12|Il Serpente del suicidio 2/2

Il respiro tornò a bloccarsi.

Le arterie che pompavano il sangue sembrarono restringersi di colpo, il cuore cessare di battere e raggrinzirsi per il mancato ossigeno. Era rimasta ferma. A metà scale, il corpo rigido e la gola secca. Il pavimento sotto di lei scricchiolava, probabilmente perché concentrava tutto il suo peso in un unico punto, aggrappandosi al muro bianco. Non distolse lo sguardo -nemmeno per un secondo-, dal corridoio che le stava di fronte. Aspettava con trepidazione che arrivassero, ma allo stesso tempo sperava non fossero loro, quei genitori che tanto odiava.

Quando incontrò il loro sguardo quasi aggrottò la fronte.

Erano cambiati.

I loro volti erano più magri e non erano rimasti esclusi dallo scorrere del tempo, che aveva scalfito il loro viso rendendolo irriconoscibile agli occhi di Grace, la quale -la possibilità di invecchiare insieme a loro- non l'aveva avuta. 

Sua madre, che aveva lasciato cadere a terra con un tonfo ovattato le buste della spesa, da cui erano rotolate delle mele verdi.

I capelli le ricadevano perfettamente lisci sulle spalle strette, anch'essi segnati dal tempo e diafani in alcuni punti. Gli occhi grandi si erano gonfiati, diventando quasi due perfette sfere velate di tristezza. Il buio che riflettevano non fece che riportare a galla l'unico ricordo che con amarezza aveva sepolto.

Osservò con un velo di tristezza gli occhi simili ai suoi del padre, che si erano ingranditi da sotto le lenti alla sua vista. La chioma biondo cenere -da cui sporadicamente si palesava un capello bianco-, che un tempo portava sbarazzina e leggermente lunga, ora era stata notevolmente ridotta e riempita da lacca. Lasciò vagare con malinconia lo sguardo, mentre nel fissare il busto leggermente più grosso, le vennero in mente le sue piccole braccia strette intorno al suo completo.

Rimasero fermi, il tempo sembrò fermarsi.

"Grace."

Sentire il suo nome, per la prima volta dopo anni, sulle labbra di sua madre la destabilizzò. Quello che provava non aveva nome, era una matassa di emozioni e sensazioni che frullava nella testa senza fermarsi.

Accennò un sorriso solo per cortesia, mettendosi una ciocca dietro l'orecchio.

"Cosa... cosa ci fai qui?"

Era stato suo padre a parlare, quella volta. Si era tolto gli occhiali, forse perché non credeva che lei fosse lì veramente. A fissarli.

Non seppe come dirlo. O forse non voleva.

Era scappata.

Ma perché?

Vedere il Dr. Scott insieme a un'altra donna l'aveva destabilizzata, certo, ma sapeva in fondo che non era solo per quello. Le mura dell'ospedale sembravano farsi di mese in mese più strette, la presenza di Sam non bastava più. Non si era nemmeno pentita di averla lasciata lì. Aveva cercato disperatamente nella sua anima una qualche briciola di rimpianto, ma non aveva trovato nulla. Grace aveva abbandonato l'umanità dei sentimenti da molto, troppo, tempo oramai, facendo un'eccezione di cui si era pentita amaramente per il Dottore. Immaginò l'amica che, se solo fosse stata libera, si sarebbe subito diretta dalla sua famiglia con l'unico scopo di rivedere la sorella. Era una bambina bellissima, la sorella di Sam. Aveva i capelli lunghissimi e lisci, che portava spesso sciolti. I suoi occhi azzurri, ereditati dalla seconda moglie del padre, erano di un blu brillante, come la vista dall'alto di un oceano immenso. Da ciò che le aveva raccontato quella che un tempo era stata un'amica, era appassionata di lettura e amava le poesie.

Allontanò la sua immagine dalla mente, perché ora aveva altro su cui concentrare la propria attenzione.

"Me ne sono andata" pronunciò con una certa esitazione, scendendo le scale piano e arrivando al cospetto delle due figure. Quasi spaventati, i due adulti indietreggiarono.

Grace li guardò con una strana luce negli occhi. Non era ferita dal loro comportamento, dopotutto non li considerava più la sua famiglia da quando l'avevano accompagnata dentro le mura di quell'ospedale. Era quasi divertita dalle loro reazioni. Non se l'aspettavano di certo.

La loro povera e innocente Grace, piccola ragazzina indifesa, si era ribellata?

