{Last call}
[Stony!PostCivilWar]
- Steve...-
Un mormorio spezzato. Un respiro affannato. Un cellulare usa e getta da cui non si separava mai.
Ed ora eccola, quella telefonata tanto attesa. Anche se... Anche se sembrava che non fosse solo ciò che appariva.
-Tony...?-
Una strana preoccupazione, dettata dall'istinto, prese a stringergli la gola in una stretta morsa.
-Volevo... volevo solo... sentire la tua voce. –
Parole strozzate quelle dell'inventore, come se qualcosa gliele bloccasse in gola.
Colpi di tosse, forti, spietati. Respiro affannato.
-Che succede? Tony, cosa c'è che non va? Hai... hai bevuto?-
La grande mano di Steve era stretta intorno a quel piccolo aggeggio di plastica, le nocche sbiancate, la sua invisibile espressione tradiva il suo nervosismo crescente.
- Non ho... molto tempo ma... ci sono cose che non ho mai avuto il coraggio di dirti... E non importa se adesso è troppo tardi, io...-
Un silenzio, un lungo silenzio in cui il Capitano ebbe Paura, una Paura che mai aveva provato prima. Paura che in ballo ci fosse più di un bicchiere di scotch di troppo, paura che i suoi sospetti fossero verità.
-Perché Tony? Perché è troppo tardi?-
Ma voleva davvero sentirla la risposta a quella domanda? Non ne era certo. L'unica cosa che sapeva, è che il cuore aveva iniziato a battergli all'impazzata nel petto e i suoi occhi si erano velati di lacrime.
-Steve, Steve, Steve.-
La voce dell'inventore che pronunciava il suo nome come se volesse accarezzarlo lettera per lettera, come se stesse esprimendo il più recondito dei propri desideri.
-Mi dispiace... mi dispiace così tanto per non aver capito, per non essermi riuscito a fermare, per averti ferito durante quella stupida guerra. Sono stato un idiota, ho versato il sangue dell'ultima persona che mai avrei voluto ferire...-
Erano calde, lente, silenziose, le lacrime che gli rigavano il viso, irrigidito da qualcosa molto simile al dolore, all'agonia. E fu folgorato dalla consapevolezza che quella no, non fosse una semplice telefonata. Quello era un addio.
-È una guerra che abbiamo combattuto in due... E anch'io ho fatto, ti ho fatto, cose terribili...Non hai fatto niente che io non ti abbia già perdonato.-
Le parole che il suo cuore urlava, le sue labbra tramutavano in disperati sussurri spezzati.
-Sono in ritardo, Capitano, come sempre. Sono stato un codardo... ho aspettato troppo a lungo. Ma io... io devo confessartelo, anche se in ritardo, anche se non dovessi accettare le mie parole... -
Piangeva, piangeva Captain America, perché sapeva, sapeva ciò che l'altro stava per dirgli. Se lo erano già detti, in fondo, più volte, tramite sguardi infuocati che avevano già detto tutto quello che c'era da dire. Sguardi a cui non avevano mai osato dare voce.
-Io... io ti amo, Steve.-
Un singhiozzo irruppe dalle sue labbra, senza controllo, rimbombando nella stanza, nella sua mente, nel suo cuore. Distruggendolo.
-Dove sei, Tony? Dimmi dove sei, ti prego...-
Lo stava supplicando, lo stava supplicando di tornare da lui, di lasciargli dire quanto anche lui l'amasse, quanto lui l'avesse sempre amato, sprofondando in quei magnetici occhi nocciola che lo stregavano ogni volta che li incontrava.
-Sono...sono dove non puoi raggiungermi... Dovevo aspettarmelo... andare in missione senza di te... Che mossa stupida... Dovrei averlo capito... che senza di te non valgo niente... che non sono nessuno.-
Una risatina appena accennata. Dolorosa. Un'ombra sbiadita di quella che era stata la risata arrogante di Tony Stark. Un'ombra che, come tale, sparì al calar delle tenebre, del Silenzio.
-Non è vero... Mi hai dato più di quanto tu hai ricevuto... Mi hai donato uno scopo, Tony, qualcuno a cui guardare le spalle, qualcuno da proteggere, anche da se stesso. Dimmi dove sei, risolveremo tutto come al solito, insieme.-
No. Non l'avrebbe abbandonato. Aveva detto di essere in missione, quindi non gli rimaneva che raggiungerlo e trarlo in salvo da qualsiasi situazione l'altro si fosse cacciato. Lo avrebbe rivisto. Gli avrebbe detto quanto lo amava.
-È troppo tardi... Mi dispiace... mi dispiace così tanto...Sono stato colpito, Steve... Io... io non credo che riuscirò a cavarmela questa volta... Ma dovevi sapere... dovevi sapere che io...-
Le parole dell' inventore furono interrotte da forti colpi di tosse. E non poteva evitarsi di immaginarlo, il Capitano, non poteva impedirsi di immaginare Tony, il suo Tony, riverso in una pozza di sangue, a tossire il liquido vermiglio. Un basso gemito lasciò le sue labbra, mentre si rendeva conto che no, non l'avrebbe rivisto, mai più. Non l'avrebbe sentito più ridere, non avrebbe più potuto osservare come gli si formavano quelle piccole rughe accanto agli occhi quando lo faceva, non si sarebbero più incontrati/scontrati nei corridoi della Tower attaccando giocosamente battaglia. Non si sarebbe mai più perso nel suo sguardo ambrato. Non avrebbe potuto mai più dirgli quanto lo amasse e baciarlo come tanto a lungo aveva sognato di fare.
-Anch'io ti amo, Tony. Ti ho sempre amato, dalla prima volta che ci siamo visti, quando mi spalleggiasti contro Loki in quella piazza gremita di gente. Ti ho amato così a lungo che non ricordo più com'era quando ancora non ti conoscevo... Ti ho amato anche durante la Guerra, sai? Ti amato tanto intensamente da odiare con altrettanto fervore me stesso. Ma non potevo lasciarti uccidere Bucky, e non solo perché avrei perso un caro amico, ma perché avrei perso te, tu ti saresti perso. Mi dispiace non essere riuscito a dirtelo prima, ma ti amo Tony, ti amo come non amerò mai nessun altro.-
E mentre quelle parole si rincorrevano fuori dalle sue labbra, materializzando tutto quello che non avrebbe mai avuto il coraggio di dire, una parte di sé lentamente si spegneva, così come lentamente il respiro dell'altro si faceva via via più impercettibile dai microfoni di quel piccolo cellulare.
-Grazie Steve, per avermi amato come nessun altro ha osato fare.-
Un sussurro appena percettibile. Un rantolo. Un piccolo cellulare usa e getta stretto in una ferrea presa dolorosa.
Un silenzio.
Il rumoroso silenzio mortale.
Un grido.
Il grido sordo di un cuore andato in frantumi, di una storia cancellata prima ancora di essere stata scritta.
Il grido di chi ha appena perso l'anima.
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