PUNTATA XXVI

In pochi minuti, Alastair si ritrovò a destreggiare in maniera goffa ma più o meno efficace la sua armatura. Riusciva a evitare a stento gli attacchi del drago, ma almeno era in grado di tenerlo a bada. Con una destrezza insperata, aveva capito che riproducendo nella sua mente delle frasi di senso compiuto, più o meno, nell'antica lingua, la corazza di metallo reagiva di conseguenza, adattandosi all'intensità dello scontro. Era in grado in maniera del tutto autonoma di accelerare o decelerare, a seconda delle situazioni. Il cavaliere aveva impiegato davvero pochissimo per abituarsi all'idea di volare a velocità inimmaginabile per un essere umano nell'alto dei cieli, del tutto privo di ali, assecondando le correnti d'aria con rispetto, ma senza timore alcuno. La distanza percorsa con il suo destriero in tre ore veniva coperta in un solo minuto dalla corazza volante.

L'aria veniva percossa in continuazione dai boati generati dai ruggiti del drago, dal suo battito d'ali e dai continui cambi di velocità dell'essere alato e del cavaliere nel suo guscio mistico. Quest'ultimo era in grado di sparare fasci di energia azzurrina dai fori presenti sui palmi e punte infuocate dai cilindri forati sparpagliati sulla superficie dell'armatura. Gli attacchi avevano una notevole potenza, ma la resistenza del drago era inverosimile. Il massimo che Alastair riusciva a ottenere era rallentare l'avanzata del nemico, farlo sbandare, oppure innervosirlo sempre di più, producendo al contatto con il suo corpo violenti scoppi infuocati, autentiche esplosioni, le quali subito si diluivano nell'aria prima in fili neri, poi grigi e infine scomparendo.

Vista in lontananza, l'idea era quella di un corvo che insegue una piccola mosca. Questa era la differenza di dimensioni tra il demone e l'uomo. I due soggetti continuavano a danzare e ad avvitarsi in cielo in maniera prossima alla sincronia, mantenendo quasi sempre la medesima distanza, giocando in un ballo diabolico tra le nubi plumbee. Una cinta muraria di minacciosi e cupi cumulonembi aveva avvolto un'area vastissima intorno al Lago, per decine di miglia di diametro, formando una malsana cintura, soffocante come una gabbia, la quale si richiudeva a cupola sulla zona. Quest'ultima cominciò a essere martoriata dai fulmini, accessi lampi quasi pallidi. Un paio di volte Alastair aveva superato quel confine di sporco cotone, scorgendo la limpidezza del cielo pomeridiano e le verdi e mature terre. E tutte e due le volte era rientrato, nel tentativo di non aumentare l'area di distruzione del mostro.

Quest'ultimo aveva cominciato a eruttare possenti bolle d'energia dalla sua bocca spalancata, nel tentativo di colpire il suo piccolo bersaglio. Quando le bolle si schiantavano contro le montagne circostanti, queste venivano polverizzate all'istante e inghiottite da vortici di fuoco tonanti, i quali risalivano nell'aria incandescente formando piccoli funghi di fiamme, fumo e cenere. Alastair, tra i boati assordanti, roteava come una ballerina volante, avvertendo il cuore traballare in petto, come urlante dalla paura. Un sibilo improvviso gli fece accapponare la pelle fino ad avvertire delle scariche nelle ossa. Non ebbe nemmeno il coraggio di voltarsi, pregò solo di riuscire a evitare il prossimo attacco, in qualche modo. Il drago, infatti, scagliò un raggio d'energia dai suoi occhi, fucsia fosforescente come le bolle. Alastair fu colpito in pieno, percependo un calore intenso fin dentro le viscere, come accaldato da una forte febbre improvvisa. Le carni tremarono come percosse da fruste e le ossa protestarono dal dolore. Ebbe la sensazione che la pelle si stesse sciogliendo, come immersa in un caldo pentolone.

