I Wanna Die
(Attenzione: in questo capitolo saranno presenti delle scene di violenza. Se siete particolarmente sensibili, non leggete.)
Frisk p.o.v
«Mettaton possiede una collezione di trecento scarpe a tacco undici... Cazzata.» Dissi cancellando la frase con una linea e passando alla successiva «... Continuamente in aumento a causa delle sue innumerevoli ore passate a fare shopping durante i weekend... Utile, penso...» Cerchiai la frase, chiedendomi se fosse possibile scoprire dove e quando durante il fine settimana il Mostro andasse a spendere tutti quei soldi rubati. Avevo raccattato una sua foto da una rivista ed ero quasi morta dentro dal ridere: Mettaton era un robot (così diceva la rivista, io non sapevo nemmeno come potesse essere definibile quel miscuglio di metallo) con delle fattezze inquietantemente umane, eppure non riuscii a smettere di sghignazzare alla vista della foto. Aveva una rigogliosa chioma di finti capelli mori che gli ricoprivano sempre una parte della faccia e due paia di occhi giallastri dall'altro lato. Il suo corpo era un incrocio tra quello maschile e quello femminile: non aveva seno, ma possedeva due gambe che era impossibile che un uomo potesse avere. Poteva essere un robot transgender? Non ne avevo idea e sinceramente non ero troppo curiosa di saperlo. Inoltre, possedeva un paio di braccia in più, le sue mani era coperte sempre da dei lucidi guanti rossi e gialli e gli stivaletti col tacco erano del medesimo colore.
«Veramente non ti ricorda nessuno? Mai incontrato?» Avevo chiesto nuovamente a Chara.
Te l'ho già detto, testona. Non mi ricordo niente della mia vita prima di morire.
«Ok, ok...» Sospirai, continuando quel lavoro assurdo in silenzio.
Dalla mia finestra, il cielo blu di giugno iniziò a scurirsi piano piano, il giorno per nulla frettoloso di cedere il posto alla sera. Tra poco sarebbe stato impossibile per me mantenere i miei soliti vestiti da lavoro con il costante aumento della temperatura.
Sarebbe arrivato il fatidico momento in cui sarei stata obbligata a mettermi una di quelle gonne svasate al ginocchio che ormai andavano di moda e un paio di mocassini stringati o delle ballerine. Sentivo già le prese in giro di Hans e le vesciche ai piedi.
Continuai a cerchiare e cancellare informazioni fino alle otto di sera, finendo prima del previsto. Chara si era addormentata mentre io ero sveglia come un grillo, ancora seduta alla scrivania fissando il vuoto e riflettendo.
Era pericolosamente vicina l'ora di cena, tuttavia c'era qualcos'altro che stuzzicava la mia curiosità.
Chiusi tutte le luci della mia stanza ed uscii chiudendo la porta a chiave, sempre guardinga nei confronti dei miei colleghi ficcanaso.
Scesi le scale per il primo piano e mi diressi verso la biblioteca, ma nel mentre mi imbattei in Jean-Michel, pronto per andare in sala da pranzo.
Mi disse che era meglio non fare arrabbiare Annika e seguirlo, ma io scossi la testa e lo superai senza pensarci. Ci restò male.
La biblioteca di Ivan Kalashnikov possedeva libri di tutte le lingue e di tutti gli argomenti, perciò rimasi basita quando non ne trovai nessuno per il tema "I Mostri". Tuttavia, prima che potessi controllare meglio, sentii Annika che urlava il mio nome e corsi a capofitto in sala da pranzo.
"Non è possibile." Pensai.
Al posto di preoccuparti della salute di uno scheletro, cerca di non diventare una sua simile facendo arrabbiare la Kalashnikov. Corri.
~~~~~~~~~
«Allora, com'è stato il tuo primo giorno di lavoro con l'ammasso di ossa?» La voce di Hans si levò appena mi sedetti. Lo ignorai completamente, concentrandomi sull'antipasto e chiacchierando con Hawa sulla sua giornata di scuola. Maurício non c'era, come al solito.
L'idiota biondino schioccò la lingua infastidito ed interruppe Hawa mentre parlava, sporgendosi dal suo posto di fronte a me.
«Dai, Frisky, dimmi almeno di cosa avete parlato. Avete parenti comuni, no?»
La ragazzina di fianco a me si alzò di scatto dalla sedia per il riferimento alla morte di mia madre. Io rimasi seduta e non lo guardai neanche, tanto era il mio interesse per quello che la sua fogna faceva uscire.
