28. Tra pregiudizi e curiosità

Belle odiava i corsetti e, crescendo, era sempre più convinta che il loro inventore avrebbe dovuto subire l'isolamento forzato per rinsavire dalla propria pazzia. Giorno dopo giorno, osservandosi allo specchio, fasciata da quello strumento di tortura fino quasi a non riuscire a respirare, si rendeva sempre più conto di quanto quel mondo fosse privo di ragione. Indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza, bisognava far risaltare la propria figura a tutti i costi, e lei quel prezzo doveva pagarlo sulla sua pelle. Detestava mettere in risalto quelle forme che dimostravano la sua crescita, quella crescita a cui si era opposta con tutta se stessa, divorata dal timore di ciò che l'attendeva. Imbarazzata ma impotente, si guardava attorno, attonita, circondata da quelle galline che, se nel corpo erano sempre più prosperose, nella mente erano sempre più aride.

Osservava infastidita le loro acconciature elaborate, il trucco che si appiccicava ai loro visi, facendole sembrare dei pagliacci in cerca di attenzione. Le loro espressioni inebetite venivano messe in risalto da quella maschera che nascondeva la loro giovinezza appena fiorita per dare risalto alla loro frivolezza. Dovevano sempre essere affascinanti, eleganti, curate, ingioiellate: in una parola, perfette. Non potevano più permettersi di trascorrere il loro tempo a gingillare sui libri, a conversare dei mali del mondo o a inseguire ideali irraggiungibili. Ogni minuto della loro esistenza era finalizzato unicamente alla scalata sociale: dovevano imparare a essere servizievoli e infiocchettate, accondiscendenti e piene di fascino, sottomesse e sfolgoranti in tutta la loro bellezza inconsistente. Venivano instradate sulla via del successo e assuefatte al desiderio di fama e prestigio, mediante uscite organizzate per visitare le opulenti dimore dei Dominers, giornate da trascorrere nei quartieri delle classi sociali più agiate, visite ai negozi più alla moda e serate mondane nei teatri... Veniva mostrata loro continuamente una facciata di quel mondo che le attendeva con il suo marciume così ben nascosto. Scintillava fino a ipnotizzarle, illudendole che il loro debutto ormai sempre più prossimo avrebbe aperto loro le porte del paradiso, se solo fossero riuscite a incatenare un gentiluomo con lo sguardo.

Jane, nella sua intramontabile bontà d'animo e nel suo spirito positivo, riusciva ancora a cullarsi nelle sue illusioni: per lei le serate in compagnia di Gilbert e della sua famiglia valevano ogni sacrificio fatto durante il giorno. Dalle sue lettere e dalle sue parole traeva forza per alimentare il fuoco dei suoi sogni, che non potevano spegnersi nemmeno davanti alla cruda realtà. In quelle uscite organizzate i suoi occhi desiderosi di bellezza riuscivano a cogliere una via di accesso per l'arte, la poesia e la sua amata musica. Custodiva nel cuore la meraviglia che riempiva i suoi occhi davanti alle sale affrescate e alle sinfonie delle orchestre, per poi condividere quelle immagini con Gilbert, nei suoi racconti che addolcivano i contorni dei ricordi.

Isabelle, invece, era sempre più insofferente. Viveva quei mesi che la avvicinavano al debutto con un'angoscia difficile da descrivere. L'ansia e la rabbia ribollivano in lei, la sommergevano, la trascinavano in una tempesta senza pace. Non poteva sopportare l'idea di essere una marionetta manovrata di continuo in quella farsa di cui non voleva fare parte. Desiderava più di ogni altra cosa essere libera dai preconcetti che quel mondo, nonostante i passi avanti nel progresso scientifico e tecnologico, continuava a sostenere contro ogni logica. Sembrava che nessuno si rendesse conto che il ruolo della donna, a parole tanto elogiata e stimata, continuava a essere relegato a quello di "oggetto di arredamento per la casa" che, all'occorrenza, poteva anche servire a portare a termine le faccende domestiche...

