I'd choose you
Aprendo la porta, ancora prima del profumo, il primo segnale fu il buio. La casa era in totale penombra e l'aria aveva un odore soffice e dolce, come quello dello zucchero filato. Invitante al punto che il suo primo istinto fu quello di aprire la bocca con l'inutile intento di assaporarla.
Da verdi, i suoi occhi cambiarono gradualmente tonalità, scivolando verso il dorato del miele.
«Lee» chiamò.
Cazzo, la sua voce era già diventata più greve e non era in casa che da pochi secondi.
Non ci fu risposta.
Si mosse, seguendo il proprio istinto che lo guidava, come la gravità, verso il nuovo centro del suo universo. Lasciò cadere la valigetta sul pavimento, le dita che scioglievano il nodo della cravatta fattosi improvvisamente troppo stretto, la salivazione che aumentava ad ogni passo e nuovo respiro.
Nel silenzio, ansiti spezzati e rantoli rabbiosi giunsero alle sue orecchie sensibili già in cerca di quei suoni.
Denso, concreto e oltremodo intenso, l'odore bollente lo colpì come una frustata in pieno viso non appena varcò la soglia della lavanderia.
Le iridi presero a cibarsi lentamente della pupilla non appena si posarono sulla figura del proprio mate, raggomitolato sul pavimento tra la biancheria usata.
Levi era in condizioni pietose, sudato dalla testa ai piedi e febbricitante, col viso arrossato, i capelli in disordine e gli umori che avevano inzuppato alcuni asciugamani messi alla rinfusa tra le cosce. Alle narici, stretta tra le mani, una camicia di Eren.
Quando sollevò il volto solitamente pallido, però, lo sguardo dell'Omega era fuoco puro. Avesse potuto, lo avrebbe incenerito sul posto.
Eren si sforzò di controllarsi e tenere a bada il proprio Alpha. Era come se ogni singolo muscolo e nervo del suo corpo in quel momento fosse sottoposto ad una pressione a malapena possibile da sopportare.
Si avvicinò, slacciando i primi bottoni della camicia. Nonostante tutto in lui – la postura, il colore degli occhi, il ringhio silente che si riverberava nella sua gola – urlasse quanto profondo fosse già il suo desiderio, quando Eren parlò il tono era calmo, come se fosse passato di lì solamente per caso e non rientrato velocemente, guidato da un sesto senso che non lo aveva mai tradito in precedenza.
«Lee... Vieni, vieni qui» disse, raccogliendo il corpo del suo compagno insieme alle varie spugne ed ai vestiti. Portò il suo viso contro il proprio collo, vicino ad un tessuto che era stato indossato tutto il giorno, contro una pelle già bollente che aveva il suo forte e vivo odore naturale. «Non è meglio, qui? Mh?» mormorò, girandosi per uscire dalla piccola stanza.
Levi si fece rigido tra le sue braccia, incapace di reprimere il brivido che lo attraversò non appena il profumo dell'altro appannò i suoi sensi tesi. Fu come se una coltre di fumo gli avesse oscurato la vista, rendendolo cieco eppure perfettamente consapevole di quanto stesse accadendo.
Eren. Alpha. Mio.
Il suo Omega riconobbe immediatamente il compagno, respirando quell'odore forte e persistente che aveva tentato di inalare attraverso la stoffa sgualcita di un indumento che, in altre circostanze, sarebbe rimasto nella cesta del bucato pronto per il categorico lavaggio a 90° cui sottoponeva ogni cosa. Ma non quel giorno, non quando il calore lo aveva colto così repentinamente da fargli tremare le ginocchia e cadere al suolo come un sacco di patate.
Odiava quel momento, quei maledettissimi fottuti giorni che lo rendevano una gelatina inerme e bisognosa di cure, dove un Levi recalcitrante doveva necessariamente far spazio anche all'Omega che si rifiutava di essere.
Odiava sentire le articolazioni dolere e la testa girare, mentre il suo fisico secerneva umori per attirare la controparte che, inevitabilmente, sarebbe giunta in suo soccorso.
Più di tutto, però, odiava quanto amasse sciogliersi nell'abbraccio di Eren, sotto il suo peso che lo faceva sentire prigioniero eppure al sicuro, libero di abbandonarsi a quella parte animale che reprimeva da un'esistenza intera.
Aprì la bocca, i marchi che bruciavano nella carne come fossero stati appena impressi e non vecchi di anni, pronto a leccare e succhiare il collo del proprio mate. Invece, all'ultimo istante, digrignò i denti e strinse i pugni.
«Vaffanculo...!»
Eren scoppiò a ridere, e Levi sentì i lievi sobbalzi del pomo d'Adamo contro la gota incandescente.
E la sua voce...
Dio, la sua risata allegra era già di per sé stessa un orgasmo, per il corvino. Quanto si poteva amare una persona per esserne colpito al cuore a tal punto, soltanto per un'inezia simile?
Eren aprì la porta della loro camera, spingendola col piede. Anche lì regnava il caos.
