Chapter Seventeen - Part Two: Just a step

I gotta tell you what I'm feelin' inside,
I could lie to myself, but it's true

There's no denying when I look in your eyes,

Girl I'm out of my head over you

And I lived so long believin' all love is blind

But everything about you is tellin' me this time

It's forever, this time I know and there's no doubt in my mind

Forever, until my life is through, girl I'll be lovin' you forever

Forever - Kiss

Sotto al palco, se così si può definire il gradino di trenta centimetri che ci separa dalla cover band, gridiamo a squarciagola i brani che vengono proposti, sentendo le corde vocali bruciare nello sforzo di prendere note un po' troppo alte.

Dalla birra alla vodka il passo è stato breve, anche se dubito che domani mattina, con la medesima facilità, riuscirò ad alzarmi dal letto e trascinarmi tra le aule della Saint Jeremy - però ci siamo fatte prendere dall'idea di annebbiare, anche se in piccola parte, la mente; per questo non abbiamo saputo dire di no all'alcol, ritrovandoci così a cantare senza sosta, ignorando volontariamente il fatto che poi dovremmo subire le conseguenze di uno sforzo tanto prolungato da parte della gola. Passiamo dalle ballad alle tracce più movimentate senza alcun problema, ballucchiando in modo completamente scoordinato sulle assi del parquet che cercano di mettere in difficoltà Caro che, visti i suoi tacchi eccessivamente alti, grazie al cielo, non è ancora ruzzolata a terra.

Ride e si dimena con la mia stessa incapacità motoria, dovuta più alla voglia di divertirsi che a un reale deficit - perché stasera nessuna delle due vuole apparire affascinante o sensuale, a dire il vero tutto ciò che ci interessa è distrarci dalla routine, dai casini che ci attendono appena aperti gli occhi. Io ho la necessità di tenere i problemi con gli esponenti del sesso opposto lontani, lei... non ne ho idea e se devo essere onesta mi sta bene così.

O almeno è ciò che avevo pensato fino a questo momento.

La mia "amica" si ferma, ansima per lo sforzo e agita una mano accanto al viso per farsi aria. Il suo sguardo vaga un po' nei dintorni, ma poi torna su di me e lei grida: «Ti dispiace se vado a dare il mio numero a una persona?» me lo chiede indicando un punto indefinito tra la folla, forse cercando di farmi più o meno intuire qualcosa - ma vista l'ancora minima conoscenza l'una dell'altra mi è difficile capire di chi o cosa si tratti.

Ad ogni modo, tornando al punto focale della questione, se dovessi essere totalmente sincera un po' sì, mi dispiace. Non amo restare sola in mezzo a così tanti sconosciuti ammucchiati in un luogo "angusto", ma allo stesso tempo non posso negarle di fare ciò che desidera - potrei giocarmi la serata e l'amica. Allora annuisco, facendole un sorriso d'approvazione che tanto vero non è; ma dubito possa capirlo, dopotutto non siamo ancora così intime da riconoscere un'insulsa piega d'espressione.

Lascio andare le dita di Caroline che tengo strette tra le mie, annuisco, e in men che non si dica mi ritrovo a osservare la sua sagoma sparire nel marasma del The Elder and the Moon, ora molto più affollato di quando siamo arrivate. Mentre fisso il suo caschetto biondo e amaranto sobbalzare ad ogni passo che fa, mi sento improvvisamente sopraffare da una sensazione amara.

Che faccio, ora?

Rimettersi a cantare e agitarsi in solitudine ha un ché di sbagliato, triste, ma restare immobili in attesa del suo ritorno mi dà l'impressione di esserlo ancora di più, così, dopo alcuni istanti di contemplazione e dubbi esistenziali di bassa lega, mi ritrovo a sospirare e mestamente girare i tacchi.

