39. Guai a New York (parte 2)

Aprì gli occhi e accesi il telefono per guardare l'ora. Sospirai, erano solo le sette del mattino. Comunque decisi di alzarmi e fare un giro fuori, tanto non sarei riuscita a dormire.
Girai a caso per il giardino. Faceva freddo ma non mi dava fastidio; ed era ancora un po' buio, dopotutto eravamo alle sette del mattino di ottobre.
Avevo passato una pessima notte, infatti non ero riuscita a dormire a causa dei sensi di colpa. Temevo che il vampiro che mi aveva salvata fosse morto.
«Ehi» disse Andrea avvicinandosi a me e distogliendomi dai miei pensieri.
«Ehi, ciao» dissi girandomi verso di lui.
Il ragazzo mi abbracciò e mi mise una giacca sulle spalle.
Lo guardai confusa quando mi allontanai sciogliendo l'abbraccio.
«Fa freddissimo, come fai a resistere senza giacca?».
Giusto, non avevo pensato al fatto che gli umani provassero freddo più spesso di me.
«Ehm... mi ero dimenticata di prenderla e non avevo voglia di ritornare in camera...».
Ridacchiò. Non sapevo se si era bevuto la mia scusa oppure no. Perché era così difficile capirlo?!
«Come hai fatto a sapere che ero qui?» chiesi.
«Sono andato al bagno e, mentre tornavo in camera, ti ho vista dalla finestra del corridoio».
«Ah...».
«Che ci fai qui?» mi chiese.
Alzai le spalle. «Avevo voglia di fare un giro».
«Ok, allora facciamolo» rispose prendendomi per mano e sorridendo.
«In realtà... stavo bene anche da sola... torna pure a dormire».
«E se io volessi rimanere con te?» chiese avvicinandosi di più a me.
Alzai le spalle «Fa' come vuoi».
Sorrise e appoggiò la sua fronte alla mia «Abbiamo praticamente un'ora nella quale possiamo stare da soli, sfruttiamola».
Feci un passetto indietro.
Andrea ridacchiò e mi fermò «Paura che ci vedano insieme?».
«Beh, sai, siamo praticamente a scuola...».
«E allora?» chiese piegando lievemente la testa di lato, continuando a sorridere.
«E allora non voglio che ci vedano troppo insieme. Non so precisamente perché, ma non mi va a genio».
«Beh, ora non c'è nessuno che possa vederci» mormorò avvicinandosi di più. In un attimo mi baciò.
Sorrisi, ma mi allontanai poco dopo.
Andrea ridacchiò «Ok, ok».
«Non hai sonno?» gli chiesi iniziando a camminare.
«No, perché dovrei?».
«Sai, esiste una cosa chiamata "fuso orario"».
Alzò le spalle «Sono sveglissimo, nonostante il fuso orario. Tu, invece?».
«Non ho per niente sonno».
«Perfetto, allora possiamo goderci quest'ora di tranquillità».
Sorrisi «Va bene».
«Posso farti una domanda?» chiese dopo un attimo di silenzio.
«Dipende».
«E da cosa?».
«Da... se posso risponderti oppure no».
«Ok... beh, credo che non risponderai».
«Perché non dovrei?».
«Volevo chiederti cos'hai fatto ieri».
«Le gare di atletica con te e gli altri».
«No, no. Durante la campestre. So che è successo qualcosa».
Sospirai «Non... non posso dirtelo».
«Per piacere. Senza entrare nei particolari».
Annuì «Ok».
«Grazie. È successo qualcosa?».
«Sì».
«Cosa?».
Lo guardai implorante.
«Ok, ok, non devi dirmelo per forza. Dimmi solo se c'entrano anche quei due gemelli».
Annuì.
«Ti hanno fatto qualcosa?».
«No» dissi dopo un attimo.
Si fermò e mi guardò negli occhi, prendendomi il viso con le mani.
«Ti hanno fatto qualcosa?» ripetè.
Scossi la testa.
«Se ti hanno fatto del male, li ammazzo» mormorò riprendendo a camminare.
«Ti ammazzerebbero loro».
«Secondo te non mi so difendere? Soprattutto se è per salvare te?» mi chiese guardandomi.
Scossi la testa «Non da gente come loro».
Alzò gli occhi al cielo e distolse lo sguardo.
«Ehi» dissi fermandomi «Mi fido di te e so che sapresti difendermi, ma...» lo buttai a terra con estrema facilità e mi inginocchiai vicino a lui «Non sapresti farlo da gente come me o come quei due gemelli».
