The Riverwoman
Frisk p.o.v.
«Ci hai messo poco.» Notai, mentre lo scheletro si toglieva la giacca di pelle e restava in camicia, la quale questa volta, al posto di un accattivante rosso, era nero pece.
«Questo posto non è così difficile da trovare.» Rispose lui. «Sei riuscita a fargli dire qualcos'altro?»
«No. Dopo che ti ho detto di venire qui, gli ho tolto il bavero perché volevo che mi dicesse lui per chi lavorasse. Il deficiente ha cacciato un urlo, perciò...»
Sans guardò sarcastico il corpo accasciato sulla sedia ed il sangue che gli scendeva dalla faccia. Tutt'intorno si era formata una pozza rosso acceso.
«Dovevi proprio rompergli il naso? Gli sta uscendo un litro di sangue...»
«Per sporcare sporca, ma non si muore per un pugnetto. Vuoi farlo parlare tu?»
«Sarebbe meglio.» Disse lui, scoccandomi uno sguardo di sdegno. «Non sembri una specialista in questo.»
«No, infatti.» Risposi allegramente. «Vedi, io preferisco ammazzarle subito le persone, perché tanto anche da vivi di discorsi intelligenti non ne facevano lo stesso.»
Sans non sembrò essere in disaccordo con la mia affermazione, ma non ribatté. Si mise dei guanti di silicone, si avvicinò all'uomo legato e semi-svenuto, gli tolse la benda che gli copriva gli occhi, gli prese il viso saguinolento tra le grosse mani di ossa e iniziò a tirargli dei gran ceffoni per ridestarlo. Il liquido rosso schizzò dappertutto ma io mi riparai velocemente dietro una colonna di legno.
«Svegliati, bella addormentata.» Disse lo scheletro sarcastico. L'uomo riaprì gli occhi lentamente, solo allora Sans si fermò. L'altro vagò con lo sguardo nella stanza fino ad incontrare il mio, per poi rifilarmi un'occhiataccia.
"Nulla di personale, amico." Pensai quasi divertita. Sans gli slegò cautamente le mani e gli mise un foglio e una penna davanti, sul piccolo banco di legno.
«Scrivi qua sopra per chi lavori. Sai scrivere, no?» Ordinò lui. Probabilmente era abituato a questo genere di situazioni, sapeva come fare. Io di solito non andavo a interrogare personalmente i "testimoni indecisi", se ne occupavano appunto il vecchio John ed i suoi aiutanti, che poi mi riferivano i risultati, ma questo era un caso particolare.
L'uomo dopo essersi massaggiato i polsi, aveva iniziato a scrivere molto lentamente, come se avesse paura del nome che stava menzionando. Si fermò, Sans afferrò il foglio (che nel frattempo si era macchiato di rosso) e lo lesse. Sembrò impanicarsi, la mano che reggeva il pezzo di carta iniziò improvvisamente a tremare.
Preoccupata, mi avvicinai a lui e lessi il fatidico nome. Anch'io sentii una strana stretta allo stomaco.
WingDing Gaster.
«Oh cazzo.» Mi lasciai scappare, Sans mi guardò completamente sbigottito.
«È uno scherzo?» Sussurrò lui, pianissimo.
«Cosa?»
«Ti pare il momento di scherzare, amico?!» Urlò contro l'uomo, che, spaventato, si fece piccolo piccolo sulla sua sedia. La voce dello scheletro era quasi strozzata, come se facesse fatica a respirare: era sconvolto, e lo stesso ero io. Cercai di farlo calmare, con scarso successo.
«Sans, non urlare così!»
Lui si girò e puntò le sue pupille ardenti sul mio viso, fumante di rabbia. Aprì la bocca per urlare qualcosa, ma poi la richiuse subito, stringendo i denti con tanta forza che per un attimo pensai che gli si sfracellasse la mandibola. Non feci in tempo a fermarlo, che un enorme Gaster Blaster, largo quasi quanto un tavolo, comparve di fronte all'uomo ed aprì l'enorme bocca piena di agghiaccianti denti aguzzi.
Lì per lì, pensai che con un morso gli staccasse la testa dalle spalle. Sarebbe stata una morte molto migliore di quella che gli spettava. I miei occhi furono quasi accecati per un attimo, poi la vista mi ritornò.
L'uomo non era più di forma umana. Rimaneva solo la parte inferiore in giù, due gambe attaccate ad un basso addome e nient'altro. La pancia era aperta e nel freddo del sotterraneo delineata una minuscola linea di fumo. Le interiora in vista erano bruciate, carbonizzate e scure, come quella volta che avevo fatto un barbecue nell'immenso giardino di Annika: le mie cotolette di manzo avevano quell'identico colore.