Isabelle dentro di sé anelava a fuggire da quella società malata, dai precettori che continuavano a rimproverarla per il suo portamento privo di compostezza, per il suo atteggiamento irrispettoso, per i suoi capelli sciolti legati da un semplice nastro, per quel ciuffo ribelle che imperterrito le ricadeva sulla fronte, per il corpetto mai stretto abbastanza e soprattutto per i suoi occhi sempre troppo intelligenti, in cui le fiamme del suo animo ribelle si rispecchiavano di continuo. Per loro era chiaro, nitido come la luce del sole: la donna non doveva ragionare, ma ubbidire; non doveva scegliere, ma accettare scelte che altri avevano già preso al posto suo. L'intelligenza per il sesso femminile era solo un difetto, un ostacolo al raggiungimento della perfezione estetica. Era un dato di fatto, che li convinceva a tentare in ogni modo di plasmare a proprio piacimento quella mente d'acciaio, che non voleva saperne di piegarsi alla loro influenza.

L'unica influenza che Belle accettava era quella della sua insegnante, la sola vera maestra di vita a cui avrebbe affidato il suo cammino: Jaqueline. Aveva continuato a incontrarla tutte le settimane, approfittando di ogni serata libera per vederla, sfruttando qualunque occasione per trascorrere del tempo al suo fianco. A volte si univa alle lezioni che Jaqueline impartiva alle giovani sorelle di Mr Gaumont. In altre occasioni sedeva alla loro tavola per cena, sorbendosi i discorsi vuoti a cui ormai si era abituata, per forza di cose. Con il tempo, aveva imparato a dare poco peso alla loro stravaganza, a riderne e a considerarla con la stessa ironia di Jules, che commentava le loro conversazioni con ilarità e arrendevolezza al tempo stesso. Anche se faticava ad ammetterlo, alla fine si era affezionata a quella famiglia che sapeva essere effimera come bolle di sapone, e al tempo stesso piena di caldo affetto. Tra quelle pareti era riuscita a sentirsi a casa, nonostante il melodramma di Madame Gaumont, che si era comunque rivelata completamente innocua. Era strano, ma la leggerezza in cui la trascinavano quella donna e le sue figlie la aiutava a ridimensionare le tempeste del suo animo. Solo Lydie sapeva ancora farle perdere la pazienza, con il suo cipiglio inarrestabile e il suo ego gonfiato come un pallone aerostatico. La sua presenza a volte la irritava, ma la aiutava anche a coltivare la pazienza di cui aveva sempre bisogno all'istituto, circondata da tante ragazze di gran lunga peggiori della povera Lydie.

Le occasioni che più la riempivano di gioia, comunque, erano le passeggiate serali con Jaqueline e Mr Gaumont. Capitava spesso che la invitassero ad affiancarli, preferendola di gran lunga come accompagnatrice rispetto alle sorelle di Jules, decisamente troppo impiccione e prive di contegno. La sua presenza era invece sempre apprezzata, perché sapeva quando intervenire in quelle conversazioni così coinvolgenti e quando lasciare loro lo spazio di cui avevano bisogno. La loro affinità di carattere, interessi e obiettivi si rendeva sempre più evidente, mentre la loro intesa si rafforzava di giorno in giorno. Non volevano ammetterlo, ma il loro amore per la conoscenza non era più l'unico sentimento a far battere i loro cuori. Isabelle aveva notato dal primo giorno il romanticismo che riempiva l'atmosfera, quando quei due si trovavano l'uno accanto all'altro. Era sicura che prima o poi la loro amicizia si sarebbe trasformata in qualcosa di più, ma aspettava in silenzio, osservandoli con tutta l'ammirazione e l'affetto di cui era capace.

