Capitolo 9 - Amore e Odio
Italia, Imola.
Autodromo Enzo e Dino Ferrari.
C'erano momenti in cui avrebbe solo avuto voglia di fuggire. Momenti in cui tutte quelle persone che gli stavano attorno, tutti gli occhi che gli puntavano addosso, diventavano semplicemente troppo da sopportare. Momenti come quello che stava vivendo, quando, entrato nel paddock del circuito di Imola, una calca di persone aveva superato persino i fotografi, gettandosi in torno a lui.
Da piccolo, si ritrovava spesso ad immaginare il suo futuro, mai però aveva ipotizzato potesse essere così. Insomma, il suo sogno era quello di correre in Formula 1, di vincere un mondiale e, oltre ogni sua aspettativa, lo aveva fatto diventare realtà. Era entrato nella massima categoria di quello sport e di mondiali ne aveva vinti ben sette. Era diventato una leggenda, un nome indimenticabile, uno dei più grandi piloti della storia.
Questo, ovviamente, aveva portato a delle conseguenze. Per lo più positive, ma con delle piccole sbavature, come gli piaceva chiamarle. E comprendevano diverse situazioni, tra cui l'essere assalito da fan che troppo spesso si scordavano che anche lui non era altro che una persona.
Una persona che faticava parecchio a convivere con quelle occasioni in cui il suo spazio personale veniva del tutto annullato.
Cercava di essere sempre quanto più gentile possibile con i fan, concedendo una foto, un saluto o un autografo, quando poteva. Presentandosi da loro quando veniva a sapere che lo stavano aspettando da qualche parte. Non era sempre facile però, perché le persone non erano tutte uguali. Capitava che fossero educate, rispettando gli spazi e le tempistiche. Mentre altre volte si comportavano come se ne andasse della loro intera vita, per ricevere una sua firma su un foglio o un cappellino.
Angela, dopo aver passato i tornelli, stava camminando direttamente verso il motorhome della Mercedes, quando aveva visto quella calca di gente dirigersi verso di lui. Era subito tornata indietro a grandi falcate, cercando, come poteva, di tenere indietro le persone che stavano allungando le braccia, sventolando cellulari e articoli da far autografare. Sapeva quanto quelle situazioni lo mettessero a dura prova, ma sapeva anche di non potercela fare da sola a contrastare tutta quell'orda di fan che erano accorsi. Ecco perché aveva provveduto subito a chiamare due bodyguard, per farsi scortare fino alla loro meta.
Durante quel tragitto, Lewis aveva sempre sorriso a tutti, nascondendo le sue reali emozioni dietro le lenti scure degli occhiali che indossava. Aveva firmato alcuni cappellini e scattato anche delle veloci foto, per poi finalmente ritirarsi al sicuro all'interno del motorhome del suo team.
«Grazie» disse ad Angela, lasciandosi ricadere sul divanetto presente nella sua stanza, per poi liberarsi degli occhiali. Poggiò i gomiti sulle cosce, piegando la schiena e portandosi le mani sul volto, mentre prendeva un profondo respiro.
La donna si avvicinò a lui, ponendogli una mano sulla spalla, coperta da quella giacca dal tessuto di jeans colorato, che riprendeva la stessa fantasia dei pantaloni. «È tutto okay» parlò con tono calmo, cercando di fargli distendere i nervi.
Lewis, qualche secondo dopo, tornò con la schiena dritta. «Ho qualche intervista programmata per il pre-gara?» domandò. Angela scosse la testa. «Bene, allora oggi non ci sono per nessun giornalista» sentenziò, non avendo alcuna voglia di percorrere ancora quel paddock pieno di persone insistenti.
Era consapevole di essere un personaggio pubblico, conosciuto a livello mondiale, non solo nel mondo del motorsport, sapeva cosa questo comportava. E non aveva problemi quando una schiera di fotografi si stagliava davanti a lui per catturare ogni minimo movimento, non aveva problemi quando qualcuno gentilmente si avvicinava e gli domandava una foto o un autografo. Lo faceva più che volentieri, perché era grato per i suoi fan e per tutto ciò che aveva. I problemi arrivavano quando le persone diventavano assillanti, maleducate e totalmente incuranti dei suoi spazi personali.
«Avviso io Charlotte» lo informò Angela, riferendosi alla donna che era incaricata di occuparsi delle comunicazioni del pilota con i media. «Tu rilassati per il momento. È presto, a qualsiasi preparativo prima della gara manca ancora un po'» aggiunse, raccomandandosi, per poi lasciare quella stanza.
E fu proprio ciò che fece, si liberò della giacca, restando con indosso quella semplice maglietta bianca e si sdraiò sul divano. Infilò le cuffiette nelle orecchie e spense la mente.
Mentre Lewis si estraniava dal resto del mondo, fuori, nel paddock, il via vai di gente non si era fermato. Piloti, fan e addetti, continuavano a camminare su e giù, ognuno con uno scopo diverso. E, tra la frenesia generale delle persone in fermento per la gara, avevano fatto il loro ingresso Jourdan e Skye, che a differenza di tutti gli altri passeggiavano tranquille, chiacchierando tra loro.
La modella aveva evitato di presentarsi sul circuito il venerdì e il sabato, così da minimizzare le notizie e gli articoli che sarebbero potuti uscire. Ma non aveva potuto rinunciare anche alla domenica. Un po' perché lo aveva promesso a Charles, che ci teneva alla sua presenza su un tracciato importate per il suo team. E un po' perché, sicura del fatto che non ci fosse suo padre, voleva sostenere il fratello, come invece non aveva potuto fare a Miami.
In più, non lo ammetteva, né a se stessa, né tanto meno ad alta voce, ma non si era affatto scordata della conversazione che lei e Lewis avevano avuto su quella spiaggia, qualche giorno prima. Non era stata presente alle prove libere o alle qualifiche, era curiosa di capire se si aspettasse ancora di trovarla lì, se si ricordasse ciò che si erano detti.
Se fosse finito sul podio, avrebbe guardato sotto per cercarla?
«Oh, guardate chi ci onora finalmente della sua presenza» scherzò Charles, avvicinandosi a loro con un gran sorriso.
«Sì, ho consultato la mia agenda, avevo un attimo libero dai miei molteplici impegni e mi sono detta: Perché no. Passiamo a fare un saluto al mio vecchio amico Leclerc» rispose, stando al gioco, mentre l'altro la guardava con le braccia incrociate e un sopracciglio alzato.
