9|Il legame che li lega
Non aveva mangiato nemmeno tornata dal lavoro.
Lo stomaco le si era chiuso in una morsa non appena aveva provato ad allungare la mano verso ciò che rimaneva del tofu che la sua coinquilina le aveva gentilmente lasciato.
"Dato che ti ho preparato da mangiare, gradirei che tu lavassi i piatti al posto mio" recitava il post-it attaccato al coperchio della pentola, adagiata ancora sui fornelli sporchi di salsa di soia.
Jane l'aveva mandata bonariamente a quel paese.
Se non fosse stato per lo stomaco che, per l'appunto, non voleva ammettere cibo, si sarebbe fiondata verso quel quadratino -che Jane sospettava fosse di cemento, a vederlo- bianco e poco invitante.
Ma avrebbe dovuto rassegnarsi.
Io so cosa sei.
Quelle quattro parole si erano incise nella sua testa, marchiate a fuoco. Non era riuscita a liberarsele dalla mente e probabilmente era colpa di quel senso d'angoscia che la opprimeva che il suo stomaco si era deciso a chiudere i battenti.
Così, raccogliendo la borsa e il cappotto, si era trascinata a letto. Alquanto inutile dire che non aveva chiuso occhio per tutto il resto delle ore che le restavano prima del suono della sveglia, che di per sé erano già poche.
Appostandosi furtivamente dietro la finestra di camera sua, aveva controllato la situazione nella notte. Non avevo captato nulla di strano, ma di certo questo non l'aveva rincuorata. Anzi, se possibile, le aveva fatto crescere l'ansia ancora di più. L'idea che qualcuno l'avesse seguita non aveva, nemmeno per un momento, smesso di martellarle la testa. Aveva bevuto una tazza spropositata di caffè -l'unica cosa che il suo stomaco sembrava aver accettato- per tenersi in piedi e si era posizionata strategicamente in mezzo al letto, prima di chiudere la porta della sua camera a chiave. Aveva sperato che, se qualcuno fosse entrato in casa, si fosse diretto dalla sua coinquilina. Si era tolta la divisa ed era rimasta così per un po' di tempo, il freddo che sentiva sulla pelle che mai come quel momento le era sembrata così pallida. Poi si era messa i pantaloni lunghi dell'unico pigiama pulito, bianco con stampati dei fiori, e si era infilata sotto le coperte.
Era passato poco tempo prima che la curiosità le facesse allungare un braccio per prendere in mano i lembi della borsa, tirando fuori quel malloppo di fogli e adagiandoli sopra al materasso.
Aveva preso anche un evidenziatore giallo fluo dalla scrivania per sottolineare le cose più importanti. E il laptop, pensando che forse poteva incappare in informazioni che necessitavano di una ricerca più approfondita. Si era sistemata, creando una pila con i cuscini per essere più comoda.
Ora stava guardando il computer, lo schermo luminoso le infastidiva gli occhi stanchi. Un velo opaco le impediva di mettere a fuoco completamente. Cercare il nome della proprietaria della casa su internet si era rivelato un buco nell'acqua. Quasi un oceano, dato che era finita su un sito di disinfestazione di cimici, dopo che per sbaglio aveva aperto un link che mostrava furbamente la foto di una casa bruciata, la quale assomigliava parecchio a quella sulla vecchia copia del giornale.
Si espresse in uno sbuffo, imprecando contro la ditta che produceva prodotti anti-cimici. Chiuse la finestra, arrendendosi dopo aver passato un'ora e mezza tra vari link e siti che non l'avevano portata a niente.
Diede uno sguardo alla sveglia e non si spaventò nel leggere il numero che lampeggiava.
4:00
Si passò una mano in fronte, esausta. Riguardò distrattamente i fogli sparsi sul materasso. Aveva scoperto che in quel fascicolo c'era tutta la sua vita, compresi tutti i suoi tutori che nel corso della sua vita l'avevano presa sotto la propria protezione e quasi si sentì triste nel leggere tutti quei nomi.
Erano diciotto nomi, sei coppie.
La prima famiglia in assoluto era composta da Fred e Olivia.