Non riuscendo a trovare nelle lenzuola e nei cuscini il conforto necessario, Levi doveva essere arrancato fino alla lavanderia, non prima però di aver messo sottosopra l'intero letto in un groviglio inestricabile.
«Dovrei fare una foto a tutto questo e mostrartela la prossima volta che ti lamenti di come governo casa.»
Sapeva di star giocando col fuoco e si affrettò, sempre ridacchiando, a far scivolare dolcemente l'Omega sul materasso.
Il tessuto, a contatto con la pelle nuda di braccia e cosce, gli diede la nausea. Tutto ciò che non erano il corpo di Eren e il suo calore, sul proprio corpo, pungeva al pari di mille spilli.
Il petto dell'Omega si alzava e abbassava velocemente, preda dell'affanno causato dalla temperatura troppo alta, mentre a bocca aperta tentava di incamerare più aria col solo risultato di emettere gemiti vergognosi e gorgoglii insoddisfatti. I suoi occhi lucidi per la febbre lo fulminarono, le dita sottili che si rifiutavano di lasciare la presa sui suoi vestiti di troppo.
«Cucini di merda e spolveri uno schifo...» ansimò, contrariato. «Fosse per te, l'appartamento avrebbe preso fuoco da un pezzo...»
Si mosse freneticamente tra le lenzuola, come colto da un irrefrenabile prurito, rifiutandosi di cedere all'istinto che gli urlava di darsi per vinto, lasciarsi andare e supplicare il suo Alpha di prenderlo lì e subito, affondare dentro di lui e riempirlo perché niente era più giusto di così. Si morse il labbro, incapace di articolare le parole che lo avrebbero liberato, anche se solo momentaneamente, da quel tormento.
In piedi davanti al letto, Eren si stava spogliando.
«Può darsi» disse, gettando a terra la camicia e spingendo al tempo stesso i propri pantaloni e boxer giù lungo le cosce.
La sua virilità era già eretta, la cima lucida di liquidi. Non c'era alcuna traccia di pudore o vergogna sul volto dell'Alpha, il quale sembra aver ben chiaro il proprio compito in quel momento.
Salì sul letto, posizionandosi tra le gambe di Levi, che aprì un po' a forza tenendolo per le caviglie ed accompagnandolo a chiudere le cosce attorno ai propri fianchi.
In un luogo distante anni luce, nello spazio e nel tempo, Eren lo avrebbe stuzzicato per il semplice gusto di irritarlo e portarlo sull'orlo della follia, prima di concedergli ciò di cui aveva disperatamente bisogno. Adesso, invece, sapeva per certo che era meglio non prolungare quello che per Levi era un vero e proprio supplizio.
«Rilassati...» La sua voce gorgogliò, le labbra ad un soffio dalla bocca dell'Omega a cui aveva alzato il mento con indice e medio di una delle mani. La sua era una vera e propria supplica, quasi fosse lui stesso la controparte sofferente e non Levi. In un certo senso, era esattamente così.
Un verso ferale ed aggressivo giunse alle orecchie di Eren.
Dannati geni Alpha, maledetti gli ormoni e tutto quello che, combinati insieme, gli facevano desiderare.
Levi avrebbe voluto calciarlo via e dargli un pugno su quel viso perfetto, solo per ribadire che era padrone di sé stesso e scopava quando e come decideva lui. Urlargli contro che detestava essere Omega perché era proprio in frangenti come quello che si sentiva defraudato della sua libertà come individuo pensante, divenendo mero schiavo di un desiderio inarrestabile che cancellava qualunque coerenza e inibizione. Ringhiargli contro e dirgli che nessun altro avrebbe mai potuto capire, figurarsi sopportare, cosa volesse dire subire un simile tracollo fisico ed emotivo dalla potenza distruttiva di uno tsunami.
Ma Eren lo sapeva, perché anche lui attraversava un calore devastante dove la frenesia di possedere il compagno annullava ogni logica e raziocinio.
Perciò portò una mano sulla sua nuca scura e lo attirò a sé. Si appropriò delle sue labbra e di tutto ciò che avevano da offrirgli, accarezzò con veemenza la sua lingua ed esplorò la sua bocca come se fosse la prima volta e non l'ennesima.
Allora, solamente allora lo morse.
Con ferocia, cupidigia e anche un po' di cattiveria, perché Eren sapeva quanto fastidio provasse nell'essere dipendente da qualcuno, tanto quanto poi gli piaceva abbandonarsi a lui senza freno.
Baciandolo a propria volta, Eren si lasciò mordere a sangue dall'Omega sotto di sé senza emettere un singolo lamento. Quel silenzio pareva quasi essere una sfida per il corvino, che aumentava di secondo in secondo l'intensità di morsi e graffi, i quali lasciavano solchi rossi sulle sue spalle o sul petto, dove le unghie minacciavano di squarciare la pelle.
L'abitudine lo guidava. I suoi movimenti erano ormai quasi meccanici, dettati dalle decine e decine di volte in cui si erano uniti dimenticando pensieri e preoccupazioni.
