Chapter Fifteen: Secrets you keep
"And I, I hate to see your heart break
I hate to see your eyes get darker as they close,
But I've been there before"
Hate to see your heart break - Paramore
Non ho fatto in tempo ad aggredirlo che lui mi ha presa per i polsi e tirata a sé sul materasso, stringendomi in un abbraccio scherzoso da cui, alla fine, non son più fuggita via. Il mio corpo ha smesso di ribellarsi subito, lasciandosi andare al calore del suo.
Il profumo dei vestiti puliti e il battito del suo cuore, insieme al vago sentore di tabacco rimastogli tra le dita, mi hanno cullata in una sorta di vago dormiveglia. Se non temessi di restar qui più a lungo di quanto concordato con Catherine, probabilmente mi lascerei andare all'ammaliante richiamo di Morfeo.
La sua voce, ancora impastata, prova a tenermi incollata alla realtà: «Che fine hai fatto, dolcezza? Sei sparita in questi giorni...»
Strofino la testa contro il suo petto, tentando di allontanare del tutto il sonno: «Potrei dire lo stesso» biascico poi. Questa è l'occasione perfetta per chiedergli del litigio, eppure vorrei aspettare, bearmi del momento ancora per un po'. Charlie sa di casa, del luogo sicuro a cui far ritorno dopo una giornata troppo pesante: se le sue mura dovessero crollare non saprei più dove andare.
Però chiedo comunque, perchè la lingua pizzica e la curiosità mi logora: «Che succede tra i miei tre moschettieri?» Alzo la testa per poterlo guardare dritto in viso, in modo che non riesca a dirmi bugie.
«Nulla che non sia già successo in passato» afferma mettendosi a frugare sulla testata del letto, lì dove tiene portafogli e sigarette. Cerca di abortire subito il discorso, visibilmente riluttante all'idea di rendermi partecipe della questione.
Appena si mette il filtro giallo tra le labbra gli sottraggo l'accendino, in modo da impedirgli di accendere e cambiare discorso.
Sono categorica, voglio sapere.
Con un movimento lesto mi metto sulle ginocchia: la schiena rivolta alla finestra, gli occhi a lui.
«Davvero? E allora che ti costa parlarmene?» lo ammonisco.
Charlie sospira, poi si passa le mani sul viso, coprendosi gli enormi occhi azzurri: «Eddai, non ho voglia di iniziare discussioni inutili. Stavamo così bene qui a non far niente!» Il suo tono lamentoso ha un chè di fanciullesco, ma non basta per mettere a tacere il mio desiderio di conoscenza. Non sono anche io parte di questo stupido gruppo? Allora perché non posso esserlo a tuttotondo?
Il mio sguardo non lo abbandona nemmeno per un secondo, diventando sempre più intenso. E' una sfida a chi cede per primo, ma visto ciò che c'è in ballo sicuramente non sarò io quella che mollerà - il desiderio viscerale di rimettere pace tra Jace e Seth è più forte della sua volontà, ne sono certa. E poi, se loro smettessero di darsi contro, io potrei valutare con più lucidità il bacio e la confessione di Morgenstern.
Il mio migliore amico si sporge con uno slancio, il suo viso arriva a pochi centimetri dal mio. Le punte dei nasi potrebbero sfiorarsi, mentre gli occhi hanno già preso a perdersi gli uni in quelli dell'altro con un'intensità che difficilmente è tipica di Benton. Sbuffa ancora: «Perchè vuoi metterti in mezzo?» mi domanda appoggiando la fronte sulla mia. Quando respira un solletico leggero mi accarezza le guance.
«Perché non mi piace questa situazione».
E alla fine, come previsto, è lui a cedere: «A tuo fratello ha dato fastidio il fatto che sei rimasta da Seth, sola» confessa, facendomi allontanare di colpo da lui.
I nostri corpi si separano, ma non gli sguardi, quelli restano ancorati insieme con stupore e rassegnazione. Non c'è più alcuna tenerezza fraterna a unirci.
