Capitolo 4 - Screzi


Principato di Monaco.
Monte-Carlo.

Correre gli piaceva e non solo in macchina, ma anche alla vecchia maniera, munito di tennis e cuffiette nelle orecchie.
Lo faceva spesso, era il suo allenamento preferito. La mattina presto usciva di casa e correva per qualche chilometro. Con la pioggia o con il sole, nulla lo fermava.

E anche quel giorno, svegliatosi alle cinque, perché come sempre il sonno lo abbandonava prima di quanto in realtà avrebbe voluto, aveva deciso di indossare i suoi indumenti sportivi e uscire di casa per farsi una corsa sul lungomare di Monaco.

L'aria era fresca e lì, vicino all'acqua, era animata anche da un leggero venticello che gli impediva di accaldarsi troppo mentre si allenava. Tra un passo e uno sguardo verso il mare, si perse inevitabilmente tra i suoi pensieri.

Erano stati due anni difficili, nei quali era sembrato che l'universo quasi l'avesse preso di mira. Aveva perso un mondiale, perché le regole erano state cambiate in corso d'opera, non era stato facile rialzare la testa e trovare la forza di continuare. Ma l'aveva fatto. E la stagione successiva a quell'ingiustizia che aveva subito, era tornato in pista, pronto a prendersi la sua rivincita.

Purtroppo però, le cose non erano andate affatto come previsto. Alcuni regolamenti che riguardavano la vettura, erano stati rivisti durante l'inverno e il suo team aveva fatto male i calcoli, sbagliando, dopo dieci anni, qualcosa nella costruzione dell'auto. Si era ritrovato con una monoposto non competitiva, non adatta a combattere per il titolo, difficoltosa da guidare.

E anche in quel caso, davanti alle sue infrante speranze di rivincita, aveva rialzato la testa ed era andato avanti. Si era messo a completa disposizione del team, consentendo di utilizzare la sua macchina per testare diversi assetti e cercare di trovare il modo per migliorarla il più possibile. Aveva sacrificato parecchie gare e in certe occasioni anche la sua salute fisica. Ma non aveva mollato.

Arrendersi non era nella sua natura.
Tanti avevano sempre voluto che lo facesse, nel suo passato e anche nel suo presente. Alcuni gli avevano detto che non sarebbe mai stato nessuno, che non avrebbe mai conquistato niente. Altri avevano fatto qualsiasi cosa per fermarlo.
Eppure, non aveva mai mollato.

Non era semplice mantenere quella forza mentale. C'erano momenti in cui si sentiva sopraffatto da ogni cosa. Era umano anche lui e le preoccupazioni lo affliggevano come chiunque altro. Aveva tanti pesi sulle spalle e altrettanti occhi addosso. Tutti erano sempre pronti a giudicare, a spendere parole su ogni cosa che faceva. E non sempre era facile farsi scivolare tutto addosso, continuando sulla propria strada.

Ma aveva lavorato tanto su se stesso, durante tutti quegli anni. Era maturato, si era preso cura del suo corpo e della sua mente. Questo gli aveva permesso di conquistare quasi ogni suo obbiettivo, di diventare un punto di riferimento per molte persone nel mondo, di fare del bene e di entrare nella storia di quello sport.

E adesso era di nuovo pronto a riprendersi ciò che già sarebbe dovuto essere suo: quell'ottavo mondiale, che gli era stato ingiustamente rubato, da un uomo che aveva giocato con dei regolamenti, cambiandoli a favore del suo avversario.

Aumentò il passo, spinto da quei pensieri. La musica gli rimbombava nelle orecchie, dettando il ritmo di quella corsa. Lasciò che il suo sguardo ricadesse verso il mare aperto, dal colore blu. Quella mattina era piatto, quasi completamente privo di onde, sorvolato da qualche gabbiano e illuminato dalla luce del sole appena sorto.

Tutto era tranquillo, la cittadina ancora sembrava dormire, lui era l'unica eccezione.
O forse no.

