CAPITOLO 7
7
Lo studio del Cardinale era un ambiente caotico e minimale al tempo stesso. Una piccola stanza con il soffitto a volte di un marmo bianco sbiadito dal tempo al centro della quale si trovava una grande scrivania di legno scuro. Sopra di essa erano sparsi una miriade di fogli, con alcune cartelle impilate ai lati. Sotto alcuni volumi s'intravedeva un laptop. Due librerie, stracolme di libri e testi antichi incorniciavano le pareti altrimenti spoglie. Non c'erano quadri, poltrone o soprammobili, solo due sedie e una Kentia come unici elementi d'arredo, oltre a una finestra che dava su un cortile interno.
Roberto de Nobili era seduto dietro la scrivania. Quando Lapo fece il suo ingresso la prima cosa che notò e che pareva stanco e provato dalla cerimonia funebre.
Si mise a sede e cominciò con il ringraziarlo per avergli concesso udienza senza preavviso, riconoscendo che avrebbe potuto avere impegni più urgenti. Il Cardinale rispose con un sorriso stanco, spiegando che Ettore era stato uno dei suoi cari amici, quindi era il minimo che potesse fare.
La conversazione di spostò allora sui rapporti con Ettore e quando Lapo confermò che non si vedevano né sentivano da tempo, il Cardinale, con sua grande sorpresa, gli rivelò che Ettore gli aveva parlato molto spesso di lui, inclusi dettagli personali.
«Mi ha raccontato del suo lavoro, della vita che ha intrapreso, ma anche e soprattutto del suo difficile rapporto con la famiglia, se intende quello che voglio dire.»
Lapo annuì, sorpreso dall'affetto che Ettore aveva provato per lui.
«La stimava molto» continuò il Cardinale «ma non credo che lei sia venuto fin qua per discutere di questo, o mi sbaglio.»
«No, ha ragione. So che potrebbe non essere il momento adatto, ma vorrei parlarle di una questione delicata.»
«Di cosa si tratta?»
«Lei cosa sapeva del lavoro di mio zio? Delle sue ricerche, intendo.»
«Molto, a dire il vero. Discutevamo spesso fino a tarda notte. Ultimamente era ossessionato dai catari e dal loro segreto. Credeva di aver trovato una pista e voleva seguirla a tutti i costi.»
«E lei non era d'accordo?»
«Certo, solo che più volte l'ho messo in guardia sui pericoli che stava correndo, ma lui non ha mai voluto ascoltarmi.»
«Cosa è successo la sera della sua morte?»
«Che io sappia niente d'insolito. Dopo essere stato nella Biblioteca come faceva quasi ogni sera, è venuto da me.
Aveva bisogno di confidarsi e io l'ho ascoltato. Poi se ne è uscito per tornare nel suo studio. È stata una tragedia ciò che è successo.»
«Non so se ne è al corrente, ma il giorno in cui mi è stata comunicata la sua morte, mi sono accorto di aver ricevuto una mail. Risaliva alla sera precedente.»
«No, non ne sapevo niente» gli rispose Roberto. «Scommetto però che le ha chiesto di venire a Roma per discutere di una faccenda privata, giusto?»
«Esattamente.»
«Mi dica cosa le ha scritto, per favore» le sue mani tremavano mentre parlava.
«Si sente bene?»
«Sì, sono solo ancora molto scosso.»
«Capisco. Se vuole possiamo discuterne in un altro momento.»
«No, parlare attenua il mio dolore.»
Lapo annuì.
«Il contenuto del messaggio riguardava principalmente il risultato dei suoi ultimi studi sulla religione catara, proprio come mi ha accennato lei poco fa. In particolare, mi ha parlato della crociata indetta dal Papa e di un presunto tesoro che avrebbe potuto scuotere la Cristianità.»
«Come immaginavo. Nient'altro?»
«Per la verità sì. Mi ha scritto di aver trovato una specie di indizio e che a volte non si sentiva al sicuro.»
Roberto de Nobili si alzò, visibilmente preoccupato. Rimase in silenzio per qualche secondo, rimuginando fra sé, poi alla fine disse. «Ha perfettamente senso.»
Si mise quindi a camminare per lo studio, in preda all'ansia.
«Mi dice che sta succedendo, Cardinale? Cosa ha scoperto mio zio?»
«Non ne ho idea. Nessuno lo sa, a dire il vero. È complicato.»
«Provi a spiegarsi.»
«Cosa sai della crociata contro i Catari?»
