46. Nuove conoscenze

Edward spiegò tutto anche a Peter e Charlotte e anche loro non la presero benissimo all'inizio. Accettarono di aiutarci solo perché Peter voleva farlo per Jasper.

Scossi la testa irritata. Sentivo che spesso quei due vampiri, posizionati in un angolo del salone, mi guardavano. Forse si sentivano in colpa per avermi quasi uccisa, non avevo voglia di leggere i loro pensieri per saperlo.
Appena ne ebbi abbastanza di quelle occhiate, mi diressi verso di loro.
«Cosa c'è? Pensavate che morissi per quell'accoltellata, forse?» chiesi acida.
«No» rispose Peter.
Alzai gli occhi al cielo «Uno "scusa" sarebbe ben accetto».
«Ho solo difeso me e lei».
«Io mi ero arresa, ti ho detto chi conoscevo e me ne sarei andata. Tu mi hai attaccata con un coltello!».
Peter non mi rispose e si voltò a guardare Charlotte, dandomi le spalle.
«Certo, ignoratemi pure...» dissi irritata.
Quando decisi di andarmene, vidi che il vampiro aveva delle cicatrici che non avevo notato quando li avevo incontrati a New York.
Erano segni di morsi, uno sul collo e uno sotto al mento. Sembravano abbastanza recenti.
«Chi ti ha attaccato poteva anche ucciderti...» dissi accidentalmente ad alta voce, allontanandomi.
«È stato Jasper» disse Peter.
Mi fermai e mi voltai a guardarlo confusa.
«Hai capito bene: Jasper».
«Ti ha costretto a venire?».
«No, mi ha punito perché ti ho quasi uccisa».
Scoppiai a ridere. Dovrò ringraziarlo, se mai tornerà.
Mi allontanai e vidi dai pensieri di Charlotte tutta la scena:

Peter e Jasper si strinsero la mano.
«Ci rivedremo a casa vostra?» chiese Peter.
Jasper si voltò a guardare Alice e poi gli rispose con un semplice "forse".
Peter annuì e Jasper si allontanò camminando con Alice. Dopo un attimo, però, Jasper si fermò.
«Oh, giusto, ancora una cosa» disse lasciando confusa Alice.
Jasper si voltò e guardò Peter poi, con un ringhio, gli si avventò contro scaraventandolo a terra.
Avvertii l'ansia di Charlotte; voleva intervenire ma non sapeva come fare, Jasper era un ottimo combattente, avrebbe potuto ucciderla come niente.
Entrambi i vampiri ringhiarono, vi fu un rumore di vestiti strappati, poi Peter urlò, un lieve rumore di pietra sbriciolata fece piombare le due vampire spettatrici nel più assoluto silenzio.
Jasper si alzò, il maglione rosso porpora era strappato e scopriva l'addome. Si diresse da Alice come se non fosse successo nulla.
Peter si alzò dopo un attimo, con due nuovi segni di morsi. «Perché mi hai attaccato, Jasper?» chiese ancora sconvolto da ciò che era avvenuto.
«Perché tu hai quasi ucciso uno della mia famiglia» rispose serio il vampiro «Una persona alla quale sono abbastanza affezionato».
«Non ho fatto nulla ad Alice!».
«Ovviamente lo so. Credi che ti avrei lasciato in vita, altrimenti?» ci fu un attimo di silenzio «E poi, so che lei è decisamente più brava di te a combattere».
Peter lo guardò offeso.
«La persona di cui parlo è una ragazza che avete incontrato a New York».
«Noi... noi non sapevamo che il licantropo fosse del tuo clan!».
«Davvero? Sai, mi fido di Chiara e ancor più di Edward quando può dirmi cosa pensa la gente...».
«Non... non sapevamo nulla».
«Allora perché sei così ansioso? Avverto perfettamente la tua paura».
Peter non rispose.
«Sappi che la prossima volta non mi fermerò prima di staccarti la testa» disse Jasper e si dileguò con Alice.