«Stai scherzando? Si sono presi a pugni per questo?» scuoto il capo più e più volte, incredula. Charlie prova ad afferrami una mano, forse nel tentativo di calmarmi, ma lo scanso, scivolando via dal suo letto: «Cos'ha che non va Jace? Non è certo la prima volta che dormo fuori! Sono rimasta qui da te decine di volte e-» lui finalmente riesce a prendermi le dite. Mi interrompe a metà frase, sfoggiando una serietà che mi dà fastidio vedergli addosso.
«E' diverso, Jane» la linea dura delle sue labbra non ha più nulla di piacevole, non mi conforta: «Qui siamo in metà di mille... ci sono i miei genitori e io dormo al piano di sotto. Ma da lui? Eravate soli, okay? E tu eri ubriaca» anche se velata, sento nel suo tono una sorta di disapprovazione.
D'improvviso, percependola nelle sue parole, mi sento sopraffare dalle lacrime. Forse ho deluso anche lui - ma perché? In fin dei conti non ho fatto nulla di male, no?
Agito la testa, ancora.
Benton si alza, torna a farsi incredibilmente vicino. Sento il suo calore scivolarmi sui lembi di pelle nuda e d'istinto sento di volerlo sia allontanare, sia stringere forte.
«Gli voglio bene, a entrambi. Sono i miei migliori amici e per loro darei via un rene, ma sai com'è Seth. La sua fama non è costruita solo su cazzate» dice piano, in modo che nessuno ci possa udire. Ed è vero. Terribilmente. Eppure mentre glielo sento dire qualcosa in me scatta, una sorta di autodifesa. Digrigno i denti e stringo la presa sulle sue dita, le stesse che stanno cercando di trattenermi.
«E quindi date per scontato che mi abbia infilato le mani sotto ai vestiti? Che avesse secondi fini?» sibilo a denti stretti, facendo calare su di lui uno sguardo impassibile e iracondo: «Pensate davvero che possa avermi portata a letto senza badare alle conseguenze di un simile gesto?» domando, avvertendo uno strano tremore scuotermi dentro.
Non ho idea di cosa mi faccia reagire così, ma succede e non riesco a controllarlo.
Charlie agita la testa, facendo ondeggiare la chioma leggermente ramata: «Non dico che lo abbia fatto, ma avrebbe potu-»
Lo bloccò prima ancora che possa finire, districando le nostre mani: «Quindi tu e mio fratello credete che sia una facile?»
«Santo cielo Jay, no!» mi afferra nuovamente, questa volta cingendomi entrambe le braccia e chinandosi un poco per essere alla mia altezza: «Io... io non potrei mai pensare questo di te, chiaro? Così come capirei se vuoi stare con Seth» si bagna le labbra, poi sospira socchiudendo gli occhi. Pare quasi che gli costi fatica parlare della questione, dà l'idea che qualcosa gli si sia incastrato in gola.
«Capisco che ti possa piacere, che sia facile cedergli, però ricordati che lui non è il ragazzo perfetto ed è normale che saperti sola con lui, di notte e a casa sua, possa spaventare Jace. Ti vuole bene, più che a chiunque altro... e sa quanto fa male un cuore infranto» si lascia sfuggire con rassegnazione dopo alcuni istanti di silenzio.
Resto ferma a fissarlo, rendendomi improvvisamente conto di quanto effettivamente mio fratello non avesse altro che le mie stesse paure. Ci siamo fatti un'inutile guerra combattendo per il medesimo motivo. Però mi ferisce sapere che se dovessi scegliere di stare realmente con Morgenstern, senza limitare la possibilità a qualche sogno a occhi aperti, lui non sarebbe dalla mia parte.
Non doveva restarmi accanto nel bene e nel male? Nei giorni importanti e in quelli difficili? Allora cosa gli costa assecondarmi?
