CAPITOLO 23

23

«Dobbiamo fare qualcosa!» Sofia sbatté il pugno sulla scrivania in preda alla frustrazione. «È passato già fin troppo tempo!»

«La capisco» le disse Rosa cercando di calmarla «ma le ricordo che lei è sotto la mia responsabilità, almeno fino alla conclusione della missione e che Colonna sta agendo al di fuori dei canali del C.I.I.»

«Quindi?» Sofia non aveva intenzione di mollare.

«Dobbiamo agire con cautela. Tra l'altro non abbiamo la certezza che si trovi ancora al monastero di Uclés.»

«E dove altro potrebbe essere?»

«Ovunque, per esempio.»

«Non ho intenzione di lasciarlo da solo. Agirò da sola se necessario.»

«Non andrà da nessun parte se non mette a freno la rabbia. Colonna è un agente addestrato. Per adesso dobbiamo contare sulla sua abilità, almeno fino a quando non avremo le idee un po' più chiare sui prossimi passi. La chiave sta nel diario e fintanto che l'abbiamo noi nessuno correrà alcun rischio.»

Sofia si mise a sedere.

«Perciò suggerisce di leggerlo.»

«Sì. Se come ha detto lei Ettore Colonna ha inserito lì dentro tutto ciò che è riuscito a trovare sul probabile viaggio dei quattro catari immagino che debba aver annotato anche eventuali commenti sulle possibili mete.»

«Direi di sì, quantomeno i luoghi in cui sono state avvistate le comunità catare nel corso del tempo. Italia, Francia, Spagna, senza tralasciare nessun paese e soprattutto senza sapere il punto esatto di arrivo di quella spedizione.»

«Che noi però adesso conosciamo.»

«D'accordo» concluse Sofia «facciamo a modo suo, ma se non troviamo nulla io vado a Uclés.»

***

Lapo stava osservando con disprezzo il volto di de Nobili, l'uomo che aveva detto di essere stato un grande amico di suo zio e che aveva tenuto quell'omelia così toccante durante la messa funebre. Tutte stronzate!

Era riuscito a ingannare tutti, lui compreso, ed era stato anche dannatamente bravo.

«Perché?» fu l'unica parola che riuscì ad articolare dopo aver messo a fuoco la cruda realtà

Roberto sorrise. «È complicato.»

«Cosa è complicato? Tradire l'amicizia? Organizzare un omicidio? Io ho creduto alle sue parole e mio zio si fidava di lei.»

«Vero. Ma io non ho mai avuto niente contro Ettore. Lo stimavo come uomo e come studioso. Solo che non condividevo le sue idee in merito alla divulgazione del segreto dei catari.»

«E allora perché lo sta cercando?»

«Perché voglio distruggerlo.»

«Distruggerlo?»

«Sì, esatto. Eliminarlo dalla faccia della terra una volta per tutte. È sempre stato il nostro giuramento, fin dalla fondazione dell'Ordine. La chiesa non era pronta per questo allora, e non lo è neppure adesso.»

«Mio zio credeva di sì.»

«Lo so. Anzi, a dirla tutta lui auspicava davvero uno sconvolgimento, voleva che si realizzasse un cambiamento epocale, perché era convinto che in tal modo potessero risorgere i valori autentici delle origini. Ma si sbagliava. Ciò che veramente accadrebbe, sarebbe solo un disastro senza precedenti.»

«Per chi? Per la chiesa o per coloro, che, come lei, non vogliono perdere i privilegi?»

«Non mi aspetto che lei capisca.»

«No infatti non comprendo la vostra dottrina e non la comprenderò mai. Quello che so è solo che mio zio agiva per un bene superiore, che voleva una Chiesa autentica. E per questo è stato brutalmente assassinato. Come ci si sente?»

«Io non devo certo rendere conto del mio operato a lei. E poi mi pare che stia usando parole un po' troppo forti, senza avere uno straccio di prova. Non parlerei di omicidio, quanto piuttosto di uno spiacevole incidente.»

«Incidente un corno. Lo sappiamo tutti che non è andata così. Lei stesso, quando eravamo nel suo studio, mi ha messo in guardia. Ricorda? In Vaticano ci sono troppe orecchie che ascoltano e troppi occhi che spiano e controllano. Si riferiva a lei per caso?»

Roberto sorrise. In fondo quel giovane gli piaceva e per certi versi assomigliava molto a Ettore. Impulsivo, testardo, intelligente e coraggioso. «Devo riconoscere che ha un'ottima memoria, solo che, per i miei gusti, tende un po' troppo a non ascoltare. Comunque, per tornare a suo zio, sì, ne convengo, non doveva finire così.»