Mi rialzai.
«Mi... mi hai buttato a terra» mormorò sedendosi.
Alzai le spalle e mi voltai.
In un attimo mi ritrovai a terra.
«Ehi!» mi lamentai.
Era stato veloce ed agile per essere soltanto un umano, mi aveva stupita.
Mi bloccò a terra ed io misi le mani sul suo petto per spingerlo via, ma, in realtà, mi andava bene quel contatto.
«Non avresti dovuto buttarmi a terra» rispose minaccioso ma senza smettere di sorridere.
«E perché?» risposi stando al gioco.
«Perché... non lo so».
Mi misi a ridere «Dai, spostati».
«E se non volessi?» rispose avvicinando il suo viso al mio.
«Ti farei spostare a forza».
«Ah, davvero? E come?».
«Così come sono riuscita a farti cadere, prima».
«Mi hai solo colto di sorpresa».
«Certo, certo».
«Stavolta non ci riuscirai».
«Sicuro?».
«Sì, soprattutto perché mi sposterò io». Detto ciò si sdragliò su di un fianco, vicino a me.
«Finalmente non dovrò più condividere la camera con Jennifer e Kate» dissi felice.
«Tanto non le avete praticamente mai avute in camera».
«Come fai a saperlo?».
«Sono state praticamente sempre da noi».
«Ah, da voi?» risposi con una punta di gelosia nella voce.
«Sì».
«E perché?».
«Perché... non lo so».
Sbuffai.
«Dai, gelosa, non ti arrabbiare».
«Non sono gelosa e neanche arrabbiata!».
Andrea ridacchiò «No, certo che no».
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai.
«Tranquilla, quando hanno visto che non prestavo molta attenzione a loro, sono state con altri due ragazzi più grandi di noi».
«Davvero?».
Lui annuì «Dai, ho occhi solo per te».
«Dicono tutti così» risposi cercando di non ridere.
«Ah, tutti chi?» chiese fingendosi geloso.
«Tutti i ragazzi nei film romantici».
«Ah... non ti facevo una da film romantici».
«Esatto, ma a volte mi capita di guardarli».
Ridacchiò.
«Che c'è?» chiesi sedendomi.
«Nulla» rispose spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Il suo telefono squillò all'improvviso.
Andrea sospirò «Ma chi è che rompe ora?!».
Ridacchiai «Rispondi, no?».
Tirò fuori il telefono e guardò il display «É Brian...».
«Rispondi».
«Ehi» disse rispondendo a Brian.
«Ehi, Bro, dove sei?» sentì in risposta con il mio perfetto udito.
«Fuori in giardino, con Chiara».
«Che ne dici se ti raggiungo con Alexis? Tanto è ora di colazione...».
«Che ci fa Alexis da te?».
«È venuta a vedere se trovava Chiara e, ovviamente, mi ha svegliato».
Sentì la risata di Alexis.
«Ah» rispose Andrea «Beh, guarda, vi raggiungiamo noi».
«Ok, ci vediamo sotto».
«Sì» rispose Andrea e riattaccò. «È finito il nostro momento di tranquillità, andiamo?» mi chiese.
Annuì «E comunque, anche a casa e a New York possiamo stare insieme in tranquillità» gli dissi.
«Sì, lo so, ma speravo che almeno in gita finissero le stranezze, così, almeno qui, non avremmo avuto segreti».
«Andre, la stranezza...» iniziai a dire ma mi interruppe.
«Sì, lo so. Fa parte del tuo mondo. Scusa, sarei dovuto stare zitto».
Lo abbracciai «Io vorrei dirti tutto, ma non posso» gli dissi respirando il suo profumo.
«Lo so, tranquilla» rispose abbracciandomi a sua volta «Adesso andiamo, se non vuoi che ci vedano insieme».
«Beh, in realtà... che spettegolino quanto vogliono» dissi e lo baciai, cogliendolo di sorpresa.
Sentì degli "uhh" formarsi alle nostre spalle, neanche ci fosse un branco di scimmie.
«Penso che qualcuno ci abbia visti» mormorò Andrea sorridendo.
«Lo so» risposi arrossendo lievemente.
Andrea mi prese per mano e raggiungemmo Brian ed Alexis per andare insieme a fare colazione.
Mi sentivo tutti gli sguardi puntati addosso, forse non era stata la migliore delle idee quella di baciare Andrea proprio quando tutti potevano vederci.

Alle 11, dopo aver messo tutto a posto e aver preso i bagagli, salimmo sullo stesso pullman dell'andata e arrivammo a New York.
