III - Benvenuti a Milano
Esattamente come Parigi, anche Milano era una città molto frenetica, non che questo sorprendesse Natalie, aveva sentito parlare del capoluogo lombardo come una delle città più frenetiche d'Italia.
Appena scesi dall'aereo, la famiglia Hershlag si diresse al bar dell'aeroporto dove consumarono una veloce colazione.
Una volta usciti da Malpensa, l'aeroporto più importante della città, Natalie e la sua famiglia si diressero verso il parcheggio dove presero un taxi che li avrebbe portati nel centro di quella città così diversa da New York e Parigi.
Natalie guardava fuori dal finestrino, osservando il paesaggio oltre il vetro.
-Prima volta in Italia? - domandò il tassista con un sorriso rivolto ai suoi passeggeri.
Purtroppo né Natalie né suo padre né sua madre parlavano italiano e così non compresero cosa, quell'uomo dai capelli color ebano e gli occhi grigi, avesse chiesto loro.
L'uomo probabilmente capí che la famigliola alle sue spalle non parlava la sua lingua, così ripropose la stessa domanda in un inglese un po' stentato.
La famiglia Hershlag apprezzò lo sforzo dell'uomo di metterli a loro agio nonostante la difficoltà linguistica.
-Sí è la prima volta che veniamo qui - rispose Avner con un sorriso.
-Spero che la vostra permanenza sia piacevole, Milano non è bella come Roma o Venezia, ma diciamo che si difende bene - dichiarò il tassista cercando di scandire bene le parole e di azzeccarne la pronuncia.
Natalie aveva sorriso vedendo quanto quell'uomo sconosciuto si affannasse per farsi comprendere da loro che non erano italiani.
In quel momento Milano si mostrò ai loro occhi di viaggiatori in tutta la sua bellezza, ma anche frenesia di una città abituata a lavorare tanto.
Natalie osservava le scritte luminose dei locali, i gruppi di ragazzi appoggiati a Vespe colorate intenti a fumare sigarette agli angoli della strada, il traffico che congestionava le strade e il suono ripetitivo dei clacson che facevano da colonna sonora a quella loro attraversata.
Il tassista iniziò a suonare il clacson passando alla sua lingua natale, sbuffando e gesticolando contro gli automobilisti davanti a lui.
Il linguaggio era parecchio colorito, anche se doveva essere una cosa normale, in una città così grande come Milano.
Erano solo le otto del mattino ma già si vedevano gruppi di persone che correvano di qua e di là, alcuni si affannavano a raggiungere le fermate dei tram, piuttosto che dei pullman, altri preferivano l'auto, con conseguente disagio per tutti gli altri.
Natalie osservava ammirata quella moltitudine di esseri umani immersi nella loro vita quotidiana, con le loro preoccupazioni e i loro sogni, e si trovò a pensare se qualcuno di loro avesse visto il suo film e cosa ne pensassero.
Non ci aveva pensato quando aveva partecipato alla presentazione di The Professional in Francia.
-Siete qui per lavoro o per piacere? - domandò ad un certo punto il tassista, forse rinunciando al fatto che la coda in cui era imbottigliato si sarebbe smaltita in fretta.
-Lavoro, ho un convegno in città - rispose prontamente Avner spiazzando Natalie.
L'uomo si voltò verso di lei facendole l'occhiolino.
-Ah capisco - dichiarò il tassista.
Natalie sorrise in direzione del padre, grata per il fatto che non avesse detto niente riguardo alla premiére che si sarebbe svolta la stessa sera.
I suoi genitori volevano che lei stesse con i piedi ben piantati per terra, poiché in un mondo come quello del cinema era facile perdersi.
E lei non voleva perdersi, si sarebbe aggrappata ai suoi genitori che erano la sua vera ancora di salvezza.
Il taxi si fermò a pochi metri dal loro hotel il tassista augurò loro buona permanenza prima di rituffarsi nel traffico milanese.
Afferrati i bagagli la famiglia Hershlag superò la hall dove venne accolta da una sorridente giovane donna in divisa verde e bianca, la quale, in un perfetto inglese spiegò ai nuovi ospiti dove fossero situate le loro stanze e, alla domanda di Avner su cosa ci fosse da vedere in città, la giovane rispose elencando alcuni tra i monumenti più famosi e dando loro alcune dritte, oltre ad una guida dettagliata scritta in inglese.
Avner ringraziò la ragazza poi seguí Natalie e Shelly su per le scale coperte da un tappeto rosso, il quale attutiva i passi dei clienti sulle scale di marmo.
La stanza di Natalie era vicina a quella dei genitori, ma non comunicante, tuttavia alla ragazza dava molta sicurezza averli vicino.
Dopo essersi sistemati, Avner propose una gita fino al Duomo.
La ragazza alla reception aveva spiegato che era uno dei monumenti più importanti di tutta la città e la piazza in cui era situato non era molto lontano dall'albergo e a piedi ci avrebbero messo molto meno tempo che in taxi.
