Chapter Thirteen: Nice to meet you

Attendo con il naso all'insù il mio turno nell'ufficio del preside, troppo occupato a parlare al telefono con un qualche genitore altolocato per ricordarsi che una delle sue studentesse sta aspettando di venir ricevuta da lui da quasi un quarto d'ora. Dopotutto mi serve solo l'ennesima strigliata, nulla più - però vorrei alzarmi da queste scomode poltroncine prima che lo sguardo arcigno della Connor riesca a mettermi ansia a sufficienza da farmi iniziare a temere il peggio; sì, perché da oltre la porta aperta della sala docenti, tra un sorso di tè e l'altro, non fa altro che fissarmi.

Non scappo, stia tranquilla.

Sospiro, socchiudendo le palpebre e pregando di non dover arrivare al punto di fondermi con la pelle della seduta in cui sono infossata. Di questo passo mi prenderò una sgridata anche dal docente di matematica, un altro uomo frustrato che non ha altra vita all'infuori della Saint Jeremy - o quantomeno non l'ha più da quando la moglie è scappata con l'amante.

E a quel pensiero la mia mente non può evitarsi di atterrare su un pianeta che ho cercato di evitare fino all'ultimo: Seth.

Qualche chiamata ha provato a farla, ma ogni volta ho lasciato che la segreteria rispondesse al mio posto. Non so come affrontarlo.
In tredici anni di conoscenza non mi sarei mai nemmeno immaginata che potesse dirmi ciò che effettivamente ha detto fuori da quella minuscola libreria, dando finalmente una sorta di concretezza ai sogni che ho tenuto segreti per un tempo che nemmeno voglio calcolare e, facendolo, mi ha fatto crollare il mondo addosso.

Che il suo tempismo fosse pessimo già lo sapevo. Morgenstern e il ritardo fanno comunella da sempre, ma scegliere un momento tanto delicato, dopo una lite con Jace, è stata davvero un terribile scelta.

Mio fratello è ancora su tutte le furie con lui, mi ha chiesto più volte se lo avessi visto, se si fosse quantomeno degnato di mandarmi un messaggio di scuse - e io ho ovviato quanti più dettagli possibili, in modo da non peggiorare la situazione, ma temo che alla fine JJ abbia intuito che nei miei racconti manchi qualche dettaglio.

Oltre a lui, non posso evitarmi di pensare a Sharon, al "tira e molla" che è alla base della sua storia con Seth. E se l'interesse di lui per me fosse solo un modo per colmare il loro ennesimo distaccamento? Non mi stupirei affatto, ma certamente ne soffrirei.

Lei, inoltre, non è tipa da lasciarsi sfuggire ciò che le interessa - lo ha dimostrato bene con i mille ragazzi con cui a flirtato senza allontanarsi mai del tutto da colui che ha riempito di corna, una persona che, bisogna dirlo, l'ha senza scrupolo ripagata nella stessa maniera.
Di certo non ha nulla a che fare con me; infatti mi chiedo come possa pensare di potere prendere il suo posto e se, in tutta onestà, voglio veramente farlo.

Non ne sono convinta. La mia visione ancora troppo romantica della vita non sopporterebbe di sapere che la persona che amo va in giro a tradirmi senza poi grandi remore; già fatico a non distogliere lo sguardo quando Sharon lo prende per mano, oppure a fingere sorrisi quando Morgenstern ha a che fare, per secondi fini, con una qualsiasi donna: figurarsi affrontare qualcosa di tale entità!

Lo stomaco inizia a stringersi.

Perché d'un tratto, al realizzarsi del mio sogno più grande e intimo, lo sto vedendo anche tramutarsi in un incubo?

Non faccio in tempo a valutare una risposta che un colpetto sulla spalla mi riporta alla realtà di questo asfissiante corridoio.

Sbattendo più volte le palpebre il mio sguardo rimette nuovamente a fuoco l'ambiente che mi circonda e, insieme all'architettura romanica dell'edificio, prende forma anche il viso rotondo di una ragazza eccessivamente carina per aver a che fare con la sottoscritta. Quelle con i tratti tanto innocenti son di solito le più arpie - ed io la loro preda per gli scherzi.

Ci fissiamo qualche secondo in silenzio, studiandoci.

L'età è praticamente la stessa, anche se lei potrebbe sembrare più piccola a causa dei connotati da bambola addolciti da un caschetto corto che fa sfumare il suo biondo in punte di un rosa scuro, simile al rosso. Ha enormi occhi da gatta di un marrone caldo e accogliente, le gote rosee. È bella, questo è innegabile - e la cosa, sinceramente, mi preoccupa.

«È questo l'ufficio del preside?» mi chiede dopo un po', scoprendo una vocetta squillante da fanciullina. A questa domanda non posso far altro che corrugare le sopracciglia: come fa a non sapere quale sia l'ufficio del tanto temuto direttore dell'istituto? Persino coloro che non fanno tappa fissa qui, come la sottoscritta, sanno quale porta sia necessario evitare per avere una buona permanenza nella scuola. C'è chi lo considera un punto di ritrovo e chi una specie di ripugnante stanza, ma tutti sanno cosa si nasconde oltre l'anta dal vetro sabbiato.

