PUNTATA XXIII

Un solo pensiero bazzicò in quel momento nella mente di Alastair: la vendetta. Ogni voglia, ogni desiderio di conoscenza venne spazzato via da quel verso mostruoso e disumano che s'insinuò in ogni anfratto, in ogni spazio tra le viscere, fin dentro l'anima. Desiderava solo la vendetta, per gli uomini che gli erano stati portati via, per le vite che erano state spezzate, per le moglie che non avrebbero più avuto un marito d'abbracciare o un compagno con cui fare l'amore, per i figli che non avrebbero più visto i sorrisi dei loro padri, per i genitori che non avrebbero più guardato negli occhi le speranze dei loro figli. Ira, pura e profonda provava il cavaliere in quel momento, un concentrato di calore sotto la pelle e fin dentro gli organi, mandati in fibrillazione da un cuore che ora pompava a più non posso.

Il Primo Cavaliere e gli altri trovarono l'ingresso per la stanza successiva, solita porta di metallo, solito pannello misterioso, solita voce distorta che annunciava l'apertura verso nuovo ignoto. Ma questa volta gli avventurieri si trovarono innanzi a uno spettacolo che, per quanto possibile, era ancora più strambo e alienante di quello di prima, per certi versi raccapricciante.

Enormi ampolle erano mantenute in sospensione da colonne argentee che sbucavano dal soffitto e come una mano reggevano quelle sfere deformi. Riempite di un liquido giallognolo, il quale sembrava fermentare, producevano grosse bolle a profusione. Quest'ultime scoppiettavano all'interno con fare nervoso, ma ciò che più inquietava gli animi e disturbava la vista erano delle enormi macchie nere contenute in quegli strani contenitori. Corpi.

Dalla forma vagamente umana, presentavano per la maggior parte paurose malformazioni da far voltare lo stomaco e contorcere il pancreas, crani allungati a dismisura a formare strane parabole, volti schiacciati e deformati, privi di naso, occhi e orecchie. La maggior parte non avevano nemmeno gli arti, ma solo piccoli bozzi, alture disgustose che affioravano dalla pelle. Quest'ultima era nera, come se fosse ricoperta di pece. Quelli più completi avevano una lunga coda ossuta, come un prolungamento della spina dorsale. Quest'ultima era così spessa che affiorava dalla schiena come grossi spuntoni. La gabbia toracica formava nervature ben visibili sul dorso ed era vuota: nessun organo c'era all'interno. Gli arti superiori e inferiori, oblunghi, magri ma riempiti di muscoli, terminavano con tre lunghi artigli ricurvi, affilati come rasoi. Erano esseri che raggiungevano almeno i tre metri di altezza, almeno quelli che non apparivano come feti deformi. Ad alcuni erano visibili i denti, sottili ma affilatissimi stuzzicadenti, color avorio, conficcati direttamente nella buia carne.

«Goblin neri» farfugliò Alastair, mentre alcun dei suoi uomini stavano avendo dei mancamenti. Un tanfo di uova marce (zolfo) penetrante fece arricciare le viscere e ribollire il sangue nelle vene. Lunghi tubi flessibili e dall'apparenza metallici sembravano spuntare dalle rocce per poi conficcarsi nelle ampolle, senza che però versassero alcun contenuto al loro interno. Presentavano lunghe striature luminose, del solito demoniaco colore fucsia. Era diventato così malsano alla vista quella colorazione, che ormai non faceva altro che provocare giramenti di testa e conati di vomito.

«Goblin neri?» domandò perplesso Sir Smith, mandando un'occhiata veloce ad Alastair, per poi tornare subito dopo a fissare quelle mostruosità imprigionate in quelle strutture che sembravano pentoloni trasparenti maledetti.

«C'è una leggenda locale che asserisce che durante la guerra tra Dei e Antichi, i secondi inviarono in queste zone dei goblin neri a massacrare gli umani, come ripicca nei confronti di quest'ultimi. Gli uomini e le donne si erano macchiati del peccato di sostenere gli Dei e non gli Antichi» spiegò Alastair atono, indaffarato a sua volta a non togliere mai lo sguardo da quelle creature, tanto nauseanti quanto ipnotiche, psichedeliche.