Scendemmo dal pullman quasi alle due del pomeriggio, avevamo incontrato più traffico del previsto.
«Prooof, abbiamo fame!» si lamentarono alcuni ragazzi.
«Abbiamo fame! Abbiamo fame!» cantilenarono altri in un coretto da stadio.
«Abbiamo capito, basta!» urlò la professoressa di ginnastica «Ora rintracciamo l'altro gruppo nell'hotel e andiamo a mangiare».
Anche se il pullman ci aveva lasciati di fronte all'hotel, certa gente continuò a lamentarsi.
«Perché gli umani sono così stupidi?» bofonchiai fra me e me.
«Grazie, eh» disse Andrea cingendomi la vita con un braccio.
«Prego» gli risposi.
Lui ridacchiò e mi stampò un bacio sulla guancia.
«Lasciate le valige qui, in modo ordinato» disse l'altro professore che ci aveva accompagnati «Poi, potrete andare a mangiare di là, nel ristorante dell'hotel. Mi raccomando: siate civili, siamo comunque in un hotel con altre persone e sedetevi solo nei tavoli riservati a noi».
Seguimmo quasi tutti quelle istruzioni e poi andammo nel grosso salone da pranzo. C'erano delle finestre molto ampie e un sacco di tavoli coperti da delle tovaglie bianche.
«Stiamo in camera insieme?» mi chiese Alexis ad un certo punto.
Annuì «Certo, qui dovrebbero essere doppie, non avremo nessun'altra coinquilina sgradita».
«Sono sempre state da noi, non lamentatevi» disse Andrea che era di fianco a me.
Gli tirai una gomitata nelle costole.
«Ahi!» si lamentò facendo ridere me, Brian ed Alexis.

Dopo pranzo io ed Alexis ci scegliemmo una stanza e poi ci riunimmo al grosso gruppo formato da coloro che avevano fatto le gare di atletica più molti studenti del primo anno.
Prendemmo il pullman privato del giorno prima, che ci portò a Manhattan. Durante il breve viaggio due donne sconosciute si presentarono dicendo di essere due guide e annunciandoci che quel giorno avremmo visto Central Park.
Appena entrammo in quel magnifico parco, le due donne iniziarono a parlare della storia di Central Park, ma non prestai molta attenzione, non mi interessava così tanto.
Alle 5 del pomeriggio, dopo quasi un'ora e mezza di spiegazione, finalmente finì la nostra visita guidata.
«Allora, ragazzi» ci richiamò il professore di arte che era appena arrivato con il gruppo che non aveva fatto le gare «Sono le cinque e, se volete potete andare a farvi un giro nel parco. Il punto di ritrovo è qui alle sei mezza, non un minuto dopo. Tutto chiaro?».
In pochi gli risposero perché ci dileguammo tutti abbastanza in fretta.
Andrea mi prese per mano e ci allontanammo dagli altri che si stavano dividendo in vari gruppi.
«Finalmente possiamo stare da soli» disse felice.
«Anche questa mattina eravamo soli».
«Lo so, ma mi avevi promesso questa... "passeggiata" a New York».
«Me lo ricordo» risposi sorridendo.
Camminammo seguendo vari sentieri ed in poco tempo ci ritrovammo davanti alla statua di bronzo raffigurante Balto, il cane metà husky e metà lupo che aveva salvato i bambini di Nome, un piccolo paese in Alaska.
«Wow, mi ero dimenticato che ci fosse questa statua a Central Park» disse Andrea.
«Lo ha detto prima la guida, è una delle poche cose che ho ascoltato».
«Lo so, ma ero troppo distratto a guardare te che ti guardavi in giro e ascoltavi sporadicamente».
Arrossì e mi avvicinai alla statua.
«Dedicata all'indomabile spirito dei cani da slitta che trasportarono sul ghiaccio accidentato, attraverso acque pericolose e tormente artiche l'antitossina per seicento miglia da Nenana per il sollievo della ferita Nome nell'inverno del 1925» Andrea lesse ad alta voce l'iscrizione sulla base della statua.
«Resistenza - Fedeltà - Intelligenza» conclusi io.
Rimanemmo lì per un attimo, poi una folata di vento freddo ci destò dai nostri pensieri.
Annusai l'aria, c'era un odore che mi sembrava di aver già sentito. Sapeva di miele, lillà e sole, come l'odore dei Cullen; però questo era più ombroso, più selvaggio. Era di due vampiri che cacciavano umani.