«Non molto.»
«Cercherò di farle un riassunto. Si tratta di una delle pagine più atroci e buie della storia della nostra Chiesa. Tutto ebbe inizio in Francia verso la metà del 1100, nelle terre di Occitana, anche se, secondo molti storici, l'origine della dottrina albigese potrebbe risalire addirittura a molto tempo prima, affondando le sue radici nel manicheismo e nell'impero bizantino.
Ma non è di questo che dobbiamo parlare. Il vero problema risiede nella base della dottrina catara, nel suo fondamento, nella semplicità e autenticità di quella religione che si poneva in netto contrasto con la ricchezza e la falsità del clero. Per dirla in parole povere i catari predicavano la povertà della Chiesa e un ritorno alla purezza delle origini, condannando la corruzione di Roma»
Fece una pausa come a far intendere che ancora oggi era molto difficile attenersi a quel modo di vivere, poi riprese. «Il periodo di cui stiamo parlando era caratterizzato da una Roma papale che rappresentava una vera e propria potenza. Essa esercitava una grande influenza sul mondo cristiano e sulla popolazione. Possedeva terreni, palazzi e utilizzava il suo potere per mantenere quei privilegi e quelle ricchezze accumulate nel corso dei secoli.
Non avrebbe mai tollerato, né tantomeno accettato, una dottrina che mirava a destabilizzare la sua posizione predominante. Così il Vaticano indisse una crociata per estirpare quel credo. Tacciò i catari, e tutti coloro che li seguivano, di eresia e in nome della vera fede massacrò centinaia di innocenti, bruciandoli vivi o torturandoli. Furono distrutte città, interi villaggi e fortezze. Fu uno sterminio. In molti nel corso del tempo si sono chiesti cosa potesse aver giustificato una simile violenza o quale potesse essere la vera causa dell'unica crociata perpetrata da cristiani contro altri cristiani.»
«Mio zio ha espresso gli stessi concetti nella sua mail. Lui era convinto che dietro a tutto ciò ci fosse l'ostinata determinazione della Chiesa nel voler prendere possesso di quel segreto che i catari custodivano così gelosamente.»
«Sì, è la tesi che tanti sostengono. E che anche io appoggio. Cosa sia, purtroppo, e come le ho già detto, nessuno lo sa. Tante ipotesi sono state elaborate in merito, ma niente che abbia un fondamento concreto. In ogni caso deve essere un segreto che la Chiesa teme sopra ogni cosa, e per il quale è stata capace di indire un massacro di enormi proporzioni.»
«Lei crede che mio zio abbia trovato davvero qualcosa che potrebbe condurci verso la soluzione del mistero?»
«È probabile.» gli rispose tornando alla scrivania. Si piegò e aprì un cassetto tirandone fuori un taccuino. Glielo porse. «Tenga, credo che questo serva più a lei che a me.»
«Che cos'è?»
«Il suo diario. Qua dentro troverà tutto ciò che c'è da sapere sulla vicenda dei catari. I libri consultati, le ipotesi, i fatti occultati dalla Chiesa. Insomma, tutte le informazioni che suo zio ha raccolto nel corso degli ultimi mesi. Me lo ha consegnato prima di uscire dallo studio la sera in cui è morto.»
Lapo lo prese. «Lei pensa che qualcuno sapesse?» aggiunse poi con espressione pensierosa. «Che magari abbia tentato di metterci le mani sopra? Per esempio, cercandolo nello studio del Prefetto?»
Roberto non proferì parola, ma dalla sua espressione si capiva che anche lui era giunto alla medesima conclusione. Aveva intuito perfettamente cosa Lapo stesse ipotizzando.
«Non ho prove per rispondere alle sue domande e non voglio pronunciarmi in merito. Sarebbe troppo rischioso, almeno per il momento. Quello che invece posso dirle è che Ettore stesso mi aveva chiesto di averne cura» riprese parlando del taccuino e sviando così l'argomento precedente «ma credo che avrebbe voluto che lo tenesse lei. Per proseguire ciò che lui aveva iniziato.»
«Ed è proprio quello che ho intenzione di fare.»
«Lo immaginavo. Però stia attento signor Colonna» lo ammonì Roberto. «Come ho già detto a suo zio, in Vaticano ci sono troppe orecchie che ascoltano e troppi occhi che spiano. Il segreto dei catari, qualunque esso sia, fa gola a molti e non tutti sono mossi da nobili ideali.
Non si fidi di nessuno, lo tenga bene a mente.»
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