PUNTATA X
Nonostante la stagione, quella mattina il sole picchiava con una veemenza anomala sulle teste scintillanti d'elmo dei cavalieri, migliaia di anime accorante e cariche d'adrenalina, la quale scorreva come ruscelli sotterranei nelle vene di quegli uomini. A cavallo, a piedi, con la spada, con l'arco, una varietà d'armi e di spiriti che si miscelavano in una cloaca indistinta era pronta a varcare le soglie della capitale e dirigersi verso i confini del Regno nemico. La popolazione locale, come formiche ammassate in un formicaio, si era riversata con fare festante ed esagitato a salutare i loro guerrieri, i loro eroi. Edgard Dunkeld, il nuovo sovrano, aveva fatto credere al suo popolo che Uisgeheimr fosse una minaccia, che avesse addirittura dichiarato guerra al Regno di Fearannheimr. Niente di più meschino poteva essere dichiarato, come lingua velenosa che sputa sentenze e falsità senza mai darsi pace. La realtà era esattamente capovolta, come vittima che passa per carnefice e viceversa. Il Regno vicino stata per subire un attacco militare massiccio del tutto gratuito, insensato e (in apparenza) immotivato. Un vile atto di tradimento, una pugnalata alle spalle a tutti gli effetti, in barba a qualsiasi accordo di pace. Quelli che ora veniva cantati come eroi, non erano altro che pedine armate lanciate su un campo di battaglia pronte ad attaccare chi non aveva commesso alcun peccato. In pratica, erano diventati loro i cattivi.
L'unico al mondo, in quel momento, che sembrava avesse capito fino all'ultimo meandro del labirinto l'intrinseca oscenità che stava per essere perpetuata era il Primo Cavaliere del Regno, Sir Alastair Leslie. Sul suo possente destriero si dirigeva, seguito da una lunga schiera di cavalieri, verso le porte d'ingresso della capitale. Osservava con sferzante serietà il chiaro orizzonte mattutino, ma il suo sguardo di pietra celava ben altro: un tormento senza eguali. Fino a quel momento non era riuscito a guardare nessuno dei suoi uomini negli occhi. Come poteva dir loro che erano stati presi in giro dal loro sovrano? Come poteva dir loro che stavano per esser massacrati, spediti lontano dai loro affetti, da un nemico che in realtà non poteva far altro che difendersi? Come poteva dir loro che non erano gli eroi, bensì quelli dal lato malevole della barricata? Con che coraggio avrebbe guardato una madre o un padre per poter comunicar loro che il figlio era morto in guerra, una guerra che non aveva alcun motivo per esistere?
Quella spedizione militare era un'entità amorfa, priva di una forma definita. C'era un esercito preparato in meno di una settimana (in pratica alla velocità d'evacuazione di una vescica), con una strategia militare (non) concordata in mezzo pomeriggio, che doveva partire per sconfiggere l'esercito (comunque forte) di un Regno che era il terzo più vasto dei Sette. Anche vedendola come una semplice guerra di conquista, non aveva comunque senso per la sciatteria con la quale era stata preparata. Perché tanta fretta? Possibile che fosse stata organizzata una spedizione militare per nascondere un secondo fine, come ad esempio il recupero di una spada che doveva esistere solo nelle leggende?
Quel turbinio di domande sferzavano senza nessun ostacolo nella testa di Alastair. Il popolo acclamava i suoi uomini e soprattutto il loro Vice Comandante, inneggiando il suo nome. Uomini, donne, anziani e bambini: tutti insieme liberavano le loro voci all'aria, le quali frullavano nel cielo in una ventata di grida, urla e canti. Proprio i bambini, tra l'altro, erano i più gasati dalla situazione. Salivano sulle teste dei loro genitori o sui grossi fusti collocati ai lati delle strade nel tentativo di osservare la catena di uomini di ferro avanzare fiera e armonica come note musicali saggiamente espulse da un flauto. Alastair, infatti, vide una dei bambini salutarlo con manine che sembravano bandiere esposte al vento di tramontana. Erano entusiasti nel vedere in volto l'uomo considerato il più forte guerriero dei Sette Regni, mentre cavalcava il suo cavallo leggendario.