Jaqueline e Jules, comunque, non erano i suoi unici compagni di avventura. La sua amicizia con Gilbert e Jane non si era mai esaurita. Aveva invece continuato a crescere, sebbene il legame tra i suoi amici si fosse fatto sempre più stretto. Non la facevano mai sentire di troppo, anzi, il loro trio era inseparabile e la famiglia di Gilbert era diventata anche la sua. Spesso si univa alla loro tavola, così diversa da quella di casa Gaumont, così semplice ma così piena di sentimenti e genuinità. Ormai aveva due famiglie, che sentiva sue allo stesso modo, sebbene fossero così diverse. Rappresentavano, forse, quei due lati del carattere che si stavano formando in lei: quel lato semplice e genuino, spontaneo e spartano, che in lei si fondeva a quella parte più ironica, acculturata, ribelle ed elegante al tempo stesso. La sua personalità sembrava sdoppiarsi, e ritrovarsi ogni volta sempre più completa, grazie a tutte le persone che riempivano il suo cuore.

A volte, comunque, il desiderio di solitudine si faceva strada in lei, trascinandola al di fuori della città. Quella era la sua più grande via di fuga: da tempo amava rifugiarsi nel luogo segreto che le aveva mostrato Jaqueline, ormai due anni prima. Quello era l'unico posto in cui si sentiva finalmente lontana da occhi indiscreti pronti a criticarla. Alcune sere, dopo aver salutato Jane, che si incamminava insieme a Gilbert per le strade della città in una romantica passeggiata in cui sarebbe stata di troppo, prendeva di nascosto i libri di Maurice, che custodiva ancora con affetto. Con il vestito più comodo e vecchio che aveva, e che ormai non poteva più indossare in pubblico, nell'ombra fuori dalle porte dell'istituto, verso le vie secondarie. Risaliva solitaria le strade di periferia avvolta dal silenzio, verso i prati e le colline che circondavano la città. Si inoltrava nel bosco e raggiungeva il suo luogo ameno, dove ricominciava a respirare. Quell'immensa e accogliente quercia secolare era il suo rifugio: amava sedersi all'ombra delle sue fronde, dondolarsi sull'altalena e osservare il tramonto, scorrendo le pagine tra le dita e sognando un mondo in cui i poveri, il gentil sesso e gli orfani contavano qualcosa. Un mondo in cui i bambini avrebbero avuto un'istruzione degna di quel nome, e sarebbero stati finalmente liberi dalla propaganda e dalle falsità che venivano instillate in loro dalla più tenera età.

Sapeva bene che quelle erano soltanto illusioni, così come Jane sapeva che i suoi sogni di una vita accanto a Gilbert erano destinati a infrangersi ben presto in gelidi pezzi di realtà. Non appena lui avesse compiuto ventun anni, avrebbe dovuto lasciarla per adempiere al suo incarico. Mancavano pochi mesi non solo al debutto, ma anche a quel triste evento, che Jane temeva con tutta se stessa, più di ogni altra cosa. Il suo animo genuino e altruista, infatti, non poteva fare a meno di preoccuparsi per lui. Dove sarebbe stato mandato? Come avrebbe fatto la sua famiglia senza di lui? E i suoi fratelli? Come avrebbero affrontato la lontananza? Gilbert era il suo grande esempio, ma era anche una colonna portante della sua famiglia, e Jane non poteva immaginare un solo giorno senza di lui. Cercava di non pensarci ma, inevitabilmente, lei e Belle si soffermavano spesso nei loro discorsi su quelle paure, su quel destino ormai sempre più vicino. Che ne sarebbe stato del loro trio inseparabile? Come avrebbero sostenuto la famiglia di Gilbert? E che dire del loro futuro? Il debutto era ormai imminente... Come avrebbero affrontato i preparativi? E dopo, cosa sarebbe successo? Né lei né Jane prendevano minimamente in considerazione l'idea di sposarsi con un Dominer, quindi inevitabilmente si chiedevano a chi sarebbero state assegnate una volta raggiunti i ventun anni.