Sbandò, per poi cominciare a puntare verso il basso, in direzione del duro terreno. Strinse i denti, chiuse gli occhi in due fessure e cercò di arginare nella sua mente il dolore. Non si schiantò, ma riuscì a svolazzare come una falena notturna tra vecchi arbusti bruciacchiati, i quali vennero sradicati via al passaggio dell'armatura, trascinati da un vento di tempesta provocato dalla sua velocità incommensurabile. Frattanto, la corazza continuava a parlottare come uno psicopatico che parla a sé stesso, con una vocina bassa, vagamente femminile e assai fastidiosa per via dell'accento metallico, come se quelle parole venissero pronunciate da qualcuno con le corde vocali di ferro.

«Stramaledettissima armatura, piantala! Se proprio devi parlare, fallo nella mia lingua, MALEDIZIONE!!! Parlare lingua mia, parlare lingua mia, per favore!» protestò Alastair esasperato da quella melodia che si stava insinuando nei timpani come fastidiosa acqua marina mista a sabbia.

In maniera inaspettata, la corazza dapprima borbottò frasi che il cavaliere non riuscì a tradurre, come la maggior parte di quelle che aveva udito fino a quel momento. In seconda battuta, i simboli innanzi agli occhi di Alastair cambiarono forma, svolazzando in tutte le direzioni a formare simboli più familiari, come bastoncini messi in un ordine preciso a formare parole note. Infine, la stessa vocina metallica divenne all'improvviso familiare in ciò che diceva, come se si fosse scambiata con qualcun'altra.

«Nuova lingua riconosciuta, caricamento interfaccia neurale completato. Benvenuto ospite numero due, sei nell'unità da combattimento a lungo raggio multiruolo Anfitrite. Seleziona una funzione o un ordine.»

Alastair, d'istinto, spalancò gli occhi e schiuse le labbra a formare un piccolo ovale, mentre la pelle stanca del suo viso impallidì appena. Cominciò dapprima a balbettare, sbattendo le chiare ciglia con fare perplesso e incredulo. Scosse la testa, come a voler elaborare meglio ciò che era appena successo. Balbettò ancora per qualche secondo, infine riuscì a biascicare con un filo di voce, come se avesse perso venti anni d'età in una sola volta: «M-ma sei una fatina? C'è una fatina qui dentro? P-posso aiutarti?»

«Negativo, l'unità da combattimento a lungo raggio multiruolo Anfitrite è dotata di un'intelligenza artificiale autonoma» spiegò la vocina in maniera atona, priva di una forma di sentimento riconoscibile.

«Cosa?» rispose Alastair del tutto schietto, non avendo compreso la benché minima sillaba di ciò che aveva udito. Era convinto che all'interno dell'armatura, tramite una magia, fosse stata imprigionata una fatina, oppure una persona, della quale poteva sentirne solo la voce.

La nuova evoluzione della situazione, però, lo aveva del tutto distratto da ciò che stava succedendo a non molta distanza dal suo sedere volante. Il drago stava per caricare un nuovo attacco, esasperato da quella continua caccia nei confronti di quell'esserino che tanto lo turbava e infastidiva. Qualche attimo prima che il colpo venisse espulso, Alastair ebbe il tempo di percepire uno strambo messaggio dall'armatura, ma non di recepirlo.

«Attenzione, individuata traccia energetica massiva proveniente da sud in aumento esponenziale. Elaborazione di una strategia d'uscita in corso.»

Il raggio famelico e distruttore sfiorò per pochi passi di distanza Alastair, ma il vento spostato fu sufficiente per deviare la volata del cavaliere, facendolo precipitare in una danza a forma di spirale. Il corpo avvolto dal metallo catapultò nel terreno, producendo al contatto uno spruzzo di terra e pietre, il quale si sollevò ad altezza da campanile. L'uomo ne uscì indenne, se non per un lancinante mal di testa che gli trapassò le tempie da parte a parte. Si tenne la testa (il casco) e digrignò i denti dal dolore, sollevandosi in modo claudicante.

«Integrità strutturale dell'unità al sessantasette per cento. Individuata entità ostile. Si tratta di un'unità cibernetica sintetica da combattimento e destrutturazione planetaria di origine Kodrak. Sto elaborando una strategia di contromisura, attendere prego.»