Ma neanche i loro volti dipinti dalla gioia riuscirono a fargli sciogliere il cuore del cavaliere. Si limitò a osservare di nuovo l'orizzonte, come se quella vista lo isolasse anche dal chiasso che aleggiava intorno a sé e che gli trapanava le orecchie. Per lui fu una vera tortura psicologica, tramortita solo da un evento inaspettato. Infatti, Alastair sentì, all'improvviso, una voce tra la folla chiamarlo "cavaliere".
Si voltò alla sua destra e vide un uomo incappucciato con un mantello verde farsi strada davanti agli altri cittadini e seguire la fila di soldati. Alastair non impiegò molto per capire che fosse Carl, dopo che questi si abbassò il cappuccio. Era irritato per il fatto che l'amico non avesse rispettato il suo volere, ma in cuor suo sperava di vedere un volto amico tra migliaia di volti opprimenti. Ma la sua paura più grande era che con Carl ci fosse anche Elizabeth. Certosino, nei giorni precedenti il cavaliere aveva fatto di tutto per evitarla, non recandosi al mercato dove erano soliti parlare e passeggiare tutti i giorni. Ma la ragazza, almeno alla vista, non era presente.
«Sir Leslie, tenga questo!» disse Carl, lanciando come una fionda un piccolo oggetto in direzione di Alastair, il quale l'afferrò al volo con riflessi felini. Il cavaliere non ebbe nemmeno il tempo di prendere visione di ciò che stringeva tra le mani che, fugace, sentì le ultime parole dell'amico di lì a diverso tempo: «Buona fortuna, amico mio.»
L'uomo sparì come un ago tra migliaia di aghi che apparivano tutti uguali, facendosi spazio a spallate tra la folla. Il Cavaliere, che frattanto non aveva mai messo freno all'andatura lenta ma costante di Thor, ebbe infine la possibilità di osservare ciò che stringeva nel palmo della mano. Si trattava di una collana su cui era appeso un cerchio fatto di vari ramoscelli piegati. Al centro del cerchio, tramite dei sottili cordoncini, era tenuta tesa una pietruzza verdognola. Un sentimento di stranezza investì il corpo di Alastair, incapace di comprendere il significato o l'utilità di quella collana. Era davvero solo un simbolo di buona sorte? Gli sembrò fin da subito un gesto poco consueto anche per una mentalità stramba come Carl. Ma, anche quella volta, più che rimuginarci sopra non poteva e continuò deciso, ma sempre affranto, verso una delle porte d'ingresso della maestosa città.
Un'ora dopo
La capitale appariva allo sguardo come massicce mura in lontananza e solo le torri più alte erano visibili stagliarsi nel cielo. Frattanto, i tre uomini più importanti dell'esercito, ossia il Comandante Sir Campbell, il Vice Comandante Becker e il Vice Comandante Sir Leslie, ora si trovavano l'uno di fronte all'altro, scrutandosi negli occhi con fare indagatore più che d'intesa, come vorrebbe la norma in una situazione in cui l'affiatamento è tutto. Ma i più a disagio erano proprio Campbell e Becker, a causa della presenza di Thor, l'affidabile e forzuto destriero di Alastair. Grosso quasi il doppio dei loro cavalli, appariva più come un segno di sfida da parte del cavaliere, come a voler dimostrare qualcosa. Per ovvi motivi, sarebbe stato inutile spiegare loro che Alastair non avrebbe mai fatto a meno di Thor e che la sua era una scelta dettata dal cuore e dalla testa e non da un senso di sfida velata.
«Sir Leslie, era davvero necessario portarsi Thor in battaglia? Ha preso in considerazione un cavallo normale almeno?» chiese burbero il Comandante, infastidito dalla possenza dell'animale, il quale rendeva ridicolo alla vista i cavalli di qualsiasi cavaliere.
«Non avrei preso in considerazione nessun altro, Thor non può essere sostituito, non è un semplice destriero, è il mio compagno di viaggio» rispose Alastair senza alcuna remora.
