Guest

Frisk p.o.v.

«Sans, per caso ti piaccio?»

Sentii il rumore di un vetro sfracellarsi, quindi mi girai di scatto in allarme. Era stata Muffet, aveva solo fatto cadere un bicchiere. Si chinò per raccogliere i cocci con le tre paia di mani, dietro il bancone, ma all'improvviso emise un gemito di dolore. Si rialzò in piedi e si guardò corruciata il taglio sulla mano.
Mi offrii di aiutarla, pensando a tutte le volte che mi ero tagliata nella medesima situazione. Lei mi fece un sorrisino gentile e scosse la testa. «Tranquilla, Frisky cara. Faccio da me. GRILLBY!» Strillò, con voce piagnucolosa. Il marito si avvicinò con prudenza.

«Cosa c'è, ciambellina mia?»

Feci di tutto per non ridere per quel soprannome, eppure mi uscì un suono di soffocamento dal naso che sentirono entrambi. Mi misi una mano sulla bocca, e Muffet esplose.

«CIAMBELLINA MIA?! STAI DICENDO CHE SONO GRASSA?!»

«No! Stavo dicendo che sei dolce e... Uhm...»

«ROTONDA, MAGARI?»

Mi rigirai di nuovo verso Sans, preoccupata, cercando di non dare peso ai due Mostri urlanti di fianco a me. Non era la prima volta che Grillby faceva il tragico errore di chiamare sua moglie con un nomignolo poco appropriato e di solito il litigio durava una buona mezz'ora di strilli, seguiti da pianti e altri urli ancora.

«Sono grassa, uhuuuh...» Muffet si mise a piangere, la sua strategia infallibile per far sentire Grillby l'ultimo degli indelicati, ma soprattutto per farlo sentire l'ultimo delle merde.
«Scusa, tesoro. Ti chiedo scusa, ok?» Disse lui, sperando di concludere il conflitto senza danni.

«No! Adesso voglio che vieni da me e mi chiedi scusa!» Esclamò lei, lasciandoci tutti basiti.

«È quello che ho detto.»

«Lo vedi?! Mi dai sempre contro, sei orribile!» Strillò lei ricominciando a piangere, segno che il litigio era ancora lontano dall'essere concluso. Feci segno a Sans di andare e lasciai soldi sul bancone, trascinandolo via in tempo prima che anche Grillby iniziasse ad urlare.

«SEI UNA FOTTUTA EGOISTA!»

«HUH?! SENTI CHI PARLA, IL PALLEMOSCE DI TURNO!»

«TIRCHIA!»

«IDIOTA!»

«OBESA!»

«COME MI HAI CHIAMATO?!»

Mi chiusi la porta alle spalle, evitando per un soffio un piatto che Muffet aveva tirato al marito, mancandolo. Iniziammo a correre entrambi, per le strade semi-deserte, verso una meta imprecisata, mentre le case con le luci ancora accese ci sfilavano davanti per poi scomparire ai lati dei nostri occhi. Giungemmo infine in una piccola piazza, dove erano rimasti solo alcuni bambini a giocare a palla, vicino ad una fontana situata al centro. Sans vi si appoggiò, ansante.
Un tremore iniziò ad espandersi dentro di lui. Pensai che si trattasse della crisi di astinenza, perciò mi avvicinai preoccupata, con il respiro perfettamente regolare. Il mio lavoro consisteva nel correre da una parte all'altra della città, ma Sans non doveva essere molto allenato.

Il tremore si trasformò in una risata, genuina e spontanea. Era raro sentire l'ilarità profonda e bizzarra dello scheletro, per di più era contagiosa.
Ci mettemmo a ridere entrambi, attirando l'attenzione dei bambini, i quali vennero trascinati via dalla loro madri spaventate.