Quando raggiunsero la piazza rimasero tutti e tre senza parole.
Il Duomo si stagliava davanti a loro in tutta la sua imponenza.
Natalie si fermò ad osservare le guglie che sembravano voler sfidare il cielo, mentre il suo sguardo correva alla Madonnina d'oro che si trovava in cima.
Per secoli quella statua aveva osservato dall'alto i milanesi e i turisti nel loro eterno via vai, senza intervenire, ospite silenziosa di una città frenetica.
-Nat? Tutto a posto? Sei nervosa? - volle Shelly poggiando una mano sulla spalla della figlia .
-Eh? Oh, tranquilla non ho niente - sorrise la ragazzina.
Shelly sorrise comprensiva, anche se non capiva fino in fondo se Natalie stesse dicendo la verità oppure no, ma sapeva che sua, figlia non era una persona bugiarda, quindi se diceva che andava tutto bene doveva essere così.
La piazza era in pieno fermento vi erano un sacco di persone che riempivano quegli spazi, molti erano seduti sui gradini della chiesa che parlavano in quella lingua così diversa dall'inglese che era l'italiano.
All'angolo della piazza un musicista di strada stava suonando e cantando una canzone intitolata O'mia bela Madunina, la lingua in cui cantava non era sicuramente italiano, doveva essere dialetto.
-Che ne dici, entriamo? - domandò Avner strappando la figlia dai suoi pensieri.
Natalie annuì e, insieme ai genitori, entrò nella cattedrale.
La struttura portante è composta dai pilastri e dai muri perimetrali rinforzati da contrafforti all'altezza degli stessi piloni.
I finestroni erano lunghi e stretti, e le vetrate riflettevano la luce del sole milanese lanciando le loro ombre sul marmo del pavimento.
La ragazzina osservava con attenzione ogni dettaglio, quella chiesa aveva visto passare tante persone, nel corso dei secoli, talmente tante che, se i muri avessero potuto parlare, chissà quante storie avrebbero potuto raccontare.
Era bella, molto bella, forse un po' troppo decorata, ma veramente bellissima.
I passi e il vociare dei turisti, ma anche dei milanesi, rimbalzavano sulle pareti, mentre Natalie e i suoi genitori si lanciavano in una visita della cattedrale, osservandone ogni dettaglio, e, grazie alla guida fornita loro dall'albergo scoprirono anche molti aneddoti interessanti.
La cripta ospitava i resti di San Carlo Borromeo, un santo molto importante per la città, appartenente ad una delle famiglie nobili più importanti d'Italia e una delle poche ancora esistenti.
Tutto questi Avner lo lesse nella guida e Natalie si fermò ad osservare i resti di quell'uomo chiuso in un sarcofago diviso dai visitatori da un pesante cancello chiuso a chiave.
Vi erano parecchie persone lì intente a fotografare ogni dettaglio, per avere un ricordo di quello che avevano visto.
Natalie non aveva con sé una macchina fotografica, ma confidava nella sua memoria fotografica.
Una volta usciti dalla cripta, si fermarono ad osservare l'organo posto sopra la navata centrale.
-Questa chiesa è una vera opera d'arte - sorrise Shelly.
-Vero, non oso immaginare quanto tempo hanno impiegato per costruirlo - dichiarò Natalie mentre fissava le navate della chiesa.
-Lo hanno cominciato nel 1386 e possiamo dire che ancora non sia finito, a Milano c'è un detto che afferma : «longh cume la fabrica del domm» si dice così quando un lavoro non finisce mai- affermò un ragazzo comparso da dietro una delle immense colonne.
Natalie sussultò soprattutto perché non si era accorta della presenza del ragazzo.
-Sono Alessandro de Rossi, studio Storia dell'arte, scusate se mi sono intromesso, ma dubito che quello che vi ho detto ci sia della guida - sorrise ancora Alessandro.
Era alto come un palo, gli occhi neri e i capelli castani, coperti da un cappello.
Portava una borsa a tracolla da cui spuntavano dei libri di testo.
-Questo vuol dire che il Duomo non è finito? - domandò Natalie.
-Diciamo che è finito, ma ha bisogno di continue manutenzioni perché è fatto di marmo. Tanto che sono state comprate, dalla provincia di Milano le cave di marmo di Carrara per poter usufruire del marmo per le manutenzioni. - spiegò il ragazzo con un sorriso.
Natalie ricambiò il sorriso.
-Scusate ancora se mi sono intromesso - Alessandro fece un altro sorriso per poi congedarsi.
-Che tipo strano - affermò Shelly.
-Penso che sia normale per un italiano - sorrise Avner cingendo le spalle della moglie.
Shelly fece cenno di assenso con la testa accennando a sua volta un sorriso che contagiò anche Natalie.
-Ho visto una libreria non lontano da qui, che ne dite di farci un salto? - domandò la ragazzina un po' titubante.
-Buona idea, Nat - affermò Avner.
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