«Ehi, tutto ok?» mi chiese Andrea.
Annuì.
«Stavi annusando l'aria in modo strano».
«Ehm... no... è che c'è un carretto che vende hot dog all'uscita del parco».
«Non puoi sentire quell'odore, siamo praticamente al centro del parco».
Arrossì «Oh... ehm...».
«Sì, ok, lasciamo perdere le cose strane e andiamo a prendere un hot dog che sto morendo di fame».
Sorrisi e lo seguì.
«Aspetta, non possiamo uscire dal parco» risposi prima di fermarmi ad un passo dall'uscita.
«Hai paura?» mi sfidò ridacchiando leggermente «E poi, stiamo davanti al parco non ci allontaniamo troppo».
Sospirai «Ok, va bene».
«Se succede qualcosa è colpa mia» mi disse nel mentre che mi avvicinavo a lui.
Mi accorsi subito che, in realtà, prima non eravamo proprio al centro di Central Park, però Andrea aveva comunque ragione: non avrei potuto sentire odore di hot dog da così lontano. Dovevo fare più attenzione a quello che dicevo e facevo.
Prendemmo un hot dog a testa e ci sedemmo su di una panchina poco distante dall'entrata del parco. L'odore di quel "panino allungato" era decisamente molto buono, ma non mi fidavo più di tanto a mangiarlo. Veniva pur sempre da un piccolo carretto colorato a lato di una strada di New York. Però il tipo abbastanza "in carne" che lo gestiva mi ispirava abbastanza fiducia.
«Guarda che se non lo mangi lo mangio io» mi minacciò Andrea che aveva quasi finito il suo.
Diedi un morso al panino. In effetti era buono.
«Visto che era buono?» mi disse Andrea appena ebbi finito l'hot dog.
Annuì «Sì, avevi ragione».
«Come sempre».
Alzai gli occhi al cielo e mi misi a ridere.
Ad un tratto smisi di fare qualsiasi cosa, anche di respirare. Avevo appena sentito i pensieri di due umani spaventati a causa di due che neanche loro vedevano bene e che avevano lo stesso odore che avevo sentito prima.
«Ehi, tutto bene?» mi chiese Andrea.
Perché si accorgeva sempre se facevo o dicevo qualcosa di strano?
«Sì, sì, certo. Senti, io... io dovrei andare in un posto, potresti restare gentilmente qui o tornare nel parco? Torno subito».
«Stai male a causa dell'hot dog?» chiese preoccupato.
«No, no, assolutamente no! Devo... fare una cosa».
«Ok, vai» rispose rassegnato «Ma se non tornerai entro dieci minuti, mi preoccuperò e verrò a cercarti, sappilo».
Annuì.
Mi incamminai verso il luogo dal quale provenivano quei pensieri e soprattutto seguì l'odore dei due vampiri.
Mi avvicinai ad un vicolo isolato. L'odore mi aveva portata lì. Sentì un urlo strozzato e aumentò l'odore di sangue che già impregnava l'aria.
Andai in un posto abbastanza nascosto e mi trasformai. Ero arrivata troppo tardi per salvare gli umani, ma non per uccidere i vampiri. Il mio istinto da licantropo in questo momento mi diceva solo una cosa: uccidi quei due vampiri e salva altre possibili prede.
Corsi fino al vicolo dove stavano i due vampiri e vi entrai. Era molto buio; a destra e a sinistra c'erano i muri di due vecchi palazzi e di fronte a me, a qualche metro di distanza, un grosso cassonetto dell'immondizia appoggiato ad un muro di mattoni. Ma, fra me e quel muro di mattoni, c'erano coloro che stavo cercando.
C'erano due vampiri, un maschio ed una femmina, e i cadaveri di due uomini, probabilmente dei senzatetto.
Ringhiai in modo minaccioso e mi avvicinai con passo cadenzato ai due vampiri.
La femmina si alzò subito. Era spaventata.
Il maschio mi guardò. Una goccia di sangue cadde dalle sue labbra pallide e finì sul corpo dell'umano morto davanti a lui.
«Santissimo...» mormorò alzandosi; i suoi occhi rosso cremisi non facevano trapelare la paura che percepivo dai suoi pensieri.
Il vampiro si mosse di scatto e si mise davanti alla vampira, parandola in modo protettivo.
«È un licantropo» mormorò lei «Non credevo che ne avrei mai visto uno»
Li scrutai attentamente. Ero convinta di averli già visti da qualche parte.