Due dita di una mano accarezzarono la curva dei suoi glutei e si fecero spazio dentro la carne umida di umori, calda ed invitante.
Levi si spinse contro il suo palmo, l'animo alleggerito da quel contatto e, al contempo, insoddisfatto. Non gli bastava, voleva di più eppure non desiderava altro se non proseguire la propria routine dove, dopo aver rassettato casa e preparato la cena, attendeva Eren per consumare il pasto. Avrebbe voluto chiedergli come fosse andato il lavoro, parlare, discutere, persino battibeccare per poi infine andare a letto. Fare l'amore, magari, stretti in un morbido abbraccio dal sapore denso come il miele.
Invece era lì disteso, febbricitante e in preda agli spasmi, col gusto amaro che gli lasciava ogni volta il calore e quello ferroso del sangue dell'Alpha.
Due lacrime rabbiose gli solcarono il viso, aggiungendosi al sudore che lo ricopriva.
Lo voleva, desiderava Eren così tanto...
Sapeva quanto fosse giusto unirsi in quel modo e a quelle condizioni, eppure la sua mente da sempre faticava ad accettare quel modo di vivere così lontano dalla sua parte razionale.
Lo graffiò ancora, pregando che Eren sedasse l'incendio al più presto e lo riportasse alla ragione, dove lo amava dal profondo del cuore e nulla influenzava il suo giudizio ora appannato.
«Ah...!»
Eren era l'unico, ne era certo. L'unico Alpha al mondo che non aspettasse con ansia l'arrivo del calore del proprio compagno. L'unico a cui quell'odore dolce accendeva la passione e spezzava il cuore.
Ogni volta ci provava a parlare con lui, a scherzare, a ridere, nella speranza un giorno di vederlo sorridere in risposta, ricambiare quel suo gesto di affetto, aprirgli uno spiraglio.
Riceveva una porta in faccia ogni volta. Non gliel'aveva mai fatto pesare.
In silenzio, asciugò le lacrime dal suo viso, chiuse gli occhi e si preparò a fare ciò a cui era chiamato. Lo strinse tra le braccia, inarcò la schiena e spinse, entrando dentro di lui con un unico profondo movimento. Non ci fu la minima traccia di resistenza. All'interno l'Omega era già bagnato, caldo e morbido, accogliente al punto che non ebbe alcuna difficoltà ad unirli l'uno all'altro.
Portò le braccia di Levi attorno al proprio collo, affondò il viso nei suoi capelli neri e cominciò a spingere, coordinando forza e velocità con gli ordini silenziosi dell'amante. Voleva solo che finisse.
L'Omega lasciò che l'altro lo prendesse, emettendo un verso liberatorio. Lì, dove i loro corpi erano uniti, sentiva il sollievo dovuto alla frizione che il suo fisico in fiamme tanto agognava. Le sue dita trovarono le ciocche d'ebano del compagno, intrecciandosi in quel groviglio di capelli mentre le labbra salivano e scendevano lungo il suo collo scuro e lucido, leccando ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere tra una spinta e l'altra.
Non voleva guardarlo negli occhi. Sapeva cosa vi avrebbe visto e lo odiava, perfettamente consapevole di essere l'unica causa delle sue pene. Detestava specchiarsi in quelle iridi solitamente luminose e scorgere il proprio riflesso.
Non voleva vedere l'Omega, ma solo Levi.
Strinse le cosce, la sua virilità che grondava liquidi e in procinto di raggiungere un orgasmo che non aveva chiesto ma di cui sentiva il bisogno. Lo chiamò per nome, perché solo così sentiva di non essersi perso per davvero. Le parole, quelle importanti, le avrebbe lasciate per dopo. Ora voleva soltanto che l'incendio si spegnesse, che il suo corpo smettesse di ardere e la sua mente tornasse lucida.
«Eren...! Eren! Ah!»
Eren fu il primo a raggiungere l'orgasmo ma Levi lo seguì subito dopo, quando percepì lo knot del compagno gonfiarsi dentro di sé. Quella inevitabile punta di dolore gli provocò uno spasmo finale e subito dopo il suo mondo divenne di un bianco accecante, mentre stringeva gli occhi così forte da farsi male e gridava al punto da ferirsi la gola.
Lo knot durò solo pochi minuti, i necessari ad entrambi per calmarsi e ricominciare a respirare. Non appena sentì quella parte ridurre il proprio volume, Eren lasciò il corpo di Levi libero e scese dal letto, entrando nel bagno confinante con la stanza per lavare prima sé stesso e bagnare un nuovo asciugamano con acqua calda.
Ne portò tre – quello bagnato e due asciutti – con cui l'Omega potesse detergersi e pulirsi quanto desiderava, come desiderava. Glieli lasciò accanto ed andò in cucina a riempire un grande bicchiere d'acqua, mischiando quella fredda del frigorifero con quella temperatura ambiente, in modo che fosse fresca ma non gli arrecasse fastidio. Mise su il bollitore del tè, poi posizionò il bicchiere e una brocca, insieme a qualcosa di zuccheroso da mangiare, su di un vassoio da poggiare sul comodino.