La gente temeva Sans e temeva me, più o meno per gli stessi motivi: il potere, la magia che scorreva dentro di noi, il sangue di cui ci eravamo sporcati.
L'essere guardata in quel modo dalla mia stessa specie mi rendeva molto più simile a lui; potevo affermare di essere un Mostro anch'io, in un certo senso. Era un pensiero interessante, avrei povuto dirglielo.

Chissà come avrebbe reagito?

Continuammo a ridere come due cretini, fino a che Sans mi guardò di nuovo e smise di sghignazzare. Si fece serio.
«Frisk, stai piangendo?»

Mi accorsi, per niente stupita, che grosse lacrime mi avevano rigato il viso. Mi affrettai ad asciugarle con la mano, sperando che il manto della sera estiva fosse abbastanza buio da nascondere il rossore delle mie guance.
«Mi succede quando rido troppo.» Spiegai imbarazzata, odiando questo stupido effetto collaterale con tutta me stessa.
Anche quando ero felice sembravo triste, era una specie di maledizione.

«Cioè... Quando ridi, piangi?» Chiese lui, vagamente interessato.
"Tu non ce le hai nemmeno le ghiandole lacrimali, cosa vuoi capirne?"avrei voluto dirgli, ma per qualche motivo la mia bocca rimase serrata. Le lacrime continuavano a scendere.

«Porco Giuda.» Sussurrai, cercando un fazzoletto tra le mie tasche. Non trovandolo, schioccai la lingua stizzita.
Scorsi con la coda dell'occhio Sans offrirmene uno, bianco con dei ricami colorati: fiori, alberi e coccinelle.

Ora eravamo in due ad essere imbarazzati. "Perché dovrebbe avercene uno, in ogni caso? Non ha un naso per starnutire..." pensai interdetta, sempre senza rivelargli i miei pensieri.
Lo presi, borbottando un grazie, e mi asciugai gli occhi. Glielo diedi indietro, mentre il silenzio iniziava a farsi pesante.

«Devi andare?» Chiese lui, visibilmente dispiaciuto. No, non dispiaciuto. Sembrava terrorizzato all'idea di rimanere solo.

Un angolo del mio cervello mi urlò un solo indizio a quella reazione: Papyrus.
Giusto, me ne ero quasi dimenticata.
Probabilmente Sans avrebbe preferito farsi scorticare vivo (anche se non aveva la pelle) pur di non ritornare a casa.
Pensai che se Papyrus lo avesse menato, il giorno dopo avrebbe avuto dei problemi ad eseguire i piani in modo corretto. Sans mi serviva, in salute. Era solo per quel motivo, così pensai, che gli proposi:

«Vuoi dormire da me?» Chiesi, aspettando la puntuale reazione. Arrossì, girandosi intorno come se stesse cercando di nascondersi, ma non disse niente.
Chi tace acconsente.

«Non... È un problema per te?» Chiese esitante. Scossi la testa.
«No, affatto. Gli altri sono a far baldoria da qualche parte, non dovrebbero neanche essere in casa. Troppo stanco per il teletrasporto?»

«No, ce la faccio. Grazie, Frisk.» Disse lui, soffermando le sue pupille rossastre su di me. Feci spallucce.
«Di nulla.» Mormorai, afferrandolo delicatamente verso il braccio.

Mezzo secondo dopo, ci ritrovammo nel mio ufficio, buio e con le tende chiuse.

Un brivido mi percosse la schiena.

Mi lanciai velocemente verso la lampada sulla scrivania, lasciando andare Sans. Tirai un sospiro di sollievo.

«La camera da letto ed il bagno sono di là.» Dissi indicando una porta. «Io ho solo bisogno di fare una doccia e mettermi in pigiama, perciò puoi dormire nel mio letto.» Conclusi, cercando di essere cortese.

«Nel tuo letto? Ma tu allora dove dormi?» Mi chiese lui, con il tipico disagio dell'ospite. «Dormirò sul divanetto, lo preferisco.» Risposi io semplicemente, non vedendo il problema.