«Ti sei svegliata simpatica oggi. L'effetto Gasly dell'altra sera non è ancora svanito?» domandò, facendole spalancare la bocca e beccandosi una sberla sul petto. «Scherzavo» alzò le mani, prima che lei potesse colpirlo ancora. Le mise un braccio attorno alle spalle attirandola a sé e lasciandole un bacio sulla tempia, in quel momento scoperta dai capelli. «Sono contento che tu sia venuta oggi» ammise.
Charles non lo dava a vedere, ma gli dispiaceva non avere qualcuno di famigliare a sostenerlo dai box o dal paddock. Erano rare le volte in cui capitava, il Gran Premio di Monte-Carlo era una certezza in questo, essendo svolto nella città dove era cresciuto e dove abitava con la sua famiglia. Però, non sempre bastava.
Ogni tanto, suo fratello Arthur era lì, ma era una cosa del tutto saltuaria, in quanto, anche lui, correndo per la Formula 2, aveva parecchi impegni personali a cui pensare. E lo stesso valeva per suo fratello maggiore, Lorenzo, preso dal suo lavoro. Prima c'era sempre il padre che lo seguiva di tappa in tappa, sostenendolo in ogni modo possibile. Era lui che l'aveva avvicinato a quel mondo, era lui che gli aveva insegnato ogni cosa. Ma poi, l'universo aveva deciso di portarglielo via. Di lasciarlo senza il suo porto sicuro.
Tante cose erano cambiate, tante persone nella sua vita erano venute e andate. E tanto altro sarebbe mutato ancora. Perché aveva capito come funzionava, non c'erano certezze, ogni cosa era variabile. Per questo provava a vivere giorno per giorno, godendosi ciò che di bello accadeva e cercando di farsi abbattere il meno possibile dalle situazioni negative.
Sapere che la ragazza fosse lì, su quel tracciato così importante per la storia della Ferrari, pronta a vedere la gara e fare il tifo anche per lui, lo rendeva felice.
«Comunque, è sempre bello stare insieme a voi due. Riuscite a farmi sentire la ruota di scorta peggio di una coppietta» commentò Skye, alzando gli occhi al cielo.
«Oh, no. Vieni qui» l'attirò a sé Jourdan, stringendola in un abbraccio tra lei e Charles. «Meglio?» le chiese poi, facendola scoppiare a ridere.
Il monegasco si staccò per primo. «Da dove guarderete la corsa?» chiese curioso.
«Dalle stanze sopra la terrazza del paddock» rivelò Skye.
«Finché io e Max non ci decidiamo a rivelare come stanno le cose per davvero, evito di presentarmi in qualche box» aggiunse l'altra.
«Non sono cose che mi riguardano, però, perché non spiegate la situazione e basta? Non sarebbe più semplice?» Charles davvero non riusciva a capire, nessuno in realtà lo faceva. E non avrebbero potuto farlo, perché non erano a conoscenza della verità dietro la loro famiglia.
Il tradimento del padre, lei nata e poi lasciata dalla madre, cresciuta fingendo di essere figlia anche della moglie di Jos, il modo e il perché era stata separata da Max. Erano tutti dettagli che solo i diretti interessati sapevano. Ed erano dettagli che sarebbe stato meglio mantenere segreti.
Jourdan era decisa a rivelare che lei e Max erano fratelli, l'unico rischio che vedeva nel farlo stava nella possibilità, decisamente concreta, che poi i giornalisti iniziassero a scavare nel loro passato e risalissero ad ogni verità che ancora tenevano nascosta. Se tutto ciò fosse venuto fuori, avrebbe danneggiato maggiormente Jos, ma, inevitabilmente avrebbe toccato anche loro due. E lei non voleva mettere di mezzo suo fratello e non voleva che le fosse cucito addosso l'ennesimo scandalo. Quelli che già marchiavano il suo nome bastavano e avanzano.
Nonostante ciò, la sua idea non cambiava, era un rischio che avrebbe corso. Perché sapeva che le voci sulla loro possibile situazione e le speculazioni sulla sua vita privata non si sarebbero fermate. Stava solo attendendo che Max parlasse con Jos, per capire come muoversi.
«Sì, sarebbe più semplice» concordò Jourdan, rivolgendogli un sorriso che non coinvolse affatto gli occhi. E Charles capì che forse non era più il caso di portare avanti quella conversazione, perché ormai iniziava ad essergli chiaro il fatto che ci fosse sotto qualcosa di più complicato rispetto quello che mostravano e raccontavano.
Il pilota cambiò del tutto argomento e i tre continuarono a parlare tra loro ancora per un po', prima di dividersi. Charles si diresse ai box, per iniziare a prepararsi per la gara, mentre le due raggiunsero la stanza che anche quella volta il padre di Skye aveva riservato.
Le persone che prima affollavano il resto del paddock, si erano spostate sulla pit-lane e sulla terrazza. Meccanici e giornalisti correvano da una parte all'altra, ognuno con un impegno diverso. Jourdan, attraverso le vetrate della stanza, lanciò un'occhiata al tracciato sottostante, ritrovando in tutta quella folla una similitudine del mondo dal quale lei proveniva.
Gli addetti in panico per il loro lavoro, stressati di portare a termine i loro compiti, erano la normalità nella vita di chi si occupava di moda. Durante una sfilata non c'era nessuno nel backstage che riusciva a stare sereno e non andare in panico. Le modelle dovevano essere vestite e truccate in un tempo minimo e dovevano essere categoricamente perfette. Andavano sistemati i capelli e qualsiasi possibile dettaglio, anche il più insignificante, perché nulla poteva essere lasciato al caso.
C'erano modelle che dopo essere uscite e aver sfilato, avrebbero dovuto cambiarsi completamente d'abito, per poter fare un'altra camminata su quella passerella. E anche in questo caso, il tempo era decisamente tiranno per la preparazione. Una specie di pit-stop nel quale ognuno sperava di essere il più veloce possibile, per evitare danni.
Si ritrovò a sorridere divertita, davanti a quei pensieri che l'avevano portata a paragonare la gara di quel giorno ad una delle molteplici sfilate alle quali aveva preso parte. Eppure, fu proprio quel pensiero a farla sentire un tantino meno fuori posto. I due mondi continuavano a cozzare, ad essere agli antipodi nella teoria, ma nella pratica c'erano più similitudini di quanto credeva.
«Perché sorridi?» le chiese Skye, affiancandosi a lei e notando quell'espressione che le increspava le labbra.
Jourdan scosse la testa. «Niente, un pensiero buffo» fece aleggiare una mano, per poi dare le spalle a quella vetrata e incamminarsi verso il tavolo in legno che dominava la stanza.
