Capitolo III||Benvenuta a casa

"Cos... Ucciderci? Tutti quanti? Aspetta, ma perché dovrebbe farlo? Non le abbiamo fatto niente di ma- Ah, è vero" Rouge aveva pensato all'episodio accaduto poche ora prima e Masky alzò gli occhi al cielo: era stanco di assistere alle continue paranoie della ragazza.
"Rouge, ti ricordo che in Blooder Mode anche noi siamo capaci di uccidere chiunque, per questo non uccidiamo in gruppo" Le aveva ricordato il ragazzo, interrompendo la Proxy, che stava per riprendere il suo discorso da paranoica.
"Sì, è vero, hai ragione..."
Toby fece segno ai due di fare silenzio, sapeva che se Akemi li avrebbe sentiti loro potevano dire addio alla loro incolumità.
Cominciarono a scendere quelle poche scale cercando di fare il meno rumore possibile e, quando scesero il terzo ed ultimo gradino, lo stupore li immobilizzò.

Akemi rideva, rideva di gusto: per la prima volta il sangue che le imbrattava le mani non era il suo, ma quello del padre.
Il suo cuore batteva ancora ma lei gli aveva inferto una ferita estremamente dolorosa: il coltello era affondato tra la seconda e la terza costola del lato destro, ed il sangue non accennava a cessare di fuoriuscire dalla ferita.
"Quindi è questa la bellissima sensazione che si prova quando ci si vendica..." Sussurrò sorridendo malignamente, "Ah, dovrei farlo molto più spesso" riprendendosi l'arma, per poi farne affondare la lama a pena sopra il cuore dell'uomo, lacerando l'aorta.
Egli urlava per l'intenso dolore che ella gli provocava, ed un'espressione di dolore era dipinta sul suo viso mentre esalava il suo ultimo respiro.

Rouge si tappò la bocca per non scoppiare a ridere davanti a tutto quel sangue, Masky fissava il cadavere dell'uomo, mentre Toby era l'unico a scrutare con attenzione l'espressione di Akemi: stava sorridendo esageratamente, ma delle lacrime inumidivano il suo viso pallido.

Singhiozzi.
Dei singhiozzi rompevano il silenzio creatosi in quella cantina mal illuminata, dei singhiozzi disperati, nascosti dietro un leggero velo di pazzia.
"Che cosa ho fatto? Come... Come ho potuto? Perché sono così felice di aver ucciso i miei genitori?" Aveva riconquistato il controllo della sua sanità mentale, ma l'aveva fatto troppo tardi.
Odiava da sempre suo padre per quello che le faceva, ma non lo odiava così tanto da ucciderlo o, almeno, così credeva.
Dentro di lei numerose emozioni si fondevano eterogeneamente: gioia per essersi finalmente vendicata, disperazione per essersi permessa di perdere il controllo e rabbia per aver abbandonato la parte innocente e sensibile di lei.
"Perché l'ho fatto? Perché?!" Stava singhiozzando nuovamente, mentre sempre più lacrime le impedivano di vedere nitidamente il ragazzo di fronte a lei, che l'accolse in un silenzioso e confortevole abbraccio.
Toby non parlava, se l'avesse fatto avrebbe sicuramente peggiorato la situazione, già fin troppo critica.

Nemmeno lei parlava, si limitava a nascondere il capo tra le braccia del Proxy, probabilmente per non farsi vedere in quel terribile stato.
Voleva tacere, voleva fare silenzio, voleva non fare rumore, perdere la voce, eppure non riusciva a smettere di singhiozzare.
In quel momento aveva il controllo della sua mente, ma non del suo corpo: stringeva disperatamente alla felpa di Toby, come se si stesse aggrappando all'unica sua ancora di salvezza, anche se voleva spingerlo via violentemente per averla abbandonata all'improvviso, anche se forse se l'aspettava da lui, un perfetto sconosciuto.
Lei sapeva che non doveva fidarsi, sapeva più che bene che quegli individui potevano benissimo abbandonarla ed era consapevole del fatto che loro probabilmente non erano per nulla affidabili, ma allo stesso tempo non lo voleva sapere, voleva avere degli amici, per una volta, e quando il Proxy le disse che se fosse venuta con loro avrebbe avuto una vera famiglia dimenticò tutte le sue diffidenze e si fidò ciecamente di loro, senza nemmeno conoscerli.

Non li conosceva, questo era vero, tuttavia quando Toby l'accolse tra le sue braccia lei non oppose resistenza.
Tutto in lei era sbagliato.
Protestava quando non doveva, era docile e calma quando doveva protestare.
Lei era un errore, e ne era consapevole.
"Ehi, Akemi..." La voce di Toby interruppe il rammarico della ragazza. "Io penso che tu pensi troppo, sii un po' meno rigida, ti farà bene" E poi le sorrise, le sorrise calorosamente, anche se lei aveva la testa poggiata contro il suo petto.
"È difficile..." Singhiozzò allora. "È difficile rilassarsi quando la tua esistenza consiste nell'essere continuamente odiata e tradita da tutti... Quando ogni volta che sei incazzato hai il terrore di perdere il controllo, quando, pur di non ferire gli altri, sei tu a perire... Quando sei così codardo che non riesci nemmeno a porre fine a questo schifo, è davvero tanto difficile"

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