Chapter Eighteen: Trust me
It's six A.M., I'm so far away from you
I don't wanna let you down, what am I supposed to do?
It's been three weeks at least, now, since I've been gone
Honest - The Chainsmokers
Seppur l'abbia sognato notti intere, per settimane che sono diventate mesi, ancora fatico a credere di avere le labbra incollate a quelle di Seth, mentre le mie mani sfiorano il suo viso caldo e le sue dita si annidano tra i miei capelli, impedendomi di scappare.
Vorrei credere, come nelle scene più romantiche di qualsiasi storia, che si stia aggrappando a me per paura che da un momento all'altro possa scappare via da lui, allontanarmi e infrangere il suo cuore, ma Morgesten è meno succube di me all'amore e la realtà è più carnale, tutti quei bei momenti li lascia alla fantasia di scrittori in parte frustrati e in parte alla ricerca di una favola che sanno non prenderà mai vita.
Ad ogni modo, credo che per il ragazzo schiacciato a me sia solo una questione d'istinto, di esperienze pregresse e di desiderio di possessione.
Forse è per questo che più restiamo incollati, più lui sembra farsi avaro.
Però, a prescindere dal mio voler restare ancorata a Seth con tutte le forze, l'aria inizia un po' a mancarmi, avrei bisogno di fermarmi e riempire i polmoni di ossigeno per riuscire a stare al suo ritmo. La mia paura comunque, in questo preciso istante, è quella di spezzare la magia che ci avvolge, anche se è umida come la saliva e bollente come fuoco.
Eppure Morgenstern pare non aver bisogno di respirare, sembra riempirsi i bronchi con il calore dei corpi, il tocco delle pelli - e lo invidio, mentre afferro il suo labbro inferiore tra i denti provo per lui un'invidia terribile; vorrei avere la sua stessa conoscenza di questa materia, saper sostenere un confronto con lui.
Spiegarlo ai miei polmoni è però qualcosa di più complicato e così, seppur cercando di resistere fino all'ultimo, troppo ingorda di questa situazione irreale per poter dare importanza all'apnea volontaria, mi ritrovo a fare i conti con un colpo di tosse improvviso.
Per volontà altrui sono costretta a staccarmi dalle sue labbra e concedermi qualche istante di recupero, una pausa che son certa impedirà alla malia di ricrearsi con la stessa naturalezza e intensità.
Tossisco più e più volte, quasi mi sia andato di traverso qualcosa e, nel farlo, con una mano mi copro la bocca, scoprendola terribilmente calda e gonfia, quasi sia stata morsa. Forse mi sono lasciata coinvolgere troppo? Ho lasciato che la fame di lui avesse la meglio su di me?
Di sottecchi lancio un'occhiata al ragazzo che mi sta accanto, in particolare alla sua bocca. E' di un color ciliegia che non gli vedevo avere da mesi, forse a causa del freddo costante, ora interrotto dai trentaquattro gradi della mia persona. Ciò che più di tutto mi sconvolge però, è il ghigno soddisfatto con cui mi fissa dai suoi quindici centimetri in più.
E il cuore mi balza in gola.
Perchè mi osserva a quel modo? Perché temo di dover restar qui e scoprirlo?
«A quanto pare non ti dispiaccio così tanto» sussurra maligno, avvicinandosi piano e mettendomi letteralmente spalle al muro, lì dove le casse all'interno del locale fanno vibrare appena la superficie a cui sono schiacciata.
Ci osserviamo, anche se in due modi ben diversi: io imbarazzata, con il batticuore che pare volermi uccidere, lui conscio del suo potere, tronfio dello charme che lo rende così desiderabile.
Deglutendo a fatica provo a difendermi, a impedirgli di giocare con me - come fa da sempre, del resto: «Oppure è all'alcol che piaci tanto». Dalla bocca si leva una pallida nuvola di vapore. Ho il fiato ancora bollente, il corpo in visibilio.
Lui piega la testa da un lato, mi osserva con scetticismo: «Vorresti dirmi che se non fosse per qualche birra nel tuo pancino» con un indice mi sfiora l'addome, ma i suoi occhi non paiono voler discostarsi dai miei: «non mi baceresti alla stessa maniera?» il suo dito trova uno spiraglio, svicola sotto alla maglia, alzandone il bordo. Il contatto è scottante, ma non ho idea del motivo per cui lo sia; forse è un'impressione, forse una delle tante conseguenze di ciò che mi scatena. Sorride sempre più, avvicinando pericolosamente il viso al mio: «Jay, guarda che sono stato innamorato anche io, riconosco il brivido che ti assale ogni volta che son troppo vicino» sussurra infine, mentre l'epidermide mi si riempie di pelle d'oca.