Levi non si mosse.
Restò lì, ascoltando i rumori prodotti dal compagno che si muoveva per casa alla ricerca dell'indispensabile in vista della prossima ondata. Seppe che era di nuovo in camera ancor prima di vederlo, il suo odore forte che lo precedeva.
Si sentiva in colpa.
Sapeva di essere stronzo e, a conti fatti, Eren lo amava anche per quello. Tuttavia, nessuno di loro conoscenza viveva il calore in maniera così negativa come lui.
C'erano Omega che attraversavano quella fase con fastidio, altri che lo attendevano come una manna dal cielo. Per coloro che, come il corvino, erano marchiati dal proprio partner, era un semplice modo di dimostrarsi affetto e devozione.
Per Levi, era unicamente un tormento.
Sentì il peso di Eren piegare il materasso, mentre sistemava il vassoio sul mobiletto poco distante. Si rannicchiò quasi con vergogna. Il suo Alpha meritava di meglio, e non uno sciocco Omega incapace di accettare la propria natura.
La mano del castano gli scostò le ciocche nere dal volto stanco e contrito. Levi si raggomitolò ancora di più.
Ritrasse la mano, lentamente, senza scatti. Attese un momento, respirando a fondo, poi si mise in moto. Fece il giro del letto, raccolse dal pavimento gli indumenti sporchi e li gettò nella cesta del bucato, andando ad aprire la finestra affinché circolasse nuova aria ed entrasse il fresco. Infine, prese l'asciugamano bagnato e cominciò a lavare con cura il corpo di Levi, soffermandosi sulle zone che più si erano inzaccherate di sudore, umori e sperma. Asciugava ogni centimetro prima di passare al seguente e quando ebbe finito il corpo, con un ultimo angolo ancora pulito, passò al viso.
«Quando te la senti, andiamo a lavare i capelli» disse, emanando un feromone fresco e calmante, mentre si sdraiava dietro di lui ed appoggiava il naso contro la base della nuca.
L'Omega era fortemente tentato di fare le fusa, contento di ricevere quelle attenzioni così gradite. Levi, invece, serrò le labbra e si impedì di emettere qualunque verso.
Non meritava tanta premura.
Attese qualche minuto, il solo suono dei loro respiri e lo sporadico cinguettìo di un uccellino a spezzare il silenzio. Prese coraggio e, una volta pronto, parlò.
«Sono una spina nel culo.»
«Ogni tanto.»
La risposta di Eren arrivò con tono casuale, distratto. Se ne stava alle sue spalle, nudo, accoccolato, a riposare dopo una giornata di lavoro ed un orgasmo.
Il corvino si chiese quanta fosse la pazienza a sua disposizione: mai, nemmeno una volta, si era lamentato della reticenza, indiscutibile malavoglia, della violenza persino, con cui si concedeva durante i giorni del calore.
A Levi piaceva il sesso, non era mai stato pudico e non si era mai negato una sana scopata, prima del marchio. Poi era arrivato Eren e quello che era un divertente passatempo si era tramutato in un atto d'amore con la A maiuscola, di quelli che si leggevano nei libri e di cui parlavano le poesie - anche se dubitava che gli autori avessero in mente certe sconcezze, ci avrebbe giurato.
Il problema era rappresentato unicamente dalla perdita di controllo che sperimentava durante i giorni estenuanti del calore, schiavo di un desiderio inestinguibile e mai sazio del godimento che il proprio mate sapeva donargli. Eren era sempre stato bravo a letto, non aveva mai avuto di che lamentarsi delle sue performance, ed era esattamente così che lo voleva: a mente lucida e unicamente col cuore – che sapeva l'altro avrebbe custodito a costo della propria vita – tra le mani.
Levi indietreggiò appena, accarezzando con titubanza il dorso della sua mano naturalmente abbronzata.
«Ti penti mai di averlo fatto...?»
Eren approfittò subito di quel momento in cui sembrava che il compagno si stesse finalmente aprendo, ed accettasse coccole e carezze. Lo avvolse tra le braccia un po' meglio, sospirando quando poté schiacciare il naso contro al suo collo.
«Ci sono tante cose di cui mi pento, ma tu non sei una di quelle.»
«Sicuro? Perché, al tuo posto, chiunque non farebbe altro che maledire il giorno in cui mi hai marchiato...» borbottò l'altro, beandosi intimamente di quella dolce vicinanza.
L'Alpha aggrottò la fronte, ma non si mosse, né cambiò il proprio tono di voce.
«Cosa stai cercando di farmi dire, Levi? Credi che se io rimpiangessi la nostra unione, questo ti farebbe sentire meglio?»
L'uomo non replicò subito, mordicchiando l'interno di una guancia.
«Forse mi sentirei meno in difetto...» confessò infine, smettendo un attimo di respirare. «Sei così comprensivo, quando mandarmi a fare in culo sarebbe la cosa più logica da fare.»