Ben abituata alla vista dei cadaveri maltrattati ed a volte fatti a pezzi, non mi sentii male né vomitai, anzi mi avvicinai per esaminare quel corpo. Non riuscii neanche a portarmi nelle vicinanze, poiché Sans era collassato in ginocchio, tremante e colpito dagli spasmi. Lo raggiunsi in un balzo.
«Sans? Sans! Oi, rispondimi!»
Lui prese un respiro profondo ed a fatica mi guardò: aveva il cranio imperlato di sudore, le sue costole si muovevano su e giù ad un ritmo irregolare. «S... Sto be...Ne...» Mormorò lui, come se mpe la potesse dare a bere.
Gli chiesi in fretta se potessi fare qualcosa, ma lui scosse la testa e mi balbettò soltanto di aspettare un attimo. Il tempo passò lentamente, ma finalmente fu di nuovo in grado di stare in piedi.
Lui non ne sapeva niente. Forse non era neanche vero che Gaster centrasse qualcosa, non potevo saltare alle conclusioni troppo in fretta.
Un rumore di passi si fece strada da fuori. John e Krishna, usciti per pochi minuti a fare una pausa, dato che avevano fatto la guardia a quel coglione tutta la notte, entrarono per ritrovarsi davanti uno spettacolo che non si trova tutti i giorni, persino per il loro lavoro.
«Porca miseria.» Disse semplicemente l'anziano signore, senza poter dire nulla di più. Il giovanotto di fianco a lui corse fuori.
Era un novellino, facilmente impressionabile.
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«Allora ci vediamo in giro, Frisk.»
«Mi sa di sì, Krishna. Sempre che John non ti faccia passare tutta la vita qua sotto, a pulire pezzi di intestini.»
«Vedremo quando rivedrò la luce del sole. A presto, mia signora.»
Detto questo, mi diede un'altro abbraccio ancor più lungo del primo. Emanava un forte odore di spezie, come la prima volta che l'avevo conosciuto, in quella buia cella del commissariato. Lui e John, entrambi chiusi lì dentro, erano stati gli unici che avevano cercato di consolarmi a poche ore dalla morte di mia madre. Non avevo dimenticato.
Lo salutai e risalii insieme a Sans le scale per uscire. Era estremamente taciturno, probabilmente per via di quello che ci aveva riferito il sicario. E magari anche per la bella fine che aveva fatto.
Invece, mi chiese un'altra cosa.
«Era il tuo ragazzo?»
La domanda mi colse di sorpresa.
«Chi, Krishna?»
«Il ragazzo indiano, quello che è...»
«Viene dal Bangladesh.» Puntualizzai, aprendosi la porta scricchiolante di quella casa orribile e sbattendo gli occhi, infastidita all'improvvisa luce del sole.
«Fa lo stesso. Era il tuo fidanzato o no?» Chiese lui, insistente.
«Ma sei pazzo? Lui è solo un amico che mi ha visto crescere, non c'è niente tra di noi.»
«Da come vi abbracciavate...» Mormorò lo scheletro, come se pretendesse qualcosa.
«Hai qualche problema? Sono libera di abbracciare chi mi pare e piace.» Ribattei ostile. Lui non rispose e si girò dall'altra parte.
«Dobbiamo andare da questo conoscente di mio... Padre. Dovrebbe riuscire a farti entrare...»
«Sans, siamo in strada. Non ne puoi parlare da un'altra parte?»
«Ops, scusa. Ci andiamo subito, in ogni modo.» Mi prese per il polso e sentii per un'attimo i piedi mancare il contatto con il suolo.
Mi ritrovai all'improvviso in un grande ed elegante salotto, pieno di poltroncine e divani, tutti in semicerchio attorno ad un grosso camino di marmo rosato. Una figura incappucciata, che ci dava le spalle, non si sorprese del nostro arrivo.
Con grazia e lentezza controllata, poggiò il libro che teneva in mano sul tavolino ai suoi piedi, e sempre con eleganza quasi innaturale si alzò e si girò.
Mi spaventai.
Quella creatura non possedeva un volto, tutto quello che si poteva chiarire dei suoi lineamenti erano le sue forme femminili sotto le vesti attillate, di un lucido nero. Aveva una corta mantella tutt'uno con il cappuccio, tenuta stretta grazie ai ganci argentati.
Il suo vestito stretto, smanicato e del medesimo colore della mantella, le metteva in mostra i seni prorompenti e le arrivava (credo, come ho detto non era facile capire come fosse fatta) fino ai piedi, i lembi strusciavano un poco per terra. Alla vita e all'altezza dei fianchi aveva due cinture che si collegavano attraverso dei lacci di cuoio. Indossava dei lunghissimi guanti neri lucidi, che ricoprivano le braccia quasi fino alle spalle.
