15|Tagli
Jane imprecò quando il disinfettante entrò a contatto con la pelle ferita. Il bruciore le fece mordere con forza un labbro, l'odore pungente le fece arricciare il naso. Non aveva ancora tolto il sangue secco dalla faccia, così si fece coraggio e prese con una lentezza disarmante il rotolo di carta igienica. Aveva preferito recarsi in bagno, lontana dagli occhi indiscreti della sua coinquilina, sempre curiosa di potersi fare gli affari suoi. Non aveva fatto altro che tremare come una foglia da quando aveva rivissuto quel ricordo. Pezzi sporadici le attraversavano la mente, incapaci di sfuggire alla sua memoria. Aveva provato a mettere ordine in quel groviglio di emozioni in cui giaceva, ma rischiava solo di rimanerci invischiata senza via di scampo, come una farfalla finita nella ragnatela di un ragno. Quello che per anni aveva anelato, poter sapere qualunque cosa del suo passato, ora la faceva soffocare, la tenevano stretta e laceravano quell'anima già frantumata in cocci che non aveva ancora ritrovato. Jane aveva percorso quell'intricato sistema di trappole che era la sua testa, ma era caduta proprio nella tana del Bianconiglio.
Faceva fatica ad accettare tutto quello che le stava accadendo. I suoi genitori, i tutori e poi... quella donna.
Così delicata ma che aveva la morte negli occhi. La parte razionale del suo cervello continuava a ricondurre il tutto allo stato in cui si era ridotta, che magari era solo un gioco della sua mente, che si stava immaginando tutto. Ma il taglio che le segnava lo zigomo era reale. Era lì, lo spiraglio da cui uscivano tutte le sue paure, il nascondiglio che per molto tempo aveva rinchiuso qualcosa di oscuro e malvagio che da tempo aspettava dentro di lei il momento di uscire allo scoperto e divorarla.
O forse lo stava già facendo.
Sospirò, aprendo l'acqua del rubinetto. Passò un po' di carta sotto il getto, cercando di non bagnarla troppo e renderla così inutilizzabile. Prese un lungo respiro prima di alzare lo sguardo verso lo specchio e sollevare il braccio. Gli occhi d'ebano la guardavano, appesantiti dai solchi violacei delle occhiaie. Avevano perso il loro vigore, ridotti come una foglia secca d'inverno, caduta dall'albero e ora riversa a terra, inerte. I capelli si erano allungati fino ad arrivarle sotto alle spalle. Erano scuri, neri come quelli di quella donna. Si accorse solo in quel momento che, la ciocca che le attraversava il viso impedendole di vedere chiaramente, era stata tagliata.
Era stata lei.
E poi Jane dovette stringere con forza il bordo di porcellana per evitare di svenire, vittima dei residui del ricordo che le colpivano la testa.
Il rumore.
Il sangue.
I suoi capelli.
Buio.
Allungò la mano verso l'anta del piccolo mobiletto presa da un'agitazione improvvisa, prendendo ansimante le forbici. Guardò la lama riflettere sotto la luce a neon della lampadina scadente, e anche quel dettaglio comune e insignificante le ricordò quella donna.
La katana.
Ancora sangue.
No, no, no.
Era lì, era nei suoi capelli, era nei suoi occhi spaventati da bambina quale era stata.
"Non è qui."
Lo disse piano, il fiato corto, rimirando ancora la punta e rigirandosela fra le mani. Era così simile a quella lama rilucente nel buio di cui ricordava ancora il sapore di morte.
"Non è qui" lo disse anche quando si guardò allo specchio, incontrando di nuovo la sua figura.
Prese in mano le forbici, afferrando una ciocca consistente di capelli fra le mani e deglutendo. E poi lo fece. E lo ripeté, in un meccanismo che di cosciente non aveva nulla, tanto era il distacco con cui lo faceva. Si sentiva quasi ovattata nel sentirlo. Tac. E poi ancora, sempre quel rumore e sempre quella sensazione di oppressione che le stringeva il petto. Tac. Continuò così, cercando di rimediare e mascherare quel taglio che si ritrovava dentro e fuori. Tac. Si ritrovò a osservare il caschetto irregolare che le carezzava il volto scheletrico. Alcune ciocche, più corte delle altre, svolazzavano ribelli dal taglio netto che aveva dato alla sua chioma.
E Jane vide solo un'anima di vetro che si era rotta per l'ennesima volta. Sospirò, mollando con un gesto secco lo strumento che andò a cozzare con la ceramica del lavandino, producendo un rumore acuto.