I suoi occhi si fermarono su un punto non molto lontano da lui. Su quella sabbia chiara, in solitudine, vi era seduta una ragazza. Gli dave le spalle, teneva un bicchiere d'asporto in una mano e una sigaretta accesa stretta tra due dita dell'altra. Gli sembrò una figura familiare, perciò rallentò i suoi passi, cercando di capire se la sua prima intuizione fosse giusta.

Si avvicinò a quella ringhiera, che segnava la fine della ciclabile, mettendo una protezione tra essa e la spiaggia che si trovava qualche metro più sotto. Ormai fermo, osservò i palazzi che svettavano sull'altura sopra di lui, rendendosi conto di aver corso fino alla parte opposta della città, rispetto a dove invece abitava. Tra tutti gli edifici, ne riconobbe uno in particolare, quello in cui abitava Max. A quel punto allora, tornò a guardare la ragazza e poté essere certo del fatto che fosse Jourdan.

Ma cosa ci faceva lì, completamente sola, a quell'ora del mattino?
Era una domanda che subito aveva fatto capolino nella sua mente. E una parte di lui gli aveva suggerito che non fosse affar suo, di continuare nella sua corsa, non lasciandosi distrarre. Un'altra parte, però, gli diceva di andare da lei e scoprirlo.

Era combattuto, perché non gli andava affatto a genio quella continua e insistente curiosità che nasceva dentro di lui, ogni volta in cui la vedeva. Le volte in cui l'aveva incontrata, a qualche sfilata o evento di moda, alcune domande sul suo conto erano sorte, spinte da tutte le notizie che giravano su di lei. Ma poi, era sempre finita lì, quegli interrogativi non erano mai rimasti nella sua mente.

Da quando l'aveva rivista in quell'hotel con Max, le cose erano cambiate. Ora non si trattava più del campo della moda, di cui lui era assiduo e gradito frequentatore. Adesso si trattava del suo mondo, del suo lavoro. E lei, in quel campo, sembrava essere proprio una perfetta estranea.
Ma allora perché era lì?

Era propio quello che lo fregava, il fatto che nulla sembrasse avere un senso. Non aveva mai creduto ciecamente a tutte le notizie che la riguardavano e che i giornali si divertivano a far uscire. Ciò però non toglieva che la versione di lei, che Jourdan stessa aveva sempre lasciato vedere, cozzasse in tutto e per tutto con quello che invece ora stava facendo.

Le ultime voci uscite, che la vedevano come protagonista di una possibile relazione con Max, lo lasciavano solo con più dubbi addosso. Non sapeva se crederci o meno, ma ogni comportamento sembrava dare ragione a quei gossip. Eppure, pensandoci a fondo, si rendeva conto che, in realtà, lui non la conosceva affatto. E non gli sembrava giusto darsi una risposta o esprimere un giudizio in base alle voci. Tante persone l'avevano fatto con lui e continuavano a farlo. E lo odiava.

Sapeva che, probabilmente, la cosa più giusta da fare sarebbe stata quella di ignorare lei e tutta la situazione. Non lo riguardava minimamente, perché mettersi in mezzo?
Ma non poteva farci nulla, subiva il suo fascino. Un fascino dato da una bellezza tanto particolare e un carattere tormentato, che lo spingeva a porsi continue domande. A cercare risposte sul perché, dopo essere sparita dai riflettori, avesse scelto di farsi rivedere proprio lì nel suo mondo. Un mondo che per tutta la sua vita aveva sempre ignorato.

Che lo spingeva fino al punto di muovere i suoi passi nella direzione di quella ragazza, mentre si malediceva mentalmente.

«Non credi che sia un po' banale starsene sola su una spiaggia, con una sigaretta e lo sguardo perso?» parlò, quando le fu accanto. Jourdan, colta di sorpresa, volse la testa, osservando l'uomo che le si era appena affiancato. E si sarebbe aspettata di vedere chiunque, meno che lui.

«Sì, beh, sono una modella che è stata al centro di parecchi scandali, con una vita incasinata e una tendenza autodistruttiva. È evidente che l'universo mi voglia sempre coinvolta con dei cliché» rispose per tanto, non lasciandosi cogliere alla sprovvista.