Vuol dire che lo ha sempre saputo? Sta cercando di dirmi che da otto anni è a conoscenza della mia eterna cotta nei suoi confronti?
Vorrei saperlo, ma ciò che mi sfugge è ben altro: «Quindi Sharon ti fa quest'effetto?» Le mie pupille si abbassano sulla sua mano, immobile. Il polpastrello resta premuto sulla pancia, ma non sfiora più la carne con delicatezza, pare piuttosto puntarmi come la canna di una pistola. Chissà se può ferirmi. Chissà se con così poco può perforarmi lo stomaco e farmi stramazzare a terra.
«Non paragonarti a lei, Jane» il tono di Seth mi fa sobbalzare, così freddo, infastidito. La sua voce non è più suadente come qualche istante fa e anche il suo sorriso, ora che lo fisso in viso, non se ne sta più appollaiato sulle labbra ancora arrossate.
Come al solito, quello che doveva essere il momento più indimenticabile dei miei ultimi diciotto anni, pare volersi tramutare nel peggiore - e tutto a causa della mia linguaccia, incapace di star ferma. Così la mordo piano, ma con sempre più intensità, punendola per aver agito senza il consenso della mente. Sento ogni frastagliatura dei denti lasciare il proprio segno tra le papille gustative e maggiore è il dolore, maggiore la velocità con cui distolgo lo sguardo dal ragazzo che ho di fronte: già, come posso paragonarmi alla sua fidanzata, quella vera? Come posso paragonarmi a quella sorta di Venere ambrata che conquista uomini e successi alla medesima maniera?
Lei è stata al suo fianco per anni, vivendo la quotidianità in maniera nettamente diversa da come Morgenstern abbia mai fatto con la sottoscritta, che più che un esemplare del sesso femminile doveva rappresentare una sorta di cucciolo di yeti per lui. Lei, che nonostante i reciproci tradimenti non è mai uscita di scena. Lei, che nelle uscite di gruppo mi ha sempre fatta sentire un'incomoda. Lei, che gli ornava la pelle di segni facendomi così logorare al pensiero che non avrei mai potuto avere Seth.
Con che presunzione mi ci affianco?
D'un tratto, l'indice che aveva minacciato la mia pancia trasformandosi in un'arma di falangi e carne si unisce al pollice per afferrarmi il mento. Lo pizzicano un poco, costringendomi a tornare con gli occhi sull'interlocutore: «Sharon è ed è sempre stata un passatempo, chiaro? Mi faceva compagnia, non pretendeva promesse o pianificazioni per un futuro insieme e non recriminava alcuna spiegazione. Tuo fratello e Charlie possono confermarlo se non mi credi» fa una pausa, cercando nel mio sguardo qualcosa che non saprei definire. Forse vuole una conferma, oppure sta provando a scorgere in me della titubanza. Passa alcuni istanti in silenzio, poi appoggia la fronte sulla mia, schiacciando i nostri corpi l'uno sull'altro: «Non ha alcun valore se confrontata a te» decreta infine, facendomi saltare il cuore in gola. Quest'ultima frase, che può sembrare la più scontata di qualsiasi scena da libro trash, sconvolge completamente le idee che mi ero fatta fino ad ora lasciandomi galleggiare nella confusione.
Non capisco, qualcosa non torna: «E... e allora chi...»
Seth ride piano, lascia che le sue labbra si tendano e mostrino i denti perfetti - lascito di anni passati con l'apparecchio: «Avevo sedici anni, okay? Era la mia prima fidanzatina, una relazione seria durata ben nove mesi... e quando mi ha lasciato ha avuto anche la premura di spezzarmi il cuore» nei suoi occhi si intravede la vaga nostalgia di un ricordo lontano, sulle sue guance il lieve rossore dell'imbarazzo. Non mi era mai capitato di sentirgli confessare una simile cosa, avevo sempre creduto che nessuna potesse trovare il coraggio di lasciarlo, ma a quanto pare ho sempre sbagliato.