«Forse il Vice Comandante Leslie lo usa perché deve compensare qualcosa che manca sotto» ironizzò Dagobert Becker. L'uomo, dagli occhi ghiacciati e dai capelli ricci e chiari, era vestito di un largo calzone beige e una folta e spessa pelliccia di montone, nera come fogli carbonizzati. Sotto di essa c'era solo la nuda pelle di un uomo di quasi mezza età, ma che manteneva comunque una forma fisica notevole e una muscolatura impressionante. Al centro del petto, esposto appena alla vista della luce solare, era impresso con cupo inchiostro un tatuaggio di un teschio avvolto dalle fiamme. L'uomo era conosciuto come L'Ammazza Vichinghi e la dimostrazione di quel soprannome era ben visibile sulla sua schiena. Posta come un mantello, c'era una "rete" fatta con spessi nodi di cuoio, i quali servivano a tenere appesi i corni che i Norreni utilizzavano come decorazione sui loro elmi. Ogni volta che Dagobert uccideva un vichingo che riteneva forte, appendeva uno dei corni del suo elmo sul suo mantello.
«Forse il Vice Comandante Becker ha la lingua lunga perché deve compensare qualche trauma infantile. Per caso i suoi genitori la toccavano quando era piccolo?» rispose a tono Alastair a quella stupida e insulsa provocazione.
Dagobert per reazione espulse un macilento grumo di sputo al suolo, il quale produsse un suono come di viscido. Digrignò i denti ingialliti con fare minaccioso e dilatò le pupille, la cui candida sclera venne immersa nel sangue. «Perché non scende dal suo elefante e mi fa vedere quanto è davvero forte, Primo Cavaliere!?» provocò l'uomo con rabbioso disprezzo.
Alastair aveva già chiuso gli occhi in una sottile fessura e si apprestava ad agitare i muscoli al fine di scendere da Thor, ma il suo moto fu interrotto dalla voce grave e agitata del Comandante: «Piantatela! Non è il momento di fare i bambini! Abbiamo una guerra da portare a termine e ci atterremo al piano. Io andrò alle montagne verso nord, il Vice Comandante Becker si dirigerà alla piana centrale mentre il Vice Comandante Leslie verso le alture a sud. Chiaro!?»
Dopo alcuni attimi di assordante silenzio e di tensione che flemmatica sciamò via, i due uomini risposero quasi in coro con voce irritata ma doverosa: «Sì, Comandante.»
Il breve parapiglia verbale si concluse di netto, come una coscia di pollo staccata da un colpo di coltello ben assestato. A quel punto, l'esercito si divise in tre rami, come già era stato definito, andandosi a ingrossare poi lunga la strada. In particolare, ad Alastair fece una certa impressione vedere una schiera di uomini vestiti con tunica rossa e semplici sandali, armati di spada e Bibbie, incamminarsi alle spalle di quell'invasato di Becker. Sembravano tutti spiritati. Non avevano alcuna protezione e ancor meno una preparazione militare. Il cavaliere arrivò a chiedersi addirittura se quegli uomini fossero posseduti e se davvero avessero idea di ciò che stessero facendo. Gli sguardi dei Rossi erano infatti vacui e persi, impalliditi come suicidi pronti a sacrificare la loro vita, indipendentemente dalla bontà della loro scelta. Sembrano cadaveri viventi, pensò Alastair turbato.
Ma il cavaliere non aveva motivo e voglia di interrogarsi oltre. Aveva per la testa ben altri problemi. In primo luogo, se era vero che il precedente re fosse stato assassinato, ora c'era da chiedersi se ci fosse davvero il rischio che venisse ucciso a tradimento. I primi sospettati, purtroppo, oltre ai suoi stessi uomini, potevano essere i due Ufficiali che lo affiancavano in quella spedizione: Sir Kurt Wood e Sir Cameron Smith.
Il primo era un uomo abbastanza in avanti con gli anni, ma era un fedelissimo servitore della Corona e del Regno. La famiglia dalla quale proveniva vantava una lunga tradizione militare alle spalle, da generazioni addirittura, e quel cognome era rispettato in tutto il Regno ed era sinonimo di lealtà e integrità morale. Dalla folta barba grigia e dai capelli come di cenere, con una pancia abbastanza prominente, si mostrava arzillo negli occhi e non mancava mai di una battuta, anche nei momenti di tensione, ma la sua saggezza era tenuta molto in considerazione nell'esercito, così come le sue abilità di spadaccino. Era uno dei pochi che aveva avuto una reale esperienza militare diretta su un campo di battaglia e in un frangente in cui quasi tutto l'esercito veniva da un periodo di pace lunghissimo, era una manna dal cielo.