Lewis sorrise, scuotendo leggermente la testa. «Sarà una veloce valutazione» disse, lanciando un'occhiata al palazzo dietro di loro. «Ma, credo che la visuale dell'orizzonte sia decisamente meglio dall'alto del balcone del tuo appartamento» in realtà non sapeva nemmeno se vivesse lì con Max. Provare ad indovinare, per ricevere qualche informazione, però, non gli costava nulla.

«Avevo bisogno di staccare da...» lasciò quella frase in sospeso, ricordandosi in tempo del fatto che ciò che stava per dire, fosse qualcosa che invece non avrebbe dovuto lasciarsi scappare con tanta nonchalance. Non conosceva Lewis, non sapeva quali fossero le sue intenzioni, se non era al corrente del fatto che fossero fratelli, allora non glielo avrebbe di certo rivelato lei. Non voleva altri possibili guai e soprattutto altre liti con Max.

«Avevo bisogno di stare da sola» si corresse infine. «E poi, smettila di fingere, sai che quell'appartamento non è mio. Io non vivo qui» puntualizzò, facendogli presente di aver capito, ancora una volta, il suo sottile gioco per ottenere informazioni senza chiederle esplicitamente.

L'inglese annuì, sistemandosi meglio il cappellino verde che aveva sulla testa. «Hai ragione. In realtà, ignoro dove sia casa tua» la guardò dall'alto, notando come il suo naso fosse perfettamente dritto e costellato da piccole, leggere, lentiggini, che si propagavano anche sugli zigomi.

Jourdan lasciò le sue labbra aprirsi in un sorriso amaro. Dov'era casa sua?
Nemmeno lei lo sapeva.
L'appartamento di Max era una sistemazione temporanea, che però durava da più di un anno ormai. La casa che possedeva a New York non la vedeva varcare la soglia della sua porta da molto prima del suo ultimo scandalo, che l'aveva portata via dai riflettori. Le camere d'hotel, dove aveva alloggiato per partecipare a degli eventi o delle sfilate, di certo non rappresentavano affatto quella parola.
Perciò, dov'era casa sua?

«In America» rispose generica. «Anche se non metto piede lì da un bel po' ormai» aggiunse. Da quando era andata a stare da suo fratello, non era più tornata negli Stati Uniti.

Lewis si sedette accanto a lei, portandola a guardarlo di nuovo. «Penso che questa ormai sia finita» indicò con il mento la sigaretta che ancora stava stringendo tra le dita, ma della quale si era evidentemente dimenticata.

«Oh» commentò, per poi spegnerla nella sabbia. Recuperò, dalla tasca della giacca di pelle, il pacchetto vuoto e gettò al suo interno quel mozzicone, lasciandolo piacevolmente stupito. Si aspettava che lo abbandonasse su quella spiaggia e si era già prefissato di raccoglierlo, una volta alzato, per buttarlo in un cestino. Lei lo aveva preceduto, con un'accortezza che purtroppo non rappresentava molte persone.

«Non ti manca?» le chiese poi.

«Cosa? L'America?» domandò, aggrottando le folte sopracciglia. Lewis annuì. «Ogni tanto ma...» ancora una volta, Jourdan lasciò in sospeso le sue parole. «Perché sei qui, Hamilton?» lo fissò con un'espressione seria, puntando gli occhi nei suoi.

Nonostante non fossero affatto distanti, non riusciva a capire il colore di quelle iridi. Erano molto scure, tanto da sembrare quasi nere, se viste senza un riflesso di luce. Pensò che fossero alquanto intriganti. Fu un pensiero che la portò a chiedersi se avesse potuto decifrarne il colore, se solo si fosse avvicinata un po' di più a lui.

Un pensiero che scacciò immediatamente dalla sua testa. «Stavo correndo, ti ho vista qui da sola e ho pensato che venire a parlarti, per vedere se andava tutto bene, fosse un gesto gentile» rivelò, lasciandola con la bocca mezza aperta.

Un gesto gentile.
Qualcosa di semplice, la maggior parte delle volte, che poteva portare via qualche secondo nella vita di qualcuno e poteva, allo stesso tempo, cambiare quella di un altro.
Qualcosa a cui lei non era abituata. Anche se nell'ultimo anno, gli amici che si era fatta le avevano ricordato cosa si provasse a riceverne uno.