Guardò tutto l'insieme, e non seppe trovare una cosa che andasse bene. Era divisa a metà; da una parte c'era il suo volto pulito, scarno ma pulito. Dio, se aveva anelato alla normalità. Non chiedeva nulla, solo essere – anche solo per una volta – una persona normale. Dall'altra parte invece c'era quello squarcio che aveva in faccia, un percorso scritto con la lama lucente di quell'ombra spaventosa. Quella era la sua parte, che Jane lo volesse o meno. Era lei quella. Era la parte ferita. Prese coraggio, cercando di concentrarsi; doveva tamponare la ferita.
Bagnò ancora un po' la carta, portandosela al volto. Chiuse gli occhi e, sospirando, sfiorò appena la pelle. Una scarica di brividi le percorse il corpo e allontanò di scatto il braccio. Si morse con forza il labbro, riprovando a disinfettare quel taglio. Non era troppo profondo, ma le faceva male. Sentiva un pizzicore sull'epidermide, proprio sullo zigomo. Strusciò prima delicatamente ma, vedendo che non andava via, applicò più pressione. E anche quando il sangue iniziò a venir via, quando le crosticine scarlatte si staccarono dalla pelle, Jane spinse più forte. Si fece male, ma continuò. Sempre più forte, perché quello che voleva mandare via non era il sangue secco, ma quella sensazione di sporco che si sentiva addosso. Sentì il calore dato dallo sfregamento, ma continuò. Rivide in quel volto il disastro che era, i guai in cui si era cacciata e la vita che le aveva voltato le spalle sin da quando era nata.
Perché lei? Cosa aveva fatto di male per meritarsi questo?
"Perché?"
E fu un debole sussurro che l'aria si prese e nascose, in modo da non rivelare tutto quel dolore che provava, fin troppo grande per una sola persona. Si fermò solo quando si rese conto che l'epidermide aveva assunto un colore troppo rossastro e buttò con violenza la carta nel lavandino. Ne prese dell'altra. Aveva passato anni e anni della sua vita a costruirsi quella maschera di indifferenza solo per non mostrare agli altri che era debole come il petalo del più delicato fiore.
Ma alla gente andava bene. Perché nessuno si impegnava per andare a fondo nella sua anima, nessuno voleva scoprire cosa avesse dentro. Un pensiero anche ipocrita, dato che lei stessa non era mai riuscita a uscire allo scoperto, per mostrarsi così com'era.
Nemmeno con Logan, che considerava una tra le persone più importanti della sua vita. Con lui aveva trascorso buona parte della sua adolescenza. Si erano conosciuti al primo anno, Logan era stato l'unico a volerle parlare. Non era una ragazza di molte parole, Jane. Si limitava a seguire le lezioni, tornare al suo orfanotrofio e studiare. Paradossalmente era la sua casa, quel posto in cui albergavano tanti bambini che, come lei, ancora dovevano trovare qualcuno che li amasse.
Ma Jane aveva perso la speranza ormai da tempo. I tutori si susseguivano e la riportavano tra quelle mura anguste e antiche. E poi era arrivato Logan, con la sua sigaretta accesa e i volumi sottobraccio. Le aveva chiesto di venire con lei in biblioteca e quelle che erano state uscite sporadiche divennero ben presto un impegno fisso. Avevano studiato, riso e parlato, in un modo in cui Jane non aveva mai fatto con nessuno. Si era raccontata, lasciando che Logan scoprisse quel disastro che era. Quell'accozzaglia di sentimenti e sbagli. Quelle sue ali spezzate. Ma lui non l'aveva giudicata, rimanendole accanto anche nei momenti più bui. E Jane sapeva di poter contare solo su di lui.
Il rumore incessante di un pugno che batteva a ritmi regolari sulla porta la fece ridestare dai suoi pensieri.
"Che c'è?" chiese.
Mentre attendeva risposta si guardò allo specchio. La ferita era ancora come l'aveva lasciata, rossa e dolorante.
"Hai finito con quel bagno? Si può sapere cosa stai facendo?" La voce della coinquilina le arrivò nitida e soffocò un insulto nei suoi confronti.
"Ma gli affari tuoi?" borbottò, cercando di sistemare tutta la carta che giaceva nel lavandino.
"Ti ho sentita! Maleducata!" Sentì i suoi passi lungo il corridoio, segno che si stava allontanando.
"Stronza" sibilò.
