CAPITOLO 41

41

«Per quanto riguarda il piano superiore» ricominciò Sofia «ci sono solo tre luoghi attraverso i quali è possibile accedervi, le torri numero tre, cinque e sette.»

«Da quale partiamo?»

«Direi da quello che viene definito come l'itinerario minore. Entriamo nella torre tre.»

«Dalla quale si dovrebbe arrivare nella sala quattro.»

«Sì, anche se questa ha tutta l'aria di essere solo una semplice stanza di passaggio. L'unica cosa degna di nota che ho trovato sembra essere una porta-finestra che si apre sulla balconata interna.»

«E che mi dici della tre?»

«Nulla di significativo a parte una grande finestra da cui si può vedere la cittadina di Andria. Tra l'altro ho letto che nella cripta del suo duomo sono seppellite due delle mogli di Federico.»

«Interessante, ma non vedo come ci possa aiutare. Dimmi della stanza numero due.»

«È caratterizzata da un paio di sgabuzzini, uno con lavabo e acqua corrente e un altro con i servizi igienici.»

«Non è che ciò che cerchiamo. Scartiamo anche queste.»

«Allora non ne rimangono molte. Restano da esaminare la cinque, la sei, la sette e la otto. In questo caso però mi sento già di dirti che non hanno una grande attrattiva, a parte il fatto che, come ho letto in una nota, possono essere considerate come la parte nobile del maniero.»

«Si sa il perché?»

«Per il loro orientamento che va da oriente a occidente passando per il sud e poi per la grande luminosità visto che sono tutte dotate di imponenti finestre. E infine per la disposizione degli stanzini, dei servizi e delle scale e per gli accessi alla balconata interna.»

«Però niente nicchie o simboli strani che tu sappia.»

«No, niente.»

«Ci sta sfuggendo qualcosa, Sofia. Hai altre informazioni utili sul secondo livello?»

«A parte ciò che riguarda la disposizione delle stanze, e la comunicazione tra di esse e i due piani, no.»

«Che vuoi dire?»

«L'ho notato quasi per caso, ma pare che colui che ha costruito questo castello si sia premurato di rendere le entrate e le uscite semplici per chi conosceva la pianta del maniero, ma un vero e proprio rompicapo per un eventuale intruso.»

«Lo terrò a mente quando saremo all'interno. Dimmi piuttosto dell'unica stanza rimasta, la numero uno. Perché l'hai tenuta per ultima?»

«Da ciò che ho letto mi è parsa la più promettente. Solo che prima volevo escludere il resto.»

«Cos'hai scoperto?»

«È stata definita la sala del trono, anche se un trono non c'è mai stato, e credo che il nome derivi dal fatto che si tratta della sala più importante di tutte.»

«Motivo?»

«In realtà sono molti. Si trova in una posizione dominante, esattamente sopra il portone d'ingresso principale. Ha una porta finestra che dà sul cortile interno e da cui un tempo partiva una specie di lunga passerella che la collegava alle porte finestre delle sale quattro e sei dello stesso piano. E infine, cosa peraltro da non trascurare, è il punto di arrivo di un itinerario privilegiato, come se fosse il luogo in cui si esprimeva in modo simbolico il passaggio dalla carne allo spirito.»

«Bene, cerchiamo allora informazioni su questa stanza. Immagini, incisioni, leggende, qualsiasi cosa che ci possa essere utile. Anche il più piccolo dettaglio potrebbe fare la differenza.»

«Sapevo che me l'avresti chiesto e ti ho anticipato.»

«Ebbene?»

«Ci sono diverse cose che rendono tale stanza, rispetto a tutte le altre, molto particolare. Una delle prime che mi ha colpito riguarda l'intero perimetro. Lungo tutti i lati corrono delle panche in pietra calcarea, che farebbero pensare a una sorta di ambiente monacale, più adatto alla meditazione e al raccoglimento che all'esercizio del potere imperiale.»

«Stanza spirituale, ambiente sobrio, conclusione del percorso iniziatico. Altro?»

«Ci sono molti elementi che rimandano al simbolismo dell'acqua, intesa come purificazione e liberazione dagli elementi materiali. Un tema ricorrente in tutto il Castello, se si pensa alle cisterne presenti sul terrazzo, a quella interrata sotto la pavimentazione del pianterreno e alla vasca ottagonale che doveva essere al centro esatto del cortile.»

«E in quella stanza cosa c'è che ricorda tale simbolismo?»

«Di sicuro una canalina, che si trova alla base delle pareti e al di sopra dei sedili in pietra. Veniva usata per la raccolta dell'umidità che trasudava dalle pareti, un tempo ricoperte da grosse lastre di marmo.

In effetti ho letto che tutte le stanze del primo piano sembrano essere progettate come delle enormi vasche, come se i viandanti fossero alla costante ricerca di purificazione.»

