mi stringe il cuore.

Possibile che non riesca a fare i conti con me stessa e la solitudine?

«Davvero?» il sorriso che le spunta in viso è immenso: «Jay, saresti l'amica migliore del mondo!» Afferma stringendosi al mio collo con eccessivo impeto. Si strizza e strofina la guancia contro la mia, ripetendo "grazie" all'infinito - e nell'insieme, questa sua reazione spazza via ogni dubbio sortomi, confondendomi ancora di più. Credo che sia dalle elementari che un'altra ragazza non mi abbracciava con tanto entusiasmo, ma se in quell'occasione c'era di mezzo un giocattolino acquistato per un penny, ora si tratta solo di spontanea contentezza.

Ridacchio, improvvisamente meno tesa all'idea di vederla andar via: «Ma almeno mi dici di chi si tratta?»
«Di chi vuoi che si tratti?» sbuffa ironicamente, iniziando a raccattare tutte le sue cose. Alle volte Caro sembra proprio una bambina: fa le smorfie, poi si lascia travolgere dalle emozioni. Si circonda di dolciumi da mangiare in sordina tra una lezione e quella successiva, nasconde le sigarette tra le tette che non ha per non far scoprire a sua madre il vizio che ha da anni e, quando vuole qualcosa, sbatte le sue lunghe ciglia sfoderando gli occhioni da cerbiatta. È allegra, una ventata d'aria fresca in queste giornate ancora grigie. «Della persona di giovedì!» Il suo tono fa vibrare l'aria, mentre le guance le si fanno ancora più rosse. Mi strizza l'occhio con complicità, infilandosi subito dopo lo zaino in spalla.

«Allora vi state vedendo?»
«Ovvio, è la terza uscita.»

Riluttante all'idea di abbandonare la moquette tiepida, inizio a rassettare a mia volta, lasciando il libro sul tavolo accanto: «E quanto pensavi di dirmelo?» domando aggrottando la fronte, ignara di quando la mia amica abbia trovato il tempo per vedere questa persona. Tra scuola, studio, le sue lezioni di nuoto, il volontariato e le nostre uscite fatico a credere che riesca a ritagliarsi del tempo anche per conoscere un'altra persona, eppure ecco che mi svela di averlo fatto..
«Non sarà mica un vecchio?» la punzecchio, quasi provando a sottolineare quanto abbia tenuto segreta la questione e quanto ciò la renda sospetta.

«In effetti i brizzolati hanno il loro fascino...»
«Il preside Williams deve essere nel tuo Pantheon, allora!»

Caroline sgrana gli occhi, mentre la sua espressione si tramuta in una maschera di ribrezzo: «Owh! Non farmici pensare! Quell'uomo è la cosa peggiore che mi sia capitata davanti da quando sono qui» afferma scuotendo la testa, forse nel vago tentativo di scrollarsi di dosso l'immagine di una persona che, purtroppo, è diventato un incubo condiviso. E più lei prova a liberarsi la mente da colui che ho citato, più fatico a trattenere le risate, rendendomi conto che è proprio questo che mi piace di lei, del tempo che passiamo assieme.
Zaini in spalla usciamo dalla biblioteca, ci concediamo ancora qualche battuta da cui lei prova a fuggire per non svelarmi troppo della persona che frequenta e, dopo averla accompagnata alla fermata della metro più vicina salutandola con un bacio sulla guancia, mi sono ritrovata sola con il vento gelido di Febbraio a sfiorarmi ovunque. La pelle d'oca ha fatto capolino sotto le collant spesse, portando il freddo ad appiccicarsi a qualsiasi osso del mio corpo, raggelando persino il sangue.
Nonostante sia quasi il diciottesimo inverno londinese che affronto, non posso impedirmi d'iniziare a tremare, stringendomi nelle spalle nel tentativo di racimolare un po' di latente calore. L'umidità pare attaccarsi con veemenza ad ogni indumento che indosso, per non parlare del modo in cui fastidiosamente prova a minacciarmi con l'ombra di un'imminente influenza - e inesorabilmente mi ritrovo a chiedermi cosa sia meglio fare per evitare sia questa eventualità, sia la compagnia di Catherine che evito con cura da giorni, visto il suo rinnovato interesse per la visita di Seth a casa nostra.