Sir Smith, invece, era primogenito di una famiglia di mercanti divenuti ricchi grazie al commercio dei tessuti importati dal continente. Desiderio del figlio maggiore era sempre stato quello di seguire la spada. Per questo i genitori lo accontentarono in tutto, comprandogli un cavallo e facendolo entrare all'Accademia Reale per Cavalieri. Sebbene fosse anche qualche anno più giovane di Alastair, vantava il titolo di Ufficiale grazie alle sue ottime abilità di spionaggio. Desideroso di dimostrare le sue capacità, spesso era fin troppo avventato, ma era spinto da una grande voglia e forza di volontà e non perse occasione per essere messo in prima linea, facendo specifica richiesta di poter essere accanto al Primo Cavaliere e a Sir Wood. Appariva calvo e con un volto magro che lo dotavano di zigomi come tagliati di netto. Sguardo glaciale e taglio di occhi sottile completavano la serietà impressa nel suo viso.
La parte dell'esercito comandata da Sir Leslie divenne sempre più grande lungo il percorso che portava dalla capitale ai confini del Regno. Quando arrivarono al Tamigi, il fiume che separava il Regno di Fearannheimr, a est, dal Regno di Uisgeheimr, a ovest, il Primo Cavaliere era al comando di quasi 25.000 cavalieri e arcieri. Quella cavalcata mista a camminata si arrestò del tutto solo quando arrivarono a uno dei ponti di pietra che serviva a collegare i due lati del fiume, maestoso con i suoi piloni che lo ancoravano in maniera salda e inossidabile al letto del corso d'acqua cristallina.
«Vice Comandante, qualcosa non va? Vuole fare per caso un discorso agli uomini?» chiese Sir Wood alla vista del volto come cosparso di cerone del cavaliere, avanzando con il suo cavallo in maniera docile ma allo stesso tempo decisa. Se il suo comandante avesse avuto dei timori, questi si sarebbero potuti trasmette come un male a tutti i soldati e un uomo d'esperienza militare sapeva che ciò non era auspicabile.
Alastair si era fermato con il suo destriero proprio sul bordo del ponte, quella stretta via che collegava e che allo stesso tempo separava la gloria dalla disperazione, la vittoria dalla sconfitta, la vita dalla morte. Fino a quel momento, tutto era apparso come lontano, quasi fugace. Ora la realtà era diventata consistente, la guerra non era più un vuoto sostantivo per riempirsi la bocca, ma era qualcosa che poteva essere avvertito nel cuore, come una stretta che toglie il fiato goccia dopo goccia, come terreno che diventa arido.
«Sir Wood... Mi hanno affidato questo esercito, ma io non ho alcuna esperienza in termini di vere battaglie. Non sono l'uomo adatto per questo compito» ammise in maniera candida il Primo. Nello stesso momento, anche Sir Smith si era avvicinato all'imponente bestia di Alastair con il suo destriero, ma rimase ad ascoltare in asfissiante silenzio.
«Sir Leslie, ho avuto il piacere di conoscere il suo insegnante di spada, l'ex Primo cavaliere. E sa benissimo quanto fossimo amici. Quello che sto cercando di dirle è che se lei ha anche solo la metà del coraggio di quell'uomo e il suo spirito, allora abbiamo già vinto. Desidero che lei sappia che, se vuole, può affidare a me il comando e lei può fungere da sottoposto, ma non è questo il mio obiettivo... Io credo in lei! Quando abbiamo discusso le strategie militari qualche giorno fa con il Comandante Campbell, non l'ho sostenuta per farmi bello ai suoi occhi. Quello che ha dimostrato di sapere intorno a quel tavolo, quello che ha detto, come lo ha detto, mi ha fatto capire che nessuno è più adatto di lei per guidare un esercito. A mio parere, lei è molto più capace del Comandante e se mai me ne capiterà l'occasione, glielo dirò anche in faccia. I suoi uomini, i nostri uomini, hanno bisogno del Primo Cavaliere. Ma, in ogni caso, credo anche che sia troppo tardi tirarsi indietro, non le pare? Quindi che ne dice di fare un bel discorso?» concluse Wood con il sorriso a rinvigorire le sue labbra spente dall'età.