«Immagini? Hai notato per caso se ci sono delle incisioni particolari? Qualcosa che rimandi alla religione catara?»

«Ci sarebbe la testa barbuta nella chiave di volta.»

«Dimmi di più.»

«Tu lo sai qual è la funzione della chiave di volta?»

«So che è un elemento portante, quello che serve a scaricare il peso sostenuto da un arco.»

«Sì, in architettura, ma nella simbologia essa rappresenta l'elemento intorno al quale di solito ruota una dottrina, una scuola di pensiero, una religione.»

«Allora ci siamo. Ce l'hai un'immagine?»

«Solo un secondo.»

Sofia armeggiò con il computer e poi lo mostrò a Lapo. «Eccola qua.»

«Sembra davvero un volto. Chi rappresenta secondo te?»

«Mosè, un mago, un filosofo, un astrologo. Non lo sa nessuno. Però ho notato una cosa. L'intera figura è a forma di rombo, o quadrato inclinato se preferisci, e i suoi quattro vertici, quasi in rilievo, se uniti virtualmente sembrano voler ricordare una croce.

E c'è ancora una cosa.

Ho letto che all'interno delle pupille, quando venne costruito il castello, si trovavano due pietre dure ancorate alla scultura tramite dei supporti metallici. Oggi non ci sono più, ma quelle due orbite vuote potrebbero rappresentare un ottimo punto in cui inserire un meccanismo di apertura.»

«Stai dicendo che quella pietra potrebbe celare il nascondiglio del tesoro dei catari?»

«Perché no? Sarebbe il luogo perfetto. Pensaci. Al centro della stanza più importante, a conclusione del percorso di purificazione, centro nevralgico della struttura e chiave di volta. Inoltre, gli occhi sono di solito lo specchio dell'anima. Ancora un simbolo preciso.»

«Tutto quadra.»

«Già e se partiamo da questa ipotesi anche i particolari più assurdi e apparentemente fuori luogo assumono un significato preciso. Sto pensando, per esempio, alle venature rosse del marmo nelle colonne che ornano i vertici della stanza.»

«Di che stai parlando?»

«Di questo» rispose lei indicandogli una fotografia in cui si vedevano bene le sfumature cremisi su tutta la lunghezza delle colonne.

«È voluto o naturale?»

«Non lo sappiamo. Ma a me piace credere che abbiamo deciso di scolpire il ricordo di tutto il sangue versato dagli innocenti massacrati durante la crociata di Innocenzo III.»

«Una sorta di monito per le generazioni future, un memoriale dedicato alla vita di coloro che hanno sofferto per portare avanti le loro idee...»

«Io la vedo così, sì. E non credo di sbagliarmi, dopotutto.»

«Sai a cosa stavo pensando? Che avrei voluto che mio zio vedesse tutto questo.»

«Aveva ragione a volere che fossi tu a proseguire le ricerche. Sarebbe fiero di te, Lapo.»

«Già. E adesso capisco anche perché mi ha mandato quella mail.»

«Dobbiamo trovarlo. Per lui, per noi, per la chiesa. Ora più che mai»

«Sono d'accordo» si alzò dalla sedia avvicinandosi alla finestra.

Il suo sguardo si perse in lontananza. Stette in silenzio per qualche minuto, poi si girò verso Sofia. «Forza, abbiamo ancora un po' di tempo prima che l'orario delle visite finisca. Mettiamo a punto ogni dettaglio e prepariamoci ad affrontare il peggio.»

***

Dopo aver ricevuto la telefonata di Rosa, Isabel si era rilassata. Dodici ore erano un tempo più che sufficiente per mettere a segno la sua vendetta. Poteva pianificarla al meglio e prepararsi a ciò che l'attendeva.

Guardò l'orologio, le sei di pomeriggio.

Stando a ciò che Rosa le aveva detto, il Castello sarebbe stato a loro disposizione per tutta la serata, su gentile concessione dei Servizi Segreti.

Era l'ora. Salì in macchina e attese.

Mezz'ora più tardi vide arrivare quella su cui si trovavano Lapo e Sofia. La lasciò passare e, dopo qualche minuto, si mise dietro di loro imboccando la statale 170.

Qualche centinaio di metri più avanti voltò a sinistra entrando nella stretta strada in salita, che, circondata dagli alberi, conduceva fino in cima alla collina.

Giunta allo sterrato dietro la Taverna Sforza, si fermò e parcheggiò. In giro non c'era più nessuno.

Scese dall'auto e si mise lo zaino in spalla, non senza aver prima controllato che la pistola fosse carica e pronta all'uso. Alla fine s'incamminò attraverso il prato, con i sensi all'erta, fino a che non giunse sotto la mole maestosa di Castel del Monte.

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