Non che sia una novità, certo, dopotutto lo ha visto lì già decine di altre volte, ma ciò che l'ha insospettita è stata l'assenza di Charlie al suo fianco; non è mai capitato che venisse a trovarmi in solitaria, ma certamente non posso, né voglio, dirle la verità. Sono già sufficienti i commentini indiscreti e riprovevoli di Josephine a condire la mia routine - ed è proprio ricordando questa situazione che, d'un tratto, mi viene in mente un modo per sottrarmi al freddo e obbligare Benton a darmi segni di vita: passare in negozio. Già, perché dal punto in cui mi trovo ora, poco più in là dei cancelli della scuola, ci vorranno si e no una ventina di minuti a piedi, una distanza abbastanza ragionevole da essere percorsa soprattutto per lui. Trovandomi di fronte al bancone della cassa non potrà certo evitarmi o fingere indifferenza, no? Sarà obbligato a prestarmi attenzione e spiegare il motivo di questo suo atteggiamento!

Armandomi di convinzione e rinnovata lena, giro i tacchi sul marciapiede ghiacciato iniziando a compiere le prime falcate verso l'Hard Disk Shop, quel luogo mistico in cui la passione di un capellone per la musica hard rock anni '80 ha dato vita a un negozio di vinili, cd e gadget vari in cui Charlie si è accaparrato il ruolo di commesso a suon di confronti e acquisti di nicchia. Già il giorno dopo aver concluso il liceo si è ritrovato lì a smistare ordinazioni e consultare cataloghi, dimostrando al suo datore di lavoro quanto ci tenesse a collaborare a un progetto del genere.

Avanzo veloce, curando però con attenzione in che punto dell'asfalto mettere il passo successivo, in modo da evitarmi rovinose cadute. Attraverso strade e attendo semafori, nascondendo quanto più possibile il viso nella sciarpa colorata.

Tra le strade del Brent il via vai è quello di sempre; i passanti non temono il freddo, camminando nell'aria gelida come se nulla fosse e più li guardo, vestiti con qualche strato di stoffa in meno della sottoscritta, più i brividi si fanno intensi - così accelero, sperando di arrivare il prima possibile nel tepore del negozio e scrollarmi di dosso questa terribile sensazione.

Il cielo grigio minaccia altra pioggia, forse persino neve, ed io non ho con me né un indumento con il cappuccio nè un ombrello sotto cui ripararmi - non che sia una novità, anzi. Questa è l'ennesima testimonianza contro il mio istinto di autoconservazione e, se davvero voglio evitarmi un qualche malanno, ho bisogno di affrettare ancora di più l'andamento.
Così quelli che sarebbero dovuti essere venti minuti di tragitto, diventano inesorabilmente quindici e, poco prima dello scoccare delle quattro del pomeriggio, mi ritrovo di fronte alle piccole vetrine dagli infissi di legno, luci calde e una variegata esposizione di vinili dalle copertine colorate. Quelli vintage si mischiano a biografie dei loro compositori o toppe da attaccare a giacche, zaini o indumenti di ogni sorta, mentre quelli più recenti a poster e t-shirt freschi di stampa.
Un lieve alone di condensa contorna i bordi del vetro, preannunciando un calore fin troppo allettante al momento, ma prima di entrare mi avvicino con circospezione e, in punta di piedi, sbircio all'interno.

Catherine non mi ha fatto il dono dell'altezza, anzi, dubito mi abbia graziata con qualsiasi cosa - probabilmente perché le scorte di pregi erano finite con la venuta al mondo di Jace -, eppure cerco di fare del mio metro e settanta eccessivamente scarso un buon uso.

Con il cuore stretto in una morsa schiaccio il naso contro la vetrina, pregando che non abbia cambiato turno e abbia quindi fatto strada inutile.