Levi si girò, trovandosi faccia a faccia con Eren e i suoi meravigliosi occhi verdi, in quel momento tempestati da pagliuzze dorate.
«Non sono mai riuscito ad accettare la parte di me istintiva che relega ogni fottuta ragione in qualche angolo remoto del mio cervello e fa il bello e cattivo tempo col mio corpo. Credevo che, con te al mio fianco, avrei trovato almeno un equilibrio, il giusto compromesso tra me e l'Omega. Invece, eccomi qui a tirarti calci e conficcarti i canini nella carne. Come fai a sopportarlo...? Come cazzo fai a sopportarmi?»
Aveva parlato senza pause, tutto d'un fiato, e la gola già secca era divenuta arida come il Sahara. Non sapeva perché stesse dicendo quelle cose, né se desiderasse davvero ricevere una risposta.
Eren si sporse, baciandolo sulla fronte e chiuse gli occhi: non voleva che Levi vi leggesse che, effettivamente, quel comportamento lo feriva sempre un po'.
«Lee... Sono innamorato di te... Non ti odierò solo perché quattro volte all'anno diventi fragile... I momenti difficili li attraversiamo tutti...»
«Così facendo, costringo anche te ad attraversarli... Io–»
Ti lascio. Non avrebbe mai avuto la forza di dire una cosa del genere quando Eren rappresentava, dall'attimo stesso in cui lo aveva conosciuto, il suo intero universo. Aveva provato ad opporsi a quell'attrazione, estirpare la sua immagine dall'animo con ogni fibra del proprio essere perché sapeva esattamente che, al pari di un tossico, sarebbe stato succube di un legame mai cercato. Eppure, odiare Eren lo aveva portato soltanto ad anelare più dei suoi sorrisi, delle sue premure, dei suoi baci; bramare un morso che non sarebbe più svanito dalla propria pelle lattea.
Lasciami. Come se fosse così semplice col marchio ad unirli indissolubilmente e, soprattutto, la cocciutaggine di Eren come impedimento. Non avrebbe mai preso una decisione simile di propria iniziativa, tantomeno l'avrebbe accettata. Non senza lottare. Levi era il suo Omega, il suo partner, la metà di un essere unico diviso dal cosmo in due spiriti erranti che vagavano alla ricerca di ciò che li avrebbe resi finalmente completi, e loro lo erano.
Cosa restava da dire...? Optò per la sincerità, aprendo il cuore e attingendo a quel sentimento immenso che provava nei confronti del compagno.
«Ti amo. So di non meritarti e che ti sembrerà strano sentirmi dire una cosa simile, ma per quanto odi la mia dinamica... Sono fortunato ad essere il tuo–» Si fermò, incapace di pronunciare quella parola che tanto lo faceva soffrire. «Sono fortunato ad essere tuo.»
«Ti amo anch'io» rispose subito Eren, aumentando le coccole che con delicatezza stava riservando ad ogni parte del corpo dell'amato che riusciva a raggiungere. «E per quanto sciocco ti sembri, mi piace sentirtelo dire. Che mi ami, che sei felice con me...»
Levi chiuse gli occhi, incapace di fermare le piccole fusa che facevano vibrare la propria gola.
«Dovrei dirtelo più spesso...»
Le mani dell'Omega intercettarono quella del suo Alpha, guidandolo lungo il torace fino a giungere all'altezza del proprio cuore in tumulto.
Non era mai stato bravo con le parole e, a dirla tutta, anche coi fatti era un vero disastro. Ma Eren riusciva a leggergli dentro meglio di chiunque altro. Sapeva che avrebbe capito il perché del suo battito forsennato, il quale nulla aveva a che fare con la febbre derivante dal calore.
«Potresti, ma non importa. Mi piace sentirlo, ma non ne ho bisogno» si affrettò a rispondere, rassicurandolo col suo tenero e sommesso ringhiare. «Lo dici in tanti modi, tutti differenti, e va benissimo così.»
L'odore del corvino, denso e dolce, assunse una nota lievemente speziata. Era il suo modo di comunicare quanto si sentisse bene tra le sue braccia, accudito ed amato.
Il respiro, gradualmente, accelerò. Gocce di sudore imperlarono la sua fronte, scivolando lungo la gola ancora candida.
Una nuova ondata era in arrivo.
Assecondarla sarebbe stata la cosa più semplice da fare, più giusta, ma la sua indole battagliera e poco incline alla sottomissione scalpitava. La lotta, dentro di sé, era nuovamente iniziata.
Le iridi argentee vennero inghiottite dalla pupilla e le labbra si schiusero, articolando una vera e propria supplica.
«E-Eren...»
«Dimmi cosa vuoi» rispose semplicemente, baciandolo tra i capelli. Esistevano anche altri modi per alleviare le sofferenze di un calore. Un bagno fresco, per esempio o i soppressori di cui avevano scorta in uno degli armadietti del bagno.