Belle rifletteva spesso sugli energumeni che la attendevano al varco, sui Dominers più noti di cui tutte parlavano: a quale di loro sarebbe stata assegnata? Quale sarebbe stato il meno peggio? Come avrebbe fatto a sopportare una vita al servizio di quei bellimbusti privi di una mente pensante?

Le altre ragazze dell'orfanotrofio dedicavano spesso il loro tempo a riflettere, se così si può definire l'inutile dispendio di energie delle loro fragili menti, su quelli che erano i "partiti migliori" da conquistare e su come fare colpo sul loro prediletto. I poster che avevano da ragazzine ora erano stati sostituiti da riviste e diari pieni di fotografie dei più famosi, i più ricchi, i più belli, "gli ineguagliabili" con cui ognuna di loro sperava di poter convolare a nozze. Giustamente, l'unico fattore considerato era la loro bellezza, unito alle risorse e al titolo che quegli esseri privi di cervello possedevano. Tanto, dovevano solo sposarli, che importanza poteva avere il loro carattere o la loro dubbia intelligenza?

Anche a casa Gaumont l'argomento di conversazione verteva quasi sempre su quel tema così sentito, da tutti, fuorché dalla povera Isabelle. Il matrimonio era la massima aspirazione anche della cara Lydie che, anche se ribadirlo è superfluo, viveva unicamente per raggiungere quel nobile fine della sua vita così densa di significato. Quei nomi che Isabelle aveva sentito per la prima volta a quella lontana cena che si era impressa indelebilmente nei suoi ricordi, ormai le uscivano dalle orecchie, a forza di sentirli. Mentre Lydie e la sua saggia madre decantavano il bellissimo Gastòn con la sua uniforme, Jules tentava di spostare la loro attenzione sul giovane Edward, ignorato da tutti. Allora Jaqueline, ignorata anche più del povero Wickham, provava a portare la conversazione su temi più sopportabili, ma sempre con scarso successo.

Isabelle sopportava in silenzio e oltre a sognare dei tappi per le orecchie che ovattassero quei discorsi, iniziava a desiderare anche dei paraocchi per girare per la città senza sbattere di continuo gli occhi sulle facce dei Dominers disseminate in ogni dove. Come se non bastasse, infatti, ad aumentare l'insofferenza di Belle era la triste realtà che la circondava: più si avvicinava il debutto e più la città si riempiva di manifesti e slogan volti a mettere in risalto gli scapoli d'oro della città. I loro volti erano appiccicati ovunque: su automobili, cinema, palazzi e lampioni... Le loro fotografie, stampate su poster a grandezza naturale alquanto inquietanti, riempivano le strade con la loro maschera di ipocrisia. Isabelle cercava di ignorarli, ma quei visi così pieni di sé rimanevano impressi nella sua mente, irritandola nel profondo. Inizialmente, era riuscita nel suo intento di farsi superiore alle masse di ragazzine che fissavano quelle insegne ipnotizzate dal loro fascino. Alla fine, però, si era arresa alla curiosità, che voleva confermare i suoi pregiudizi, e si era soffermata, ovviamente solo con la coda dell'occhio, a sbirciare le loro fattezze ritoccate. Nella sua mente quelle facce si assomigliavano tutte, con i loro occhi vacui e i sorrisi perfetti. Che i capelli fossero biondi o corvini non importava: era sempre lo stesso ciuffo che serviva a nascondere la mancanza di neuroni sottostanti, anche se solo lei sembrava accorgersene.

Accanto a quei volti, a mo' di slogan, veniva riportato il loro nome e la casata, nonché la classe sociale di appartenenza. Le galline appuntavano quei dati fondamentali per segnare le loro preferenze in ordine, pronte a riempire il loro carnet di ballo solo con i gentiluomini più ambiti, che avevano ovviamente segnato ai primi posti della loro "lista della spesa".

