Chapter Three: When everything goes wrong

Come close, come close
And call my name.
How can you turn your back on me
When you know my pain?
Stay close, stay close
Light up the night.

stay close - fireflight

Nonostante la riluttanza di mia madre, dovuta alla sua poca fiducia nei miei confronti, riesco a fuggir di casa prima del previsto – dopotutto Catherine è rimasta soddisfatta dell'incontro con la signora Douglas e, pertanto, non ha trovato una scusante abbastanza valida per vietarmi d'uscire anche questa sera.
Così, dopo tre fermate d'autobus e una manciata di minuti a piedi, raggiungo la via in cui la casa dei Benton è collocata e nell'aria già mi par di fiutare il profumo del kebab che Charlie mi ha promesso. L'acquolina riempie la bocca prima che possa accorgermene e in viso mi compare un sorriso immenso. C'è un certo piacere nel sapere di potersi far trattare come una principessa da qualcuno che non proverà a sfilarti le mutandine a cena conclusa.

Compio ancora qualche falcata prima di comparire di fronte alle familiari finestre dalle tende azzurro cielo e lì, come un'aquila, la madre del mio migliore amico mi avvista. Sul suo viso tondo e pieno di lentiggini appare un'espressione entusiasta e la mano prende a sventolare un panno in segno di saluto. Pare quasi che non mi veda da settimane, quando invece solo due pomeriggi fa mi trovavo seduta proprio al suo tavolo da pranzo.

«Charlie! Jay è arrivata! Alza il culo da quel dannato materasso!» strilla con tanta potenza da oltrepassare persino il legno della porta d'ingresso. Dalla cucina la vedo sparire nella stanza accanto e, senza complimenti, abbasso la maniglia dell'ingresso trattenendo le risa, o quantomeno provandoci visto che il modo in cui Molly interagisce con suo figlio è una delle cose che più mi divertono. Nonostante la signora Benton appaia come una dolce donna dalle guance gonfie e rosee, alle volte sembra trasformarsi in un Maresciallo alle prese con un cadetto davvero poco diligente – e il dubbio che sia affetta da uno sdoppiamento di personalità diventa reale. 

Nel sentire il cigolio della porta, o la frescura dell'aria esterna, Molly, ora ferma davanti alla rampa di scale in attesa del proprio pargoletto, si volta nella mia direzione. L'espressione sul suo viso si distende, diventa dolce e subito mi corre incontro afferrandomi le guance in modo da stamparmi un caloroso quanto umido bacio sulla fronte: «Guarda che splendore!» afferma poi, rimirando la discutibile bellezza di una ragazza che considera quasi come una figlia – sì, perché come ogni madre avrebbe tanto voluto una femmina, invece le è capitato Charlie, anche se non si lamenta più del dovuto.
Le afferro le mani, ricambiando il saluto: «Ciao, Molly», peccato che prima che lei possa aggiungere una qualsiasi frase di circostanza il passo svelto di un giovane uomo cattura la nostra attenzione, costringendoci a riportare lo sguardo sulla scalinata. Un ragazzo con i capelli arruffati malamente nascosti sotto a un cappellino compare nel campo visivo di entrambe, sbadigliando. I jeans strappati e lo skate in mano gli completano la figura, quella che ormai sono abituata a vedere quasi ogni giorno.
Svelto, Charlie si dà un'ultima sistemata al septum mentre avanza, poi alza lo sguardo su di noi sorridendo sia con le labbra che con gli occhi - ed è innegabile che gran parte del suo fascino sia frutto di questo buonumore perenne.

«Sempre a importunare?» domanda a sua madre passandole accanto e afferrandomi per un polso. La sua presa si fa subito stretta, sa quanta pressione applicare per non ferirmi e, prima ancora che possa rendermene conto, mi trascina nuovamente fuori casa, dimenticandosi di chiudere la porta. Dall'ingresso, sua madre gli lancia qualche commento colorito che lui sembra ignorare, sorride e gongola finché arriviamo accanto al suo maggiolino giallo, un reperto storico che ha recuperato grazie alla complicità del padre, Thomas, e a questo punto mi apre la portiera compiendo un mezzo inchino: «Prego, mademoiselle» recita strizzandomi l'occhio. Gli sorrido e appena mi accomodo sul sedile lo vedo girarsi verso Molly. Alzando le braccia al cielo – e lo skateboard al seguito- le urla: «Vedi? Un perfetto gentiluomo!»

E prima che una ciabatta possa violentemente arrivargli in testa, corre al posto di guida, rifugiandosi accanto a me. 