«COSA!? Ma piantala di dire cose senza senso! Non ci ho capito niente!» protestò Alastair interdetto da un dolore che continuava a maciullargli il cranio. Frattanto, la creatura dispiegò le ali per rallentare la sua caduta e si posizionò non molto distante dal cavaliere, a mezz'aria, con fare minaccioso e assassino, pulsando di sfumature fosforescenti che continuavano a dare ansia e nausea al corpo sballottato di Alastair. Il cavaliere, alla vista del drago, indietreggiò strabuzzando gli occhi e sentendosi le cosce e i polsi gelare dal terrore, mentre la schiena tremava di puro disgusto.

«Fatina, dimmi che esiste un modo per battere il drago» chiese Alastair con un filo di voce, sentendosi la trachea pesante e le corde vocali calde e graffiate e assetate. Bastarono una manciata di secondi per avere una risposta, ma non gli piacque molto ciò che le sue orecchie captarono e la sua mente capì.

«Elaborazione completata. L'energia attualmente disponibile non è sufficiente per eliminare il bersaglio, la sua traccia energetica è superiore alla massima potenza erogabile da Anfitrite.»

«Allora non possiamo prendere dell'energia da qualche parte?» chiese Alastair con voce tremante, quasi in tono di supplica.

«Una possibile soluzione è già in atto. Ho attivato i sensori capacitivi fotonici per immagazzinare la radiazione luminosa irradiata su questo pianeta, ma a questa altezza la velocità di carica delle celle quantiche è rallentata del novantanove per cento. È necessario salire in orbita media per avere la massima velocità di carica. Si vuole procedere?»

Quella domanda finale arrivò ad Alastair come un brusio, un miscuglio di rumori di fondo privo di significato. I suoi occhi e la sua mente erano del tutto focalizzati su un unico punto, un punto carico di malvagità e pericolosità. Il drago, infatti, aveva generato intorno al suo corpo, come un'aureola, cinque grosse sfere luminose, colorate del solito e nauseante fosforescente. Quelle bolle assassine pulsavano ed erano sospese in aria, producendo un lieve venticello e facendo sussultare la terra e l'atmosfera tutta intorno.

«Fatina, cosa sta per succedere?» chiese il cavaliere sentendosi avvinghiato alla gola come da una morsa, come bolo che fatica a passare e a scendere giù nello stomaco, tagliandogli il respiro di netto.

«Elaborazione in corso. Individuata traccia energetica massiva in aumento esponenziale. Pericolo, l'unità non è in grado di resistere a un attacco di quella portata. Attivazione dello scudo a inversione magnetica in corso» rispose l'armatura con il suo solito fare calmo, indifferente, privo di passione o d'enfasi.

Due cose accaddero subito dopo. Intorno all'armatura si generò un sottile velo azzurrino a forma di cupola, come un lenzuolo, mentre delle pietruzze nelle circostanze della stessa cominciarono a sollevarsi e a volteggiare a mezz'aria. Il secondo fatto fu invece una strepitosa manifestazione di potenza. Poco prima dell'attacco del drago, Alastair, ancora una volta, aveva udito la voce della creatura fare eco nella sua testa. L'uomo non poté altro che ascoltare e pararsi la testa con le braccia incrociate.

Spirito delle Parole...

Apocalisse di Fuoco!

Le cinque sfere si unirono tra di loro a formare una più grande, centrifugando e facendo vibrare l'aria e dalla grossa bolla partì fuoco slavato fucsia, un raggio d'energia dalla potenza senza eguali. Il cavaliere fu colpito in pieno, ma il raggio saettò in aria, dividendosi in due grossi fulmini, come tronchi capovolti con le radici sparate verso l'alto. Il boato conseguente l'onda d'urto si propagò a una velocità insostenibile per qualunque pensiero e le nubi nere vennero squarciate senza pietà. I due rami del raggio salirono in cielo fino a perdersi. Fiamme e terra vennero spazzati e lanciati in tutte le direzioni. I due lampi erano così grossi e luminosi che, fino alle coste settentrionali della Francia, alcuni pescatori riuscirono a vedere due colonne di luce protrarsi in cielo fino a essere inghiottite delle nuvole più alte.