Senza Caro e il suo buonumore a scacciare i pensieri tristi, quelli per cui abbiamo deciso di uscire nel bel mezzo della settimana, l'unico che può venirmi incontro è Adrian, soprattutto se munito di una qualche bevanda ad alto tasso alcolemico.

Così, tra una spallata e quella successiva, mi faccio strada verso il bancone, la meta ultima per chi non vuole ancora tornarsene a casa - anche se i piedi fanno male, la gola brucia e la mente prende ad affollarsi.

Ritaglio il mio angolo in mezzo a due sconosciuti che si danno le spalle, intenti a parlare l'uno di calcio e l'altro di qualche lezione universitaria un po' troppo ostica e, qui, alzo la mano nel disperato tentativo di catturare le attenzioni del barista; dopotutto, prima afferro un bicchiere prima posso sgattaiolare via.
I tizi mi schiacciano, non si preoccupano della mia presenza tra di loro esattamente come non lo fa il proprietario del locale, troppo impegnato a far roteare bottiglie colorate sopra alla testa e riempire calici che darà a tutti tranne che me.
Così provo a sporgermi un po' di più, a issarmi sul pianale in legno per diventare un faro tra gli scogli di persone nettamente più alte di me - ma nulla, il risultato non cambia. E allora sbuffo, rinunciando all'impresa; se da un lato il destino mi grazia, dall'altro mi sevizia.

A questo punto mi ritrovo a infilare le dita nella borsa, cercando con insistenza l'unica fonte di salvezza e possibile occupazione di quella che si è trasformata in solitaria attesa: le Lucky Strike rosse. Piccole stecche di pura intossicazione polmonare in pacchetto, minute bacchette velenose che mi coccolano nei momenti migliori e peggiori. Otto sterline e mezzo messe nelle mani sapienti di tabacchini consci del danno che stanno arrecando ai miei bronchi, ma troppo affamati e umani per poter cedere al buon senso e dirmi "ti stai corrodendo da sola!" - e come dargli torto? Dopotutto con i vizi di decine di centinaia di persone loro riescono a campare, perché sfortunatamente il mondo è tiranno e indottrina all'egoismo.
I polpastrelli sfiorano la rotella dell'accendino, poi due filtri che, seppur pochi, mi auguro siano sufficienti a riempire il tempo che Caro dedicherà al suo flirt serale. Rifletto un po', indecisa sulla questione, ma alla fine, guardandomi attorno, capisco di non avere davvero altra scelta, quindi sospiro.
Faccio per girarmi, senza prestare reale attenzione a ciò che mi circonda - infatti lancio ancora qualche occhiata speranzosa in direzione di Adrian che, però, nemmeno con la vista a raggi x riuscirebbe a notarmi - e, prima che possa realmente rendermi conto della situazione, sbatto contro qualcuno, uno sconosciuto che mi afferra per le spalle senza esitazione.

Resto con il naso schiacciato al suo petto qualche istante, conscia che se mi dovessi allontanare ora scorgerebbe il terribile rossore sulle mie gote e, qui, contro la sua maglia, aspetto. Cosa è un po' un mistero, visto che persino lui pare non voler mollare la presa su di me. E allora provo a fare un respiro profondo, in modo da darmi la forza necessaria per fare il primo passo e divincolarmi, eppure, quando il suo profumo mi riempie le narici, qualcosa scatta e il desiderio di sgattaiolare via si dissipa.

Conosco sia questo bagnoschiuma sia il detersivo con cui è stata lavata la maglia dei Kiss e, inesorabilmente, alzando gli occhi, ciò che scorgo è la mia condanna.

Seth.

Per quale ragione è qui? E perché mai il suo sguardo sembra più infastidito che amichevole?

Deglutisco con fin troppa fatica prima di pronunciare un timido saluto, ma la cosa sembra non ottenere il risultato sperato.
Le sue pupille mi perforano la fronte, quasi stessero cercando di aprirmi il cranio e farmi capire che è infuriato - anche se il motivo, in questo preciso momento, proprio non riesco a immaginarlo.