Lapo lo fissò ancora in volto, non credendo a una sola parola, ma fintanto che aveva voglia di parlare, ben per lui.

Aveva bisogno di tempo.

Non sapeva ancora bene perché, ma era quello di cui più necessitava in quel momento.

Tempo.

«Se quello che mi sta dicendo è vero» continuò quindi cavalcando il fatto che Roberto sembrava essere propenso a dare spiegazioni «c'è ancora una cosa che non riesco a incasellare in tutto il quadro. Perché non ha letto il diario e basta? Perché consegnarmelo per poi mettere in scena tutto il resto?»

Roberto fece una leggera risata. «In realtà era proprio quello che avrei voluto fare, la sera stessa che Ettore me lo ha consegnato, ma la sua morte ha creato un certo trambusto in Vaticano e non ne ho avuto il tempo. Il giorno dopo è arrivato lei. Non lo avrei mai creduto, ma quando l'ho vista al funerale ho capito che ci sarebbero stati guai in vista. E non mi sbagliavo, in effetti. Ettore aveva un punto debole e, che ci creda o no, era proprio lei.»

«Infatti non ci credo.»

«Faccia come vuole, ma, come le ho già accennato, Ettore mi parlava continuamente di quel suo nipote che lavorava per il C.I.I. Ne andava molto fiero e poco tempo fa mi confessò pure che non gli sarebbe dispiaciuto se a proseguire nelle ricerche che stava conducendo fosse stato proprio lui. Per questo quando è giunto a Roma, ha inavvertitamente scombussolato i miei piani. Non facevo che pensare: e se Ettore gli avesse rivelato informazioni di cui io non sono a conoscenza? Se gli avesse detto, per esempio, di aver tenuto un diario dei suoi studi sui catari e che in caso di problemi lo avrebbe dato in custodia all'unica persona in grado di capire l'importanza di quelle ricerche?

No, se io non glielo avessi consegnato il giorno del funerale, quando è venuto nel mio studio, avrei attirato subito la sua attenzione ed era un rischio che non potevo correre.

Ho dovuto giocare d'azzardo e far finta di essere dalla sua parte, per poi chiedere che venisse mandato qualcuno a recuperarlo. Il resto lo sa anche lei.»

Era furioso e se non si fosse trovato legato a una sedia all'interno di una cripta sotterranea, con un potente veleno in circolo nelle vene e al cospetto dei membri di un antico Ordine monastico, probabilmente non avrebbe creduto a una sola parola di ciò che aveva appena udito.

Invece sapeva che era la pura e semplice verità.

«Vedo che non trova le parole» Roberto si avvicinò al suo volto «meglio così. Abbiamo perso fin troppo tempo e la lancetta corre veloce. Adesso basta. Voglio sapere cosa c'era scritto in quel dannato diario e cosa è andato a fare a Montségur.»

«Vada al diavolo!»

Roberto mosse fulminea la mano verso il suo volto e lo colpì.

«È questo che vi insegnano in Vaticano? A picchiare le persone?»

«La nostra pazienza ha un limite. Se non collabora mi vedrò costretto a ricorrere a metodi molto più persuasivi.»

«Faccia ciò che vuole. Non le dirò un bel niente. Preferisco morire.»

«Come vuole, allora» si voltò per parlare con Correa che, per tutto quel tempo, se ne era stato in disparte, in silenzio.

«Ho finito con lui. Avevi ragione tu. Portalo nella stanza delle torture e fa ciò che devi.»

In quel momento un sibilo acuto fendette l'aria. Roberto gridò, cadendo a terra, la mano stretta sulla spalla sinistra.

Lapo strabuzzò gli occhi, poi si voltò intorno cercando di capire da dove fosse partito lo sparo. Aveva riconosciuto il colpo di un'arma con il silenziatore solo che la luce abbagliante sopra la sua testa gli aveva impedito di distinguere bene oltre una certa distanza.

Sentì altri sibili, ma niente grida.

Poi un rapido rumore di passi sulla pietra. Qualcuno stava scappando, probabilmente verso il lato opposto della stanza, approfittando della semioscurità. Immaginava anche chi potesse essere, ma in quel momento non gli interessava più di tanto. Erano ben altre le domande che gli frullavano per la testa.

Chi diavolo era a sparare? E soprattutto, perché non stavano colpendo lui?


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