Il suo sorriso si allenta un poco: «Non sono così insensibile come credete tutti» dice piano, sfiorandomi il naso con la punta del suo.
«Ora, che programmi hai per la serata?»
***
Ho avvertito Caro giusto in tempo, ma soprattutto al momento perfetto. L'ho trovata arroccata sul bancone, intenta a cercarmi a destra e manca per chiedermi se, se non avevessi avuto nulla in contrario, potessimo rimandare il "pigiama party" che avevamo in programma - unico motivo per cui Catherine mi aveva dato il permesso per uscire, era infatti il fatto che l'indomani sarei andata a scuola accompagnata da un'altra studentessa, ma nessuno avrebbe mai sospettato che il programma cambiasse tanto drasticamente.
Così la mia amica è fuggita via con lo spasimante conosciuto al locale, un soggetto di cui nemmeno sono riuscita a intravedere la faccia, mentre io mi sono lasciata rapire da Seth.
Tra fermate di autobus e qualche minuto di camminata passata sotto al suo braccio, abbiamo concluso la serata nell'appartamento che solo qualche settimana prima mi aveva vista in mutande. Casa Morgestern ci ha accolti nel torpore del riscaldamento acceso, nel profumo di incenso al gelsomino e nella luce soffusa dell'abart-jour sempre accesa per non lasciar Chucky al buio.
Le pareti ci hanno ascoltati, mentre timidamente gli chiedevo di raccontarmi del suo primo amore, di come era stato, per il donnaiolo che è, accettare di venir lasciato a quel modo - e lui non si è fatto pregare, ha descritto con ironia e dolcezza quel ricordo in cui, alle volte, mi sono quasi rispecchiata.
Poi i suoi soprammobili ci hanno guardati. Hanno assistito a un nuovo e tenero bacio che è diventato quello della buona notte - perchè a differenza mia, forse lui non è riuscito a contrastare la stanchezza di una giornata passata a servire clienti e preparare colazioni, merende, vassoi d'asporto e quant'altro, o forse perchè a un tratto ha avuto i medesimi pensieri che ore dopo hanno raggiunto me.
Nel suo letto, che mi ha ospitata sotto alle lenzuola profumate cercando di farmi compagnia per le prime ore insonni e cullandomi poi in un sonno non proprio piacevole, ho avuto modo di fare nuovamente i conti con la realtà, una di quelle che avrei preferito evitare. Per il tempo passato sveglia e in solitudine, ho osservato tutto ciò che di Seth c'era nella stanza, muovendomi dai libri ai cd, dai vestiti piegati qua e là sui mobili alle fotografie - ed è stato in quel momento che ho incrociato il viso di Jace. E' lì che guarda dritto in camera, mentre la luce tenue che entra da oltre le tende manda strani riflessi sulla carta lucida.
Nonostante l'espressione sorridente che ha nello scatto incorniciato sopra a una delle mensole, mi sono sentita giudicare dal suo sguardo fisso: l'ho deluso, anche se ancora non lo sa. Ho messo Morgenstern prima di lui, lasciando che il mio egoismo prevalesse su ciò che era giusto fare.
Mi sono lasciata andare, ignorando volontariamente le conseguenze delle scelte fatte, ma so da me che dovrò dirglielo, prima o poi.
Ed è stato questo pensiero a tormentarmi, facendomi girare più e più volte tra le coperte, cercando di minare la già di per sé labile magia della serata. Così ho fatto i conti con i sensi di colpa, le remore, i dubbi, tutti travestiti da improbabili sogni - fino a che il vibrare lieve del mio cellulare, all'alba delle sette, non ha deciso di mettervi fine.
Con la bocca impastata e la voglia di vivere di un bradipo, ho allungato una mano fin sopra la testiera del letto, urtando prima contro una lampada, poi al posacenere ornamentale e infine acciuffando il marchingegno del demonio.
La luce del display, nettamente più intensa di quella che permea nella stanza, mi ferisce gli occhi, costringendomi a stringere le palpebre e mugolare un po' prima di trovare la forza per sorreggere la sua luminosità. Alla fine, quando finalmente riesco a mettere a fuoco le icone e le lettere sullo schermo, mi ritrovo a fare i conti con una notifica inaspettata, un mittente che mi fa stringere lo stomaco in una morsa tutt'altro che piacevole.
Che tutte le paturnie a cui ho cercato di far fronte lo abbiano richiamato? Possibile che mio fratello abbia sentito i pensieri che gli ho rivolto?
