Sweet Dreams

Frisk p.o.v.

«E poi... Mia m-madre se ne andò. Mi lasciò solo con loro d-due... Uhuuuh...»
La situazione aveva preso una piega imbarazzante quando gli avevo chiesto, non l'avessi fatto, di raccontarmi della sua infanzia. Lì Sans aveva iniziato a piagnucolare, raccontando l'abbandono di sua madre e dell'inizio delle torture psicologiche e fisiche di Papyrus.
Di fianco a lui, c'erano sette bicchieri vuoti di mostarda.
Era ormai ubriaco fradicio, inciampava sulle parole e ciondolava la testa come un pendolo. Ma nonostante gli avessi pregato di andare a casa, lui aveva rifiutato e aveva continuato a scolarsi un bicchiere dopo l'altro.
Mi stavo chiedendo come avrei fatto a portarlo a casa, finché lui non notò che ero ancora sobria al cento per cento.

«Perché...*hic* Tu non sei ubriaca...?»

«È un cocktail analcolico.» Risposi semplicemente, con un sorrisetto. Odiavo il sapore dell'alcol.
«Davverooo...?» Disse lui, sbalordito.
Poi scoppiò in una risata e infine si rimise a piangere sommessamente, lamentandosi come se qualcosa gli facesse male. Estremamente a disagio, gli chiesi se stava bene. Lui mi rispose con un mugugno che non capii, quando gli rifeci la domanda disse:«Sono quattro ore... Che non mi faccio...». Mi si gelò il sangue nelle vene. Ricordai che quando eravamo ancora da Alphys si era assentato per qualche minuto nella toilette, solo dopo mi ero accorta che un scheletro non poteva neanche andare in bagno! Evidentemente in quei pochi minuti... Era ritornato pieno di vita, come se fosse eccitato o allegro per qualche strano motivo. Oh mio Dio.

«Lo hai f-fatto apposta...? Intendo, farmi veniiire qui?» Chiese lui, tra i singhiozzi.

«Forse. Ma di certo non volevo farti ubriacare come un coglione.» Replicai, inacidita. Non riuscivo a capacitarmi di come una persona potesse desiderare la propria distruzione in un modo così stupido. Era masochismo.

«Mi hai fregatto!» Esclamò lui ridacchiando, calcando troppo sulla t ed ignorando la seconda parte della mia risposta. Decisi che la faccenda aveva superato il limite, perciò chiesi a Muffet di portarmi il conto. Lei sbirciò lo scheletro incuriosita e mi chiese se avevo bisogno di una mano a portarlo a casa, ma declinai, non volendo causarle rogne.
A quel punto però, il cranio dello scheletro fece contatto con il legno del bancone con un sonoro tonfo e Sans iniziò a russare. Quello era un problema.

Lo scossi con violenza, ma non riuscii a svegliarlo. Definitivamente un problema. Lo scrollai per la collottola e lo presi a schiaffi, ma neanche in quel caso cessò di dormire. Mi presi la testa tra le mani, già nel panico di come avrei potuto percorrere tutta Nyarang Town con uno scheletro addormentato sulle spalle. Era fuori questione attraversare Underground City per cercare casa sua e anche se l'avessi trovata, come avrei potuto lasciarlo nelle mani del fratello dopo quello che mi aveva raccontato?

«Se vuoi, ci sono due camere in affitto al terzo piano.» Disse Grillby, salvandomi da un attacco di panico.
«Ok, mi sa che userò una di quelle...»
Pensai però che ero troppo stanca per tornare a casa.
Mi corressi. «Ehm, tutte e due. Quanto vi devo?»

Pagai senza rancore i novanta dollari delle bevande e delle camere, poi Muffet mi fece strada fino alle stanze. Mi caricai Sans sulle spalle e lo trasportai su per le scale. Pesava meno di quanto mi aspettassi, essendo alto una quindicina di centimetri più di me, perciò non fu difficile per me portarlo al terzo piano e stenderlo sul letto. La stanza era semplice e spoglia, con solo un giaciglio ed una cassettiera che fungeva da comodino.
Era quasi estate, perciò lasciai lo scheletro spaparanzato sul materasso senza rimboccargli le coperte (mi sarei sentita troppo una deficiente).

Andai nell'altra camera, uguale identica alla prima. Lì mi accorsi che qualcosa mancava.
Il cappello e la bandana!
Mi diedi degli schiaffetti sulle guance, cercando di ricordare dove li avessi lasciati. Non mi venne in mente nulla, tale era la mia stanchezza.
Mi tolsi i guanti e le scarpe, finalmente, senza forze, mi spiattellai sul letto come pancake.
Non riuscii ad addormentarmi per mezz'ora, poi finalmente le mie palpebre cedettero.
Caddi in un sonno caldo e confuso.

«Lasciatela!» La voce femminile era strozzata dall'ansia.
«Vi ho detto di lasciarla!» Ripeté, mentre le mani che reggevano le due Browning 1910 tremavano come delle foglie.

L'uomo fece una gran risata ed avvicinò la canna della sua pistola alla testa della bambina che teneva per i capelli. Lei emise un flebile singhiozzo.
«Belle pistole, sorella. Forza, spara un colpo!» La incitò digrignando i denti.«Padre John vi ha insegnato a sparare, no? Facci vedere come sei brava!»

«Ho detto. Di lasciarla andare.» Sibilò lei, mentre il tremore delle sue mani diventava incontrollabile.

Il secondo fece finta di pensarci su, poi disse:«Nah, non ne abbiamo voglia. Qualcuno deve pur pagare i debiti della carissima Mary, quello che abbiamo trovato a casa sua non vale neanche la metà. Questa bimba farebbe un bel po' di soldi in una casa di tolleranza, che ne pensi piccolina?»

Disse passando la sua grossa mano lungo la schiena della bambina, che con uno scatto fulmineo si liberò della presa dell'uomo, lasciando una ciocca di capelli tra le sue dita grassocce e spinse per terra quell'altro.

Cristina sparò due colpi.

Il sangue inzuppò la maglia della bambina, che si levò faticosamente in piedi e si tolse i pezzi di materia grigia dell'uomo dai capelli. La suora li aveva colpiti entrambi alla testa. Si avvicinò all'altra e cercò di pulirle il viso dal liquido rosso scuro con un fazzoletto, dandole delle confortanti pacche sulle spalle.
«Hai talento nel fare le scelte giuste al momento giusto, Frisk.»

Delle urla mi svegliarono improvvisamente. Era Sans.
Mi alzai dal letto e corsi velocemente nella sua stanza, trovandolo ai piedi delle letto e dolente. Mi avvicinai a lui, non sapendo cosa fare.
Lui alzò la testa, rivelando un viso rigato dalle lacrime.
«Fa m-male...»

«Fa male!»

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