La bionda rimase ferma per qualche secondo, mordicchiandosi il labbro inferiore, litigando con la sua stessa mente, indecisa se porle quella domanda, che ormai dal giorno prima le assillava la testa. «Andrai a Cannes la prossima settimana?» le chiese tutto d'un tratto, voltandosi verso di lei e prendendo poi un profondo respiro. Alla fine aveva ceduto. Si era detta di attendere, stare in silenzio e aspettare che fosse lei ad aprire uno spiraglio per agganciarsi a quell'argomento. Ma non aveva resistito.
La modella aggrottò le sopracciglia, alquanto spiazzata. «C'è il Festival» spiegò Skye, notando la confusione sul suo volto.
«Sì, questo lo so. Quello che non capisco è, perché ti è venuto in mente di chiedermelo ora?» insistette, ancora lontana dal comprendere dove volesse andare a parare, essendo certa del fatto che quella conversazione in realtà nascondesse un secondo fine.
L'altra cercò velocemente una scusa plausibile, per poi alzare una mano e mostrarle il suo cellulare. «Per caso mi è apparso il post di una pagina che aveva pubblicato la lista di chi, per il momento, aveva già dato la conferma della propria presenza. Sì, insomma, al di fuori di attori e registi» finalmente le diede un contesto, anche se non sembrava essere così convinta delle sue stesse parole, non era brava a mentire.
L'amica fece spallucce. «Beh, è normale, ci vai solo se vieni invitato a quell'evento» specificò, conoscendo l'esclusività del Festival di Cannes.
«Ma tu sei stata invitata, no?» prese posto ad una delle sedie, distante abbastanza per poterla guardare in faccia.
«Skye, cosa c'è sotto?» chiese allora, perdendo la pazienza. Si allungò in avanti, poggiando gli avambracci sulla superficie liscia del tavolo, fissandola in attesa di una risposta.
La ragazza tergiversò per qualche secondo e poi cedette, sotto lo sguardo severo di Jourdan. «Ieri mi è arrivato l'invito, da parte di Dior, per partecipare alla sfilata speciale che stanno organizzando a seguito della premiazione» rivelò finalmente.
«Dior ti ha invitata?» ripetè parte delle sue parole, non essendo certa di aver capito bene. Il Festival di Cannes e tutti gli eventi organizzati attorno ad esso in quella settimana, erano caratterizzati dall'esclusività per la quale, solo chi apparteneva al mondo del cinema o era un nome importante della moda poteva partecipare. E la sua amica non faceva parte di nessuno dei due. Registi, attori e stilisti potevano riservarsi la libertà di invitare qualcuno sul red carpet, alle feste o alle sfilate. Ma anche in quel caso, Skye non aveva alcuna conoscenza di quel tipo, oltre a lei. Per questo, Jourdan era così confusa.
«I miei genitori hanno riservato un posto esclusivo ai due CEO e al direttore creativo della Casa, per guardare il Gran Premio di Monaco. E loro hanno ricambiato invitandoci al festival» ancora una volta, Skye le chiarì le idee. Recuperò poi la sua borsa, estraendo una busta bianca e passandogliela.
Jourdan l'afferrò, osservandola senza dire una parola. Fece scorrere il dito sulla scritta DIOR, leggermente sollevata, dal colore argento, che dominava quella busta. Decise di aprirla, estraendo il biglietto che vi era contenuto e leggendo ciò che era stato stampato sopra. «Ci hanno riservato dei posti in sala per la prima di uno dei film in concorso e quindi anche la sfilata sul red carpet prima di entrare» le disse, anticipandole ciò che da lì a poco sarebbe arrivata a leggere, lasciandola con la bocca mezza aperta.
Jourdan si passò una mano nei capelli, tirandoli leggermente, mentre la sua testa iniziava ad essere invasa dai pensieri, che le impedivano di ragionare razionalmente. «Per me è la prima volta, non ho mai preso parte ad un evento del genere e iniziare con un qualcosa come il Festival di Cannes, mi mette una certa ansia» illustrò i suoi timori. «Per questo ti chiedevo se avessi deciso di andarci, così avremmo potuto farci forza a vicenda» aggiunse.
Sapeva bene quanto potesse essere complicato per Jourdan prendere parte ad una situazione del genere. Lo era sempre stato e il tutto era diventato ancora più stressante per lei, dopo la sua decisione di prendersi una pausa e sparire dai riflettori. Ormai però non si stava più nascondendo tra le mura di casa o nella sicura bolla del Principato di Monaco, perciò aveva pensato che ci sarebbe stata una speranza e che sarebbe riuscita a convincerla, nel caso ancora non avesse accettato.
«No» fu dopo quella semplice ma decisa sillaba che le speranze di Skye si infransero in un secondo. Jourdan si alzò dalla sedia di scatto, abbandonando la busta bianca sul tavolo e muovendo qualche passo per stanza. Avvertiva il nervosismo invadergli ogni fibra del corpo e la rabbia annebbiarle ogni pensiero razionale.
«Perché no?» domandò subito, per poi ricordarsi tutti gli eventi che avevano riguardato il passato e anche il presente della sua amica. Rendendosi conto di non aver minimamente valutato tutto il quadro generale. «Scusa... avrei dovuto immaginare che tornare sul tuo campo di lavoro fosse decisamente più difficile che venire su questi circuiti» ritrattò subito, scuotendo la testa e sentendosi un tantino in colpa per non averci pensato prima.
Jourdan sorrise amaramente. «Non è quello» l'avvisò, chiudendo per un secondo gli occhi, cercando di ricacciare indietro le emozioni, che scalpitavano per uscire dagli argini come un fiume in piena.
«Fa niente, davvero, non avrei dovuto chiedertelo» cercò di ribattere, alzandosi in piedi a sua volta e affiancandola.
«Cazzo, Skye!» esclamò, fermandola prima che potesse andare avanti e parlare. «Non verrò perché non ho ricevuto nessun invito» rivelò, lasciandosi ricadere le braccia lungo i fianchi.
Nella stanza calò il silenzio e la bionda non potè evitare di sentirsi decisamente colpevole per aver tirato fuori quel discorso. «Non ho ricevuto nessun invito» ripetè Jourdan a bassa voce, con lo sguardo puntato sul pavimento.
Era davvero la fine allora?
La sua carriera era arrivata davvero al termine?
Nonostante quell'anno di pausa, che si era presa da tutto e da tutti, comunque aveva sempre ricevuto inviti per eventi e sfilate. La partecipazione al Festival di Cannes, le era arrivata l'anno precedente infatti. Sembrava però che le cose fossero cambiate ormai. Era la prima volta, dall'inizio della sua carriera, che le capitava di non ricevere un invito per prendere parte ad un evento che riguardava qualcosa peculiare del suo mondo.