«Hey, Virgilia. È passato tanto tempo.» La salutò Sans, come se la situazione non fosse insolita. Gli amici di Sans la prendevano sempre bene, nonostante lui piombasse in casa loro in qualsiasi momento della giornata.
Almeno con me, lui si prendeva la briga di avvisare.
«Ooh, se non è il mio caro Sansy! Maleducato come sempre, vedo.» La voce della creatura era sottile, dolce e mielosa. Forse era una cantante.
Ma... Sans non aveva detto che quel conoscente di suo padre era maschio?
«Non cambio mai.» Rispose allegramente lui.
«Certo, certo. E quella graziosa signorina dietro di te?»
Frisk si sentì terribilmente in imbarazzo ad essere chiamata in tal modo, ma si fece avanti con un piccolo sorriso.
«Salve, sono Frisk Nichols. Mi dispiace di piombarle in casa in questo modo...»
«Ooh, ma che voce limpida! Interessante, interessante... Non è nulla, mia cara umana Frisk. A cosa devo questo piacere?»
Sans cercò di riacquistare la sua attenzione. «La richiesta di un favore, niente di più. Una semplice visita al vecchio palazzo di Asgore, questo sabato.»
La donna senza volto, sentito quello, si mise a ridacchiare. Poi si interruppe.
«Ooh, che digrazia. Wingy ha deciso di farlo fuori? Ma che peccaaaato!» Aveva il tono di un bambino annoiato quando gli si toglie un giocattolo.
«Ma non ti posso certo dire di no, Sansy. Devo molto alla tua famiglia, portarvi ad una normale festicciola non sarà un problema... Credo.»
«Io non verrò con te. Dovrai solo portarti dietro Frisk e poi-»
«Avrò l'onore di portare un'Umana alla festa serale di Mettaton, uwah! Sono così eccitata!» Sembrava il tipo di persona che si distraeva facilmente. Non un buon tratto per una missione così rischiosa.
«Virgilia.» La richiamò lo scheletro.
«Perdonami, Sansy. Dicevi?»
«Devi darci un po' di informazioni sul luogo, hai una mappa del palazzo?»
«Io possiedo di tutto, caro.»
Suonò un campanellino, di tutta fretta arrivò un maggiordomo, un Mostro con le sembianze di una grossa e vecchia tartaruga, e tre piccole creauturine che sembravano dei cagnolini bianchi con una chioma corvina. Erano terribilmente buffi, così tanto che mi strapparono un sorriso. Loro si inchinarono goffamente, intralciati dai loro completini da camerieri.
«Gerson, portami la mappa del palazzo di Asgore. Temmie, Bob e Kevin, il mio occorente per le mappe. In fretta!» Ordinò tutta allegra. L'anziano Mostro si inchinò frettolosamente quasi fino a terra e corse via, gli altri tre lo imitarono, zampettando e inciampando gli uni negli altri.
«Dimmi, Sansy. Come sta il tuo adorabile fratellino?» Chiese lei amichevole, adagiandosi sul sofà e invitadoci con un gesto della mano ad accomodarci. Gettai un'occhiata a Sans, che si sedette di fronte a lei, teso.
«...A meraviglia.» Rispose lui a denti stretti, guardando altrove. Mi sedetti infine su una poltrona di fianco a lui.
Quasi come se avesse timbrato il cartellino, la creatura si rivolse a me, interessata.
«Da dove vieni, gioia? Sei originaria di qua?»
«Ehm sì, sono originaria di Ebott City.» Mentii spudoratamente, o così credetti. Era una domanda che mi ero posta molte volte dopo la morte di Mary Ann. Forse speravo in cuor mio che ci fosse una famiglia, da qualche parte nel mondo, che stesse ancora aspettando me e mia madre, anche se lei non me ne avesse mai parlato. La speranza si era consumata fino a ridursi in uno strato opaco di pura disperazione che aveva ricoperto i miei occhi dalla luce, quando ero solo una bambina troppo magra che aspettava inutilmente che qualcuno la venisse a prendere e la portasse via da quell'orfanotrofio.
Non venne nessuno.
Perciò scappai.
«Davvero? Cosa ti piace fare nel tempo libero, Frisky?» Chiese ancora Virgilia, potraendosi verso di me come se avesse il bisogno vitale di nutrirsi del suono della mia voce.
Pensai a tutte le cose discutibili che facevo nel "tempo libero": rincorrere ladruncoli nei mercati, uccidere coloro che avevano ucciso, litigare con i soliti narcotrafficanti come delle vecchie comari italiane...
«Mi piace leggere i romanzi.» Almeno questo non era proprio una bugia.
Solo un'occultamento della realtà. Niente di scandaloso.
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