«Che cosa vuoi?» mi chiese il vampiro in modo minaccioso. Era alto e snello, con i capelli biondi e corti e gli occhi di un rosso acceso. Indossava un giubbotto blu scuro con un colletto di pelliccia bianca e un paio di jeans neri.
«Andiamocene» sussurrò spaventata la ragazza. Era più bassa del ragazzo, aveva i capelli marroni e corti e gli occhi di un rosso acceso. Inoltre, indossava un paio di jeans che non arrivavano neanche al ginocchio, dei collant e una giacca verde bosco.
«No, è il nostro territorio».
«Peter, siamo nomadi. Non abbiamo un territorio».
Peter. Perché questo nome mi ricordava qualcosa?
Dei passi veloci ma pesanti si avvicinarono a noi. Erano di un umano che stava correndo e, a giudicare dall'odore, sapevo anche di chi si trattava.
Tornai in forma umana poco prima che il ragazzo entrasse nel vicolo e gli corsi incontro.
«Pff, una ragazzina» sentì commentare dal vampiro quando mi vide.
«Andre, andiamo via» gli dissi spingendolo lievemente indietro.
Era fermo a guardare i due umani morti.
«Andiamo» gli dissi prendendolo per mano. Non avrei combattuto i due vampiri, non con lui lì.
Non si mosse.
«Andre, andiamo, per favore».
Ero terrorizzata dai due vampiri, non volevo che facessero del male anche a lui.
Il ragazzo rimase immobile, sotto shock.
«Per favore» sussurrai avvicinandomi a lui «Torniamo dalla classe».
Rimase immobile con lo sguardo perso nel vuoto.
«Fidati di me, ti prego. Quei due ragazzi che vedi sono pericolosi»
Sentì il maschio che sghignazzava.
«Sono dei cadaveri» mormorò Andrea con in tono di voce molto flebile «Quei due uomini a terra sono dei cadaveri».
«Sì, lo so. Ti prego, andiamocene».
«I due ragazzi del quale parli li hanno uccisi e c'era anche Aleu»
«Aleu? No, no, avrai visto male».
«Non ho visto male» disse guardandomi negli occhi e tornando a parlare con un tono di voce normale «Era Aleu. L'ho vista entrare qui».
Provai a ribattere, ma il vampiro mi bloccò iniziando a parlare.
«Bene, abbiamo decretato che il ragazzo ora sa troppo. Ci mancava giusto il dolce» disse avvicinandosi a noi.
Mi voltai parandomi davanti ad Andrea «Non oserete toccarlo!».
«Oh, credo proprio di sì» disse il vampiro.
Eppure continuava a ricordarmi qualcuno, ma chi? Forse uno dei Volturi? Non era sicuramente uno di Denali, me li ricordavo bene quei vampiri.
«Saremo pure nomadi che sanno combattere, ma temiamo comunque i Volturi» continuò il maschio.
Nomadi? No, ok, niente Volturi.
Quando si avvicinò di più mi buttai su di lui.
Non lo presi alla sprovvista, era preparato. Infatti, riuscì a farlo cadere a terra, ma lui mi spinse contro la parete del vicolo.
Mi accasciai al suolo, stordita dal colpo. Non avrei potuto combattere senza trasformarmi, ma non potevo farlo con Andrea nei paraggi.
Mi rialzai e provai ad avvicinarmi ad Andrea, ma la vampira si parò fra noi due. Lei era sicuramente più debole, ma l'altro avrebbe fatto di tutto per salvarla.
«Ti arrendi e ci fai ammazzare l'umano?» mi chiese il vampiro.
«Assolutamente no!» risposi ringhiando.
Finsi di corrergli incontro per un altro attacco diretto e cambiai all'ultimo direzione.
Il vampiro cascò nel mio tranello, ma si ricompose subito restando in guardia.
Era bravo, molto bravo a lottare e, senza potermi trasformare non avrei nemmeno potuto usare gli insegnamenti di Jasper.
Provai a combattere provando ad utilizzare qualcuna di quelle tecniche, ma era davvero molto difficile; riuscivo solamente a sfruttare la mia capacità nel leggere i pensieri per anticipare le sue mosse.
Ad un certo punto, il vampiro mi saltò alle spalle provando ad attaccarmi.
Era un mossa che spesso facevo io con Jasper...
Come faceva mio fratello con me, mi abbassai facendo sì che il vampiro mi mancasse. Così, si ritrovò a darmi le spalle e potei provare ad atterrarlo. Fu un vano tentativo, ma un suo pensiero scaturito nella sua mente dal mio contrattacco, mi aprì un'immensa strada. Era come se avessi appena visto la luce dopo aver percorso una lunghissima galleria buia.