«C'è ancora tempo, te lo invieranno. Ne sono certa» le poggiò una mano sulla spalla. «Sei sempre stata tu il volto più noto di Dior, non possono organizzare una sfilata del genere senza richiedere la tua presenza, nemmeno tra il pubblico» cercò di rassicurarla, sperando davvero di avere ragione.
«Le cose sono cambiate» rispose, guardandola con occhi spenti. Non era più lei il testimonial di quel marchio, non era più parte dei loro volti. Da quando quello scandalo era venuto fuori, tanti stilisti avevano smesso di chiamarla, non rinnovando le campagne delle quali era protagonista. L'essere poi sparita per un anno intero, non aveva aiutato e ora le conferme ai suoi timori stavano arrivando.
«Il fatto di essere stata una delle testimonial più importanti di quel marchio non può cambiare» ribadì Skye, ma l'amica scosse la testa, non riuscendo a credere a quelle parole, avendo la mente annebbiata solo dai suoi pensieri.
"È la fine. Sei arrivata alla fine della tua carriera. Non sarai più nessuno, mai più. E la colpa è solo tua, perché ti sei rovinata con le tue stesse mani."
Puntuale come sempre, eccola lì quella malefica vocina che le faceva mancare il respiro. «Io devo...» il panico stava iniziando ad assalirla. «Devo... devo uscire da qui» disse, per poi camminare velocemente verso la porta. Skye rimase ferma per qualche secondo, prima di fiondarsi fuori anche lei, ma quando scese da quella terrazza, si rese conto che ormai l'amica non era più nei paraggi. Si guardò intorno, cercandola in ogni angolo, di lei però sembrava non esserci traccia.
Jourdan corse, corse nel mezzo di quel paddock, evitando chiunque le si parasse davanti. Udì il rombo dei motori che si accendevano, pronti a partire per iniziare quella gara. E si maledì mentalmente, perché avrebbe davvero voluto seguirla, sostenere suo fratello e i suoi amici, ma la sensazione di ansia che la stava attanagliando superava ogni sua volontà.
A grandi falcate, arrivò al motorhome della Red Bull, trovandolo quasi completamente vuoto. Raggiunse subito quella che sapeva essere la stanza di Max, si chiuse la porta alle spalle, poggiandosi ad essa con la schiena e scivolando fino a sedersi sul pavimento. Si portò le mani alle tempie, cercando di calmare i suoi pensieri impazziti, che non le suggerivano altro, se non il fatto che la sua carriera fosse arrivata al termine.
Cercò di normalizzare il suo respiro, provando in tutti i modi a non farsi sopraffare dal panico, che ormai sembrava sempre più deciso ad impossessarsi completamente del suo corpo. Lo odiava e si odiava quando permetteva che quelle situazioni riuscissero ad avere la meglio. Sapeva che sarebbero finite, perché era sempre così, ma ogni volta era un'incognita capire come e quanto tempo ci avrebbero messo.
«Calma» sussurrò, parlando con se stessa, fissando quel pavimento bianco. Non aveva nemmeno osservato ciò che la circondava, in quel momento niente riusciva ad avere valore. Tutto era come sbiadito, ogni suono era come ovattato. Nulla superava l'assordante rumore dei suoi pensieri.
Aveva sempre odiato il mondo della moda, il modo in cui era stata obbligata a perseguire quella strada, i riflettori puntati addosso, gli articoli di giornale, le restrizioni assurde e qualsiasi altra cosa ciò comportasse. Allora perché, più sembrava uscirne e più si spaventava?
Era davanti ad una scelta per la sua vita, il suo futuro, che quella volta spettava solo a lei. Avrebbe potuto decidere quello che più preferiva, eppure, non riusciva a pensare ad altro che essere una modella. Davanti alla possibilità di aver concluso la sua carriera, stava reagendo con un vero e proprio attacco di panico, spaventata di non poter più fare l'unica cosa che era sempre stata in grado di fare.
Perché poteva avere sogni e hobby, desideri ed esperienze, ma non poteva cambiare il fatto che lei fosse una modella, nient'altro. Quando aveva scelto di allontanarsi dalla sua vecchia vita, rifugiandosi dal fratello, lo aveva fatto solo per salvarsi. Aveva preso l'unica via possibile per evitare di toccare un punto inarrivabile, dal quale sarebbe stato impossibile risalire. Era andata via dall'America, presentandosi alla porta di una persona che non vedeva da sedici anni. Ma quel periodo difficile era ormai passato e lei stava cercando di riprendere in mano la sua vita, in un modo o nell'altro.
Forse però quella porta si era ormai chiusa. Forse era troppo tardi.
Una lacrima solcò il suo viso. «No, no, no» disse, asciugandosela velocemente. Altre presero a scendere incontrollate, davanti all'idea che le fosse impossibile cambiare vita, perché l'unico ostacolo che glielo impediva era proprio lei stessa. Quel rapporto inspiegabile di amore e odio che provava verso sé e il suo lavoro, la incasinava e la portava a vivere tali situazioni di panico.
Lontano dalla privacy di quella stanza, sulla pista dell'autodromo di Imola, le macchine stavano tagliando il traguardo, terminando la gara. C'erano state alcune battaglie, che avevano visto protagonisti i tre contendenti per il mondiale di quella stagione. Una serie di sorpassi e strategie che avevano portato ad una replica del podio di Miami.
A causa di un pit-stop lungo, dovuto a delle complicazioni con il montaggio di una gomma, Charles aveva perso la leadership della raga, dovendo impegnarsi in un rimonta da metà della griglia. Lasciando così campo libero a Lewis e Max, che si erano sfidati fino all'ultimo, arrivando quasi al limite, replicando una delle tante gare di due anni prima, che li aveva visti protagonisti mentre l'aggressività in pista veniva fuori e i sorpassi sfociavano in qualcosa di decisamente più personale della mera vittoria.
Ormai fuori da quelle auto, nella stanza adibita all'attesa prima di salire sul podio, i tre piloti recuperavano le forze, bevendo e riposandosi un po'. Charles sentì chiamare il suo nome e di corsa salì le scale, salutando con un gran sorriso i membri del suo team che si trovavano lì sotto e i tifosi che sventolavano le bandiere con il logo della Ferrari. Non aveva vinto, la gara non era andata come sperava, ma il supporto che stava vedendo in quel momento, gli ricordava uno dei motivi per cui fosse grato di essere lì e per cui amava quello che faceva.
Successivamente lo raggiunse Max e infine Lewis. Ed entrambi i loro ingressi furono caratterizzati da un benvenuto decisamente diverso da quello riservato al pilota monegasco. Alcuni fischi ed esclamazioni non proprio gioiose si levarono dalla folla, quando i due si posizionarono sui rispettivi gradini. Charles alzò subito il braccio, facendo segno di smetterla e diventando improvvisamente serio. Non sopportava quando le persone scadevano in quegli atteggiamenti poco rispettosi.