Uscii dalla mente di Charlotte e sorrisi compiaciuta.
Mi diressi in cucina e presi un pacchetto di patatine. Ovviamente ne offrii alcune a Renesmee ma, come suo solito, le rifiutò schifata.
«Le prendo volentieri io!» disse Jacob porgendomi la mano aperta.
«Ti alzi, vai in cucina e te le prendi» risposi allontanando il pacchetto di patatine dalla sua portata.
Renesmee rise e Jacob si alzò sbuffando.
Decisi di andare a dormire presto, ma non mi addormentai prima dell'alba.
Alle sette in punto mi svegliai, mi vestii ed uscii senza incontrare nessuno. Arrivai dove avrei incontrato Andrea, all'inizio del sentiero che conduceva a casa nostra, con venti minuti di anticipo. Sospirai e mi sedetti appoggiando la schiena al tronco di un albero. Di solito non dovevo dormire tanto per essere piena di energia, ma questa volta l'ansia, lo stress e tutto il resto mi avevano completamente azzerato le forze.
Chiusi gli occhi e mi assopii.

Qualcuno mi accarezzò la guancia.
«Ehi, svegliati» mormorò una voce familiare.
Aprii di scatto gli occhi e vidi Andrea inginocchiato di fronte a me.
«Tutto bene?» mi chiese.
«Sì, mi sono solo addormentata» risposi con la voce ancora impastata dal sonno, strofinandomi gli occhi.
Il ragazzo si alzò sorridendo e mi tese la mano per aiutarmi ad alzarmi.
Sorrisi anch'io e, anche se non ne avevo bisogno, mi feci aiutare ad alzarmi.
Andrea mi tirò verso di lui e mi passò un braccio attorno alla vita. «Sai, ho una proposta da farti» mormorò ad un palmo dalle mie labbra.
«E quale sarebbe?» domandai imbarazzata. Temevo che qualcuno potesse vederci, anche se sapevo perfettamente che c'eravamo solo noi due.
«Saltiamo scuola anche oggi?» mi chiese.
Ci pensai per un attimo. «Ok, ma che non diventi un'abitudine».
«Ovviamente. Da domani basta con le "vacanze illegali"».
Sorrisi divertita ed annuii, allontanandomi da lui.

«Vuoi un caffè?» mi chiese quando entrammo in casa sua, lanciando una rapida occhiata verso la cucina.
«No, grazie» risposi sedendomi sul comodo divano del salotto.
«Beh... cosa facciamo oggi?» domandò sedendosi vicino a me e mettendomi un braccio attorno alle spalle.
«Non lo so. Non intendo uscire perché ha appena iniziato a piovere ed in moto ci si bagna».
«Sì, anch'io preferirei rimanere asciutto in casa» disse ridendo.
«Ho un'idea!» esultò Andrea dopo un attimo di silenzio.
«Per cosa?».
«Per quello che potremo fare oggi».
«E sarebbe?».
«Ti ricordi il film che dovevamo vedere per scuola?».
Annuii.
«Ecco, ieri, dopo che ti ho riportata a casa, sono andato da Brian a prenderlo...».
«Mi sembra un'ottima idea, almeno non sprecheremo un intero pomeriggio a vedere un noioso film e a fare una relazione su di esso».
Andrea si alzò e salì al piano superiore, dopo pochi minuti tornò da me con la custodia di un DVD in mano. Si diresse verso la televisione e mi lanciò la custodia, dopo aver ovviamente preso il piccolo disco.
Guardai l'immagine sulla copertina. Lo sfondo era giallo e blu, al centro -dentro ad una specie di scudo bianco- vi era scritto "Hamlet" in rosso e, in nero, il nome del regista, a fianco del titolo c'era un ragazzo disegnato che reggeva una spada ed in basso alcune scene del film.
«È del 1948» mormorai «Ed è pure in bianco e nero...».
«Già» disse Andrea tornando di fianco a me.
Il film iniziò e neanche dopo venti minuti iniziai ad annoiarmi terribilmente.
Andrea si sdragliò e io feci lo stesso, appoggiando la testa sulla sua spalla. Nel mentre cercavo di combattere il sonno che mi stava lentamente avvolgendo.