***

Ebbene, nemmeno cinque minuti dopo aver lasciato la via, il cellulare di Charlie inizia a squillare insistentemente, portando con sé la rovina dei nostri piani. Dopo aver risposto e provato in più modi a desistere, sento il ragazzo al mio fianco sbuffare e acconsentire a qualcosa che, per il momento, mi è ignoto - mi ci vogliono un'altra manciata di sospiri prima di comprendere la situazione.
Così, il succulento kebab che mi era stato promesso, si trasforma presto in un aitante ragazzo dai capelli scuri e gli occhi chiari conosciuto con il nome di Seth Morgestern. Nonostante la similitudine possa apparire strana, si tratta  di due soggetti egualmente allettanti, ma purtroppo diversamente soddisfacenti per il pancino - e se uno sazia la fame fisica, l'altro lo fa con quella carnale.
Tanto ipocalorica quanto succulenta, quella che avrebbe dovuto essere la mia cena può essere paragonata al terzo membro della combriccola messa insieme da mio fratello. Seth ha infatti l'incredibile abilità di far aumentare la salivazione di ogni singola donna che incroci il suo sguardo, me compresa, e questo si può forse riassumere con un'unica ricetta: bad boy. Sbagliato, esattamente come la quantità immane di calorie che ingloberei mangiando un kebab, eppure estremamente buono, provocante, minaccioso per la mia sanità mentale tanto quanto per la mia castità, Seth risulta essere il bocconcino perfetto.
E ovviamente, come ogni femmina alle prese con gli ormoni che impazzano senza logica, vorrei poterne prendere un morso, o due – diciamo che anche tutto non sarebbe male.

Charles d'improvviso riprende a sbuffare, mentre con un dito spinge il cd nello stereo - credo si tratti di una delle molteplici playlist fatte durante i pomeriggi vuoti passati nel negozio dove lavora. È scocciato, lo si nota senza gran fatica, eppure non proferisce parola lasciando che i Fireflight riempiano l'abitacolo. Per qualche secondo restiamo in silenzio ad ascoltare, io tenendo il tempo con un piede, lui con le dita strette attorno al volante - eppure, quando finalmente arriva il ritornello, Benton è il primo a cedere. Le sue labbra si schiudono e le parole del testo escono una dopo l'altra senza mai confondersi. Pian piano inizia a cantare con sempre più trasporto e, quando finalmente sono certa essersi calmato, mi unisco a lui strillando a squarciagola. 

Charlie ride e mi guarda, si diverte a sentirmi stonare. Ogni tanto corruga le sopracciglia, mi scruta perplesso, probabilmente si domanda come sia possibile sbagliare così tante note di fila, ma mai osa dirmelo in faccia. Continuiamo a stordirci fin quando, all'ennesimo semaforo, lo vedo mettere la freccia e svoltare nei pressi del luogo in cui, sicuramente, Seth ci ha dato appuntamento.
I nostri occhi prendono a vagare lungo il marciapiede, saltano da un passante all'altro alla disperata ricerca del principe degli stereotipi.

Allunghiamo i colli e aguzziamo la vista, poi una figura familiare cattura la mia attenzione. Mani ingioiellate spostano ciocche ribelli, una sigaretta penzola pericolosamente da labbra pallide e strette. Seth appare come la visione più scontata che si possa avere del cattivo ragazzo – e il mio stomaco prende a contorcersi nella pancia.

Svelta inizio a girare la manovella del finestrino e, in men che non si dica, inizio a sventolare la mano in segno di saluto. Il sorriso che mi appare in concomitanza a tutto ciò è del tutto involontario, eppure impossibile da contenere, peccato che appassisca in fretta. Sì, perché quando lo sguardo del nostro amico saetta verso il maggiolino giallo, è impossibile non notare un evidente nervosismo.
Charlie accosta, mi fa scivolare sui sedili posteriori e aspetta l'altro con un'espressione che deve rassomigliare molto la mia: cosa, o chi, può aver fatto arrabbiare Morgenstern?