Il modo in cui la sua espressione si fa sempre più dubbiosa mi fa ben capire che non si tratta di uno scherzo e che, sul serio, non ha idea di dove andare - che sia lei la nuova arrivata?

Annuisco, provando a ritrovare un po' di contegno sedendomi come è più consono a una ragazza: «Sfortunatamente» aggiungo poi.

Lei si sofferma un attimo a studiare la porta di legno, sospira e poi si lascia cadere sulla seduta accanto alla mia, prendendosi il viso tra le mani con fare scocciato. Con la punta della scarpa in vernice prende a picchiare sul pavimento, scandendo il tempo. Un colpo ogni secondo, anche se, prima di arrivare a battere il minuto, si stufa, buttandosi indietro con la schiena.

«Guarda che se già ora ti annoi, non sopporterai l'attesa per il tuo turno» le faccio notare, alzando appena un sopracciglio. Questo non è un posto per gli impazienti, ma piuttosto una sorta di palestra per affrontare la fretta - che di solito perde spudoratamente.

Lei sgrana gli occhi e si volta: «Scherzi? È uno lento il vostro preside?» e da questa sua affermazione non c'è più alcun dubbio: è la nuova arrivata di cui mi parlava Liz. In effetti non mi era mai capitato di incrociarla nei corridoi, men che meno di vederla a mensa o nei bagni - e il suo taglio di capelli, ne sono certa, non mi sarebbe sfuggito. Poche studentesse osano sfidare i limiti del regolamento scolastico.

Abbozzo un sorriso, scrutando la sala insegnanti prima di azzardarmi a dire qualsiasi cosa che possa essere usata contro di me da Miss Connor, poi torno sulla ragazza che ho accanto: «Diciamo che non è tipo da due chiacchiere...» puntualizzo ironicamente, cosa che a quanto pare non fa altro che peggiorare la situazione.

Lei si copre gli occhi con i palmi, iniziando a disperarsi in modo relativamente contenuto.

«È la prima volta? Che ti fai mandare in presidenza, intendo» cerco di distrarla dalla terribile notizia appena ricevuta, anche se essere amichevole con un'altra donna non è propriamente una delle mie doti migliori.

«No, nella vecchia scuola era già successo, ma non pensavo che qui, per una sciocchezza, potessi ritrovarmi in punizione. Insomma, non è un buon biglietto da visita farsi spedire in presidenza dopo una sola settimana dal mio arrivo!»

Il sorriso sulle mie labbra si fa più grande. Il modo che ha di lamentarsi pare quasi comico: «No, in effetti no. Potevi aspettare la prossima, sai, avrebbe cambiato drasticamente la considerazione che i docenti hanno di te» la punzecchio, evidenziando quanto il semplice fatto che sia qui la stia etichettando come "ribelle" agli occhi degli insegnanti, a prescindere dal tempismo con cui si sia aggiudicata un colloquio con il Grande Capo della Saint Jeremy.

Lei mi fissa con occhi grandi, apparendo basita. Che l'abbia offesa? Beh, non sarebbe la prima volta che una mia battuta viene fraintesa, dopotutto ci sarà pure un motivo se non ho amiche qui dentro.

Con incredibile sorpresa, invece, la biondina scoppia in una sonora risata, attirando a sua volta lo sguardo torvo di Miss Connor che, avanzando verso di noi con l'indice alla bocca, ci sottolinea di dover far silenzio.
Il suo monito però ci mette un po' a trovar risposta sulla nuova arrivata che, rossa come un pomodoro per il fiato corto dovuto alle risa, si tappa le labbra alla bene e meglio. I versi che fa paiono i latrati di un animale in difficoltà, eppure non riesce a fermarsi mai del tutto - ogni tanto pare sul punto di smettere, poi ricomincia.

Resta immobile per qualche istante, mentre io sogghigno sotto ai baffi per l'ennesima figuraccia fatta ed embolo scattato nel corpo della professoressa, ma anche per il modo in cui i suoni escono dal suo corpicino minuto, poi lei allunga un braccio verso di me, porgendomi il palmo.

«Caroline, Caro, per gli amici» il suo sorriso ora è tanto genuino da stupirmi. Per la prima volta in un decennio, una ragazza della Saint Jeremy ha apprezzato una mia battuta: che sia un'allucinazione? Possibile che esista qualcuno a questo mondo che abbia il mio stesso humour e sia costretto a vivere la sua routine scolastica tra un mucchio di spocchiose figlie di papà?

Corrugo la fronte, incerta. Se ora le stringo la mano, siamo sicuri che non firmerò la mia condanna? Sono davvero pronta a dar forma a una conoscenza che, con grande probabilità, appena verrà a scoprire la mia fama qui dentro non vorrà mai tramutarsi in amicizia, deludendomi ancora?

La sua mano tesa e quegli enormi occhi da cerbiatta però non sembrano affatto voler cambiare direzione e così, incoscientemente, ricambio la presentazione: «Jane, piacere».

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