Prese dell'altra carta. Ci buttò sopra del disinfettante, e sperò che bastasse. Inghiottì un grumo di saliva e trattenne il respiro. Aveva sempre avuto una soglia del dolore bassa, e infliggersi del dolore da sola era la sua più grande paura. Tuttavia doveva farcela, oppure rischiava di fare infezione.
Quando la superficie bagnata toccò la pelle Jane non poté non gemere. Strinse gli occhi, mentre con il solito tremolio che non l'aveva mai abbandonata, passava il prodotto su tutta la ferita. Sentiva perfettamente che stava facendo effetto. Eccome se lo sentiva.
"Merda!" imprecò quando toccò un punto sensibile. Si morse la lingua per non gemere. Non aveva un cerotto grande abbastanza a coprire interamente la ferita, così si dovette ingegnare: prese un pezzo di garza bianco e lo tagliò con le forbici, cercò lo scotch e, mentre una mano teneva fermo un lembo, Jane applicava lo scotch a metà fra la pelle e la garza. Ripeté il procedimento anche dal lato opposto, assicurando il medicamento per bene. Non dovette guardarsi allo specchio per vedere che era il solito disastro completo.
La sua coinquilina bussò ancora "Che c'è ancora?"
"C'è il tuo amico."
Jane battè le palpebre, confusa. Cercò di sistemare e ripulire il lavandino. Aprì la porta, ritrovandosi davanti la figura alta della sua coinquilina.
"Amico?" Gli occhi verdi della ragazza la fissarono annoiati.
"Si chiama Logan. Mi ha detto che non è disponibile, purtroppo. Un gran peccato" commentò.
"Non provare a toccare Logan."
La sua coinquilina assottigliò lo sguardo, rimanendo un attimo in silenzio. "Oh. Ora ho capito. Tranquilla, non ho intenzione di rubartelo."
"Tu non hai capito proprio niente" borbottò scansandola e superandola, recandosi in cucina.
Logan era di spalle, intento a fare chissà cosa. Jane si avvicinò a lui piano, cercando di non fare troppo rumore. Jane si portò una mano sul volto, assicurandosi di trovare quell'improvvisata medicazione che nascondeva la ferita.
"Ciao."
Vide l'amico sobbalzare e soffocare un urlo. "Mi hai spaventato, Jane!" alzò la voce, voltandosi finalmente dalla sua parte. Quando Jane incontrò i suoi due zaffiri non riuscì a non sorridere.
Logan si accigliò, avvicinandosi appena alla sua figura. "Che cosa hai fatto alla faccia?"
Jane si ritrovò a boccheggiare, incapace di inventare una scusa.
Cosa poteva dirgli?
Sentì la gola secca e nell'abbassare lo sguardo sulle sue mani sporche di quel suo sangue così impuro non seppe che fare. "Jane" la richiamò Logan, avvicinandosi ancora. La ragazza cominciò a indietreggiare quando vide il braccio dell'amico sollevarsi per toccarla.
No, no, no.
Non poteva vedere cosa si celasse lì sotto, non voleva. Il respiro le si fece irregolare, faceva fatica a stare in piedi. Si aggrappò al muro, ma la testa continuava a girare Di colpo sentì addosso tutti gli avvenimenti che le erano successi: i tutori che sembravano legati da quel filo mortale, quel bigliettino apparentemente senza senso che la tormentava la notte e quella donna. E poi la bambina piccola che era stata, vittima di un ricordo che le era rimasto nascosto per anni e che tuttora non aveva senso.
E potè avvertire quasi dei grossi tentacoli risalire lungo tutta la sua figura e stringerla, stringerla e soffocarla fino a farla cadere in un buio che aveva due occhi neri e un sorriso peccatore.
N/A
CI SONO RIUSCITA.
Ho aggiornato.
Alleluia.
Ora passiamo alle cose serie. Tipo che sei un genio, Jane!
Che dici, forse è il momento di ripigliarsi? Non ti sembra un po' tardi per gli svenimenti alla cenerentola?
Eh, appunto.
Ah, dicevi che devo ripigliarmi io?
Stai attenta a come parli, eh... Qua ti ricordo che decido io
Mi stai ricattando, per caso?
Non usare terzi per evitarmi!
Vabbè, questa dice di essere una vittima e si permette di paragonarmi a un'assassina!
Intanto nel prossimo capitolo c'è Logan quindi dovrebbe solo ringraziarmi u.u
Noi ci vediamo presto!
...
Spero.
P.s. Questo capitolo mi fa schifo ma dopo settimane ritornare a scrivere è stata dura T.T
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