«O era anche questo un pretesto per potermi fare domande ed ottenere informazioni? Come quando mi hai offerto quel caffè?» non si fidava, non lo faceva mai di nessuno, perché aveva imparato sulla sua pelle che non poteva permettersi quel lusso nella sua vita.

Lewis alzò le mani. «Mi dispiace» ed era vero. Eppure non poteva negare che uno dei motivi che l'avevano spinto ad avvicinarsi a lei poco prima, fosse proprio quello di scoprire qualcosa in più. «Ma non dirmi che la curiosità non ti ha mai portata a fare cose sbagliate» aggiunse poi, giustificandosi da solo.

Nessuno poteva saperlo meglio di lei, cosa significasse fare cose sbagliate. Per curiosità, per noia, per ripicca, c'era sempre un motivo che la spingeva a commettere guai. Tutto stava nel capire quale sarebbe stato il prossimo.

«Sono anni che ci intravediamo alle sfilate di moda, alle feste o agli eventi. E non ci siamo mai rivolti più di un veloce sguardo» continuò. «Adesso ti ritrovo sui circuiti, nel mio campo di lavoro primario e principale. È stato alquanto strano ed ero solo curioso di sapere cosa ci facessi lì, o qui» indicò l'ambiente che li circondava.

Jourdan rifletté su quelle parole. «Io per anni ti ho visto nel mio ambiente di lavoro, ma non mi sono mai chiesta come mai fossi lì» rispose per tanto.

Lewis non si lasciò scoraggiare da quella sottile provocazione, che voleva lasciargli intendere il disinteresse che lei provava nei suoi confronti. «Perché tu sapevi già bene come mai mi trovassi in quei posti» le fece notare. «Le mie collaborazioni con alcuni stilisti non sono un mistero, come non lo è mai stato nemmeno il mio interesse per il mondo della moda» le lanciò una veloce occhiata, vedendo le sue labbra tirate in un sorriso divertito. «La mia presenza ad una sfilata è un qualcosa di già visto. La tua presenza su un circuito o in un hotel con un pilota, non lo è affatto» concluse.

Jourdan batté le mani sulle cosce, dopo aver poggiato quel bicchiere d'asporto accanto a lei. «E va bene, Hamilton» lo chiamò ancora una volta per cognome. «Cosa vuoi sapere? Vuoi una risposta alla domanda che tutti i giornali si stanno ponendo? Vuoi sapere se scopo con Max?» disse schietta, guardandolo con rabbia.

«Cosa? No!» rispose lui, corrugando la fronte. Anche se in realtà, quell'informazione avrebbe potuto dargli molte soluzioni alle sue domande. «Mi ha solo fatto strano che, la prima volta in cui ci siamo parlati, sia stata in quell'hotel. Completamente al di fuori dei luoghi nei quali eravamo soliti vederci» ed era la verità. O almeno, una parte di ciò che componeva la verità.

La ragazza arricciò le labbra, stendendo le gambe, coperte da un paio di semplici pantaloni della tuta, su quella sabbia. «Avresti voluto parlare prima con me?» gli chiese.

«Qualche volta ci ho provato, ma-» lo interruppe prima che potesse terminare.

«Ma ero sempre troppo ubriaca, fatta o impegnata a litigare con qualcuno» finì quella frase per lui, dicendo ciò che stava pensando per davvero.

Lewis le lanciò un'occhiata veloce, vedendola abbassare la testa e mettersi a giocherellare con alcuni granelli di sabbia. Disegnò con l'indice delle figure astratte e lasciò che un sospiro abbandonasse le sue labbra. Aveva letto di tutto sul suo conto, durante quegli anni, eppure, in pochi minuti in cui avevano parlato faccia a faccia, si era reso conto di quante falsità erano state scritte su di lei.

Non che fosse una santa. I guai che aveva fatto erano reali. Ciò che invece non lo era, era il modo in cui la descrivevano. Non la conosceva ancora, ma non gli sembrava cattiva, manipolatrice o approfittatrice. Gli sembrava solo una ragazza alla quale nessuno si era mai interessato abbastanza, se non per usare la sua bellezza. Era bravo a capire le persone, era una sua dote. E questo lo portava ad essere praticamente quasi sicuro della sua intuizione su di lei.