Jane era stata con loro per pochi mesi, ma non li avrebbe mai scordati. Con Fred aveva legato subito, costruendo un rapporto che si sarebbe portata dietro, negli anni a venire, sempre con un sorriso. Olivia, un avvocato divorzista, a discapito dell'immagine che poteva suggerire, era veramente dolce e premurosa. Ricordava come la delusione si era dipinta nel suo volto quando, a pochi mesi di distanza da quando aveva iniziato -per la sua prima e ultima volta- a chiamarli "mamma" e "papà", l'avevano riportata indietro.
La seconda famiglia ospitava una famiglia così calorosa che Jane, dapprima titubante per lo scorso episodio, subito si era integrata bene. Ma, anche quella volta, aveva dovuto fare i conti con il cancello familiare dell'orfanotrofio. Rispedita come una missiva al suo mittente.
La terza famiglia non aveva troppe pretese da Jane, la quale si limitava a rimanere una bambina passiva della vita che le scorreva davanti. Inutile ribadire che l'avevano rinnegata, un'altra volta.
La quarta famiglia, quella composta da Ben e Carly, le era piaciuta fin da subito. Ma non si era mai mostrata entusiasta e non ci aveva mai sperato. E aveva avuto ragione, perché anche quella volta il letto cigolante condiviso da altri orfanelli non le era mai sembrato così triste.
La quinta famiglia si era limitata a tenerla per un solo giorno.
La sesta e anche l'ultima, era quella che Jane ricordava con più dispiacere. Rod aveva degli evidenti problemi di alcolismo, anche se si vantava di essere pulito da mesi, così come Fiona, che invece aveva un problema riguardante la droga. Jane aveva pensato che la cosa fosse alquanto divertente quando li aveva trovati entrambi distesi a terra, lei con la bava alla bocca, lui con una macchia vermiglio che si estendeva sul pavimento, sporcandolo.
Scosse la testa, come ad allontanare quell'orribile immagine che la sua mente aveva riportato a galla. Rilesse le varie informazioni sui tutori, quando un dettaglio le saltò all'occhio. Si chiese perché non se ne fosse accorta prima.
C'era un legame che accomunava tutti, un legame oscuro e mortale. Qualcosa che le faceva risalire una strana sensazione per la gola.
Tutti, dal primo all'ultimo, erano morti.
Deglutì visibilmente.
Doveva fare qualcosa.
Prese fra le dita il foglio di giornale, quello della casa bruciata. Se lo rigirò fra le mani, cercando di capire se le fosse sfuggito qualcos'altro. Ma non trovò nulla.
Affranta, si allungò verso il comodino per prendere un sorso di caffè dal thermos che aveva preparato. C'era un'unica cosa da fare per trovare delle risposte e constatò con un mezzo sospiro che l'idea non le piaceva per niente.
Prese un post-it giallo e la penna nera, scrivendoci sopra l'indirizzo. La calligrafia era confusionaria, ma leggibile. Se lo appuntò anche nella mente, che era però occupata dal ricordo di quella chioma nera e quelle semplici quattro parole.
Io so cosa sei.
Non ci pensò oltre. Prese di fretta una maglietta qualsiasi, arrivò in cucina per prendere gli anfibi, le chiavi della macchina e il cappotto, uscendo di corsa.
Sarebbe andata in quella casa.
N/A
Possiamo sorvolare sulla completa inutilità di questo capitolo?
Bene, grazie.
Grace sta per attraversare un momento di orrore puro e Jane si beffa del tofu e beve caffè a tonnellate.
Però giuro, -lo giuro sul serio- che dal prossimo avrà anche lei una bella gatta da pelare.
Devo solo scrivere ed editare.
Come spero abbiate colto, mi volevo concentrare su un unico particolare: le morti dei tutori di Jane. È un indizio che terrei a mente, magari servirà per il futuro.
Tra l'altro questo capitolo doveva anche avere un piccolo cenno romantico fra il cucciolo di Logan e Jane, ma ho cancellato tutto.
Mi repelle scrivere certe scene.
Grazie della comprensione, Laura u_u
Vabbè, la smetto xD
Cia'
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