Mi svegliai e mi guardai intorno confusa. Quando mi ero addormentata appoggiata ad Andrea? Non me lo ricordavo assolutamente.
«Scusa, non volevo svegliarti» disse Andrea a bassa voce «Probabilmente mi sono mosso e ti ho dato fastidio».
Mi misi a sedere appoggiando la schiena allo schienale del divano. «No, no, tranquillo». Mi passai una mano fra il capelli spettinati ed aggrovigliati fra loro. «Da quant'è che dormo?» chiesi ancora confusa.
«Non lo so. Penso da quasi tre orette».
«Tre ore?!» urlai con voce acuta.
«Sì. Cosa c'è di male?».
«Cosa c'è di male?! C'è che non capisco perché oggi ho così sonno!» piagnucolai affondando il viso nel suo petto.
Andrea ridacchiò e mi accarezzò la schiena.
«Guarda che sono seria» brontolai.
«Certo, lo so» rispose trattenendo a stento una risata, poi, a bassa voce e con un tono dolce aggiunse: «Sei solo solo stanca. Sai, è normale».
Mi spostai per poterlo guardare negli occhi «Non sono stanca».
«No, certo che no».
Alzai gli occhi al cielo e lui si mise a ridere.
«Comunque... cosa stavi scrivendo in quel block notes con i fogli bianchi?».
«La relazione del film».
«Ah. Penso che mi toccherà rivederlo per poterla fare, considerando che lo avrò guardato per massimo trenta minuti».
«Non pensarci neanche. La sto facendo io per entrambi».
«Cosa? Ma non è giusto... io non ho fatto nulla» dissi mettendomi a sedere.
«Lo so, vorrà dire che correggerai e migliorerai il testo».
«Non mi sembra giusto che tu debba lavorare quando io ho solo dormito».
«Non fare storie» mi rimproverò sorridendo «Accettalo e basta».
«Ok... a che punto sei?» chiesi guardando i fogli scritti in modo disordinato.
«Quasi finito, ma penso che ora prenderò una pausa e finirò più tardi».
«Posso vedere cos'hai scritto?» chiesi.
«No».
«Perché?».
«Perché è solo la prima stesura, quindi è scritto malissimo».
Sbuffai e, senza preavviso, mi buttai a prendere il block notes.
Andrea, che probabilmente si aspettava una reazione del genere da parte mia, riuscì ad afferrarmi e a bloccarmi, stringendomi a sé.
Provai a divincolarmi ridendo. «Dai, lasciami vedere quel foglio» dissi a pochi centimetri dalle sue labbra.
«No» rispose sorridendo divertito, guardandomi negli occhi.
«Sei cattivo...» mormorai fingendomi offesa e allontanandomi da lui, tornando seduta.
Il ragazzo ridacchiò e si avvicinò a me. Prese una ciocca di capelli che mi ricadeva davanti agli occhi e me la mise dietro l'orecchio, mi accarezzò la guancia con la mano e avvicinò di più il suo viso al mio.
In un attimo le labbra di Andrea furono sulle mie, mozzandomi il fiato in gola, iniziando un profondo bacio, intenso ed avvolgente. Sentivo le sue mani sui miei fianchi, che mi tiravano verso di lui. Senza pensarci affondai le mani nei suoi capelli neri e spettinati. Il suo corpo fu scosso da un brivido e lo sentii sorridere.
Mi mordicchiò leggermente il labbro inferiore, ma io mi allontanai interrompendo il bacio.
«Tutto ok?» mi chiese Andrea, il respiro accelerato ed irregolare, come il mio.