Lewis trattenne un sorriso, era abituato ai fischi, così come Max e ormai non ci facevano nemmeno più caso. Ciò che però lo divertì, fu il fatto di riconoscere sotto quel podio alcune delle persone che, quando era entrato nel paddock, si erano fiondate verso di lui per chiedergli una foto o un autografo e che ora invece lo stavano fischiando. Scosse la testa, ignorando tale incoerenza e togliendosi il cappellino, pronto per ascoltare l'inno inglese.
I suoi occhi però, continuarono a concentrarsi su quella piccola folla sottostante. Guardò il punto in cui erano posizionati alcuni membri del suo team, per poi spostarsi su quelli della Red Bull e infine della Ferrari. Osservò tutte le facce, non riuscendo a trovare, da nessuna parte, l'unica che stava davvero cercando.
Si aspettava di scorgere Jourdan sotto al podio. Dopo quella conversazione sulla spiaggia, anche se non gli aveva dato conferme, gli aveva fatto intuire che sarebbe stata lì.
Aveva vinto quella gara, si era portato in testa alla classifica del mondiale, avrebbe dovuto pensare solo a quello, a godersi la gioia del momento. Invece stava pensando a dove potesse essere quella ragazza, al perché non fosse lì. E avendo passato tutta la mattinata chiuso nel suo motorhome, non aveva nemmeno idea se fosse presente nel circuito.
Aggrottò le sopracciglia, stupito dai suoi stessi pensieri. Li zittì, concentrandosi solo su quella celebrazione.
Dopo aver spruzzato lo champagne ed essersi salutati, Max recuperò le sue cose, per poi dirigersi velocemente verso l'hospitality del suo team. Salutò e ringraziò le persone che si congratularono con lui lungo il cammino, non soffermandosi troppo però, perché il tempo che poteva prendersi, per darsi una veloce ripulita era poco, prima che la conferenza post gara iniziasse.
«Oh, cazzo!» esclamò, nel momento in cui entrò dentro la sua stanza, venendo colto totalmente di sorpresa dalla presenza della sorella. «Non mi aspettavo di trovarti qui» aggiunse, poggiando il casco su un apposito ripiano.
Jourdan se ne stava distesa sul lettino per i massaggi, che serviva a Max e al suo fisioterapista per preparare i muscoli e quant'altro. Voltò la testa verso di lui, per poi tornare a fissare il soffitto. «Cosa ci fai qua?» le chiese, avvicinandosi a lei.
«Avevo bisogno di un posto tranquillo in cui pensare» rivelò, omettendo gran parte della verità. Dopo aver passato una quantità indefinita di tempo in quello stato di panico, seduta sul pavimento, con le mani sul volto, mentre le lacrime scorrevano incontrollate, la ragazza era finalmente riuscita a riprendersi. Non aveva fatto niente di particolare, non ci aveva nemmeno provato quella volta, stanca di doversi sempre salvare da sola, in ogni occasione in cui lei stessa si gettava da un dirupo. Aveva semplicemente lasciato che lo stress e la tristezza fluissero lungo tutto il suo corpo, fino a che anche loro si stancarono di stare con lei.
Le lacrime si erano fermate, seccandosi sulle guance, il respiro era tornato regolare e la forza di alzarsi da quel pavimento si era ripresentata. Aveva curiosato per la stanza, osservando ogni cosa vi fosse dentro e questo l'aveva intrattenuta per un po'. Non aveva più alcuna voglia di uscire e tornare da Skye o da chiunque altro. Aveva solo voglia di andare a casa. Sapeva però che non avrebbe potuto farlo, almeno fino a quella sera, quando Max avrebbe finito con tutti i suoi impegni e il jet privato li avrebbe riportati a Monaco. Quindi non aveva visto altra soluzione, se non quella di attendere lì dentro, in solitudine.
«Sei sempre dietro a pensare a qualcosa» commentò il fratello, slacciandosi la parte superiore della tuta e lasciandola ricadere sui fianchi.
«Lo fai pure tu. Anche se fingi che non sia così» gli fece notare, tirandosi a sedere. Max le lanciò un'occhiata, decidendo di non replicare, perché era la verità.
Le pose invece un'altra domanda. «Non hai visto la gara?»
Jourdan tentennò per qualche secondo. «Certo che l'ho vista» mentì. «Sei stato molto bravo» aggiunse poi, notando il trofeo che aveva poggiato accanto al casco. «A che ora partiremo da qui?» cambiò subito discorso, non volendo ricevere altre domande riguardo tale argomento.
«Mi piacerebbe essere a casa per le dieci di stasera» Jourdan osservò lo schermo del suo cellulare, sgranando gli occhi, rendendosi conto che mancasse ancora parecchio tempo, prima di potersi buttare sul suo letto e chiudersi nel buio della sua stanza. «Dall'autodromo penso che usciremo tra un paio d'ore» aggiunse, facendola sbuffare leggermente.
Max aprì l'armadio, prendendo una tuta pulita. E mentre lui spariva oltre la porta del bagno, lei recuperava il cellulare, provando a distrarsi e a far passare il tempo più velocemente. Ma ciò si rivelò tutto, fuorché una distrazione. Come sbloccò lo schermo, si ritrovò davanti la foto di una sua collega, decisamente meno famosa di lei, che ringraziava Dior per l'invito alla sua sfilata. E così decise di andare sulla pagina ufficiale del marchio, per capire chi altro avessero invitato.
Non poteva crederci, le modelle che avrebbero partecipato, indossando gli abiti della nuova collezione, le conosceva quasi tutte e la maggior parte erano poco note nel mondo della moda. In più, anche gli invitati spaziavano in ogni campo lavorativo. In quel momento però, non fu il panico ad assalirla, fu solo la rabbia. Continuò a scorrere la pagina, non accorgendosi nemmeno della presenza di suo fratello, di nuovo nella stanza, e non ascoltando nulla di quello che gli disse prima di uscire.
Come poteva essere possibile che fossero state invitate tutte quelle persone e non lei? Rimase a rimuginare sulla questione per quasi mezz'ora, prima di decidersi a scendere da quel lettino. Uscì, camminando con passo svelto verso quella che sarebbe stata la sua prossima meta. C'era una sola persona, in tutto quell'autodromo, che avrebbe potuto aiutarla a capirci qualcosa di più su quella storia e lei aveva bisogno di trovarla.