Stringendomi con più forza, e senza ricambiare il saluto, Seth decide che l'interno dell'Elder and the Moon non è il luogo adatto per una conversazione, così mi trascina fuori quasi di peso - non mi dà nemmeno il tempo di capire quali siano le sue intenzioni, per questo i piedi sembrano poco convinti nel voler avanzare.
Una sua falcata dopo l'altra però, ciò che ci accoglie è il vicolo ora deserto in cui si trova il locale. L'aria gelida vi passa in mezzo accarezzandomi le caviglie leggermente scoperte, lì dove i jeggins dei miei quindici anni provano a dirmi che in fin dei conti qualche centimetro in più l'ho acquisito e che forse sarebbe il caso di cambiare il guardaroba. Nel rabbrividire non posso impedirmi di stringere le braccia al petto per trattenere il calore, visto che la giacca è a penzoloni sulle spalle e non aiuta quanto dovrebbe, ma oltre a questo, in un lamento, mi rivolgo al ragazzo che mi ha trascinata fuori: «Ma che ti prende?!» La voce sale fino a raggiungere una nota stridula, ma lui non sembra accorgersene, troppo preso a fissarmi con fare indagatore.

«Potrei farti la stessa domanda. Da quanto ti fai così carina?»

Piego la testa da un lato, provando a capire: «Non credo ci sia una legge scritta che mi vieti di truccarmi più del solito e indossare qualcosa di... grazioso, quando esco con le amiche» con una mano provo a indicare la maglia che indosso, un filato nero con inserti dorati il cui scollo fa intravedere quello che dovrebbe essere un décolleté, ma che la mia seconda, rigorosamente coppa b, fa invece risultare una sorta di inutile tentativo di raggiungere una sensualità non concessami.

Lui scuote il capo, ridacchiando nervosamente. Non sembra prendere sul serio le mie parole, anzi, pare quasi che abbia fatto una pessima battuta.

«Sai,» esordisce appena riesce a placare l'ilarità: «dopo che qualcuno ti confessa di avere dell'interesse nei tuoi confronti, l'ultima cosa che fai, se ancora non gli hai dato una vera e propria risposta, è farti carina e uscire da sola in un covo di uomini dagli ormoni che tirano la stoffa dei pantaloni, altezza cavallo!» Sbotta infine, infilando le mani in tasca.

La confusione si fa ancora più destabilizzante. E' forse gelosia la sua? Morgestern sa provare un sentimento del genere per un esemplare del sesso opposto?

«Non ci vedo nulla di male, se devo essere onesta. E poi... tu sei l'ultimo a potermi rimproverare, Seth. Sai benissimo anche tu di non essere un santo!» il mio tentativo di giustificare la situazione pare aizzare il suo già instabile umore, così, forse mosso da un istinto che io ancora non riesco a capire, mi afferra per un polso, portandomi a un soffio dal suo corpo - e i brividi che sento ora dubito siano causati dal freddo.
Una scossa piacevole parte dal contatto tra le nostre pelli, amplificato rispetto a qualsiasi altra volta.
E se fino a una qualche settimana fa il tocco di Morgentern mi stimolava il batticuore, dopo il nostro primo e fugace bacio ha iniziato a far formicolare ogni parte di me, spingendomi a desiderare di stringermi a lui e nutrirmi del suo calore, del profumo della sua pelle, della sua carne in generale.

È questo che significa innamorarsi veramente ed essere ricambiati? O forse sono troppo succube di lui per gestire in modo logico le sensazioni?

«È questo il problema?» mi chiede in un sibilo, mentre il suo sguardo si addolcisce nel mio: «È perché temi che possa comportarmi da pezzo di merda che mi eviti?»

Anche.
Soprattutto.