«Ma questa è casa tua...» Tentò di nuovo lui.
«Infatti, perciò ho deciso che il mio adorato divano lo uso io.» Dissi cercando di apparire scherzosa.
«Fai pure quello che ti pare, a meno che tu non voglia andare a letto subito. Io vado in doccia.» Conclusi entrando dentro la camera da letto e prendendo una camicia da notte da una cassettiera. Era di un viola spento e scuro, di cotone. Terribilmente femminile, ma era l'unica che avevo per l'estate, troppo occupata col lavoro per rinnovare un minimo il mio vestiario.
"Ho solo voglia di darmi una lavata e correre a letto. Domani sarà una giornata infernale." Pensai, entrando in bagno ma non chiudendo la porta a chiave.
"Sans non ne avrebbe il coraggio, non mi devo preoccupare" pensai, tranquilla e serena come una suora. Mi tolsi la camicia, i pantaloni e gli stivali, rimanendo in reggiseno (quale seno?) e mutande. Mi guardai allo specchio, girandomi ed esaminando la mia condizione: piallata, piena di cicatrici, maniglie dell'amore troppo acute ed una faccia da bambina.

"Il soprannome Antisesso me lo sono pienamente meritato. Nessuna parola mi può descrivere meglio di così" riflettei casualmente, togliendomi i rimanenti capi d'abbigliamento e restando nuda come il culo di un macaco. Gettai un'altra occhiata disgustata allo specchio.

Sospirai ed entrai nella doccia, facendo scorrere l'acqua sopra la mia pelle e i miei capelli. Era una sensazione stupenda dopo una lunga giornata di lavoro.
Mi insaponai e mi lavai, velocemente per non sprecare acqua.
C'era gente che aveva difficoltà ad averne a disposizione, comportarsi in modo diverso sarebbe stato come sputare su quelle vite disastrate.

Uscii dalla doccia, infilandomi in un ampio asciugamano bianco. Tesi l'orecchio, per capire se Sans si trovasse nella stanza di fianco: nessun rumore. "Starà ficcanasando nel mio ufficio" pensai, non avendo niente in contrario, d'altronde io lo facevo sempre con gli altri.
Dopo essermi strofinata un poco con il morbido telo, lo buttai sull'attaccapanni e mi misi in camicia da notte.
Gettai i vestiti nella cassapanca dei panni sporchi ed entrai nella mia stanza, silenziosamente ed a piedi nudi. Il parquet era piacevolmente freddo al contatto. Lo scheletro non c'era, come avevo immaginato.

Un piccolo ghigno stirò la mia bocca, mentre un innocuo piano si formava nella mia mente. Avanzai senza far rumore fino alla porta del mio ufficio, sentendo dei lievi rumori attraverso il legno, ed appoggiai la mano sulla maniglia.

Tre, due, uno...

Spalancai la porta di scatto. Sans per poco non ebbe un infarto.
«Gesù Cristo!» Esclamò lui, vedendo la mia faccia spuntare dall'uscio. La mia espressione parlava da sola, evidentemente, perché immediatamente mi chiese: «L'hai fatto apposta?»

«Certo.» Risposi con un sorriso da angioletto. Lui si massaggiò le tempie, ancora scosso. Si trovava vicino alla mia scrivania ed aveva delle fotografie in mano. Tipico.

«Cosa c'è? Ti ha traumatizzato il vedere che un tempo indossavo persino dei vestiti non da maschio?»

«Lascia perdere. Era la tua classe?» Chiese lui, mostrando una vecchia foto della Casa degli Orfani. Ero solo una mocciosetta spettinata a sinistra, nascosta dai folti capelli rossicci di una mia amica, Wendy. Entrambe eravamo state sgridate per non avere la chioma in ordine e le suore ci avevano pettinato in fretta, per poi piazzarci in un luogo poco visibile. All'ultimo momento, entrambe avevamo scosso la testa violentemente in modo da scompigliarci i capelli.