In tutti i Sette Regni quei lampi furono visibili, fino alle terre più a nord. Quello strano fenomeno, che per chiunque non ebbe spiegazione, fu tramandato in scritti che arrivarono fino ai tempi moderni. A parte Alastair, pochissimi altri vennero a sapere del reale motivo di quell'evento. Ciò che però non ebbe a sapere nemmeno il Primo Cavaliere era che aveva salvato, seppur in maniera indiretta, il mondo intero.

Infatti, se quell'attacco avesse colpito in pieno il terreno e non fosse stato deviato dallo scudo magico dell'armatura, i Sette Regni sarebbero sprofondati sotto i mari, il continente delle MiddleLands (Europa) sarebbe stato mezzo sommerso dall'oceano e le ceneri avrebbero oscurato il sole, facendo sprofondare gli uomini in un inverno lungo secoli, il quale li avrebbe portati all'estinzione.

Frattanto, Alastair avvertiva la durezza sulle ginocchia. Era piombato a terra, esausto, con gli arti superiori tremanti e dolenti e le placche dell'armatura fumanti di rosso e in parte fuse proprio all'altezza delle braccia. Era circondato da turbini di terra sbriciolata e fulmini. Ebbe appena la forza di sollevare il collo irrigidito e a osservare nel punto in cui prima era presente il drago. Aveva la vista appannata, ma nascosto nell'ombra proiettata dalla stanchezza dei suoi occhi, intravide la sagoma del demone alato. Ancora lì, fiero e malevole. L'uomo era vivo, ma la situazione era al limite tra la vita e l'oblio della morte.

«Integrità strutturale dell'unità Anfitrite al trentasei per cento. Placche termiche compromesse al quarantadue per cento. Disattivazione dei sistemi ausiliari secondari completata. Avviata procedura di ottimizzazione energetica. È necessaria fonte di energia per la ricarica delle celle quantiche. Percentuale di carica al ventinove per cento» disse la vocina con la sua solita cadenza piatta, come di rito cimiteriale. Alastair, sebbene respirasse a fatica, riuscì vagamente a recepire parte del messaggio mandato dall'armatura. I pensieri divennero parole con difficoltà, a causa dei polmoni svuotati del fiato.

«Fatina, se riuscissimo a dare energia all'armatura, potrei sperare di battere il drago?» chiese con le palpebre brucianti e cadenti e la sclera arrossata dal caldo e dalla fatica, con tono quasi afflitto.

«Elaborazione in corso. Negativo. L'energia massima che può contenere l'unità Anfitrite non sarebbe comunque sufficiente per terminare il bersaglio, ma sarebbe sufficiente per richiamare l'arma extra-cosmica

«Arma extra-cosmica, eh?» borbottò Alastair immerso in una marea di pensieri che sbattevano tutti su un solo obiettivo: vincere. «Con quest'arma sarei in grado di battere il drago?»

«Secondo il modello elaborato, la probabilità di vittoria sarebbe certa, al netto di un possibile margine di errore il cui sigma è troppo piccolo per essere determinato con il mio algoritmo.»

«Come al solito, non ci ho capito nulla, ma tanto è così da quando è iniziata questa maledetta guerra. Va bene fatina, fai quello che devi fare. Procedi» dichiarò il cavaliere quasi con rassegnazione, piuttosto che convinzione.

Appena ebbe concluse la frase, Alastair avvertì gli organo del proprio corpo tirati verso il basso e una pressione tremenda esercitata sulle sue spalle. Era come se decine di uomini stessero cercando di trascinarlo con mani avviluppate nel sottosuolo, ma di diverso avviso era la direzione del suo corpo, la quale procedeva in senso opposto alla forza opprimente. L'angoscia gli fece serrare le palpebre e i denti in una ferrea morsa, mentre i muscoli del corpo si contrassero come divenuti marmorei. Avvertì il tremolio metallico dell'armatura fargli vibrare il liquido cremisi nelle vene e i timpani. Poi silenzio fu. Non un ronzio pervase la sua mente, come se la natura si fosse silenziata di colpo. Ci vollero diversi secondi prima di trovare il coraggio di affacciare gli occhi all'esterno. Ciò che vide gli tolse il fiato, privando i polmoni fino all'ultima goccia d'ossigeno.