«C'è qualcuno in questa casa».
«Non ci sono fantasmi, te lo giuro» rispose trattenendo a stento una risata.
«Stupido...» mormorai irritata tirandogli un pugnetto in pancia.
«Ma è vero... non ci sono fantasmi».
«Intendo dire che qualcuno è appena entrato nel tuo garage».
«Oh, giusto» rispose battendosi il palmo della mano sulla fronte «Mi ero dimenticato che oggi mia madre era a casa per pranzo».
«Non è un adulto...».
Dei passetti rumorosi e veloci risalirono le scale che dalla cantina portavano in casa.
Un piccolo bimbo dai tratti orientali o forse hawaiani, ero troppo confusa per capirlo, aprì la porta. Appena ci vide corse incontro ad Andrea urlando felicemente il suo nome.
Ero molto confusa, non sapevo assolutamente chi fosse quel bambino.
Il piccolo mi guardò «Chi è?» chiese al mio ragazzo.
«Ehm...» rispose lui, ancora seduto di fianco a me «Kanai'i, lei è Chiara, la mia ragazza. Chiara, lui è Kanai'i, mio fratello adottivo».
Salutai il bambino sorridendo e intanto pensavo a perché nessuno mi avesse detto niente riguardo a questa storia.
«Mamma dov'è?» chiese Andrea.
«È sotto, sta arrivando» rispose il bambino con un perfetto accento inglese.
«Ok... che ne dici di andare a giocare in camera tua?».
Il bimbo annuì e corse di sopra.
«Dorme in camera tua?» chiesi ad Andrea.
«No. Ti ricordi la mansarda?».
Annuii.
«Beh, visto che era grande vi abbiamo inserito anche una stanza solo per lui».
«Da quant'è che è qui?».
«Da un po' di mesi. Spesso è ancora molto agitato, per esempio non riesce a dormire la notte, quindi volevo farlo integrare bene nella famiglia prima di presentartelo».
Annuii, capivo cosa si provava a dover vivere da un giorno all'altro con dei perfetti sconosciuti.
«È orfano?» domandai.
«Sì. È orfano, ha sette anni e viene dalle Hawaii».
«Ehi, Chiara!» disse una donna uscendo dalla stessa porta dalla quale era uscito il bambino. Era alta, con i capelli biondi e gli occhi azzurri.
«Ciao» risposi sorridendo.
«Hai conosciuto Kanai'i?» mi chiese.
«Sì, è adorabile».
La donna, che si chiamava Marika, si rivolse al figlio «Perché siete a casa? Niente scuola oggi?».
«È colpa mia» rispose Andrea «Mi sono sentito male e lei ha voluto rimanere con me a tutti i costi».
«Quando?».
«Quando... ero in moto e stavo andando verso scuola con lei» azzardò il ragazzo rispondendo alla madre.
«State bene? Non vi siete fatti male, vero?».
«Sì, stiamo bene. Ho... accostato subito».
«E come siete tornati a casa?».
Notando che Andrea non sapeva come rispondere, lo feci io al posto suo. «Ho chiamato mio fratello Emmett che con la jeep ha potuto riportare qui anche la moto».
Marika annuì. «Perché non mi avete chiamata subito?» chiese dopo un attimo.
«Perché se lo avessimo fatto ti saresti terribilmente preoccupata» rispose Andrea con un tono convincente «E noi non vogliamo questo...».
La donna sospirò «Ok, io vado a cucinare per pranzo e vi lascio stare...».
Io e Andrea ci guardammo e ci trattenemmo dallo scoppiare a ridere.