Avevo capito chi erano quei due vampiri! Erano Peter e Charlotte, gli amici di Jasper. Li avevo visti nei pensieri di mio fratello quando mi aveva raccontato della sua storia e delle Guerre del Sud.
Mi allontanai dal vampiro con un salto ben calibrato.
«Fermati!» dissi decisa.
«Ti arrendi?» mi chiese rimanendo in posizione di attacco. Adesso che ci facevo caso, in battaglia si muoveva esattamente come Jasper. Anche se ero abbastanza convinta che mio fratello fosse più abile e forte.
«No, ma devo dirvi una cosa» dissi arretrando nel mentre che il vampiro si avvicinava. «Abito con i Cullen e conosco benissimo Jasper».
«J... Jasper?» mormorò Charlotte.
«Sì, Jasper. Quel vostro amico nelle Guerre del Sud».
«Come faccio a sapere che non stai mentendo?» mi chiese Peter.
«Tu credi che io stia mentendo?! No, ma scusa, hai capito cosa ti ho detto? Conosco i Cullen perché Carlisle mi ha fatta entrare nella loro famiglia; di conseguenza conosco Jasper, Alice e tutti gli altri; so delle Guerre del Sud; devo andare avanti?».
«Come fai a sapere chi siamo?» mi chiese Charlotte.
«Jasper mi ha parlato di voi. Vi ha descritti molto bene e, soprattutto, ho notato che vi muovete come lui».
Peter mi saltò addosso all'improvviso. Provai a spostarmi, ma lui mi spinse e volai di nuovo contro il muro. Questa volta me lo aspettavo, quindi riuscì a non farmi molto male e ad atterrare in piedi.
Non lo attaccai, dovevo prendere fiato. Non era giusto, lui aveva una resistenza infinita, io no!
Il vampiro mi saltò di nuovo addosso.
Provai a bloccarlo, ma lui era molto più forte.
Tenendomi sollevata per il collo mi spinse contro il muro.
Appoggiai le mani al suo braccio testo, per cercare di liberarmi, ma era tutto inutile. Anche se mi sforzavo un sacco, era come spingere via un muro super mega pesante.
Ad un certo punto, qualcosa mi provocò una forte fitta al fianco sinistro.
«Chiara! No!» sentii urlare da Andrea.
Lanciai un urlo di dolore nel mentre che qualcosa mi tagliava. Sentii il sangue caldo uscire dalla ferita e imbrattarmi la maglia. Provai a liberarmi, peggiorando il dolore.
«Peter! Sei pazzo?! Ha detto che conosce Jasper!» urlò la vampira che teneva imprigionato Andrea.
Abbassai lo sguardo giusto in tempo per vedere la mano insanguinata del vampiro allontanarsi dal mio fianco, sfilando un coltello ancora più insanguinato.
Gemetti dal dolore e il vampiro mi lasciò andare.
Caddi accasciandomi a terra.
Girai la testa giusto in tempo per vedere i due vampiri scappare superando il muro di mattoni con un salto e correre sul tetto dell'edificio, perdendosi nell'oscurità.
Tutto ciò successe in pochi secondi, ma a me sembrò che si fosse svolto in lunghissime ore.
Premetti le mani sulla ferita. Faceva male, ma dovevo evitare di far uscire il sangue e morire dissanguata.
Andrea mi raggiunse.
«Chiara...» mormorò e mi fece sdragliare a pancia in su.
«Sto bene» mormorai mentendo.
«Chiamo un ambulanza».
«No, fermo!» dissi provando ad alzarmi. Gemetti e rimasi stradgliata.
«Chiara, uno ti ha appena pugnalata!».
«Lo so...».
«Quindi chiamo un'ambulanza!».
«No! Per favore...».
«Non intendo vederti morire dissanguata».
«Non succederà, fidati. La ferita si richiuederà tra poco».
Andrea sospirò.
«Aiutami ad alzarmi e portami all'hotel».
Mi sentivo malissimo.
«Non puoi camminare così».
«Andre, fidati, ti prego».
Mi aiutò ad alzarmi, avrebbe fatto di tutto per me.
Barcollai e mi appoggiai a lui. Chiusi gli occhi.
Sentii che mi accarezza il viso «Per favore fammi chiamare un'ambulanza».
Scossi la testa «No».
«Perché?».