Avevamo saltato il pranzo per quello scherzo, ma ne era valsa la pena.
Wendy se n'era andata poco tempo dopo, non l'avevo più rivista dopo che una coppia di mezz'età era venuta a prenderla. Avevo provato a rintracciarla, ma senza alcun risultato.
«Era il mio orfanotrofio.» Dissi rispondendo alla sua domanda.
Lui si stupì. «Non avevi i genitori?»

«No, mio padre non so neanche chi fosse e se sia ancora vivo. Mia madre è morta quando avevo sette...No, credo otto anni. Assassinata per strada.» Sans parve restare impressionato da quanto fossi calma a raccontare cose simili.
«Tua madre ti manca?» Chiese nuovamente.

"Che domande fai, testa d'osso? Mia madre per me è solo un corpo quasi decapitato che vedo ogni volta che spengo le luci."

«No.» Risposi sinceramente. Mary Ann non mi mancava, più restava fuori dalla mia mente e meglio era.

«Oh, ok.» Sans fece una pausa . «Ti ha adottato qualcuno?»

«No, la maggior parte di noi è restata lì dentro fino ai sedici anni, per poi essere buttati fuori. Io... Me ne sono andata verso i quattordici.»

«Perché?»

«Non avevo più voglia di stare lì dentro, oltre al fatto che i miei poteri si erano risvegliati. Una delle suore mi ha visto ed ha cacciato un urlo, poi ha gridato delle cose su Satana...»

«Non deve aver studiato storia.»

«No di certo. Se non fossi scappata, chissà cosa sarebbe successo. Mi avrebbero messo sul rogo, come nel medioevo, chiamandomi "strega"? Non lo so, ma non avrebbero certo gradito il mio piccolo dono ed io non ero curiosa di conoscere la mia sorte. Perciò ho vissuto per le strade per un anno circa, prima che Annika prendesse il posto di suo padre e mi offrì di unirmi a lei. È noiosa e fredda, a volte, ma è una donna straordinaria. Se ce ne fossero di più come lei in giro...»

Intanto mi ero seduta sul divano, a gambe accavallate.
«Come hai scoperto di avere i poteri di uno dei Sette Stregoni?» Chiese lui, continuando a fissare la foto. La cosa mi irritò, ma non dissi nulla.

«Stavo menando un ragazzo che mi aveva fregato il mio pezzo di pane. Lui ad un certo punto mi ha tirato un pugno sul naso, il dolore mi aveva accecato ed ero caduta all'indietro, sbattendo la testa. Ho sentito qualcosa di strano, come se il corpo non mi appartenesse e non mi ubbidisse più. Mi sono rialzata, non so come, e qualche attimo dopo era lui quello a terra. Non si rialzò.» Feci una pausa.

«Era la prima volta che uccidevo qualcuno, eppure la mia mente era lucida e calma, come se non avessi fatto altro dalla mia nascita. Avevamo iniziato a litigare nel cortile, dopo il pranzo, per cui nessuno mi vide. Lo trascinai, sempre non sentendo il controllo del mio proprio corpo, fino all'inceneritore della spazzatura. Nessuno in seguito mi incolpò, ma dopo che quella suora mi ebbe visto mentre stavo facendo dei piccoli esperimenti con le mie capacità, tutto venne a galla.» Il silenzio durò a lungo. Sans non disse nulla, mi fissò semplicemente.

Mi ero rialzata e stavo per chiedergli qualcosa sulla sua magia, ma con orrore sentii qualcosa di liquido scendermi tra le gambe.

«Merda.» Ringhiai, guardando come in trance il sangue che era caduto in ordinate gocce sul pavimento. Sans se ne accorse, spaventato, e mi chiese cosa mi fosse accaduto.

«Ho il ciclo.»

«Il cosa?»

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