Avvertendo un nodo in gola e il cuore palpitare abbasso la tendina, in modo da scorgere una buona anteprima del messaggio - ma è più breve del previsto e la cosa mi preoccupa ancor di più.
Chiamami, dobbiamo parlare.
E forse provo più ansia ora che di fronte alle confessioni di Seth, alle interrogazioni impreviste o nelle attese che precedono le sfuriate di mia madre.
Cosa dobbiamo dirci di tanto urgente? Per quale ragione ha dovuto scrivermi questo messaggio all'alba?
Mi tiro dritta, senza però staccare gli occhi dalle letterine scure che troneggiano sullo sfondo chiaro.
Che faccio, chiamo?
Un'occhiata si alza e vola verso la porta che divide la camera da letto dal salotto. E' socchiusa, permettendomi di restare in costante ascolto di ciò che accade in queste quattro mura che sono l'appartamento di Morgenstern, ma dall'altra stanza non giunge alcun rumore. Forse a differenza mia sta ancora dormendo; chissà che orario lo aspetta domani, quali commissioni riporta la sua agenda. Rischierei di disturbarlo? Udirebbe la mia preoccupazione?
Potrei aspettare di andar via, di essere in un luogo più intimo e appartato, ma l'urgenza di sentire cosa Jace ha da dirmi si fa impellente.
I miei piedi scivolano fuori dalle coperte, raggelano prima di toccare il tappeto e, appena sono stabili sul pavimento, si muovono leggeri in direzione dell'anta.
Sbircio attraverso lo spazio vuoto creato tra la porta e lo stipite, mentre lo stomaco si torce giusto quel tanto da farmi sentire agitata. Aguzzo la vista nella penombra, sperando di non scoprire nulla di spiacevole, ma poi, appena gli occhi si abituano alla mancanza di luce, mi rincuoro.
Lui è lì.
Seth se ne sta sdraiato sul divano che ci ha scoperti complici per la prima volta, che è stato testimone dei baci e delle carezze. E' rannicchiato sotto un plaid dalla fantasia tribale e, accanto a lui, Chucky ronfa con altrettanta serenità.
Ora che mi sono accertata del suo stato letargico posso osare la telefonata.
Così chiudo in definitiva l'unica cosa che ci tiene uniti nella mattina che sta sorgendo e, sentendo le budella ribaltarsi con maggiore intensità, torno a fissare lo schermo del cellulare.
La chat di mio fratello è lì che mi scruta, così come lo fa l'icona pallida di una cornetta telefonica. Mi chiama e mi ripudia al contempo finchè, staccando il palmo dal legno che ho di fronte, mi decido a premerla, facendo comparire in grande la nostra foto insieme.
Esito nell'avvicinare lo smartphone all'orecchio, concedendomi qualche istante per osservarci meglio. Abbiamo due sorrisi così simili, i medesimi occhi screziati e pieni di vita - ma soprattutto ci stringiamo forte per riuscire a stare entrambi nello stesso selfie. Dopo ciò che ho fatto però, dubito che lui possa abbracciarmi ancora così, o quantomeno nell'immediato.
«Jay?» la voce di Jace mi riporta alla realtà, distraendomi dai ricordi e facendomi sbattere più volte le palpebre. Stava aspettando la mia chiamata? E' davvero una questione tanto vitale?
«Ehi...» sussurro timidamente, allontanandomi dall'anta per far sì che la conversazione non venga udita dal padrone di casa - qualsiasi cosa ci sia in ballo preferirei che l'uno non sapesse della presenza dell'altro.
Muovo qualche passo lento verso la finestra, appoggiandomi al bordo della parete per osservare la vita che inizia a riempire le strade, ma prima che possa anche solo realizzare un pensiero, mio fratello irrompe dal timpano dell'orecchio su cui ho appoggiato il telefono: «Sei con Seth?»
La sua domanda mi spiazza, il cuore mi balza in gola e improvvisamente mi sento venir meno. Lui come fa a saperlo?
Tra Londra e Parigi ci sono più di quattrocentocinquanta chilometri, nemmeno con i poteri di Superman riuscirebbe a scrutare le mie mosse.
Mi mordo il labbro inferiore, arrivando persino a torturarlo: «Perché mai dovrei essere da lui?» gli domandò con un'ingenuità che riesco a capir da sola essere finta. Le bugie, come ho già specificato, non so dirle.