Margaret e Paul Langford non erano riusciti nel loro intento, quello di rinchiuderla per il resto della sua vita.

"Ma... ma come te ne sei andata? Lui... lui ti ha lasciato andare?"

Non difficile capire che il lui era il Dr. Scott. Per un momento, per un solo ed effimero momento, a Grace venne voglia di urlare. Di sbattergli in faccia tutte le bugie, le loro bocche chiuse e gli sbagli fatti. Ma si diede un contegno.

Del resto, era così bello fingersi buoni.

Non rispose alla domanda, sinceramente non sapeva che dire. L'iniziativa la prese sua madre.

"Non importa" sospirò, rilassando le spalle. Si avvicinò a Grace, evitando la spesa riversata sul pavimento di legno. Le arrivò davanti, allungando una mano per toccarle una guancia.

Quando la sua pelle, leggermente abbronzata e calda, venne a contatto con la sua, la ragazza si scostò bruscamente. Fece tre rapidi passi indietro, l'inizio delle scale le pizzicava le caviglie scoperte.

Margaret rimase con il braccio fermo a mezz'aria. Lo riabbassò, in viso un'espressione frustrata. Erano così bravi a fingere e Grace lo sapeva bene.

"Grace, tesoro."

Quasi non scoppiò a ridere. Tesoro. Le riservò uno sguardo carico di odio, un odio di quelli viscerali e primordiali.

"Non sono il vostro tesoro, non lo sono da tanto tempo."

Le parole vennero fuori da sole e Grace avrebbe voluto rimangiarsele. Non voleva sbottare così, mantenere il controllo era l'unica cosa che le permetteva di rimanere impassibile. Sentì i sospiri dei suoi genitori.

"Perché sei venuta qui, se ci tratti in questo modo?" volle sapere suo padre.

"Perché voglio delle risposte, ecco perché! Dopo anni in cui non vi vedo, vi permettete di chiamarvi tesoro!" sbottò, la rabbia stava salendo pericolosamente.

Non seppe se fu perché sua madre aveva iniziato a piangere, ma si calmò lentamente. Il mal di testa, probabilmente provocato da tutte le emozioni che erano state riportate a galla, iniziò a martellarle le tempie. Sospirò, esausta. Rilassò le spalle, distese i muscoli. Doveva solo sopportare.

"Siediti, è quasi ora di cena. Avrai tutte le risposte che vorrai."

-

L'acqua calda fece scivolare tutta la stanchezza dal suo corpo. Immergendosi nella vasca fino a toccare la superficie trasparente con il viso, i muscoli freddi le si erano rilassati e il tepore aveva sortito un effetto calmante. Chiuse gli occhi, respirando piano. Aveva rinunciato a mettere ordine nella sua testa, timorosa di poter trovare altri ricordi spaventosi.

I suoi genitori, come promesso, avevano risposto a tutte le sue domande. Grace, però, non aveva accennato minimamente al fascicolo di suo padre su di lei. Lo avrebbe fatto, ma non in quel momento. Non finché non avesse capito in cosa si stava inoltrando.

Senza che lo volesse, si ritrovò a pensare al discorso che poco prima aveva affrontato.

"Perché mi avete rinchiusa lì dentro?"

Sua madre aveva riposto il suo sguardo da un'altra parte, evitando il contatto diretto con lei. Si era poi passata le mani sulle ginocchia, stringendo un po' la presa.

"Tu... tu hai sempre avuto un dono." Aveva deglutito rumorosamente, come se dire quelle parole le provocasse un dolore fisico. Grace doveva sapere.

"Che dono?" aveva quindi domandato.

Margaret aveva sorriso mestamente. "Piacevi alle persone, al primo sguardo. Eri piccola e una sognatrice a occhi aperti, per questo attiravi sempre l'attenzione."

Grace non aveva capito dove volesse andare a parare. Aveva quindi alzato un sopracciglio, manifestando il suo disappunto.

"Ti piaceva leggere e andavi tutti i giorni in biblioteca, quella vicino all'angolo tra la farmacia e la casa dei Pratt. Ci trascorrevi ore, immersa nelle avventure dei libri. Il proprietario era sempre stato affascinato da te, una bambina speciale."

E nel dire quel speciale, il volto si era indurito, la bocca ridotta a una fessura.

"Patrick aveva sempre piacere di averti lì, e io ero grata a lui poiché ti teneva quando papà era al lavoro, lasciandomi il tempo di fare qualche commissione senza lasciarti da sola."