Dentro, a parte per un ragazzo immerso nell'ascolto di qualche album appena arrivato, scorgo Benton seduto dietro al bancone. Ha la schiena curva e rivolta nella mia direzione, quasi fosse incupito e, dal modo in cui il suo corpo se ne sta fermo, deduco non stia nemmeno prestando attenzione alla rivista che ha sulle ginocchia.
Strano. Terribilmente inusuale per lui.
Charlie è fatto di sorrisi e battute sciocche, di calore che ha il sapore delle giornate estive; si lascia andare alle emozioni con allegria e anche quando è arrabbiato conserva sempre quella sua innata propensione all'attirare a sé le persone - ma adesso non pare molto simile al ricordo che ho di lui, è mogio e per questo, d'istinto le mie gambe si muovono verso l'ingresso. Mi dà fastidio vederlo così. Ho la necessità di entrare e strappargli un sorriso.
Sulla soglia non esito nemmeno per un istante, certa di star facendo la cosa migliore per entrambi, e ricorrendo a muscoli inesistenti spingo l'enorme porta che fa tintinnare la campanellina appesa all'architrave, attirando in questo modo le sue attenzioni.
Le sopracciglia del mio migliore amico si corrugano, mentre negli occhi gli passa una scintilla di confusione e inaspettata sorpresa, un mix che, per un solo istante, mi fa titubare.

«Jay...?»

Sembra quasi abbia visto un'apparizione, una sorta di fantasma - e in effetti, se non fosse stato per la mia visita a casa sua, la nostra amicizia nelle ultime settimane si sarebbe limitata a qualche messaggino e tag sui social.

Scopro il viso dall'enorme sciarpa a righe, sorrido e mi avvicino a lui quasi gongolando, ma la cosa pare non cambiare la situazione.
«Stai cercando Seth? È appena andato via...» voltandosi appena, mi indica con il pollice la strada quasi a volermi mostrare la direzione in cui è andato: ma perché Morgenstern era qui? E soprattutto, perché Charlie dovrebbe credere che sono venuta sino all'Hard Disk per qualcuno che non è lui? Venirlo a trovare in negozio è una sorta di consuetudine, da quando ha iniziato a lavorar qui è successo decine e decine di volte - perché mai dovrei cercare qualcun altro?

I miei piedi si fermano in prossimità della cassa: «In realtà no...» confesso: «sono qui per vedere se eri ancora vivo» nuovamente abbozzo un sorriso e la cosa pare sorprenderlo.

«Oh!» gli sfugge dalle labbra, mentre d'un tratto la sua espressione si rasserena, tranquillizzandomi. Finalmente l'ombra della tristezza in cui si stava crogiolando fino a qualche minuto fa inizia a dissiparsi.
«Cioè... cavolo, scusa, io pensavo...»
Rido di fronte al suo imbarazzo, al modo in cui cerca di mettere insieme una frase di senso compiuto, una giustificazione: «Pensavi cosa? Guarda che siete entrambi miei amici!»

Nuovamente si stupisce di qualcosa: «Amici?»
«Sì... perché? Non lo siamo?»

Ora quella confusa sono io. Cosa ho detto di strano? Mi sono forse persa qualche pezzo di storia?

Lui mi fissa, sta chiaramente indagando ogni connotato del mio viso alla ricerca di qualcosa e, più tempo passa, più l'ansia mi stringe lo stomaco.

«Tu ed io per certo, ma se lo è anche lui credo che dobbiate parlare» afferma d'improvviso tirando un sorriso nervoso.
«Che vuoi dire?»
«Dai, Jay. Non sono fare la finta tonta.»

Ma non sto mentendo, fatico veramente a capire la situazione - o forse, in tutta onestà, ho paura di farlo.

«Non lo faccio.» mi sforzo di dire mentre un groppo mi occlude la trachea.