Belle invece aveva ricercato tra quei visi i nomi di cui più aveva sentito parlare, stuzzicata dalla sua curiosità pronta a giudicare quegli insulsi principini: Mr Gastòn De Vide, il famoso bel soldato in uniforme, con la sua pelle abbronzata e i suoi capelli corvini, il suo fisico scolpito e i suoi bicipiti gonfiati; Belle riusciva a vedere solo i suoi occhi color pece, che esprimevano tutta la loro vacuità nell'espressione frivola e superficiale che li assottigliava.
C'erano poi diversi giovani di buona famiglia che apparivano di un'intelligenza alquanto dubbia, e di una profondità ancora più difficile da ritrovare, alcuni più biondini, altri dai riccioli color carota, altri ancora con gli occhi color cenere, spenti come le loro menti annebbiate.

Forse i giudizi di Belle, un tantino di parte, erano dettati dai pregiudizi che aveva covato a lungo e dall'odio crescente ormai privo di controllo. Le sue parole, leggermente estremiste, esprimevano quel veleno che riempiva il suo cuore, specialmente nei confronti di un certo personaggio, verso cui il suo pregiudizio era stato ulteriormente alimentato. Non riusciva a pensar bene di nessuno, ma soprattutto i suoi pensieri più critici e negativi erano indirizzati a quel Darcy dagli occhi di ghiaccio che l'aveva trafitta con il suo sguardo accigliato, nascosto dai suoi inutili capelli mossi e ramati. Se tutti i visi di quei gentiluomini erano la spensieratezza personificata, quel volto ombroso sembrava rispecchiare tutto l'orgoglio e la superbia che lo innalzavano a giudice di tutte le classi inferiori. Le parole di Jules sul suo conto si erano impresse nella mente di Belle con tutta la loro forza, le aveva fatte sue ed era disgustata da quell'arroganza immotivata. Attendeva con ansia di incontrarlo, per gettargli in faccia tutto il suo astio e confermare ogni sua certezza sul suo conto.

Ben diverso era invece il suo pensiero sul giovane Edward: il viso benevolo di Wickham, con i suoi capelli biondi e lunghi che addolcivano i suoi lineamenti delicati, l'aveva da subito attratta per la sua unicità. Belle dapprima aveva avuto qualche pregiudizio anche nei suoi confronti, nonostante i discorsi su di lui lo avessero messo sempre sotto una luce positiva. Nella sua coerenza, Belle non poteva coltivare il rispetto per un uomo che disseminava il suo viso per la città, no di certo, ma cercava in qualche modo di giustificarlo, perché la sua espressione divertita e a tratti beffarda le ispirava simpatia. Sembrava quasi ridere di se stesso, a tratti imbarazzato e ironico, quasi volesse criticare quella società di cui, suo malgrado, doveva fare parte. Le parole di Jules sul suo conto erano sempre stare solo positive e avevano così alimentato le speranze di Belle, che non aveva mai avuto modo di dubitare della saggezza di Mr Gaumont, e che quindi non poteva essere in disaccordo con lui. Quando Jules ne parlava, lei rimaneva in silenzio, senza esprimersi né a favore né contro il suo giudizio, e aspettava, mentre la fioca luce della speranza sbocciava nel suo cuore. Nel frattempo, qualche volta, mentre leggeva in solitudine immersa nei suoi sogni, si infiltrava nella sua mente l'immagine di quegli occhi del colore dell'oceano più profondo, che le ispiravano quella strana simpatia. A volte a quell'immagine si sovrapponeva quella di quel volto così diverso, dallo sguardo gelido come il ghiaccio. L'azzurro e il blu si fondevano allora in uno strano miscuglio di pensieri e sentimenti che la confondevano, lasciandola disarmata. Ovviamente, non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno a se stessa, ma una briciola di curiosità era sbocciata nel suo cuore, che per la prima volta desiderava ciò che aveva sempre voluto fuggire.

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