«Questo posto mi fa sempre più schifo» commentò Sir Wood, in parte già pentitosi di aver deciso di seguire il Primo Cavaliere in quella missione. Frattanto, un'ombra nera spiava bramosa e minacciosa gli uomini dall'alto, nascosta tra un'ampia fessura scavata nella roccia, producendo un sibilo a frequenze non udibili dalle orecchie umane.

Alastair e i suoi uomini, invece, proseguirono nella loro marcia. Passarono il tempo a fissare quegli esseri disgustosi come grossi feti rannicchiati in quelle ampolle. Camminarono per diversi minuti prima di arrivare alla porta successiva, quella che portava a una nuova stanza. Nel loro incedere, il Comandante aveva notato un paio di dettagli non di poco conto. Il primo era che ogni volta che passavano in un nuovo ambiente, era presente una ripida discesa. Quell'indizio suggeriva che stavano procedendo sempre di più verso il basso, verso le profondità del mondo. Il secondo aspetto che destò il suo interesse fu il ciondolo che Carl gli donò mesi prima: non aveva mai smesso di brillare. Continuava a pulsare a intervalli regolari, come se volesse indicare la presenza di qualcosa in particolare. Neanche per un'istante aveva smesso di illuminare la tasca dei suoi calzoni. Era come se quella luce gli desse la speranza di cui aveva un disperato bisogno, un flebile faro nell'oscuro, vasto ignoto.

Ora un lungo tunnel dalle pareti metalliche si manifestò innanzi a loro. Una luce bluastra pulsava a intermittenza, dando l'impressione come di voler inviare un messaggio segreto, ammaliando chiunque la guardasse e richiamando verso di sé. Alastair non impiegò molto tempo per accorgersi che la luce verde della pietra del suo ciondolo stesse brillando in maniera più intensa e con una frequenza maggiore rispetto a qualche minuto prima. Prese il ciondolo in mano, ponendolo innanzi al suo volto, sia per guardarlo meglio che per mostrarlo ai suoi uomini.

«In fondo a questo tunnel è presente ciò che fa brillare questa pietra, qualunque cosa sia» enunciò Alastair con tono freddo, impaziente e serio, facendo deglutire Sir Smith, sudare gelido Sir Wood e accapponando la pelle dei suoi uomini. Proseguirono a passi sempre più pesanti e stanchi, come se avessero condotto una maratona. Nervi tesi strepitavano tra i muscoli delle gambe e delle cosce. In parte era la stanchezza, in parte una nuova paura, terrore che tornava a crescere di nuovo, come un ventaccio che prima si acquieta e poi riprende a sospirare malevolo e senza pietà.

«Cos'è?» domandò fra sé e sé Sir Wood, illuminato in volto da una luce azzurrina, intensa, candida ma inquietante allo stesso tempo, celestiale e demoniaca, amorevole e ingannatrice. Emozioni contrastanti si miscelavano nei pensieri degli uomini, come una zuppa con ingredienti buttati alla rinfusa. Non comprendevano in alcun modo cosa fosse ciò che ora osservavano i loro occhi arrossati a causa del pulviscolo atmosferico e dei continui cambi di luminosità a cui erano stati sottoposti fino a quel momento.

Un'enorme oggetto dalla forma a prima vista sferica occupava il centro di una caverna colossale. Nessuna cinghia, nessuna catena e nessuna corda permettevano di mantenere quella sfera staccata dal terreno: era in sospensione. Al suo interno sembrava scorrere un vortice poderoso e intenso, come un torrente in piena, qualcosa che assomigliava a un brillante fluido azzurro. Produceva un sibilo, proprio come di scroscio d'acqua che invade un letto di un fiume seccato, ridandogli nuova vita. In un certo punto era presente una colonna levigata color cenere e in apparenza in pietra, alte quasi quanto un uomo adulto. La base superiore, così come quella inferiore, erano a forma di ettagono regolare. Inoltre, su quella superiore era poggiato un disco nero con incisioni a forma di raggi, i quali procedevano fin al centro dello stesso, fermandosi in corrispondenza di una sorta di pietra azzurra incastonata all'interno del disco.