Margaret era disoccupata. Se l'era ricordata d'improvviso.

"Un giorno, mentre ero a fare la spesa, il vicino di casa mi aveva chiamato allarmato. Diceva di averti trovata tremante, mentre piangevi. Sono corsa il più veloce possibile da te, tesoro. Eri così spaventata."

In quel momento Grace l'aveva vista china a terra, il volto nascosto dalla vergogna.

"Lui ti... ti aveva violentata. Aveva abusato di te e tu eri rimasta impassibile mentre me lo raccontavi, fredda. Avevo paura di ciò che poteva succederti dopo aver realizzato, una volta cresciuta, quello che ti aveva fatto. Ma tu il giorno dopo avevi dimenticato tutto. Sorridevi, persino, cantando le note musicali" si era per un attimo fermata, forse ricordando quel momento.

"Per questo ti abbiamo portata lì. Io e tuo padre avevamo paura che quando l'avessi ricordato la tua mente non avrebbe retto. Abbiamo consultato uno psicologo, lui ci aveva consigliati. Così ti abbiamo preso e portato in quella struttura."

"Ma voi mi avete lasciata lì a marcire per anni."

"Non è stata colpa nostra, Grace! Di anno in anno il dottore ci diceva che stavi peggiorando, e che sarebbe stato meglio eliminare ogni traccia di ricordo che la tua mente aveva di quel momento!"

"Ma ora lo ricordo, mamma! Ricordo il suo sguardo mentre..."

La frase gli era rimasta sulle labbra, che aveva prontamente chiuso perché non uscisse nulla.

...mentre si suicidava sotto il mio sguardo attento.

Piombò nella realtà quando sentì che qualcuno aveva bussato alla porta.

"Sono papà. Margaret ha detto che la cena è pronta."

Grace gli rispose che aveva capito, alzandosi lentamente in piedi. Era scivolata fra il tessuto caldo dell'asciugamano, stringendoselo attorno. Farsi una doccia era proprio quello di cui aveva bisogno. Si avvicinò al mobiletto da cui aveva preso le pastiglie, guardandosi allo specchio.

Non si riconobbe.

La perfezione che da anni rincorreva per mascherare la sua anima rotta in minuscoli pezzi era ormai ridotta in briciole. Non c'era una cosa, una, che andasse bene in lei.

Non il rossetto ormai tolto che con precisione aveva messo per incontrarlo, non il caschetto biondo che sembrava un groviglio di rovi, non gli occhi di un colore scialbo e anonimo.

Scosse la testa, la delusione sul suo volto.

Non era perfetta.

Nel mettere i vestiti di sua madre si sentì sporca.

Non voleva avere addosso gli indumenti che avevano toccato la pelle di quella donna, di quella traditrice. Il maglione giallognolo in lana le stava leggermente stretto sulle spalle, allargandosi troppo sui fianchi. Erano così diverse che Grace non fece fatica a capire perché l'avesse cancellata dalla sua vita con tanta facilità.

Non c'era nulla che ancora la ancorava all'amore, nemmeno i ricordi di una Margaret felice l'avrebbero convinta.

Si vestì in fretta, raccogliendo i capi con cui era scappata dall'ospedale e uscendo dalla stanza. Percorse le scale con calma, lo scricchiolio del parquet non smise di pizzicarle le orecchie.

"Ho preso i vestiti sporchi, non so-"

Le parole le morirono in bocca. Osservò gli occhi magnetici che si specchiavano nei suoi azzurri.

Silenzio.

"Ciao, Grace."

Lo Stregatto era arrivato a farle visita.

N/A

Di chi saranno mai quei due occhi magnetici?

Spoiler: non del postino che ogni volta mi trova vestita in modo diverso e imbarazzante per ritirare il pacco Amazon

Spero vivamente che questa seconda parte non sia stata sottotono rispetto alla prima, poiché in quest'ultima succedono cose altrettanto... Belle.

Facciamo un altro resoconto?
Grace dopo aver scoperto di Patrick, chiede a sua madre spiegazioni: bene, l'uomo ha abusato di lei e i suoi l'hanno rinchiusa lì per paura. Dopodiché hanno fatto finta di fare i bravi genitori e hanno invitato qualcuno per cena

A quanto pare no ú_ú

Btw, come avreste reagito al posto di Grace?

Ma soprattutto: chi è pronto per il prossimo capitolo?

A presto,
Neb

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