La gola di Levi si era fatta secca, a differenza del resto del suo corpo che iniziava a ribollire e bagnarsi al contempo. Con le dita gli segnò il petto, lasciando l'ennesima scia rossa sulla sua pelle scura, incapace di sottrarsi alla passione che iniziava a consumarlo dall'interno.
«D-del ghiaccio... per favore...»
«Andiamo in bagno, vieni.»
Senza alcuno sforzo, Eren lo sollevò tra le braccia e lo adagiò nella vasca. Già la ceramica fresca, da sola, fu un sollievo non indifferente. Il castano aprì poi l'acqua ad una temperatura intermedia, per impedirgli di subire uno shock termico. Si sarebbe comunque raffreddata insieme a lui, lentamente, col passare dei minuti.
Mentre la vasca si riempiva andò a recuperare un po' di ghiaccio in cubetti, avvolgendoli in un panno da poter tenere sulla fronte o, se avesse avuto sete, da infilargli in bocca.
L'Omega sospirò, l'acqua che percepiva come fresca a contatto col suo corpo incandescente gli donava l'agognato sollievo. Il suo odore si fece immediatamente più presente, inconscio richiamo rivolto all'Alpha che, distante appena pochi metri, si era allontanato lo stretto necessario per recarsi in cucina e spegnere il fuoco sotto al bollitore, pronto per quando gli avrebbe chiesto il tè.
Il pesante scalpiccìo di Eren indusse Levi a tenere gli occhi aperti, la nuca contro il bordo freddo e le braccia mollemente abbandonate lungo i fianchi. Il suo petto si alzava ed abbassava a un ritmo più regolare.
L'altro si mise seduto accanto alla vasca e tese al suo compagno il ghiaccio. A terra era già stata preparata una bottiglia d'acqua ed una piccola scatola di pillole.
«Su, coraggio. So che hanno un brutto sapore, ma fai uno sforzo e tra un'ora sarai in piedi.»
Levi era tentato di prenderle. Voleva che quel supplizio finisse. Ma per quanto tentasse di nasconderlo, lo sguardo di Eren era quello di un uomo rassegnato alla realtà dei fatti, dove il suo Omega si rifiutava di agire come tale e si ostinava a combattere una guerra che non avrebbe mai vinto. Non avrebbe mai potuto.
Schioccò la lingua, accigliato. «Non le voglio.»
«Oh, amore, ti prego...» insistette, quasi unendo le mani in preghiera. «Per favore, sai che odio vederti così...»
Levi voltò il capo, cocciuto, fissando le piastrelle bianche. Si morse il labbro, cercando dentro di sé la risoluzione necessaria per abbandonarsi a quel lato primitivo di sé che reprimeva con ogni energia, facendo preoccupare inutilmente il proprio Alpha.
Desiderava che Eren non lo considerasse più debole di quanto già non si sentisse, e non era certamente quello il modo per influenzare la sua opinione: spendeva il doppio delle energie in una partita dall'esito scontato, quando accettarsi non era una semplice resa bensì un vero e proprio atto di coraggio, per lui. Arrendersi piuttosto che lottare, era quella la vera vittoria.
Le sue gote si fecero rosse come ciliegie succose e mature, un colorito certamente non dovuto alla febbre.
«Dammi qualche altro minuto, poi...» deglutì, «portami di nuovo a letto...»
Un fremito scosse Eren, il quale temette di aver sentito male e che le orecchie gli avessero giocato un brutto scherzo. Per quanto forte fosse il calore, per quanto insopportabile risultasse il dolore, Levi non gli aveva mai rivolto lucidamente un invito del genere. In quei giorni, dove la resa al suo Omega interiore era praticamente mera questione di tempo, si limitava ad ordinargli, sussurrare, supplicare di prenderlo e farlo suo perché era l'unica soluzione per trovare momentaneamente pace – a meno che non ricorresse ai farmaci, certo.
Stavolta, invece, lo aveva praticamente esortato a portarlo nel loro personale angolo di paradiso, dove ogni notte si stringevano l'un l'altro e scambiavano gesti affezionati e morsi giocosi, un luogo che veniva avvolto dalle fiamme che lambivano e si cibavano instancabili del corpo di Levi in quelle lunghe ore di follia.
«Ne sei sicuro?»
«Sì... per favore» mormorò, nascondendo la propria espressione all'unica persona al mondo che non lo aveva mai giudicato per i suoi numerosi difetti e invece lo venerava come l'essere divino che non era.
Eren tacque, annuendo impercettibilmente, consapevole che l'altro non lo avrebbe visto. L'orologio ticchettò i secondi con la stessa millimetrica precisione di sempre, accompagnando quella stasi di cui i due parevano avere un disperato bisogno: per capirsi, comprendersi, accogliere totalmente un lato del loro io che era troppo forte da reprimere e che, in fin dei conti, li rendeva solamente ciò che da sempre erano destinati ad essere.