Innanzi a sé una semicirconferenza ostruiva il suo orizzonte. Il contrasto era netto e claustrofobico: da una parte l'azzurro, intervallato da macchie marroni, verdi e bianche. Dall'altra parte il buio assoluto, nero e soltanto nero. L'orizzonte appariva come marcato e luminoso, fulgido e accecante in certe angolazioni. Alastair non avvertiva alcun suono e il suo corpo sembrava svuotato, privo di consistenza. Privo di peso. Flemmatico, il suo moto lentissimo procedeva verso l'alto, ormai sgravato da ogni forza. Intravide oltre quella semicirconferenza (che poi prese visione essere una sfera) il motivo dell'orizzonte così chiaro e luccicante. Una grossa sfera se ne stava sorniona ma brillante sospesa nel cupo vuoto del tutto, sbrilluccicando di tanto in tanto di qualche sfumatura di arancio. Il sole, pensò Alastair. Quello è il sole.

Un moto di gioia investì il suo cuore, il quale riprese a battere nell'addome concitato più che mai. Una lacrima percorse il suo viso. D'istinto provò ad asciugarsela, ma la sua mano batté contro il casco. Pertanto, si limitò a mettere le mani sul suo petto, all'altezza del cuore, come pervaso da un timore inconscio che l'organo vitale potesse battere tanto forte da prendere la via d'uscita dal proprio corpo. Le sue labbra s'inarcarono verso l'alto e il suo volto si dipinse di un'espressione lieta: un sorriso.

Ma non era uno di quelli soliti alla Alastair, sempre mezzi tirati, come timorosi di mostrarsi. Era un sorriso vero. Pieno. Alastair, per la prima volta nella sua vita, stava sorridendo davvero, a trentadue denti come si suole dire. Il suo cuore gli sussurrò di restare lì per sempre. Per la mente quel pensiero era assai stupido, eppure il cavaliere, seppur per qualche attimo, ebbe l'idea di assecondare quello strano desiderio. Perché Alastair, in quel momento, era felice. Solo la vocina fatata dell'armatura gli fece riprendere contatto con la realtà, ricordandogli ciò che stava facendo.

«Orbita stabilizzata. Celle cariche al cinque per cento. Ricarica delle celle in corso. Ripristino delle funzioni ausiliari secondarie in corso. Attivazione sistema di rigenerazione, riparazione in corso. Ricarica stimata in due minuti.»

«Fatina, qui sopra è stupendo. Questo è il mio mondo visto dall'alto? E quello è il sole?» chiese Alastair come un pargolo curioso, con occhi lucidi e un sorriso che gli impiastricciava il volto, eludendo del tutto ciò che la corazza stava dicendo.

«Affermativo a tutti e due i quesiti» rispose l'armatura non cambiando mai il suo tono.

«Voglio restare qui per sempre, fatina» disse Alastair ridacchiando, incapace di concepire come avesse mai potuto partorire un simile ragionamento, ma allo stesso tempo soddisfatto. Era come se la gioia avesse preso il sopravvento dei suoi muscoli, dei suoi nervi e dei suoi pensieri.

«Negativo, la produzione di ossigeno non è sufficiente a garantire la permanenza in orbita prolungata, così come la produzione degli ingredienti per il sostentamento cellulare, acqua compresa. L'unità Anfitrite non è progettata per la vita nel vuoto cosmico.»

Ancora una volta quelle parole arrivarono ovattate alla mente del cavaliere. Si limitò solo a registrare il passaggio di suoni nelle sue orecchie e nient'altro. Dopo una manciata di minuti, infine, l'armatura riprese a parlare di nuovo, distogliendo l'uomo dalla sua contemplazione, la quale sembrava non voler avere fine.

«Ricarica delle celle completata. Riparazione dell'unità Anfitrite completata. Elaborazione di un nuovo modello completato. Secondo i calcoli, l'energia immagazzinata ora è sufficiente per poter richiamare l'arma extra-cosmica. Si vuole procedere?»

