CAPITOLO 16

Midi-Pirenei

Sud della Francia

16

L'aereo atterrò all'aeroporto di Carcassonne che erano da poco passate le dieci di mattina. La giornata era bella, con un sole caldo che ogni tanto veniva oscurato da una manciata di nuvole disseminate nel cielo come se vi fossero state gettate alla rinfusa.

Una volta scesi dall'aereo, Lapo e Sofia noleggiarono una Citroen grigio scuro e s'immisero sulla statale D119.

«Pensi che i Cavalieri siano già sulle nostre tracce?» domandò a un tratto lei evitando di dover affrontare altri argomenti più imbarazzanti.

«È probabile. Scommetto quello che vuoi che sanno esattamente dove siamo in questo momento.»

«È confortante questa tua sicurezza.»

«Fino a quando non avremo trovato ciò per cui siamo venuti qua, non ci daranno alcun fastidio. Non gli converrebbe.»

«Questo lo credo anche io, ma a preoccuparmi è il fatto che non abbiamo un piano ben preciso.»

«E quando mai questo ti ha fermata? Se non ricordo male eri tu quella con le palle quando ci siamo conosciuti.»

«Se stai cercando di farmi un complimento, guarda che non funziona.»

«Veramente dicevo sul serio e per quanto possa servire, mi dispiace per come sono andate le cose ... tra di noi, intendo.»

Lei non rispose.

«E lo schiaffo lo meritavo tutto.»

Sofia abbozzò un sorriso. «Facciamo che siamo pari, allora.»

«Ci sto.»

Lei aprì il finestrino.

«I cavalieri di Santiago possono essere molto pericolosi, Lapo» aggiunse con aria preoccupa. «Sono sempre stati disposti a tutto pur di raggiungere il loro scopo, non dobbiamo abbassare la guardia.»

«Terremo gli occhi aperti, come sappiamo fare. Ascolta, conosco un ottimo rimedio per allentare la tensione. Me lo hai insegnato tu. Ricordi in Albania?»

«La nostra prima missione, certo. Quindi vorresti parlare.»

«Esatto.»

«E cosa vuoi sapere?»

«Tutto ciò che riguarda la storia di quella fortezza, dell'assedio e della notte in cui quei quattro catari fuggirono. Ogni dettaglio, qualsiasi cosa tu conosca e che potrebbe tornarci utile.»

Lei afferrò il messaggio.

«Sulla fortezza non c'è molto da dire. Fu costruita sotto la direzione di Raimon de Péreille, su rovine già esistenti, nel 1204, come estremo rifugio per i catari perseguitati dalla Chiesa. Il sito era infatti già noto ai cattolici, tanto che nel Quarto Concilio Laterano del 1215 il vescovo Folco di Marsiglia aveva accusato il conte Raimondo-Roger di Foix di proteggere con fortificazioni gli eretici albigesi. Col proseguire della crociata e la caduta dei centri di resistenza catara, Montségur acquisì sempre più importanza, tanto che alla fine venne additato dal clero cattolico come Sinagoga di Satana

«E in merito all'assedio?»

«In questo caso le informazioni sono più variegate. Ciò che sappiamo è che intorno al 1243 dentro Montségur si trovavano più meno quattrocento catari, sotto la guida di Guilhabert di Castres, il vescovo di Carcassonne, Raimon de Péreille e Pierre Roger di Mirepoix. L'assedio durò circa undici mesi e alla fine Montségur cadde sotto gli assalti del siniscalco reale Hugh de Arcis. Tutti gli eretici furono catturati, condotti alla base della fortezza e bruciati sul rogo. Ciò però che ha sempre sconcertato gli studiosi è che nessuno oppose resistenza quando le porte della fortezza vennero aperte, quasi fosse l'epilogo di un piano ben congegnato.»

«Cosa pensi che sia accaduto in realtà?»

«È una storia affascinante, ma preferirei raccontartela mentre mangiamo qualcosa. Guarda siamo arrivati e il mio stomaco comincia a brontolare.»

***

Una volta giunti nel borgo medioevale di Montsègur seguirono il navigatore fino alla trattoria più vicina situata in Rue du Village. Vi giunsero meno di cinque minuti più tardi e parcheggiarono l'auto in una stretta viuzza incorniciata fra una lunga serie di vecchi edifici con le montagne sullo sfondo.

«Sembra accogliente» commentò Sofia osservando il cartellone di legno posto sopra la porta d'ingresso.

«A la Patate qui fumé» lesse Lapo chiudendo la portiera della macchina. «Mi piace. Dai entriamo.»

Furono accolti da un piacevole odore di cacciagione mentre osservavano le consunte travi che decoravano il soffitto e l'intero arredamento in legno. Un leggero brusio proveniva dalla zona ristorante situata in posizione rialzata rispetto alla strada, ricavata dentro una piccola costruzione di origine probabilmente ancora più antica e collegata all'edificio principale. L'ambiente appariva in gran parte rustico con grosse e massicce porte e grandi finestre da cui filtrava una calda luce. Una serie di bottiglie di vino era esposta in una teca accanto all'ingresso.