Levi allungò silenziosamente le mani verso il proprio mate, chiedendosi se in un'altra dimensione, in un altro tempo, sarebbero comunque stati capaci di trovarsi; se Alpha ed Omega non fossero esistiti, se quelle caratteristiche così primitive non li avessero contraddistinti, avrebbero avuto comunque la forza di cercarsi, inseguirsi, rincorrersi...?
In cuor proprio, il corvino conosceva la risposta a quel quesito: Eren sarebbe sempre stato la sua scelta, in ogni realtà e ciascun universo.
Con questa consapevolezza che si espandeva come una macchia d'olio, si lasciò avvolgere in una grossa spugna e sollevare dalle braccia del compagno, il quale lo strinse al petto come il più inestimabile dei tesori. Col suo profumo alle narici, Eren lo distese tra le lenzuola ancora stropicciate, osservandolo nella sua nuda gloria.
Così fiero e tenace, battagliero ed indipendente, il suo Omega. Assolutamente perfetto in ogni dettaglio, l'unico che in qualunque vita avrebbe mai desiderato al proprio fianco.
«D-dammi dei vestiti...» gli chiese il corvino e l'Alpha si mosse sotto il suo incantesimo.
Raccolse quanti più abiti possibili, sparsi disordinatamente per la stanza in penombra, e li affidò all'uomo che, non senza sforzo, si mise immediatamente all'opera. Quell'ammasso colorato e informe divenne presto un nido, seguendo l'istinto primordiale di accogliere il proprio partner in un giaciglio confortevole in cui...
«Lee...?»
«T-ti prego, non parlare...» lo supplicò con un guaito che non riuscì a trattenere. Ormai aveva superato un confine che si era sempre rifiutato di oltrepassare e che, in quel preciso momento, gli sembrava solo l'inizio di un percorso lungo un'intera vita.
Eren non parlò, incapace di dar voce alla gioia che sentiva spaccargli il petto. Levi non aveva mai approntato un nido perché non si era mai realmente accettato in quanto Omega, con le relative debolezze; ed ora eccolo lì, in un tripudio variopinto di tessuti che li avrebbe ospitati nei giorni a venire, ad ogni amplesso, ad ogni knot, nella speranza che questo portasse al suo scopo ultimo: un concepimento.
L'Omega, così minuto eppur scolpito, si sistemò di schiena e, palmi aperti e braccia tese, chiamò a sé il suo mate.
«Stringimi...» gli disse e nessuno sapeva quanto tempo l'Alpha aveva atteso quel momento, l'attimo in cui Levi avesse finalmente assecondato ogni sfaccettatura del suo essere, abbracciandosi nel profondo.
Eren non si accorse di star piangendo fino a quando il corvino, posando le mani a coppa sulle sue gote, non leccò via le lacrime salate dall'incarnato scuro. Si baciarono con una dolcezza ed un trasporto pari soltanto alla foga e la frenesia con cui si strinsero non appena il calore divampò di nuovo nelle membra di Levi.
Affannati, si guardarono mentre i loro corpi si univano e divenivano un tutt'uno; Alpha ed Omega, sovrapposti e inscindibili da Eren e Levi, figure sfocate attraverso gli occhi resi lucidi dall'emozione di aver raggiunto un traguardo che sembrava, fino a poche ore prima, ancora distante di secoli.
L'Alpha affondò nelle carni umide del compagno, lasciandosi sopraffare dal concerto di ansiti e gemiti che abbandonava la bocca di Levi ad ogni nuova spinta. L'Omega respirava lo stesso respiro di cui Eren si nutriva, vivendo unicamente degli istanti in cui parevano essersi fusi in un solo individuo che portava inciso nella pelle i segni dei loro denti, indiscutibile marchio di appartenenza e devozione.
«Ah, Eren...!»
«Lee, t-ti amo... P-permettimi di–»
... proteggerti, amarti, viverti ogni singolo giorno della nostra vita.
Tu sei l'unico.
Levi non ebbe bisogno di udire quelle parole. Risuonarono nel suo animo attraverso un legame più forte di qualunque altra cosa al mondo, e se ne cibò come chi soffre la fame e la sete da troppo tempo, un digiuno che si era autoinflitto troppo a lungo.
«S-sì, fallo–»
... accettami, stupiscimi ancora, prenditi cura di me.
Tu sei il solo.
Il ritmo dei loro cuori si unì in un unico battito, mentre raggiungevano l'apice e creavano inconsapevolmente un miracolo, dalla luce fievole di una lucciola ed il fremito delle ali di una farfalla.
—
Era chiuso lì dentro da ore.
Impossibile.
Fissava i bastoncini stretti tra le dita come fossero uno scherzo del destino, qualcosa di imprevisto e assolutamente inaspettato.
Il rumore della porta d'ingresso, dall'altro lato dell'appartamento, lo fece sobbalzare.
«Lee, sono a casa!»
Eren attraversò il corridoio, giunse in camera da letto e notò la luce accesa al di sotto della porta che conduceva alla sala da bagno. «Lee...?»