Mentire è una dote, chi la possiede può avere in pugno chiunque, ma purtroppo per me tra le mie mani non riesco a stringere nulla.
«Perchè eravate nello stesso locale, a quanto pare... quindi rispondimi» lo ringhia a bassa voce, certo di sapere la verità - e in effetti è così.
E non so se a infastidirmi di più sia il fatto che lui sappia, in chissà quale modo, o il fatto che non abbia idea di come potrebbe reagire: «Mi stai facendo pedinare?» domando di botto, portandomi subito dopo una mano alla bocca con il timore di aver alzato un po' troppo il tono.
Tendo l'orecchio verso la porta, ma ancora nessun rumore. Forse non mi ha sentita.
«Mi assicuro che non ti succeda nulla, Jay, che credo sia ben diverso. Adrian mi ha detto di averti vista andar via con lui, quindi faccio male a supporre che tu sia con lui?» c'è astio nelle sue parole, ma anche preoccupazione. Si sente la lotta interiore che sta affrontando, quella tra l'amico arrabbiato e il fratello premuroso e, forse sconfitta da questo suo affetto che traspare con tanta chiarezza, mi ritrovo a scuotere il capo.
«No» sibilo, colpevole.
Sono certa che lui l'abbia sentito, che sia riuscito a carpire ciò che mi sta assalendo - infatti tace, abbandonandomi in un silenzio sempre più opprimente.
Mio fratello non proferisce parola, lasciando che il peso delle azioni che ho compiuto mi cada addosso come un macigno, schiacciandomi il petto. Non mi era mai capitato di avvertire così nitidamente la sua delusione, ma soprattutto non avevo mai sperimentato la sensazione di essere io la causa di una simile reazione.
Gli incisivi provano a perforare la carne del labbro, troppo incattiviti per darmi pietà: «Jace...» provo a chiamarlo, forse nel tentativo di saperlo ancora qui, oltre la cornetta, ma soprattutto con me. Ora, questa chiamata, è l'unica cosa che ci tiene legati e se dovesse mettere giù mi sentirei la persona peggiore al mondo - e non vorrei mai farmi trovare in lacrime nella camera del ragazzo di cui sono innamorata.
Un rumore mi fa sussultare, agitandomi maggiormente. Qualcosa a cui non so dare un nome si deve essere schiantato a terra, andando in mille pezzi: un vaso? Un piatto? Un bicchiere? - è difficile saperlo, ma certamente Jace ha perso le staffe.
«Che cazzo ti salta in mente?!» mi chiede, furibondo: «Quello ti ha tirato un pugno, te lo ricordi?» nemmeno lo chiama per nome, facendomi capire quanto il loro battibecco sia grave. Ormai è trascorso un mese, eppure la sua rabbia non pare essersi smorzata: non basta chiedersi scusa? Fare un passo indietro?
Il bruciore agli occhi mi fa capire di essere sul punto di piangere, di aver superato la soglia di sopportazione di tutta la tensione accumulata fino ad adesso - ma non posso piangere, non devo!
Jace riprende, ora con un tono esasperato, quasi stia spiegando per l'ennesima volta una cosa ovvia - e forse lo è: «Jane, lui è Seth Morgenstern, okay? Qualsiasi cosa ti abbia detto è dubbia, lo capisci? E poi con che scusa ti sei fatta trascinare a casa sua, eh?»
La prima lacrima cade, scivola lungo la mia guancia e pare corrodere la carne - crea un solco che temo chiunque potrà vedere. Come glielo dico? Come gli dico che mi ha baciata, che mi ha detto di provare qualcosa per me? E posso provare a trovare una scusa? No, non posso. Niente di ciò che mi potrebbe venire in mente sarebbe abbastanza credibile.
«L-lui... i-io...» balbetto, incapace di formulare una frase. Eppure la sua domanda ha bisogno di una risposta, anche se io preferirei stare zitta.
La sua domanda arriva imprevista, mi prende in contropiede: «Ti ha portata a letto?» la sua voce è un misto di incredulità, ira e preoccupazione - e sapendo quale possa essere la sua mossa successiva mi affretto a intervenire. Non sono pronta a finire in commissariato per aggressione.
«No!» ancora una volta mi tappo la bocca, poi la libero e, per evitare in qualsiasi modo che le orecchie di Seth possano carpire anche solo mezza sillaba della nostra conversazione, passo al francese: «Non... comment peux-tu penser ça?»