Stoppò i suoi passi solo quando davanti a lei comparve il motorhome nero lucido, caratterizzato dall'inconfondibile logo Mercedes. Restò ad osservarlo per qualche secondo, iniziando a pensare che, forse, quella non era stata poi una grande idea. Si guardò intorno, non sembravano esserci fotografi, nessuno stava facendo caso a lei. «Ah, fanculo» disse poi, entrando.
Il silenzio regnava all'interno di quel motorhome, accompagnato di tanto in tanto da alcune voci che arrivavano dalle persone sedute ai tavoli, dipendenti Mercedes che finalmente avevano potuto prendersi una pausa, prima di iniziare a ritirare ogni cosa, per la partenza verso il prossimo circuito. Cercò di capire da che parte dirigersi e poi, una faccia famigliare attirò la sua attenzione. La donna dai capelli biondo platino, che spesso aveva visto assieme a Lewis, era dietro un bancone, intenta a riempire una scodella con dello yogurt greco.
Decise di avvicinarsi a lei. «Ciao, piacere, io sono Jourdan» attirò tutta la sua attenzione con quella frase, lasciandola confusa per qualche secondo. Non si aspettava di vedere quella ragazza, in realtà non si aspettava di vedere nessuno nel suo momento libero, che sperava di passare da sola, in pace.
«Angela» rispose, stringendo la mano che le stava porgendo e presentandosi a sua volta.
«Scusa il disturbo, ma avrei bisogno del tuo aiuto» le confessò, grattandosi la nuca.
La donna aggrottò le sopracciglia, ancora più stupita da quell'incontro. «Cosa ti serve?» le chiese, poggiando per un attimo quella scodella, ormai curiosa di capirci di più.
«Potresti dirmi dove si trova Lewis?» buttò fuori senza pensarci. La donna soppesò quella richiesta, osservandola, come per cercare di capire il perché nascosto dietro quella richiesta. Ricordò di quando l'aveva incontrata, per la prima volta, in quell'hotel in Bahrein e di quando l'aveva vista a Miami, mentre parlava con il pilota, prima che lui le lasciasse il suo cappellino. E fu proprio quest'ultimo particolare a convincerla a risponderle.
«Sali quelle scale, poi prendi il corridoio alla tua destra, alla fine di quest'ultimo svolta a sinistra» le indicò, aggiungendo dei gesti con le mani.
Jourdan sorrise. «Grazie» si congedò velocemente, per poi dirigersi nella direzione che le aveva spiegato. Si ritrovò direttamente in una stanza più appartata, senza porta, con una luce soffusa rispetto agli altri ambienti. Non era molto grande, ma era riempita da due file di lunghi tavoli bianchi, con sopra alcuni computer e altri attrezzi elettronici.
Lo sguardo di Jourdan non perse più tempo ad osservare quello che aveva attorno, perché venne completamente attirato da altro. Lewis era seduto su una delle sedie, con indosso nulla di più che un lungo asciugamano blu scuro, legato in vita. Era piegato in avanti, con gli avambracci poggiati sulla superficie del tavolo e gli occhi concentrati sul monitor di un portatile, sul quale stava analizzando alcuni dati.
Sapeva che avesse dei tatuaggi, ma non si aspettava che tutta la sua schiena ne fosse ricoperta in quel modo. Una grossa croce dallo stile gotico, contornata da delle ali e delle sfumature che rappresentavano dei fasci di luce, la dominava completamente. Era tutto in bianco e nero, eppure, per la maestria con cui era stato fatto, sembrava comunicare i dettagli anche senza bisogno di alcun colore. Da una spalla all'altra, poi, vi era una scritta in corsivo arrotondato, che riportava la frase: "Still I Rise".
Ne rimase completamente rapita, dalla bellezza di quel tatuaggio, da come si adattasse perfettamente alla sua schiena, dai muscoli che la definivano e dal modo in cui si mossero quando si posizionò meglio sulla sedia. Sarebbe rimasta ad osservare quel disegno per ore, ma l'intento per cui era andata lì era ben diverso. Anche se ormai sembrava esserselo quasi dimenticata, davanti alla visione di quel corpo mezzo scoperto.
Si schiarì la voce, attirando la sua attenzione. Il pilota si voltò di scatto, non aspettandosi di avere compagnia. E quando i suoi occhi incontrarono quelli di Jourdan, ne rimase del tutto sorpreso. «Angela mi ha detto dove trovarti» ruppe così il silenzio lei. Lewis decise di non ribattere, osservandola con un sopracciglio alzato e spronandola ad andare avanti. «E... adesso che sono qui, mi rendo conto di quanto sia stata stupida questa idea» diede voce ai suoi pensieri, maledicendosi di non averci riflettuto su di più, lasciando che la rabbia del momento prendesse la decisione.
«Posso avere un contesto?» le domandò, alquanto divertito per l'espressione soprappensiero che aveva assunto.
Jourdan tornò a guardarsi attorno, prima di decidersi a parlare. «Sei stato invitato alla sfilata di Dior, in occasione del Festival di Cannes?» gli chiese, senza rimuginarci attorno ulteriormente, lasciandolo alquanto stupito.
«Perché con te è sempre tutto così confusionario?» scosse la testa.
«Puoi semplicemente rispondermi? Questa giornata sta diventando decisamente più pesante del previsto. Non ti ci mettere anche tu» puntualizzò, lasciando ricadere leggermente la testa all'indietro, in modo decisamente frustrato.
Lewis si alzò, attirando lo sguardo della ragazza, che, senza nemmeno farlo apposta, cadde sul suo petto scoperto. E se la schiena, precedentemente, aveva attirato tutta la sua attenzione, adesso, quegli addominali, che sembravano essere stati scolpiti da uno scultore in uno dei marmi più pregiati, non riuscivano a farla concentrare su altro.
Era abituata a vedere uomini dal bel fisico, prima di trasferirsi a Monte-Carlo, frequentava molti modelli. E anche da quando non stava più in America, si era comunque sempre circondata di piloti, anch'essi decisamente allenati e attenti al loro corpo. Eppure, nessuno di loro sembrava avere nulla a che vedere con quello su cui aveva posato i suoi occhi ora. Il corpo di Lewis pareva essere perfetto sotto ogni minimo dettaglio. Il suo sguardo attento ci stava provando a trovare anche un solo piccolo difetto, purtroppo però, sembrava impossibile.
«Pensavo di trovarti sotto al podio» parlò, muovendo qualche passo verso di lei, che se ne stava ancora immobile, appena dopo la soglia della stanza. Avrebbe voluto dire che sapeva ciò che stava facendo. Ma non era così. Dal momento in cui si era presentata in quella stanza, il suo cervello sembrava essersi completamente scollegato. E l'unica cosa che il suo corpo gli stava suggerendo, era quella di avvicinarsi a lei, attratto come una calamita dal magnete.