Sento la presa di Charlie sulle mie braccia titubare un po' e scorgo nel suo sguardo un dubbio, tanto simile alla paura - è quasi come ritrovarsi nuovamente di fronte alla Molly che mi ha accolto, perchè infondo hanno gli stessi occhi e la medesima espressività. Resto in attesa di qualcosa, forse un'ultima parola rincuorante, ma il suo telefono prende a squillare, distraendolo.
Infila la mano in tasca, poi la estrae. Sul display la sveglia segna il momento della partenza: tra mezz'ora deve essere in negozio, probabilmente a catalogare i nuovi arrivi o finire di sistemare. Così sospira: «Devo andare» bofonchia, mollandomi del tutto.
«Sì, certo...» ma la mia asserzione è solo di circostanza, perché vorrei che invece restasse ancora, che mi dicesse quello che non ha ancora avuto il coraggio di dire: che è dalla sua parte, che fiancheggia Jace in questa lotta tra pari.
***
Un'ora e trenta, questo è il ritardo che ho accumulato sul lasciapassare che Catherine mi aveva concesso.
Con Charlie però il tempo diventa liquido, si dilata. Mi perdo a galleggiare nella pace dei sensi, nelle risa e, purtroppo, alle volte in conversazioni poco piacevoli come quella avuta oggi.
Così corro lungo il vialetto, cercando di non aggiungere nemmeno un minuto in più ai novanta già utilizzabili per farmi l'ennesima strigliata degna di nota. Apro la porta di casa con il cuore che martella in mezzo al petto, preda di una tachicardia che testimonia la mia poca dimestichezza con l'attività fisica e, una volta dentro, mi concedo il lusso di un sospiro.
Se qualche divinità lassù mi sta guardando, la prego di far sì che mia madre non sia in casa o, se proprio pare troppo, che non si sia accorta del mio ritorno.
Ho già subìto abbastanza per oggi, sorbirmi anche i suoi agghiaccianti strilli non mi va affatto.
Resto per un po' in attesa, con le spalle schiacciate contro la porta e il fiato corto, ma lei non sopraggiunge. Il suono dei suoi tacchi non rimbomba sulle pareti, il suo profumo "da ufficio" non aleggia minaccioso nell'aria: pare quasi che non ci sia, se non fosse per la sua risata che, d'un tratto, spezza il silenzio.
Mia madre sa ridere?
Un passo alla volta, più confusa che stupita, mi sospingo verso la stanza da cui arriva quel suono cristallino e, sussultando, mi accorgo che non è sola: c'è qualcuno con lei, qualcuno che però non è mio padre.
Il panico mi assale e il cuore prende una nuova impennata. Che Catherine abbia un amante? Possibile? Credevo mia madre capace di molte cose, ma non certo questa. Papà l'ha sempre trattata come una regina, non voglio credere che possa ripagarlo in questa maniera.
Nei miei quasi diciott'anni di vita non avrei mai potuto immaginare di scoprire una cosa del genere, di arrivare a cogliere in flagranza di reato la donna che mi ha messa al mondo - non so nemmeno come dovrei reagire o se sia giusto farlo; ma sarei capace di vivere con un simile segreto? Riuscirei a guardare in faccia papà e non scoppiare a piangere, sentirmi uno schifo o chissà che altro?
«Giuro, Miss Raven, sua figlia ha mangiato come un bue!» il commento, seguito da un'altra risata lieve, ha uno strano timbro familiare. E' una voce che ho già sentito, che conosco e che ho più volte rievocato nella memoria, soprattutto in questo ultimo periodo - ma è possibile? Non potrebbe essere semplicemente l'ennesimo sogno o un'allucinazione uditiva? Magari la mia mente non vuole accettare la presenza di un uomo estraneo in quello che è stato, ma è anche tutt'ora, il nido d'amore dei miei genitori.
Però...
Mi sporgo appena oltre lo stipite, decisa a capire quanto di ciò che mi circonda sia reale o meno e, una volta messa a fuoco la cucina, riconosco la sagoma di una persona che, forse, non dovrebbe essere qui e che, men che meno, dovrebbe atteggiarsi come se nulla fosse successo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top