Quella domanda fece traballare in maniera paurosa la mente di Alastair. Un senso di angoscia gli strinse i polmoni prima, il cuore poi e tutte le viscere infine. Il suo tempo a osservare il mondo dall'alto era finito. Una profonda tristezza invase le sue vene, consapevole del fatto che, forse, non avrebbe mai avuto più modo nella vita di rivedere un simile spettacolo. In quegli attimi si era sentito miseramente piccolo, ma allo stesso tempo potente. Non aveva mai provato nella sua esistenza una simile sensazione di contrasto, due sentimenti così distanti vivere nello stesso momento in una condizione di equilibrio così perfetta.

«Procedi» si arrese a dire il cavaliere, costretto dal fato a non prolungare ancora quel distacco che altrimenti sarebbe stato ancora più traumatico, come un cucciolo che viene separato dalla sua madre di prepotenza.

Frattanto, il drago ringhiava e strepitava la massiccia coda a terra, producendo sbuffi di terra cupi e voluminosi. Guardava la volta celeste celata dalle dense nubi di pioggia e cenere, osservando con malsana perfidia, come se con lo sguardo volesse lacerare la coltre e intravedere oltre. Sapeva dov'era l'armatura, in un punto indefinito lontano miglia e miglia dal terreno.

All'improvviso, indietreggiò, frastornato da una visione inaspettata. Un raggio enorme di luce, slavata di arcobaleno, dissipò parte delle nuvole, precipitando e rombando sul terreno, producendo un lungo fischio e un forte vento. Quando la luce si spense, ciò che rimase fu un solco poco profondo nel terreno e un essere umanoide ricoperto di metallo: Alastair. Però, a differenza di pochi minuti prima, reggeva in mano un oggetto, poco più alto di lui, lungo e sottile: una lancia. Nera come la pece, terminava all'estremità con una punta placcata di color oro arrotondata e allargata ai fianchi, per poi terminare in maniera aguzza, come un minaccioso dente di squalo.

Era apparsa all'improvviso tra le mani di Alastair, in un boato di sette colori. Una voce soave lo aveva invitato a stringere quell'arma tra le sue mani, la Signora Gentile, la stessa voce che aveva udito per la prima volta all'entrata della grotta, prima di raggiungere il Castello sul Lago. L'invito era stato chiaro: ti presto i miei Antenati, Alastair. Vinci. Fu l'ultima volta che ascoltò quelle note dolci, soavi e ovattate nella sua nuvola di pensieri.

Osservava ora quella lancia con fare perplesso, ma allo stesso tempo con ammirazione e riverenza, come se ne volesse avere cura ma allo stesso tempo provasse timore, come un ragazzino che scherza con il fuoco.

«Fatina, cos'è questa lancia?» chiese il cavaliere, deglutendo subito dopo.

«È un'unità non catalogata, in quanto non è stata costruita da nessun essere appartenente al genere Homo, a differenza dell'unità Anfitrite o delle altre unità conosciute come Artefatti. Viene chiamata Lancia di Longino. Si dice che abbia il potere di nullificare qualsiasi cosa, anche i concetti astratti come il destino o l'immortalità. Non sono in grado di verificare tali affermazioni, né di determinare la struttura atomica di quest'arma, in quanto i suoi elettroni si muovono continuamente tra la banda di valenza e quella di conduzione» spiegò la voce nell'armatura. «Ho provato anche a misurare la sua energia, ma il risultato è un fondo scala rispetto alla portata degli strumenti di misura.»

«La Lancia del Destino» borbottò Alastair esterrefatto, sbattendo le ciglia come se avesse della sabbia su di esse. «Fatina, mi confermi che con questa lancia posso battere il drago?»

«Confermo. Ma l'energia utilizzata per richiamarla ha svuotato le celle per il settantacinque per cento e non c'è energia sufficiente per tornare in orbita e ricaricarle. Hai meno di sette momenti* di autonomia per battere il bersaglio.»

«COSA!? Ma mi prendi in giro!? Siano maledetti quei porci degli Antichi!» imprecò Alastair, ciondolando le braccia e sbruffando aria. 

Spazio autore

*Momento: unità di misura del tempo utilizzata nel Medioevo corrispondente, in media, a 90 secondi. 

P.S. Penso che ora si capisca... O siete ancora più confusi di prima? Qualche teoria? Cominciate a capire chi erano/cosa fossero gli Antichi? E gli Dèi? 

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