«Secondo te? Dai, mi farebbero delle analisi e capirebbero che non sono umana. Tranquillo, tra poco starò bene. Anzi, chiama un taxi, almeno può portarci all'hotel».
Andrea sospirò, prese il telefono, cercò su internet un'agenzia di taxi a New York e compose il numero.
«Fallo venire ad una strada di distanza da qui» mormorai.
Non sentii la conversazione, ero troppo impegnata a cercare di non svenire.
«Andiamo, sarà lì tra un quarto d'ora» disse Andrea.
«Grazie» mormorai «Ancora una cosa».
«Cosa?».
«Prendi il coltello, nascondilo dove ti pare e portalo con noi».
«Perché?!».
«Voglio evitare che qualcuno lo trovi e, analizzando il sangue, mi rintracci e capisca cosa sono».
«O... ok, hai... hai ragione. Riesci a stare un attimo in piedi?».
Annuì.
Andrea corse verso il coltello che prese e nascose nella felpa. Dopo ciò ritornò da me e mi diede la sua giacca.
«Indossala, chiudila e metti le mani nelle tasche, almeno potrai nascondere tutto quel sangue e nessuno farà domande».
Annuì di fronte alla sue parole e poi mi feci aiutare per raggiungere il taxi.
Il punto di ritrovo non era troppo lontano, ma mi sembrava che stessimo camminando da secoli.
Il taxi arrivò quasi subito e notai che era identico a quelli che si vedono in qualsiasi film ambientato a New York.
Andrea mi aiutò a salire nella vettura gialla e diede al taxista le indicazioni per raggiungere l'hotel dove alloggiavamo.
«La ragazza sta bene?» chiese l'autista.
«Certo, è solo un po' stanca a causa del lungo viaggio, del fuso orario e tutto il resto».
«Mi sembra un po' pallida».
«Lo so, per questo la sto riportando in hotel».
«Da dove venite?».
«Dallo stato di Washington».
«Ah, beh, allora sì, è un viaggio bello lungo».
«Già».
Non sentì più nulla, forse mi persi qualche punto della conversazione.
Andrea mi prese in braccio e mi tirò fuori dalla macchina.
«Riesco a camminare» mormorai.
«Sicura?».
«Sì, mettimi a terra».
Andrea mi accompagnò fino alle scale. Ad un certo punto, iniziai a vederci male, le orecchie presero a fischiarmi, mi girò la testa e le gambe mi cedettero.
Andrea mi prese al volo. «No, tu non ce la fai a camminare» disse e mi portò in braccio fino in camera mia.
«Come fai a sapere dov'è la mia camera e come fai ad avere le chiavi?».
«Tu ed Alexis mi avete detto dov'era la vostra camera e le chiavi le ho prese dalla tua borsa che hai abbandonato con me quando sei corsa via».
«Ah, ops» mormorai.
Andrea mi mise delicatamente sul mio letto e mi tolse la giacca.
Chiusi gli occhi. Forse la ferita non sarebbe guarita come pensavo.
«Ehi, ehi, ehi, apri gli occhi» mi richiamò Andrea.
«Perché?» chiesi flebilmente.
«Non mi piace questa situazione. Tu stai morendo, altro che guarendo!».
«No, sto bene».
«Guardami».
Feci come mi aveva detto anche se mi costava un sacco di forze.
«Io ti amo, capito? Ti amo. Quindi non provare a morire, oppure ti faccio resuscitare e ti uccido con le mie stesse mani» disse con la voce incrinata dalla paura e da un pianto trattenuto.
Ridacchiai e poi chiusi gli occhi.
Sentì Andrea che prendeva il suo telefono.
«Non chiamare un'ambulanza, per piacere».
«Shh» disse intimandomi di far silenzio. «Ehi, Carlisle» disse pochissimo tempo dopo «Senti, ho un enorme problema con Chiara».
«Cosa le è successo?» sentì dire dalla voce di Carlisle lievemente agitata.
«L'hanno... accoltellata e, al contrario di quello che dice, la ferita sanguina e non si richiude. Ho paura, non so cosa fare, aiutami, ti prego».
«Ok, tranquillo. Spiegatemi cos'è successo».
«Non c'è tempo!».
«Metti il vivavoce» dissi io.
Appena Andrea lo ebbe fatto iniziai a parlare.
«Carlisle, sono stati Peter e Charlotte. Li ho incontrati per caso, ho visto che avevano ucciso due umani e... ho provato ad attaccarli. È stata solo colpa mia».
«Peter e Charlotte?!» sentì urlare da Jasper «Io li ammazzo, non devono permettersi di...».
