- Ljóðum -

 - Poesia -

Volgo al Cielo lo sguardo sconsolato, desolato.

Lasciami andare dal tuo vortice oscuro, o dannato Fato.

Risolleva il mio animo maledetto dal baratro, la vita con la morte baratto.

E così, dolcemente scivolo tra le acque sconfinate,

correnti di sogni infranti e illusioni spezzate,

gocce di amaro dolore e triste rimpianto,

molecole di infinita solitudine e di concreto nulla.

Mani gelide, fredde ed incorporee, mi tirano a loro,

divorando l'anima mia, svanita in una nebbia di mere fantasie oscure.

E mi trascinano, mi trascinano

nel profondo d'un gorgo tumultuoso, imperioso.

Mi avvolgono nel loro abbraccio fatale, letale, infernale

immortale.

Appassisco nel mio debole torpore,

nella sofferenza d'un cuor inaridito.

Come petali scarlatti, avvizziti,

m'adagio a terra, lievemente.

Prosciugato d'ogni voglia,

dalla vita neppure sfiorato,

abbraccio le tenebre di cui il mio essere è fatto.

E, al compimento della solenne condanna,

senza via d'uscita alcuna,

una voce soave richiama, mi reclama.

Come spillo perfora l'agonia, quella beata disforia.

Alla stregua di un caldo sole

prosciuga ogni dolore dal lago rimpiangente.

Gioia, calore.

Rivivo ogni misero istante,

crogiolandomi nelle ceneri d'un passato aberrante.

Una lotta funesta s'erge

prepotente nel cuore,

una battaglia furiosa, quando contate

son le ore.

Uno stridio insistente fa eco alla mia voce,

rotta dall'urlo agghiacciante dell'anima

avvolta da fiamme seducenti, voluttuose.

Feroce è l'ira che brucia,

col fervore d'un ciocco di legno

che avvampa con triste ardore.

Risucchiato in superficie

da una forza indolore,

riemergo in terra, da quell'astro scaldato.

E come Fenice, risorgo dalle ombre del passato.

Apro gli occhi,

non più d'un rosso scarlatto,

son frammenti di cielo, ciò che vedo

riflesso nell'iride dalla speranza illuminato.

E volgo gli occhi a colei che mi ha salvato:

una lacrima cremisi le

scivola lenta sulle guance pallide, sul viso immacolato.

Sangue scorre, gronda, sulle sue mani,

follia illumina lo sguardo rossastro.

Riconosco in lei colei che mi ha liberato:

la mia eterna dannazione,

la mia sconfinata salvezza.

Brilla una luna rossa,

avvolta da ombre,

rischiara una landa sterile, costeggiata da esili foglie,

al vento abbandonate,

al Destino devote.

Così,

volgo lo sguardo al Cielo, abbagliato.

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