Dopo aver chiesto se ci fosse un tavolo libero, salirono al piano di sopra tramite una stretta scala a chiocciola e presero posto accanto a una stufa, ovviamente spenta.

«Molto carino, non trovi?»

«Sì, ha il suo fascino. Ordiniamo?»

Dieci minuti dopo un cameriere portò loro un appetitoso piatto di tartine calde al formaggio di capra.

«Sembrano ottime» commentò Sofia assaporandone l'odore.

«Anche l'aspetto mi sembra invitante.»

«Ricordi quando abbiamo cenato insieme l'ultima volta?» fece lei guardandolo negli occhi.

«Certo, ma non credo che sia il caso di rinvangare il passato.»

«Troppo personale?»

«Può darsi. È trascorso tanto tempo e ci sono cose di me che non sai.»

«Ti va di parlarne?»

«Non adesso.»

«Un tempo mi raccontavi tutto.»

«Appunto, un tempo» prese una tartina e ne mangiò una parte. «Perché invece non mi parli di quel possibile piano dei catari? Hai lasciato l'argomento in sospeso.»

«D'accordo, facciamo come sempre a modo tuo» bevve un sorso d'acqua e riprese. «Non abbiamo notizie certe, solo ricostruzioni effettuate tramite frammenti di testimonianze, ma ciò che sembra essere assodato è che il comandante Mirapoix, consapevole della imminente caduta della fortezza, a un certo punto abbia negoziato una speciale tregua dalle ostilità della durata di circa quindici giorni. Accettò di dare persino in cambio degli ostaggi ben sapendo che non li avrebbe rivisti mai più pur di permettere ai catari di celebrare una loro peculiare festività.

Non è chiaro di cosa si trattasse o del perché venne deciso di metterla in atto, sta di fatto che dovette impressionare non poco i mercenari al soldo del Siniscalco perché molti di loro, dopo la celebrazione, si convertirono alla fede catara chiedendo di poter ricevere il rito del consolamentum, il sacramento battesimale di quella religione. Una volta finita la tregua, si consegnarono addirittura all'esercito papale lasciandosi morire insieme agli eretici.»

«Ed è vero?»

«Stando alle cronache, sì.»

«E in tutta questa vicenda potrebbe aver giocato un ruolo fondamentale l'oggetto segreto che poi fu portato in salvo?»

«A dire il vero è quello che tutti ipotizzano. Una delle tante tesi è che fu scelta la celebrazione di quel particolare rituale proprio per creare un diversivo che permettesse ai prescelti di fuggire. Dopo ciò che ha scoperto tuo zio direi che tale teoria assume una certa rilevanza.»

Arrivò di nuovo il cameriere portando il secondo. Bistecche di manzo condite con patate arrosto accompagnate da un vino dal colore rosso intenso.

«Non credevo di mangiare così bene, è veramente tutto molto buono.»

Lui annuì. Finirono quindi di parlare abbozzando anche l'idea di un piano, gustando con calma, come dessert, un'ottima crostata alle mele.

Alla fine, Lapo guardò l'orologio. Quasi le due. «Direi che siamo stati anche fin troppo» concluse alzandosi in piedi. «Credo che adesso sia giunto il momento di andare a comprare i biglietti d'ingresso alla fortezza.»

***

Isabel, al sicuro nella sua macchina, li aveva osservati attraverso il vetro della grande finestra per tutta la durata del pranzo. Adesso li vide alzarsi e dirigersi verso le scale. Fra non molto sarebbero usciti in strada, ma non era preoccupata che potessero riconoscerla. L'ultima volta che aveva avuto un incontro con quell'agente stava indossando il casco e della donna non c'era traccia.

Si chiese chi fosse.

Da come si era comportata durante il pranzo pareva che i due si conoscessero da tempo, ma lei aveva notato un certo imbarazzo nello sguardo di lui, come se si sentisse in colpa per qualcosa. La donna sembrava invece abbastanza a suo agio, anche se non le era sfuggito lo sguardo attento con cui ogni tanto aveva scrutato la sala, segno evidente del fatto anche lei doveva essere un agente.

Dunque, anche il Secret Service aveva fiutato la pista di Ettore Colonna e deciso di aiutare il nipote. E se quei due erano giunti fino a Montségur voleva dire che avevano letto il diario e trovato qualche indizio concreto come sosteneva Amaury.

Correa aveva ragione.

Erano finalmente sulla pista giusta dopo secoli e lei non avrebbe deluso il Gran Maestro.

Non appena li vide entrare in macchina, accese il motore e si mosse rapidamente precedendoli verso il parcheggio sulla statale D9.

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