«Calmo» lo interruppe Carlisle «Magari non sanno nemmeno chi sia Chiara».
«Lo sanno, invece» intervenne Andrea «Chiara glielo ha detto, ma l'hanno attaccata comunque. Anzi, il tipo, Peter l'ha attaccata comunque, la ragazza gli ha detto di fermarsi».
«Carlisle, non so perché, ma la ferita non si chiude» dissi nel mentre che sentivo le minacce di Jasper nei confronti del suo amico.
«Carlisle, mi serve un aiuto» disse Andrea.
«Sì, senti, io sto venendo lì, ma mi ci vorrà un po' di tempo, tu, intanto fa' come ti dico per chiudere e medicare la ferita».
«Ok».
«Riesci a fare una videochiamata? Se potessi vedere la ferita, sarebbe molto più facile».
«Sì, assolutamente».
Mi sporsi fuori da letto, in preda ad una fortissima nausea e vomitai.
«Sta vomitando sangue, non è normale, vero?» chiese Andrea.
«No, dobbiamo fare in fretta» rispose Carlisle.
Iniziai a perdere conoscenza. Momenti di lucidità si alternavano a momenti di vuoto totale fino a quando non piombai nell'oscurità, addormentandomi.

Andrea's POV
Le accarezzai amorevolmente la fronte imperlata di sudore.
«La febbre dovrebbe scendere nella notte» mi rassicurò l'uomo avvicinandosi a me.
«Grazie, Carlisle. Grazie di cuore. Grazie per essere venuto, per avermi aiutato, per... per tutto».
«Mi sono soltanto reso utile per salvarle la vita» mi rispose sorridendo.
Era la persona più gentile ed altruista che conoscessi.
Sorrisi e ripresi a guardare Chiara «Grazie comunque».
«Significa molto per te, vero?» mi chiese sedendosi nel letto dove avrebbe dovuto dormire Alexis.
«Sì, tantissimo» feci una breve pausa «Quindi grazie ancora per averla salvata».
«Guarda che non ho fatto tutto io, sei stato bravo anche tu. Sai mantenere la calma anche in questi casi ed hai una buona mano ferma» ridacchiò «Potresti fare il medico».
Sorrisi divertito «Ci penserò».
«Beh, meglio che vada prima che i vostri professori mi vedano qui» disse alzandosi dal letto in un modo fin troppo silenzioso «Resterò nelle vicinanze, se dovesse servirvi qualcosa di urgente. Inoltre» aggiunse posando una scatola di pastiglie sul comodino «Dagliene una dopo ogni pasto».
Annuì.
«Tranquillo» mi disse posandomi una mano sulla spalla. Era molto fredda ed aveva un presa abbastanza ferrea. «Domani mattina dovrebbe svegliarsi. È fuori pericolo; al massimo la febbre potrebbe alzarsi, ma calerà sicuramente prima del mattino. Abbiamo fatto un buon lavoro, non c'è più nulla da temere».
Annuì «Grazie ancora».
«Comunque terrò il telefono acceso, se dovrai telefonarmi».
Annuì di nuovo.
«Adesso sta' tranquillo e riposati» disse sorridendo e avvicinandosi alla porta.
«Sì, certo. Grazie e... buonanotte» risposi nel mentre che apriva la porta. Un po' di luce del corridoio entrò illuminando la stanza semi buia.
«Buonanotte, Andrea» disse uscendo dalla camera e chiudendosi la porta alle spalle.
E così rimasi da solo nella stanza illuminata solo da un abat jour dietro di me a vegliare sulla mia ragazza addormentata.
Ad un certo punto Chiara si mosse, aveva il respiro più affannato. Le misurai la febbre; era salita un po'.
Allora, stai calmo, stai calmo. Mi ripetei a mente. Carlisle te lo ha detto, la febbre potrebbe salire e poi calare. Stai tranquillo.
La strinsi dolcemente contro di me e le canticchiai una ninna nanna per calmarla.
Magari funziona davvero. Pensai quando smise di agitarsi nel sonno.
Se funzionava con mio fratello adottivo che era arrivato da poco in famiglia e spesso aveva degli incubi, perché non avrebbe dovuto funzionare con lei?
Fratello che lei neanche conosce. Pensai amareggiato. Odiavo mentirle, ma quel bambino era ancora troppo scosso per conoscere nuova gente e non volevo stressarlo troppo.
Continuai a canticchiare anche se ormai non ce n'era più bisogno, godendomi quel piccolo momento di tranquillità.

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