L'interessato sale in auto sbattendo la portiera, butta fuori un soffio di fumo bianco e subito sbotta: «Ho bisogno di bere.»
Benton avvicina maggiormente le sopracciglia: «Mi hai fatto rinunciare allo skatepark per questo?» Basta un tono sbagliato per rovinare l'umore generale.
«Potevi dirmi che eri impegnato.» 
«Pensavo avessi bisogno di noi!» Il maggiolone riparte piano, mentre Charlie lancia all'amico occhiate bieche.
Morgenstern fa un gesto stizzito e la cenere della sigaretta cade sul bordo della portiera: «Infatti, ho bisogno di voi per andare a bere. Cosa cazzo c'è di difficile da capire?» più la conversazione va avanti, più il suo grugno si fa minaccioso e io mi sento in dovere d'intervenire; non sono disposta a farmi rovinare il sabato pomeriggio da Seth e il suo malumore, men che meno vederlo aggredire il suo migliore amico per motivi del tutto futili; perché di norma per farlo alterare ci vuole davvero poco. Così, appena sento i toni alzarsi, mi metto in mezzo per evitare che si scannino vivi – cosa possibile, seppur improbabile.
«Si può sapere che diavolo ti prendere?» domando al passeggero, sporgendomi tra i due sedili anteriori. Mi ci vuole un certo sforzo a compiere questo gesto, so che facendo così catalizzerò su di me tutto il suo fastidio, eppure è la cosa giusta da fare: chi mai alzerebbe  la voce con un'innocente diciottenne, soprattutto se sangue dello stesso sangue con il ragazzo che si considera un fratello? Forse lui.
Seth sbuffa, si volta verso di me con fare scocciato: «Si può sapere chi ti ha chiesto di parlare?» i suoi occhi azzurro-verde sembrano volermi schiaffeggiare, riesco persino a scorgere dell'odio nello sguardo che mi rivolge.
E lo stomaco si stringe ancora, ma questa volta per altri motivi.

«Nessuno» mi lascio sfuggire a denti stretti, in parte offesa; però non demordo, continuo a parlargli per puro masochismo - perché solo così si può definire ciò che mi spinge a perpetrare questa follia: «Solo che Charlie e io ci stavamo godendo il pomeriggio, poi arrivi tu con il tuo stupido broncio e mandi a puttane tutto!» Stavolta il tono è meno pacato, si capisce bene che il suo commento mi ha scalfito l'orgoglio.

Lui sghignazza. Nei suoi modi è  evidente la superiorità che nemmeno cerca di nascondere. Vedo chiaramente, in questa sua reazione, quanto mi consideri infantile a suo confronto, ingenua.
La scalfittura si fa sempre più simile a un solco - e lo so che non dovrei prendermela, che quando Morgenstern è di cattivo umore diventa uno stronzo in tutto e per tutto e che, per una persona emotiva come me, è un male, eppure non riesco a evitarmi di stringermi nelle spalle. Non voglio né dargliela vinta, né fargli vedere quanto lui influisca sul mio umore. Però le cotte funzionano così: l'atteggiamento di uno ha sintomi sull'altro.

«Oh, poverina! Ho rovinato il vostro appuntamento? Ora che fai, vai a piangere dal fratellone?»
Charlie gli tira una gomitata, cerca di fermarlo sapendo a cosa si sta per andare incontro: «Smettila» gli ordina, ma Seth è tutto tranne che addomesticabile, quindi continua, imperturbabile e tronfio in questo suo momento di gloria.
Ho già detto di avere un rapporto abbastanza morboso con Jace, no? Ebbene, questo lo rende anche il mio più grande punto debole – e lui lo sa, entrambi lo sanno. Se il suo commento sulla mia indesiderata intromissione tra i discorsi dei "grandi" non era già abbastanza fastidioso, il suo tirare in mezzo Jace diventa un vero e proprio attacco; il problema è che la troppa agitazione mi porta facilmente alle lacrime.
«Che stupido! Non puoi. Ti ha mollata qui per scappare a Parigi» e come un vero maestro d'armi mi dà il colpo di grazia, ferendomi nel profondo. Quando vuole farmi male non sbaglia mai, forse perché sono una sorta di libro aperto, oppure perché sono ancora troppo fragile per sopportare le sue cattiverie.
Sento un misto di rabbia e lacrime gonfiarmi il petto, mentre la voglia di tirargli uno schiaffo su quel bel viso si fa impellente, tanto da far formicolare i palmi. Mi mordo la lingua con forza e il sapore ferroso del sangue inizia a mischiarsi alla saliva e scendere lungo la gola.

Devo uscire da questo abitacolo, mi manca l'aria e potrei fare qualcosa di cui mi pentirei. Come piazzargli una cinquina sullo zigomo più vicino.

«Ferma l'auto» comando in un sussurro a Benton che prova a dissuadermi dal dare il via a una scenata – ma nulla m'impedirà di scendere dal maggiolone, voglio mettere più distanza possibile tra me e colui che ha osato citare mio fratello, colpirmi, farmi sentire ancora troppo immatura per avere a che fare con loro.
«Jane...»

«Fermati e basta, santo cielo!» ordino un'ultima volta sull'orlo delle lacrime.
Aspetto quindi che l'auto si accosti e poi, come una scheggia, scendo senza salutare.

Il sabato sera è ufficialmente rovinato, grazie Morgestern.

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