Il pomeriggio passò velocemente e alla sera, dopo cena, Andrea, che ormai si sentiva decisamente bene, mi accompagnò a casa, fermandosi ancora una volta all'inizio del viale che conduceva ad essa.
«Sei sicura di non volere che ti accompagni? È buio...».
«Sicurissima, tranquillo».
Andrea sorrise «Ok, allora a domani».
«A domani» risposi sorridendo e incamminandomi verso casa.
«Ehi» disse il ragazzo attirando la mia attenzione.
Mi fermai e mi voltai a guardarlo.
«Cerca di dormire questa notte. Domani dobbiamo andare a scuola».
Sorrisi «Sì, tranquillo».
«Buonanotte» mi disse.
«Buonanotte anche a te» risposi e tornai a casa.
Arrivai giusto in tempo per vedere Carlisle ed Esme accompagnare un gruppo di vampiri dentro casa.
Li raggiunsi correndo. «Siete già di ritorno?» chiesi a Carlisle.
«No» mi rispose «Li abbiamo accompagnati fino a qui, daremo un'occhiata alla situazione e andremo di nuovo via».
Annuii.
«Chiara, permettimi di presentarti il Clan Irlandese» disse Carlisle voltandosi verso i suoi amici
Guardai i nuovi arrivati. Erano in tre, un uomo e due donne.
«Loro sono Liam, Siobhan e Maggie» continuò il vampiro biondo.
«Molto piacere» mormorai e i vampiri, mi strinsero uno alla volta la mano, sorridendo.
Nel mentre che entravamo in casa continuai ad osservarli.
Liam aveva i capelli castano scuro e gli occhi rossi. Era alto, magro ed aveva un portamento solenne. Mi sembrava abbastanza altezzoso, come un re.
Siobhan aveva i capelli neri e folti e gli occhi rossi. Anche lei era molto alta; inoltre era muscolosa e formosa ed aveva i lineamenti del viso eccezionalmente belli, come Rosalie.
Maggie sembrava avere la mia età, i capelli erano rossi e gli occhi dello stesso colore di quelli degli altri. Inoltre era più bassa e magra rispetto agli altri.
Quando entrarono Edward li accolse per introdurre l'argomento riguardante Renesmee. Io, invece, mi diressi in salotto.
Notai subito altri due vampiri nomadi, ma non feci molta attenzione a loro.
Seguii Esme in cucina, dove stavano Jacob, Renesmee e Bella.
Le due vampire si salutarono.
«Dove andrete ora?» chiese Bella.
«In Egitto, dal Clan Egiziano» rispose Esme.
«In Egitto?! Posso venire anch'io?» chiesi.
«E la scuola?» domandò Carlisle entrando nella stanza. Intanto fece un gesto con la testa in direzione della porta: Bella, Jacob e Renesmee dovevano raggiungere gli irlandesi ed Edward.
«Se la salto per uno o due giorni non morirà nessuno...» mi lamentai.
«Per me va bene, va' a prepararti» disse Esme sorridendo.
«Grazie! Vi adoro!» esultai correndo in camera mia.
Misi velocemente in uno zainetto tutti i documenti necessari e anche il telefono -non sapevo quanto mi sarebbe stato utile, ma era sempre meglio portarlo-. Mi cambiai velocemente i vestiti ed in pochi minuti ero pronta per partire.
Però, in macchina, mi ricordai di dover avvisare Andrea e del fatto che si sarebbe preoccupato. Sospirando gli telefonai perché sapevo che con un messaggio si sarebbe preoccupato il doppio.
Rispose praticamente subito. «Ehi. Tutto bene?».
«Certo».
«Allora perché mi hai chiamato alle dieci di sera?».
«Per dirti che domani, e forse anche dopodomani, non potrò venire a scuola».
«Perché?».
«Perché sto andando in un posto con Esme e Carlisle».
«È tutto ok?» mi chiese serio.
«Certo, tranquillo».
Sospirò «Ok, va bene. Ci vediamo tra due giorni, allora».
«Sì».
«Ok... ciao».
«Ciao».
Chiusi la chiamata e mi misi a guardare fuori dal finestrino. Ero davvero curiosa di vedere l'Egitto con i miei occhi e di conoscere questi nuovi vampiri.

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