Benton si alza, gira attorno al bancone per poi appoggiarcisi con il sedere. Adesso è vicino, tanto quanto mi piace che sia; a separarci non c'è nulla più che qualche centimetro di vuoto e la sua presenza mi dà una lieve parvenza di calma. Chi è intimorito, arrabbiato o deluso non si avvicina, resta lontano, fa sentire l'assenza di qualcosa - ma se lui è qui non ho nulla da temere.
Mi guarda ancora, poi scuote la testa facendo una mezza risata: «Quindi non sai che Seth è passato di qui per dirmi della vostra... relazione

E la gola, d'improvviso, si chiude. Il groppo diventa talmente grande che per un momento mi pare di soffocare. Sento il viso arrossarsi e gli occhi bruciare.

Cosa ha fatto?

Se una parte di me inizia a gioire per il fatto che "abbiamo una relazione", l'altra, la più grande, improvvisamente si sente sopraffare dagli eventi e le loro conseguenze. Già, perchè Morgenstern doveva prima chiedermelo, aspettare, confrontarsi sul come e a chi dirlo - Charlie è sì amico di entrambi, ma nella faida creatasi sta dalla parte di mio fratello e ciò comporta più danni di quelli che vorrei. E al momento preferirei evitare ulteriori drammi o visi lividi.

Un tremore mi scuote, ma quasi a prevederlo Benton mi prende la mano e mi tira a sé in un abbraccio caldo, accomodante. Il suo profumo mi inebria, cercando di scacciare le paure.

Sento il suo corpo premersi contro il mio, cerca di sostenerlo. Con un palmo mi tiene la nuca e, incurante dell'unico cliente, si lascia andare a questa dimostrazione d'affetto: «So che sei preoccupata per Jace» sibila, dando sfoggio di quanto bene mi conosca.

«Secondo te mi ammazza?» Strofino il viso sul suo petto rischiando di rovinargli la camicia di flanella con il mascara - così, se scampo a mio fratello, sarà Molly colei che dovrò temere.

Charlie fa passare le dita tra i miei capelli, accarezzandomi dolcemente: «È più probabile che ammazzi Seth» mi rincuora poi, o quantomeno ci prova. In effetti, Jace ha già dimostrato di essere pronto allo scontro quando si tratta di lui, non dubito possa nuovamente cercare di spaccargli il naso.

«L'importante è che tu sia felice, Jay. E che lui ti tratti bene. Non sentirti costretta a fare nulla» le sue parole suonano come quelle di un fratello e in effetti, se non fosse per pochi dettagli, potrei quasi definirlo tale. Nel suo tono però riesco a percepire la nota stonata della disapprovazione. Cerca di camuffarla, lo so, ma sono certa che alla fine sia d'accordo con Jace sul fatto che Seth sia un ottimo amico ma un pessimo spasimante - ed io, la loro piccola Jane, dovrei evitare di mettermi in simili guai. Dubito che il cuore di Seth possa rompersi a causa mia, ma viceversa, invece... mordo forte l'interno della guancia. Gli occhi si inumidiscono. Mi aggrappo a Charlie con nuovo vigore.

Merda...

Ania:

Se pensate che questo capitolo sia lungo, sappiate solo che questa era la prima parte.
Inoltre, come ben sapete, "I diari di Jay" è la mia prima storia (quest'anno compie dieci anni!) e il mio intento, con la sua pubblicazione online, è solo quello di dargli nuovo risalto: modifico parti e riscrivo conversazioni, ma il succo degli eventi è e rimane lo stesso delle origini.

I cliché fanno parte dell'opera (anche perché ai tempi non erano nemmeno definiti tali), così come la banalità o frivolezza di alcune scene - pertanto, prendete questa storia con estrema leggerezza. Come nel caso di Wolf's Blood (che invece è stato il mio primo Urban Fantasy a essere postato online), questo lavoro non vuole avere pretese, ma se uno lo sto modificando con meticolosità offline per dargli qualche possibilità in più, Jay resterà fine a questa versione e l'idea di essere un racconto da "social".

So, we'll see next time :D

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