«E invece ti ritrovo qui, nel mio motorhome, nella stanza in cui cerco un po' di pace per analizzare i dati della gara» le fece notare. E non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno a se stesso, ma era contento del fatto che fosse lì.
Jourdan, improvvisamente, si sentì del tutto esposta. Non aveva detto nulla, non aveva fatto nulla, si trovava solo, decisamente, troppo vicino al suo corpo. Proprio come era successo a Miami, sentiva di non potersi fidare di se stessa. «Rispondi alla mia domanda e poi giuro che me ne vado e ti lascio lavorare in pace» non sapeva perché, davvero non comprendeva come fosse possibile provare verso di lui una tale attrazione fisica da farle perdere la razionalità nell'istante in cui le distanze tra loro si limitavano a diminuire di poco.
Ci stava provando a concentrarsi, ma il fatto che lui fosse mezzo nudo non la stava aiutando per niente. L'unica cosa che la sua mente riusciva a pensare, era a quanto potesse essere sbagliato se si fosse avventata sulle sue labbra.
"Concentrati. Ne hai già combinati abbasta di casini nella tua vita. Non è il momento di farne un altro."
Intervenne la sua coscienza, riuscendo a sovrastare i pensieri, decisamente poco casti, che le stavano aleggiando nella testa. «Non ho detto che te ne devi andare» Lewis alzò un angolo della bocca, fissando gli occhi nei suoi e sporgendosi in avanti, avvicinando di poco i loro volti. Quella provocazione, che gli aveva lanciato durante il loro ultimo incontro sulla spiaggia di Larvotto, sembrava aver colpito nel segno.
Sotto il podio l'aveva cercata, ma lei non c'era. E ora se la ritrovava lì. Stava forse conducendo qualche tipo di gioco? O era solo l'attrazione fisica che provava verso di lei, ad averlo portato in quella ragnatela di pensieri?
Entrambi credevano di essere finiti preda di un qualche trucchetto. Ma la realtà era che, nessuno dei due aveva strani secondi fini, erano solo comandati dalla pura attrazione fisica, da quella miccia che era scattata sin da quell'incontro in Bahrain e che aveva iniziato a bruciare sempre di più nei successivi. Tutto stava a capire chi dei due l'avrebbe fatta ardere del tutto.
«Cosa volevi sapere?» le chiese, nonostante si ricordasse benissimo la domanda che lei gli aveva posto prima.
La ragazza cercò con tutta se stessa di restare aggrappata alla voce della sua coscienza. «Sei stato invitato alla sfilata di Dior, in occasione del Festival di Cannes?» ripetè le stesse parole che già aveva pronunciato. Ogni secondo in più che passava lì dentro, con lui, si rendeva conto di quanto davvero avrebbe dovuto pensarci su meglio, prima di fiondarsi in quel motorhome per cercarlo.
Di segnali per stargli lontana ne aveva avuti ormai. Se fosse stata semplice attrazione fisica, bruciante e obnubilante attrazione, allora sarebbe stato del tutto diverso. Avrebbe anche potuto buttarsi, accertarsi che non avesse secondi fini e poi togliersi lo sfizio. Il problema insorgeva dal momento in cui, da quell'attrazione era scaturita anche la curiosità. Una curiosità che la portava a porsi domande su di lui, a voler scoprire e conoscere. E non andava bene, perché non poteva permetterselo.
Se l'era giurato di non cascarci più, perché conosceva la sua più grande debolezza. La totale mancanza di amore con la quale aveva da sempre convissuto, la portava a credere che, una minima attenzione in più, fosse la via giusta per vivere tutti quei sentimenti che mai aveva potuto provare. Ma, ogni volta, finiva per comprendere di essersi solo illusa. La sua mente veniva annebbiata e la soggiogava, gli altri ne approfittavano e lei ne usciva sempre fottuta.
L'ultima volta che aveva abbassato le sue difese, le era stata quasi fatale.
«Sono uno dei volti del marchio da quest'anno. Ho ricevuto l'invito settimane fa» le rispose, strappandola dai suoi pensieri e confermando ciò che già sospettava. «Perché me lo stai chiedendo?» voleva vederci chiaro.
Ma lei non gli diede nessun indizio in più, rispondendo con un'altra domanda. «Gli inviti sono già stati spediti a tutti?»
Lewis ci pensò su per qualche secondo. «Quelli degli ospiti che vogliono tenere segreti fino all'ultimo momento, li inviano dopo rispetto a tutti gli altri» le rivelò, donandole una flebile luce di speranza ad illuminare il suo tunnel di pensieri oscuri.
Jourdan tornò a puntare gli occhi nei suoi e prima che potesse ringraziarlo, per chiudere quella conversazione e uscire da lì il più velocemente possibile, lui la precedette. «Ci sarai?» le chiese, piegando leggermente la testa su di un lato.
«È già la seconda volta che pensi ad un nostro possibile nuovo incontro» gli fece notare, sviando dalla sua domanda. «Dovresti accontentarti del momento e lasciare che sia il caso a decidere» avrebbe voluto prendersi a sberle da sola. Come poteva passare dal volersene andare, per evitare di combinare guai, all'iniziare a provocarlo?
Il pilota sorrise in modo furbo. «Accontentarsi non fa mai parte dei miei piani» le fece notare, riferendosi soprattutto alla sua carriera, durante la quale mai era stato contento di un risultato, se esso non era il migliore che si poteva ottenere. «E comunque, mi sembra che questa volta ti sia riservata tu la libertà di agire, prima che potesse essere il caso a farlo» aggiunse, ricordandole che era stata proprio lei ad andare lì. Nessun caso, nessun destino, semplice volontà e consapevolezza.
«Infatti, come ho detto...» lasciò la frase in sospeso per qualche secondo, quando lui mosse ancora un passo verso di lei, annullando quasi del tutto la distanza che li separava. «È stata un'idea stupida» concluse.
Lewis schioccò la lingua sul palato, sorridendo sornione. Le afferrò il polso, nell'esatto momento in cui capì quale sarebbe stata la sua prossima mossa, fermandola prima che potesse voltarsi e andarsene. Quel gesto la stoppò bruscamente, cogliendola di sorpresa e facendola traballare sui suoi stessi piedi. Non se ne rese nemmeno conto, di come finì per sbilanciarsi in avanti, poggiando il petto contro il suo.