Alastair, confuso ma allo stesso tempo ammaliato, d'istinto cominciò a correre, percorrendo in senso orario quella sfera tenuta sospesa in aria da una forza celata. Gli Ufficiali, così come tutti gli altri soldati cominciarono a guardare perplessi il loro Comandante, ma ormai avevano capito che qualunque cosa facesse, prima o poi avrebbe avuto un risvolto. Il Primo Cavaliere, frattanto, non schiodò mai gli occhi da quel mistero. In particolare, notò altri dettagli curiosi. Il primo era che non si trattava proprio di una sfera. Era un poligono regolare, il quale presentava un totale di trenta facce a forma di rombo. Inoltre, non sembrava nemmeno essere fatto di qualche materiale particolare. Era come se l'aria stessa si condensasse a formare quel poligono, tingendosi di azzurro, mentre il vortice interno sembrava confluire verso il centro, ma non andava mai a prosciugarsi, saettando in tutte le direzioni come un mare in tempesta, prima di infrangersi sulla superficie "solida".

Il secondo dettaglio che notò riguardava il disco. La pietra incastonata al suo centro sembrava richiamare il flusso del triacontaedro rombico, facendolo fluire al loro interno come sottili capelli azzurri che vengono inghiottiti da un canale di scolo. E all'improvviso, in maniera del tutto naturale, senza pensarci più di tanto, Alastair allungò la mano e raccolse l'oggetto. A ripensarci in seguito, non riuscì nemmeno lui a capacitarsi di quel gesto in apparenza così sconsiderato vista la situazione, ma che allo stesso tempo, in quel lasso temporale infinitesimale, gli sembrò giusto. Il flusso diretto verso il centro del dischetto s'interruppe all'improvviso, come un fuoco spento da un malsano temporale estivo.

«Comandante, no!» urlò Sir Smith allungando la mano. Gli animi sussultarono. Ma non successe nulla, suscitando lo stupore di tutti. Alastair cominciò a scrutare incuriosito quel dischetto, il quale aveva il diametro di un paio di palmi di mano e pesava all'incirca quanto una spada comune, almeno al tatto dell'uomo. La consistenza era molto dura, una via di mezzo tra la pietra e il metallo, mentre il verde era scuro e opaco, abbastanza da impedire a un raggio luminoso di riflettersi. La pietra presente al centro, invece, era perfettamente ovale, grossa più o meno quanto una blatta. Il colore era così denso che non s'intravedeva niente all'interno, nonostante apparisse di un flebile traslucido. Questo disco ha un aspetto familiare. L'ho già visto da qualche parte, raffigurato... Ma non ricordo dove...

«Qualche idea, Comandante?» chiese uno dei soldati, interrompendo il rimuginare dell'uomo. Alastair scosse la testa in segno di negazione, affranto. Nello stesso momento, l'uomo si accorse anche che la pietra del ciondolo che ora osservava, sollevandolo con la mano libera, non pulsava più, ma aveva assunto una colorazione fissa, di un verde chiaro intensissimo. Era palese che quella fosse la fonte che provocava la stramba luminescenza dell'oggetto donatogli da Carl.

«Proseguiamo» pronunciò il Primo Cavaliere con tono basso, non dimenticando mai il motivo per il quale aveva deciso d'intraprendere questo viaggio, anzi, i motivi. La vendetta ancora gli sussurrava alle orecchie, così come il desiderio di scoprire la verità dietro la leggenda. Frattanto, gli uomini ripreso a camminare, mentre Alastair continuava a indugiare con lo sguardo su quel disco, tentando di capire a cosa potesse mai servire. A giudicare da ciò che stava facendo, sembrava avere la funzione di assorbire, ma cosa?

E se quella sfera contenesse dell'energia magica? Magia? Quindi questo disco potrebbero servire a contenerla? Si narra che gli Antichi volessero impossessarsi della Magia del Mondo; quindi, potrebbero aver creato questo disco per imbrigliarla? Ma allora il ciondolo reagisce alla Magia?

Mentre Alastair s'interrogava con sguardo perso, vuoto e occhi gelidi ma brillanti, uno dei suoi uomini richiamò la sua attenzione.

«Comandante, guardi in alto!»