Temo che le paure di Jace possano diventare reali, che Seth si prenda il mio cuore e lo spezzi come pane secco, dandolo in pasto ai pesci di qualche stagno maleodorante. Temo di dovermi ritrovare tra le braccia di mio fratello a piangere per via della stupidità con cui ho creduto allo splendido viso che mi sta davanti.
Temo di rinunciare alla sua voce nelle orecchie, al suo sorriso, alle battute che fa sulla mia inesperienza nei confronti della vita perché troppo ingenua. Ho paura di non avere più i sabati sera a casa sua, i suoi messaggi, i dolci che porta via dal lavoro a fine giornata, quelli con cui mi strafogo da anni.

E da tutti questi timori mi separa un passo. Uno solo. Compiendolo potrei posare le labbra su quelle del Diavolo in persona, suggellando così un accordo in cui, certamente, sarò io a rimetterci, un accordo che darebbe vita a ognuna delle catastrofiche prospettive appena elencate. Se lo baciassi, se cedessi al desiderio che ho segretamente nutrito per lui, lo lascerei oltrepassare una linea di confine che sono certa scatenerebbe la guerra, ma sono pronta? Non ne ho idea.
Lo bramo? Abbastanza da non riuscire a pensare ad altro che a lui, a continuare a sognare un'idilliaca storia d'amore, a ripercorrere nel sonno ogni istante o sensazione di quel giorno, del primo bacio, della sua vigliaccata - perché non si può definire in altro modo, a sfruttato un momento in cui la lucidità era l'ultima delle mie facoltà cognitive.
Ma Seth, il ragazzo che desidero da anni, vale i rischi a cui sto andando incontro? Negli stessi sogni in cui stiamo insieme, sì. Nell'immaginario che ho costruito intorno alla sua figura, amare ed essere amati da lui vuol dire avere un piccolo falò nel petto, perennemente acceso e pronto a divampare, a bruciarmi.

«Non dovrei?» mi ritrovo a dire infine, più in risposta ai miei dubbi che ai suoi. Forse però avrei dovuto porre altre domande prima, come: perché? 

Perché io?
Perché ora?

Lui allenta la presa, più deluso di quanto mi sarei aspettata. Per un attimo ho il terrore di udire la sua risposta, di sapere che se volessi potrei sfuggire dalle sue dita e tornare la solita e semplice Jane Jaqueline Raven di sempre - perché sono una tra tante, una tacca non necessaria sulla sua cintura da donnaiolo, non quella speciale.

«Non potrei mai prendermi gioco di te, Jay. Eddai... tu mi sei sempre stata accanto, sei la metà mancante di Jace, ogni suo pregio è tuo. Non sono una merda fino a questo punto, non rischierei mai di perderti per un semplice capriccio. Lo sai», ma nonostante ciò che dice fidarsi non è così semplice, non quando si parla del primo amore e nemmeno quando si ha a che fare con il ragazzaccio della situazione: dopotutto non siamo i protagonisti di un romanzo d'amore, il lieto fine è più unico che raro in storie come la nostra. La realtà colpisce forte, senza guardare in faccia nessuno. Spezza ossa, denti e cuori con una facilità quasi annichilante e, io, non voglio immaginare il dolore che mi aspetta.
Però alla fine, forse a causa dell'alcol o del suo sguardo, quel passo lo faccio: gli vado incontro.
Mi lascio andare all'illusione, mi faccio piegare dalla sua convinzione, quella che domani mattina, forse, sarà solo un lontano ricordo, una chimera.

Premo le labbra sulle sue e lascio che il sapore del tabacco rimastogli impigliato tra le grinze della carne mi riempia la bocca - perché anche se ho paura l'adrenalina è una droga. Perché come ci insegnano alcuni tra i più grandi filosofi della storia siamo tutti inclini al masochismo: subire, farci male, soffrire e lamentarci ci fa sentire un po' più vivi. E io lo sono, ora. Sento che ogni centimetro di me reagisce a lui - ed è travolgente, dipendente.

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