«Se dovessi essere presente ad altre gare, ci sarà occasione di poter parlare ancora» le disse, alzandosi poi in piedi e togliendosi della sabbia dai pantaloncini.

Jourdan portò lo sguardo verso di lui. Stava forse lasciando intendere che gli sarebbe piaciuto parlare ancora con lei? E se così era per davvero, perché allora si stava alzando, pronto ad andarsene, invece che restare lì?
Si morse l'interno guancia, scacciando via quei pensieri dalla sua testa. Non era il momento di farsi distrarre dal carisma e dalla bellezza di quell'uomo. Non aveva idea di quali fossero le sue intenzioni e troppe volte si era lasciata abbindolare dalle parole altrui. Dalle parole di uomini che si erano divertiti a giocare con lei come se fosse una bambola. Ed era stato proprio uno di quegli uomini ad esserle fatale alla fine.

Trattenne il respiro per qualche secondo, fermando la sua mente prima che fosse troppo tardi e i brutti ricordi, che fingeva di aver dimenticato per sempre, le tornassero alla memoria. Non voleva pensarci, si era giurata che non lo avrebbe mai più fatto, che non ne avrebbe mai più parlato, nemmeno con se stessa. E così doveva essere.

Ma una vocina nella sua testa le stava urlando che il momento in cui avrebbe dovuto ricordare, perché ogni cosa sarebbe tornata a galla, poteva essere più vicino di quello che credeva. E non era certa che avesse torto, perché aveva visto quei video, da molte prospettive diverse, del momento in cui Max spingeva il giornalista. E per quanto fingesse che non fosse così, non poteva ignorare la realtà dei fatti. Lei, quel giornalista lo conosceva. Era stato lui a diffondere per primo in tutto il mondo il suo più grande scandalo. E ora sembrava che avesse per le mani qualcos'altro, che avrebbe potuto affossarla ancora di più e magari anche definitivamente quella volta.

La sua attenzione tornò su Lewis, che, muovendosi per sgranchirsi la schiena, le fece ombra sul volto, posizionandosi davanti al sole che la stava riscaldando. E come spesso accadeva, la sua mente viaggiò veloce, cambiando il suo focus e scordando i pensieri precedenti, confondendola. Lo osservò dal basso e i suoi occhi caddero sulle braccia allenate, muscolose, lasciate scoperte da quella maglietta a maniche corte. Il braccio destro era completamente ricoperto di tatuaggi e avrebbe voluto prendersi più tempo per osservali uno ad uno. Ma evitò di lasciarsi trasportare dalla confusione che aveva in testa.

«Credo che qualcuno ti stia cercando» la voce di Lewis la riportò definitivamente alla realtà, distogliendola dalle grinfie della sua stessa mente, che troppo spesso remava contro di lei.

Jourdan si voltò, vedendo Max affacciato dal balcone del suo appartamento, che li guardava impassibile. Lui e l'inglese si scambiarono un veloce cenno del capo come saluto e poi Lewis si allontanò, senza più dire una parola, riprendendo a correre.

Lei e il fratello non avevano chiarito dopo la lite avvenuta in Australia. In realtà, non avevano nemmeno parlato, da quando lui era tornato a casa due giorni prima. Stavano vivendo assieme, facendo finta di essere da soli e non era decisamente la situazione migliore. Max avrebbe voluto chiederle scusa per le cose stupide che le aveva detto, dettate dalla rabbia. Ma non ne era capace, proprio come lei. Perché nessuno si era mai preoccupato di insegnarglielo. Perciò non sapevano come gestire tali emozioni.

Con un cenno della mano, il fratello le chiese di tornare su. Ma lei, in tutta risposta, si voltò dall'altra parte, riprendendo a guardare il mare. Max sospirò, scuotendo la testa e tornando poi dentro l'appartamento. Jourdan rimase ancora per qualche minuto lì fuori, riflettendo su quella breve conversazione avuta con il pilota inglese, poco prima. Provò a ricordare tutte le volte in cui lo aveva visto in passato, rendendosi conto di come fosse sempre apparsa in pubblico e ai suoi occhi.