«Come osi, maleducato che non sei altro!» Strillò lei in mia difesa.
La guardai e le feci cenno di sedersi, sempre senza degnare Hans di uno sguardo. Continuai così fino alla fine della cena, assorta nei miei pensieri e mezzo-ascoltando Hawa, che si era seduta solo dopo aver fato una linguaccia al biondo.
Quando provò a parlarmi per la terza volta, qualcosa di luccicante volò a pochi centimetri dal suo orecchio. Russian Roulette si mise a giocherellare con il secondo coltello, lanciandolo in aria e riprendendolo come un giocattolo. Aveva uno di quei sorrisi freddi con solo un lato della bocca, che annunciavano il suo passaggio di irritazione all'allarme rosso.
«Non so se hai ancora capito il messaggio, chihuahua. Ti ho già detto più volte che mi dà fastidio quel tuo tono isterico a tavola, specialmente dopo una lunga giornata di lavoro. Sta' zitto e mangia.»
«Non sono affari tuoi, mi pare.» Ringhiò Hans, alzando la voce. Questa volta il coltello gli sfiorò l'orecchio ed andò a conficcarsi nella parete di fianco all'altro. Lui sembrò trattenere il fiato.
«Non ho più voglia di sentire il suono della tua voce. Stai zitto e mangia.» Ripeté Annika con un sorrisetto soddifatto quando vide lo sguardo sconfitto del ragazzo abbassarsi di nuovo verso la sua mousse al cioccolato.
Fatti furbo, Hans, che coglione lo sei già. Commentò Chara nel mio orecchio, strappandomi un mezzo sorriso. Un giorno avrei voluto dirglielo.
Sans p.o.v.
Mi svegliai di soprassalto al rumore della porta che sbatteva. Ancora disorientato cercai di mettere a fuoco l'orribile ma non sorprendente immagine davanti a me. Papyrus era in piedi davanti al mio letto, con un gatto a nove code in mano, un'espressione pericolosa e compiaciuta.
«Dimmi, Sans. Hai passato una buona giornata con la puttana?»
Mi irrigidii quando lo sentii chiamarla in quel modo, ma stetti zitto. Iniziai a tremare. Stava per arrivare la sfuriata e contraddirlo lo avrebbe solo reso più spietato, ma lui si arrabbiò lo stesso per la mancanza della mia risposta.
«TI HO FATTO UNA DOMANDA, IDIOTA!» Gridò con la sua voce stridula. Quando vidi il frustino arrivare verso di me, istintivamente misi le mani davanti alla faccia e chiusi gli occhi, aspettando l'impatto.
Sentii una striscia di dolore ardente percorrermi il petto, urlai e caddi per terra dalla forza del colpo. Papyrus mi diede un calcio sulla trachea per farmi stare zitto, mi sembrò di soffocare.
Quando aprii gli occhi non riuscii a vedere altro che una macchia sfocata e indistinta, poiché le lacrime avevano già iniziato a sgorgare.
Battei gli occhi, guardando il punto dove mio fratello mi aveva colpito e vedendo che la mia camicia cremisi si era strappata esponendo le mie costole rosse e sanguinolente. Misi istintivamente una mano sul taglio, mentre un gemito di dolore si levava dalla mia bocca.
"Cazzo, per una volta che non mi faceva sembrare un obeso..."
Pensai stupidamente, ma non feci neanche in tempo a finire di pensare quanti indumenti mio fratello mi avesse strappato in tutti quegli anni, che Papyrus si avvicinò e strappò il resto della mia camicia, cercando di infilare le mani dentro le mie costole.
Lì dentro, la mia anima pulsava terrorizzata, compiendo dei minuscoli scostamenti per cercare di non venire afferrata. Io ero immobile come una statua, pregando Dio che quella volta fosse stata più breve del solito.
Mio fratello l'afferrò e la tirò fuori dalla gabbia toracica, sgarbatamente.
Quello fu abbastanza per farmi quasi perdere conoscenza. L'anima era la parte più sensibile del nostro corpo, se non era trattata con la massima delicatezza poteva fare più male di perdere un arto staccato lentamente.
Tutto divenne nero quando mio fratello avvicinò il cuore rovesciato biancastro alla sua bocca e lo morse.
Un dolore indescrivibile si fece strada in tutto il mio corpo, dalla testa ai piedi. Il mio ultimo pensiero prima di accasciarmi al suolo fu:
"Voglio morire."
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