Alastair, così come tutti gli altri, sollevarono gli sguardi verso la direzione indicata dal soldato, distogliendo la sua attenzione dal dischetto. Incisa nella nuda roccia c'erano dei solchi profondi, i quali andavano a formare linee e curve regolari, in una geometria precisa: rune. Non quelle che conosceva Alastair, ma una loro forma modificata, come quelle che aveva intravisto all'ingresso della dimora degli Antichi. Perché ormai non c'erano più dubbi. Solo un luogo abitato da esseri leggendari poteva contenere simili stranezze, a tal punto da far sbandare la mente di un uomo.

Il Primo Cavaliere strabuzzò gli occhi per poi socchiuderli. Li spalancò e poi li socchiuse di nuovo. La traduzione di quei simboli risultò più ardua del previsto e ciò che ne ricavò gli risultò alquanto incomprensibile, ben più dei simboli ritrovati in precedenza.

«Comandante, cosa c'è scritto qui?» chiese Sir Wood incuriosito negli occhi, anziani ma sempre vispi. Alastair, però, rimase perplesso per diversi secondi e indugiò producendo sonori farfugli e balbettii. Scosse la testa per poi aguzzare di nuovo la vista. Rilesse diverse volte le rune, eppure la traduzione continuava a non convincerlo. Non capiva se stesse sbagliando lui, oppure c'era un significato che non riusciva in nessun modo ad assimilare. Solo dopo quasi un minuto di meningi spremute come agrumi appena colti e un deciso fastidio alle tempie, riuscì a pronunciare parole sconclusionate, le quali risuonarono in aria come un'accozzaglia di suoni senza senso.

«Danzare... Alla fine, danzare... Insieme... No, no insieme... Eh... Caos... Caos, eh... Caos in-fi-ni-to... Caos infinito. S-sesso. E sesso. Alla fine, danzare, sesso, caos infinito!»* concluse Alastair abbassando le labbra e facendo una smorfia di finta soddisfazione come a dire "cosa cazzo ho appena detto?".

I soldati cominciarono a guardarsi perplessi tra di loro, con sguardi attoniti e privi d'emozioni, se non un sottile senso d'imbarazzo. Frattanto, Sir Wood annuì e disse con i pugni poggiati sui fianchi: «Forse è una filastrocca un po' spinta degli Antichi.»

«Vede qualche rima per caso, Sir Wood?» commentò ironico Sir Smith, guardando storto il suo collega, mentre quest'ultimo reagì arrossendo sulle guance paffute, chinando lo sguardo al pavimento.

«Forza, proseguiamo» ordinò Alastair infastidito dalla situazione. Desiderava ricevere risposte alle sue domande, ma in realtà ciò che accadeva era l'esatto opposto. Sempre più quesiti si andavano ad ammassare, come una libreria riempita di nuovi libri da studiare. In quel momento, appena il Primo Cavaliere mosse l'ennesimo passo, un nuovo fragore seguito da un verso bestiale, fece tremare il terreno sotto le suole degli stivali e fece ritirare di nuovo la pelle e il cuore, accelerando la respirazione.

«Il drago! È sempre più vicino!» tremò Sir Wood, aumentando la presa sul pomolo della sua spada, mentre Alastair disse mormorando: «È sopra di noi.»

I soldati ripresero a marciare, raggiungendo nuovi ambienti. Era tutto un susseguirsi di camere spoglie, oggetti misteriosi e dalle forme ignote, luci soffuse e minacciose e nauseanti, cunicoli stretti e alti, con pareti di metallo, enormi vasi scavati nel terreno come fosse, stracolmi di tubicini flessibili e di specchi traslucidi affiorare da sottili colonne dal terreno. Camminarono forse per altri dieci minuti ancora, continuando a scendere nel sottosuolo, senza mai raggiungere una meta apparente. C'era tutto e non c'era niente. C'era tutto quello che di più strano potesse comparire a vista umana, ma allo stesso tempo non c'era nulla che potesse risultare utile alla loro causa, nulla che gli permettesse di risolvere il loro problema: sconfiggere il drago e assaltare il Castello sul Lago. Ma, infine, riuscirono forse a giungere a un punto di svolta nella loro attraversata nei meandri del mondo.