Alastair, sebbene ancora poco convinto, sentì una lieve breccia aprirsi nel suo cuore. La bontà d'animo, la sincerità e la saggezza di Sir Wood sembrarono aver avuto un effetto dolcificante per il suo animo. Prese un sostanzioso respiro, riempiendo i polmoni con voracità. Si girò con il suo immancabile destriero e cominciò a fissare il mare di soldati che ostruiva il terreno fino all'orizzonte, là dove in lontananza c'era la tanto amata capitale. Gli uomini fissarono le labbra del Primo bramosi di ascoltare le sue parole, anche un semplice fiato, un grido di battaglia pure poco convinto, non importava. Volevano sentire la sua voce, la voce del loro simbolo e del loro orgoglio. Quella pressione visiva e mentale premeva ora sul cranio di Alastair, come martelli che picchiano sulle tempie. Non lo sopportava, doveva estinguere quel dolore, quel malessere che ora pulsava in fitte. Non era mai stato bravo con i discorsi o cose simili, ma ora migliaia di anime lo scrutavano in attesa di ciò. Sir Wood aveva ragione, non poteva più tirarsi indietro, ormai era troppo tardi. E, forse, anche se avesse voluto, non avrebbe comunque potuto farlo.
Alastair si voltò verso l'Ufficiale più anziano e in un mormorio agitato chiese: «Cose dovrei dirgli, Sir Wood?»
La risposta che ottenne fu emblematica, ma chiara come l'acqua che bagna i piedi stanchi: «Anche una bugia. In questo caso non conta ciò che si dice, ma come lo si dice. Spesso, addirittura, conta anche chi lo dice... Sia convincente.»
Alastair deglutì un bolo che sembrò per qualche attimo rimanergli incastrato in gola. La respirazione era diventata pesante, cercava anche di distogliere lo sguardo ma, come magneti con pezzi di ferro, era attirato nel fissare i suoi uomini. Thor, frattanto, batté le orecchie sulla testa ed emise uno sbuffo animalesco. Alastair, con un colpetto ai reni, diede ordine al destriero di avanzare. Cominciò a muoversi a destra e poi a sinistra e viceversa lungo il campo visivo dei soldati. Poi, d'istinto, sguainò la spada che, famelica, inghiottì la luce, non facendo trapassare neanche un raggio e cominciò, con voce sguaiata e lama puntante il soffitto del mondo, a incitare tutti, senza filtrare in alcun modo le sue parole. Ciò che pensava veniva vomitato di fuori, come in preda a un'euforia irrefrenabile.
«Cavalieri! Sono un uomo di poche parole, ma da me non ascolterete mai alcuna bugia! Mai vi mentirò! Non vi prometto la gloria, perché non posso darvela! Non vi prometto che vi salverete tutti, perché non sarà così! Non vi prometto che non soffrirete, perché senza sofferenza non c'è gioia! Non vi prometto che resterete voi stessi, perché la guerra cambia tutto... Ma una cosa posso promettervela! Io, Sir Alastair Leslie, Primo Cavaliere del Regno di Fearannheimr, Difensore della Corona, Protettore degli Uomini e dei Fatati, Custode della Gloria dei Primi Dèi e dei Comandamenti Cavallereschi di Re Arthur. Giusto con i Giusti, privo di Pietà con gli Empi, Figlio delle Terre e dei Venti del Nord e fiero Servitore della Luce come da Sacro Giuramento, GIURO che vi condurrò alla VITTORIA e darò la MIA VITA per farlo! Vinceremo questa guerra per il Regno e per il Popolo!!!»
Alastair ne era convinto. Se proprio era necessario combattere una guerra inutile (ammesso che esistano guerre utili), tanto valeva vincerla. Dopo qualche secondo di morbosa mancanza di suoni, respiri disarmonici che si accoppiavano con l'aria circostante, il lieve vento cominciò a trasportare grida di battaglie, terremoti sonori che fecero squillare l'ambiente come un mare le cui onde s'infrango fragorose contro le rocce. Il cavaliere aveva avuto l'effetto desiderato, senza esser costretto a dir loro alcuna bugia. Thor emise un nitrito, si sollevò dal suolo su due zampe per poi piombare pesante con gli zoccoli sul terreno, sollevando un piccolo polverone. Frattanto, Sir Smith ridacchiò soddisfatto della scena, mentre Sir Wood rideva entusiasta di sano gusto e, facendo sollevare a sua volta il destriero, enunciò: «Per gli Dèi! Col cazzo che morirò di vecchiaia! Voglio morire su un fottuto campo di battaglia e sento che questa sarà la guerra più assurda e incredibile di tutta la storia dei Sette Regni!»