Posò il palmo sulla maniglia ed entrò all'interno, dove un odore talmente intenso lo colpì in pieno rischiando di farlo svenire sul posto e mandarlo letteralmente al tappeto.
Gioia.
Pura, inconfondibile, inestimabile gioia.
Eren fissò Levi che, seduto sulla tavoletta del water, stringeva convulsamente i test di gravidanza che aveva acquistato. Sette, per essere precisi, perché temeva in un risultato fasullo. Erano tutti positivi.
«Eren... I-io... I-io...»
Anni in cui ogni calore si concludeva con un nulla di fatto, al punto da chiedersi se quel luogo che avrebbe dovuto essere confortevole non fosse invece una prugna secca dove nulla poteva attecchire; visite su visite si erano susseguite per entrambi, rivelando uno stato di salute perfetto che però non spiegava perché quel muto attendere non venisse mai ripagato.
Dopo il primo anno dal marchio, Levi non ci aveva più pensato: probabilmente anche il suo corpo, esattamente come la mente, era marcio al punto da non concedergli il dono della maternità. Come poteva crescere qualcuno se a stento riusciva a fare i conti con sé stesso? Forse era meglio così, anche se ogni volta leggeva nelle iridi di Eren l'agonia di chi non riusciva a rinunciare all'idea di una famiglia numerosa. Conosceva il compagno, la sua indole affettuosa e protettiva, e quanto grande fosse l'amore di cui era capace.
Ci avevano intimamente rinunciato, chiudendo quel desiderio in un piccolo cassetto dalla chiave usurata e malconcia.
Le nocche di Levi erano bianche per la forza con cui le dita si ostinavano a restare chiuse intorno alla prova che no, non era difettoso, ma solamente chiuso in un bozzolo da cui si era rifiutato di uscire, troppo preso a odiare una natura che credeva lo rendesse debole quando invece era invincibile. Lui, un individuo sottovalutato da tutti, era capace del dono della vita e la prova era nelle sue mani, nel suo grembo.
Occhi negli occhi compresero la grandezza di quel momento, la sua indiscutibile solennità, e il futuro si distese dinanzi a loro in un susseguirsi di fotogrammi dai colori vividi e la melodia unica che avrebbe risuonato ad ogni nuovo passo.
L'Alpha cadde sulle ginocchia, strisciando verso il compagno. Le sue braccia gli circondarono i fianchi, la schiena, ed il suo orecchio si posò su quel ventre che ospitava un minuscolo germoglio che avrebbe avuto il colore dei loro occhi e la forma della loro bocca. Tremava, perché non poteva far altro che soccombere dinanzi al suo più recondito desiderio a cui non aveva mai osato prestar voce.
Poi, una nota stonata in quel profumo divino ed il dubbio lo colse come un fulmine a ciel sereno. Sollevò il viso e fissò Levi, le iridi sgranate ed un'ansia crescente.
«Lee... Hai paura?»
Sì.
Era esattamente quella che aveva turbato Eren, attento da sempre ad ogni minimo cambiamento di odore nel compagno. Levi aveva il terrore di sbagliare, commettere qualche errore, di non poter crescere al meglio una creatura quando ad ogni calore fare i conti col proprio io era una guerra senza esclusione di colpi.
E se il corvino non si sentisse pronto oppure, peggio ancora, moralmente costretto a portare dentro di sé quel piccolo frutto...?
«Tu...» Le fauci dell'Alpha erano secche mentre articolava una domanda di cui temeva la risposta; ma Eren non avrebbe mai obbligato il suo mate a compiere un passo che non era sicuro di voler affrontare. «Lo vuoi?»
Levi sentiva che qualcosa era definitivamente cambiato, cosciente che era stata proprio la sua dinamica ad averlo condotto verso l'unica persona che mai avrebbe voluto amare.
Gli occhi dell'Omega si fecero lucidi, le labbra tremule e, forse per la prima volta in tutta la propria esistenza, Levi pianse di vera felicità.
«Sì, cazzo, io–» Prese fiato, talmente impaziente di rassicurarlo che si era dimenticato persino di respirare. «Non desidero altro, Eren...!»
I test caddero a terra uno dopo l'altro, completamente dimenticati; avevano esaurito il loro compito.
«Voglio darti un figlio e renderti il padre che hai sempre sognato di essere... Non ho intenzione di mandare tutto a puttane soltanto perché–»
... ho paura di fallire.
Quel pensiero rimase bloccato nella sua gola, sospeso tra loro in quel modo unico in cui riuscivano a comunicare senza bisogno di parole. Il bacio con cui Eren reclamò le sue labbra sciolse ogni plausibile quanto inutile preoccupazione: il suo Alpha era lì per lui, per loro, e finalmente Levi si sentì fiero di essere nato Omega.
Note:
Un ringraziamento speciale a FareaFire con la quale ho iniziato questa role per gioco, durante la quale mi sono resa conto di aver creato un Levi fin troppo complesso per restare chiuso nel dimenticatoio. Grazie per avermi lasciato concludere questa storia che altrimenti non avrebbe mai visto la luce <3
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