Attraversata l'ennesima porta, sottile oggetto che divideva una realtà sconosciuta da quella seguente, gli uomini di Alastair si ritrovarono innanzi all'ennesimo intricato mistero, una matassa che stava diventando come un peso insostenibile sulle loro teste, affrante, offuscate e sballottolate da ceffoni invisibili che continuavano a percuotere la loro psiche sempre più labile e impotente.

Una gigantesca camera circolare a forma di ciambella ruotava intorno a una struttura presente al centro. Ciò che divideva la stanza da ciò che c'era oltre erano dei muri trasparenti. Oltre quei vetri, enormi pareti scoscese, lisce e metalliche, si tuffavano come esperti nuotatori in una gigantesca vasca, ricolma di fluido cristallino: acqua. Era così limpida che era possibile vedere il fondo. Poco sotto la superficie del liquido vitale, infatti, erano presenti delle griglie a forma quadrata, spesso e solide. L'intera vasca era illuminata da luci bianche ma soffuse, mentre bagliori fucsia e più flebili luccicavano.

Alastair indugiò con lo sguardo per diversi istanti verso quello specchio d'acqua per poi sollevarlo verso l'alto. Notò un'enorme foro in alto, alla base del tetto di quell'enorme struttura, così buio e profondo da non far filtrare nulla, nemmeno un flebile raggio luminoso. Le pareti interne di quel ciambellone di metallo erano invece forate a intervalli regolari di buchi più piccoli, i quali sembravano sputazzare piccoli sbuffi d'acqua. Uno di questi fu abbastanza appariscente, tanto da destare l'attenzione di tutti. Alastair e i suoi uomini notarono addirittura un particolare rilevante. Un piccolo animaletto con le pinne schizzò fuori da quel pozzo ignoto, per poi gettarsi giù nella vasca. Il pesce, appena s'immerse, cominciò ad agitarsi e a saltellare oltre la superficie dell'acqua, come se non fosse di suo gradimento. Alastair notò delle piccole bolle sollevarsi dal fondo della vasca fino alla superficie. L'acqua è bollente, pensò l'uomo. Passarono solo pochi secondi, prima che il pesce da fresco e vitale, diventasse lesso e moribondo, rovesciato di fianco sul filo della superficie.

«Quel pesce veniva dal Lago» constatò uno dei soldati.

«Esatto» confermò Alastair. «Significa che siamo sotto di esso e che la sua acqua, per qualche motivo, arriva fino a qui» aggiunse il Comandante, facendo strabuzzare gli occhi ai presenti e mozzandogli il fiato per qualche istante. Alastair, frattanto, diede una rapida occhiata al resto della stanza. Era stracolma di enormi parallelepipedi metallici, pieni di superfici specchiate incastonate, luci sbrilluccicanti, le quali mostravano strani simboli intraducibili. L'aria era secca, anzi secchissima e di tanto in tanto emanava soffi nauseanti, fiati di uova marce e putride. Il fetore fu tale che gli uomini furono costretti a tapparsi le narici con pollice e indice e a chinare le teste, attanagliati da fitte allo stomaco, conati di vomito pronti a prendere il largo oltre i loro palati.

All'improvviso, però, i loro corpi furono di nuovo scossi da un terribile lamento, il quale fece vibrare i vetri della stanza come lastre di ferro percosse da pesanti martelli. Il terreno sembrò strepitare, facendo ondeggiare le gambe degli uomini che cercarono di mantenersi in equilibrio come se fossero su una nave nel mezzo di una tempesta. La gigantesca creatura leggendaria stava palesando la sua presenza, ruggendo con fare minaccioso, come colto da un'ira indomabile. E gli occhi dei soldati si fecero microscopici quando si accorsero che la testa del demone alato era appena sbucata dal buco nero presente in alto verso il soffitto che proteggeva la vasca dal mondo esterno.

Non ci fu bisogno di alcun ordine da parte di Alastair. Subitanei, tutti gli uomini scattarono verso luoghi sicuri, nascondendosi dietro qualunque cosa fosse abbastanza grande da coprire la loro figura. Frattanto, la testa del drago sbucava come un fungo dal terreno umido. Lunghe corna come fatte d'avorio, pelle piena di scaglie, nere, lucide e dall'apparente durezza, come il ferro. Occhi disgustosi e nauseanti, facevano da contorno a quella macabra figura di morte e distruzione. Una testa simil rettile, ma che di appariva ben lontana dall'appartenere a quel mondo. Respirava a sussulti, come quando un uomo digrigna i denti minaccioso e respira pesanti bocconi d'aria per calmare la sua ira.