Quelle affermazioni, sommerse dal mare di voci esagitate, furono seguite da un nuovo comando del Vice Comandante: «Andiamo uomini!» Come uno scroscio estivo, una valanga di carne, sangue e ossa si riversò sul ponte, attraversando in preda all'enfasi più totale quella strada troppo stretta per un esercito, superando infine i confini del Regno ed entrando in territorio ormai nemico. Quella lunga carovana di militari si mosse rapida per le vaste terre del Regno di Uisgeheimr, seguendo per giorni le indicazioni fornite dalle mappe che avevano a disposizione.
L'esperienza di Alastair fu travagliata, anche perché, oltre a mantenere alto il morale delle truppe e a dover dare indicazioni in continuazione, si sentiva alienato all'idea che qualcuno potesse ucciderlo in qualsiasi momento. Il suo livello di accortezza raggiunse livelli maniacali (ed esasperanti a dir poco), non facendo nulla che non fosse sotto il suo completo controllo o attenzione. Non si faceva portare i pasti da nessuno, ma preferiva cacciarsi da sé la selvaggina, cavalcando sempre il suo destriero (incuriosendo non poco gli uomini sotto il suo comando per quel bizzarro comportamento), e stessa cosa accedeva per l'acqua, preferendo di volta in volta raccoglierla da un ruscello diverso. La notte, invece, dormiva all'aperto e non nel suo capanno, con il fuoco accesso, cambiando postazione ogni volta (facendo esasperare alle prime luci dell'alba chi lo cercavano) e con Thor vicino. Se ci fosse stato un pericolo imminente, l'animale se ne sarebbe accorto in anticipo rispetto al padrone.
Comunque, l'esercito arrivò a percorrere tra le 40 e le 50 miglia a ogni calar del sole, per poi fermarsi per la notte. A parte qualche capanno di contadini, non trovarono nulla di significativo. Sebbene avesse ricevuto ordine di bruciare i campi, Alastair decise di non eseguire in alcun modo quel comando e i suoi Ufficiali lo appoggiarono in tale scelta. Tutti e tre avevano stabilito che, giunti a quel punto, sarebbe stato più saggio indebolire il nemico sfruttando l'effetto sorpresa dell'invasione. Avrebbero attaccato le piccole roccaforti dei signori locali.
Più facili da espugnare, avrebbero garantito un riparo per l'esercito, centri di controllo sparsi lungo il percorso fino al confine e allo stesso tempo la loro occupazione avrebbe impedito di dare rifornimenti d'uomini e di cibo al nucleo vero e proprio dell'esercito nemico, senza per questo affamare la popolazione locale. Passarono tre giorni e tre notti prima di poter arrivare a sguainare le loro spade e far assaggiar loro il lucido sangue. Ma c'erano due fatti che non si sarebbero mai aspettati accadessero, Alastair compreso. Il primo era che lungo il percorso sarebbero stati costretti ad attaccare un piccolo villaggio privo di fortificazioni, proprio come tappa primaria. Il secondo è quanto avessero sottovalutato gli oscuri segreti troppo ben custoditi nel Regno di Uisgeheimr.
FINE PARTE 1
Spazio autore
Con questa puntata, si conclude la prima parte del romanzo. Alastair è partito per la guerra, pieno di dubbi e d'incognite. Finalmente, promesso, la quantità d'azione e di adrenalina cresceranno. Grazie per chi ha avuto il coraggio di leggere fino a questo punto!
Sto per dire (scrivere) una cosa che chi è abituato a leggere i miei romanzi, ne conosce bene il significato e inizia a tremare: sta per arrivare il delirio!
Perché come dice Annalise Keating, interpretata da Viola Davis, nella serie tv "How to Get Away with Murder": «Non deve avere senso, deve solo sembrare un casino.»
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