Il viso era vicino alle sue clavicole, quasi alla stessa altezza del volto del leone che aveva tatuato sul pettorale destro. Ma non fu quello a cogliere la sua attenzione, fu l'odore di bagnoschiuma che la sua pelle emanava. Venne distratta da quel profumo solo nel momento in cui lui lasciò la presa sul suo polso. Jourdan alzò la testa, incontrando da subito i suoi occhi. Erano scuri, eppure sembravano brillare, illuminati da una scintilla a cui lei non sapeva dare nome.
Era pronta per ristabilire una distanza di sicurezza tra loro e per farlo, poggiò i palmi della mani sui suoi pettorali. Fu un gesto compiuto senza pensarci, completamente distratta e presa dalla foga di allontanarsi e in realtà finì per fare l'opposto. Creò un nuovo contatto, oltre a quello visivo, e mandò completamente in tilt tutti i suoi buoni propositi.
Abbassò nuovamente lo sguardo, osservando le mani che stavano poggiando delicatamente su quella pelle morbida, che copriva i muscoli tonici. Lewis le mise l'indice sotto al mento, ponendo poi il pollice vicino alla sua bocca, costringendola ad alzare la testa e tornare a guardarlo negli occhi. «Sei sicura che sia così?» le chiese, non credendo affatto alle sue parole, quando poco prima aveva sostenuto che, quella di andare da lui fosse stata un'idea stupida. Per lui non lo era affatto e per il modo in cui lo stava fissando, poteva capire che, in realtà non lo fosse nemmeno per lei.
Jourdan rimase in silenzio, limitandosi a deglutire e schiudere di poco le labbra. Lo sguardo del pilota guizzò su queste ultime, mentre prendeva un profondo respiro.
"Ti prego, allontanati tu. Perché io non sono più in grado di farlo ora."
Pensò nella sua mente, ormai sempre più certa di essersi cacciata nell'ennesimo guaio. Sarebbe dovuta entrare in quel motorhome, trovarlo, chiedergli le informazioni che le servivano e poi andarsene. Come ci era finita in quella situazione? Era successo tutto ancora prima che se ne rendesse conto e ora era incastrata.
Lewis, come se avesse sentito i suoi pensieri, fece l'ultima cosa che lei si sarebbe aspettata da lui in quella situazione. Si allontanò.
Interruppe ogni contatto, muovendo qualche passo indietro, lasciandola del tutto stordita. Gli occhi leggermente sgranati e la pelle che sembrava bruciare nel punto in cui lui l'aveva toccata. E mentre lei si domandava perché si fosse allontanato, rendendosi conto di quanto invece avrebbe voluto che compisse quella prima mossa, che desse completamente fuoco alla miccia che si era già accesa, Lewis cercava di controllare il suo respiro, per porre fine all'eccitazione che aveva provato fino a poco prima.
La parte razionale del suo cervello era sopraggiunta, portandolo a compire quel gesto, a rompere la piccola bolla nella quale si erano rinchiusi. Baciarla, andarci anche a letto insieme, non sarebbe stato un problema per lui. Da quando, undici anni prima aveva chiuso la relazione più seria e duratura della sua vita, aveva avuto solo frequentazioni occasionali, anche solo di una notte. Ma, mai con una persona che frequentava abitualmente i luoghi del suo lavoro, mai con una persona che aveva un qualche tipo di legame con un altro pilota. E lei, ora, toccava entrambi i punti che lui si era promesso di non oltrepassare.
La carriera veniva prima di ogni cosa per Lewis, ecco perché doveva stare lontano da qualsiasi vicenda che avrebbe potuto interporsi con essa e anche ostacolarla in qualche modo. Doveva restare sempre concentrato, soprattutto adesso che stava combattendo per vincere il suo ottavo mondiale, per rompere anche quel record e consacrarsi in tutto e per tutto come il più grande di tutti i tempi. Non poteva permettersi distrazioni o inconvenienti.
Jourdan era la sorella del suo più noto rivale in pista per quella stagione, una persona con la quale già, di norma, non andava poi molto d'accordo. L'attrazione fisica che provava verso di lei, gli aveva fatto scordare questi dettagli, quando se l'era ritrovata in quella stanza. Dettagli che però, improvvisamente erano tornati, come un fulmine a ciel sereno.
Il silenzio creatosi in quella stanza era decisamente ingombrante ed entrambi tirarono un sospiro di sollievo quando il telefono della ragazza prese a squillare. Lei rispose subito, senza nemmeno guardare chi fosse, avrebbe voluto uscire prima di farlo, ma le sue gambe sembravano ancora incapaci di muoversi.
«Ma dove cazzo sei?» la voce di Max arrivò chiara dall'altro capo del cellulare e il tono alto che stava usando permise anche a Lewis di sentire. «Ti avevo detto di farti trovare qui per le sette» Jourdan si ricordò di come il fratello avesse parlato, prima di lasciare la sua stanza nel motorhome Red Bull e di come lei non lo avesse minimamente ascoltato.
«Io... non avevo visto l'orario» si giustificò velocemente. «Arrivo» chiuse quella chiamata, comprendendo che Max la stesse ormai aspettando da un po', per poter lasciare quel circuito e dirigersi finalmente a casa.
«Devo...» indicò dietro di lei, senza nemmeno completare quella frase.
«Sì» disse semplicemente Lewis, avendo sentito la conversazione. Senza più dire una parola, Jourdan uscì da quella stanza, camminando il più velocemente possibile, un po' per raggiungere il fratello e un po' per allontanarsi da lì. Il pilota si lasciò andare ad un verso di frustrazione, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi.
La modella uscì dal motorhome e, presa dalla fretta, assorta nei suoi mille pensieri, non si accorse minimamente di quegli occhi che, da lontano, la stavano osservando con sguardo sagace. E non si accorse nemmeno della serie di lievi flash che immortalarono quel momento in una sequenza di scatti.
🌟🌟🌟
Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻
Cercherò di non dilungarmi troppo, dato che il capitolo è già lungo di suo.
Sono successe un po' di cose, a partire dall'amore e odio che Lewis ha notato in alcuni tifosi e che Jourdan invece prova per il suo lavoro.
La notizia dell'invito alla sfilata di Dior, che Skye ha ricevuto, sembra averla scossa più di quanto si aspettasse. Credete che sia davvero la fine della sua carriera? O quell'invito per lei potrebbe ancora arrivare?
Intanto però, sembra che lei e Lewis stessero per cedere e lasciarsi andare all'attrazione fisica che provano l'uno per l'altra. Ma poi, il pilota si è tirato indietro. Tutti e due hanno le proprie ragioni per evitare quel tipo di contatti, il punto è, riusciranno davvero a seguirle?👀
Per scoprire cosa accadrà, non dovrete fare altro che continuare a leggere😈
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XOXO, Allison💕
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