Nello stesso momento, gli uomini avvertivano i loro respiri in maniera distinta, tanto da avvertire i loro stessi fiati su corpo. I cuori strepitavano come se avessero cambiato la loro sede naturale, fino ad arrivare in gola, mentre i visi apparivano pallidi come esposti a lucette bianche. Si guardarono tra di loro, nel tentativo di trovare conforto nel coraggio dell'altro. Ma la verità era che per quanto potessero essere valori e coraggiosi, lì si trattava di un drago, un mostro capace con il suo soffio di incenerire aree vastissime e di abbattere le montagne con le sue fiamme infernali. Nessuna spada e nessun valore umano potevano contrastare una simile manifestazione di potere. Solo in quel frangente, Alastair presa finalmente visione di quanto fosse stato deleterio e arrogante pensare di potersi anche solo avvicinare a sconfiggere una simile mostruosità. Ma, nonostante tutto, riuscì a trovare il fegato giusto per voltare lo sguardo e osservare il comportamento dell'essere.

Le sue pupille si dilatarono alla vista del viso abnorme del drago, il quale fiatava e osservava maligno l'acqua della vasca. Alastair provò a captare i movimenti della creatura, ma non traspariva nulla di comprensibile. Era come se fosse priva di muscoli, come se il suo viso fosse fatto di marmo, rigido e immutabile. Non c'era un singolo dettaglio che facesse pensare che quel demone potesse far parte del suo mondo. Era un pugno in faccia, qualcosa che non doveva in alcun modo esistere, eppure era lì a qualche decina di metri da lui, separato solo da una lastra trasparente, accaldata dall'acqua in ebollizione della vasca.

Passarono istanti interminabili, racchiusi in una bolla temporale che sembrò occludere il normale scorrere del tempo e il suo flusso imperterrito. Infine, per la gioia della stabilità mentale del cavaliere, la cui testa faceva capolino come un gattino impaurito, pallido e privo di ogni forma di calore in volto, il drago mosse l'enorme testa verso il basso, in direzione dell'acqua sottostante. Spalancò le sue fauci, le quali mostrarono denti grigi e spessi, colonne appuntite e solcate da rughe antiche, mentre il palato era nero e oleoso, al punto da sembrare riflettente. Il collo pulsava, mentre le branchie si aprivano lasciando grosse fessure che emanavano una luce fosforescente. Privo di lingua, immerse la bocca, simile a quella di un coccodrillo, nel liquido trasparente. Grossi fiotti d'acqua cominciarono a schizzare nel punto di contatto con la bocca del mostro, mentre un forte risucchio d'acqua si avvertì in maniera distinta, come scorrere in tubi metallici. Sebbene Alastair e i suoi uomini non potessero vedere la scena, era palese che stesse bevendo. Beveva l'acqua calda della vasca. Ma perché bere quel liquido e non quello del Lago? L'acqua non era la stessa? E se sì, cosa rendeva l'acqua del Lago diversa una volta giunta nella vasca? Era dunque quella la fonte che alimentava il drago? Acqua pesante.

A quelle domande Alastair stava cercando di rispondere, quando il drago, all'improvviso, smise di bere, sollevando un'autentica colonna d'acqua nel suo movimento ascensionale con la testa. Si avvertì un frastuono come di mare scosso. Gli uomini ritirarono le loro teste dietro i loro rifugi temporanei, mentre l'essere ritirava la sua testa oltre il soffitto, rientrando nel pozzo dal quale era arrivato. Prima di scomparire del tutto, emise un ultimo acuto lunghissimo e profondo, una via di mezzo tra un ruggito e un latrato, qualcosa di sconnesso, animalesco, metallico e spaventevole, il quale fece freddare ancora una volta il liquido cremisi nel corpo dei soldati traumatizzati.

* La dicitura corretta ve la do io autore, perché Alastair non è capace: "Alla fine dei Tempi, tutti balleranno nell'orgia del Caos. E non avrà più fine."

P.S. Come sempre: dove minchia si trovano? xD 

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