«Perchè lo conosco, Jay. Perchè so come si comporta con le ragazze» sì, so anche io come è solito comportarsi, dopotutto le paranoie che mi hanno assillata comprendevano anche questo.
«Il ne se comporterait jamais comme ça... avec moi» dico, forse cercando di convincere più me che lui - perchè se è mio fratello a dire ad alta voce certe cose, mi paiono più reali e minacciose, infondo Jace conosce Seth meglio di me e se teme che possa comportarsi come uno stronzo anche con la sua sorellina, allora dovrei realmente tornare a sognarlo e basta, senza mai toccarlo.
«Es-tu sûr? Qu'est-ce qu'il t'a dit?» torna a chiedermi, forse provando a capire come farmi ragionare sulla questione.
No, non ne sono sicura, eppure nei suoi occhi ho visto emozioni reali: gelosia, interesse, tenerezza. Non me le sono sognate e di questo ne sono certa - ma tra il vedere qualcosa e il sapere cosa gli passa per la mente c'è una differenza enorme: «Peut-être» soffio infine, quasi sospirando: «Je fais confiance à Seth».
Lui sbuffa, quasi non avesse idea di come farmi cambiare idea: «Io no, invece, per questo ho bisogno di sapere che non ti farai fregare dal suo aspetto e dalle belle parole. Seth si è comportato da egoista, da stronzo e soprattutto ha tradito un'amicizia decennale, okay? Solo questo dovrebbe farti capire quanto poco tu ti possa fidare di lui» confessa infine, mentre me lo immagino passarsi una mano sul viso.
Quindi il battibecco ha avuto inizio per causa sua?
«Che ha fatto?» colgo l'occasione e il momento di apparente calma per chiederglielo, per capire, per avere abbastanza informazioni per poter pianificare una possibile pace. Jace però è lungimirante e sicuramente più accorto di me.
«Nulla che ti debba interessare» sbotta, tagliando subito il discorso, anche se io vorrei saperne di più. Fa una pausa breve, poi riprende: «Ad ogni modo, ti voglio lontana da lui fino a quando non parleremo della questione di persona, mi hai sentito?»
«Et si je ne voulais pas rester loin de lui?» uno stuolo di brividi mi riempie il corpo mentre oso fare quella domanda, mentre sfido il suo volere.
«Come, scusa?»
«Tu as entendu. Je ne pense pas que je veux rester loin de lui... en bref, tout à coup, j'ai la chance d'être avec le gars que j'aime et je ne pense pas que je veux abandonner cette opportunité» confesso tutto d'un fiato, sentendo il cuore accelerare e le guance farsi bollenti alla sola idea di averlo finalmente detto ad alta voce.
Ma mio fratello pare cogliere solo ciò che desidera: «Ti ha toccata?»
«Che? No! No, te l'ho già detto. Jace, io... okay, voi avete litigato, ma ciò non toglie che io voglia bene a entrambi, okay? Tu sei mio fratello, ma...» mi fermo qualche istante, alzando lo sguardo verso la porta chiusa e cercando di farmi forza e decidere una volta per tutte come gestire questa situazione. Seppur all'inizio mi abbia preoccupata la sua gelosia al The Elder and the Moon, non posso negare di essermene compiaciuta, così come non posso mentire di fronte al fatto che i suoi baci mi siano piaciuti dal primo all'ultimo; hanno la capacità di farmi sentire un tripudio di sensazioni che riempiono il cuore quasi fino a farlo scoppiare. E Seth mi fa tremare in quel modo estraneo e giusto, in quel modo che per ora è solo suo - e non voglio rinunciarvi: «Je suis amoureuse de lui depuis des années» sentenzio con più decisione di quello che mi sarei aspettata.
«Ma lui non ti ama» sbotta ancora, forte di una convinzione che io non capisco.
«Come fai a dirlo?»
«Appunto perché non ho una singola certezza a confutare la cosa, lo dico» il suo tono sale ancora, mi ferisce il timpano: «Quindi finchè non ne parliamo di persona, se lui ti sfiora gliene farò pentire» e a seguire, solo il suono della chiamata terminata.
Perchè non vuole accettare la cosa? Perché non vuole dargli fiducia? Perchè è così difficile credere che io possa valer più di un soldo di cacio?
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