Si ricordò di quando, ad un after party, aveva bevuto così tanto da non riuscire nemmeno a reggersi in piedi e avevano dovuto portarla fuori di peso per accompagnarla a casa. O di quando, dopo una sfilata, aveva litigato con una sua collega e aveva gettato a terra ogni cosa presente sulla sua postazione trucco, non preoccupandosi minimamente della gente attorno. Erano solo alcuni dei molteplici episodi che l'avevano vista protagonista, che i giornali avevano riportato, rendendoli di dominio pubblico e ai quali anche Lewis aveva assistito da semplice spettatore passivo.

Aveva commesso così tanti errori durante la sua vita e quando ci ripensava, si sentiva incredibilmente stupida. Eppure, non aveva potuto farne a meno, perché il suo passato le aveva impedito di comportarsi razionalmente, lasciando che fosse sempre e solo la rabbia a controllare ogni sua azione. Da quando era a Monaco, quegli episodi non si erano più verificati, perché era lontana da quell'ambiente nel quale era stata costretta a crescere e che tanto detestava. E anche perché, finalmente, sembrava aver trovato delle persone con un sincero interesse nei suoi confronti, non con un doppio fine per ottenere qualcosa da lei.

Il suo cellulare prese a squillare all'improvviso, costringendola a recuperarlo dalla tasca della giacca e rispondere. «Skye questa sera ha organizzato una cena in un locale in centro, mi ha detto di chiamarti per fartelo presente e per avvisarti del fatto che passerò a prenderti alle otto sotto casa» la voce di Pierre le arrivò chiara dall'altro capo del telefono.

«Come mai non sei a Milano tu?» gli chiese, sapendo che lui fosse uno dei pochi piloti di Formula 1 a non abitare lì a Monte-Carlo.

«La tua amica mi ha svegliato alle cinque con una telefonata, dicendomi che presto sarebbe arrivato qualcuno a prendermi per portarmi lì, perché a quanto pareva non potevo assolutamente rifiutare l'invito a cena di questa sera» spiegò, con tono divertito. «Quindi, ora sono in macchina, con il suo autista, a due ore di strada da Monaco» Jourdan capì subito come mai Skye ci tenesse tanto che ci fosse anche lui. Non l'aveva fatto perché quella cena fosse davvero importante per lei, l'aveva organizzata solo con il pretesto di invitare alcuni amici, tra cui anche Pierre, e lasciare che loro due passassero del tempo insieme.

La ragazza, da quando aveva scoperto che i due occasionalmente andavano a letto insieme, si era fatta decisamente prendere la mano. Non capiva perché, ma, Skye sembrava essersi autoproclamata il suo Cupido personale e sosteneva che lei e Pierre fossero davvero perfetti assieme. Forse non aveva nemmeno tutti i torti, erano alquanto compatibili loro due come carattere e ad entrambi piaceva passare il tempo in compagnia l'uno dell'altra. Ma non c'era nulla più di quello. Erano amici e ogni tanto finivano a letto perché faceva comodo ad entrambi. Tutto qui. Prima o poi anche la sua amica l'avrebbe capito.

«Ti ha detto chi altro ci sarà?» domandò curiosa.

«Charles, la ragazza che pare stia frequentando e Max» rispose.

Jourdan annuì, come se potesse vederla. Le sarebbe toccato ignorare suo fratello anche durante quella cena. «Ci vediamo alle otto allora» chiuse la telefonata, decidendo poi di tornare in casa.

Le ore passarono e lei le trascorse chiusa in camera sua, a guardare una serie tv e poi ad allenarsi nella palestra di quel complesso condominiale. Si preparò, indossando degli eleganti pantaloni larghi, dal colore nero, abbinandoli ad una canotta per metà in stoffa trasparente. Infilò un paio di tacchi a spillo, recuperò la borsetta e un blazer corto, nel momento in cui il suo telefono emise un trillo acuto.

"Sono sotto."

Le aveva scritto Pierre, facendola avviare verso la porta di casa. «Dove vai?» la voce di Max, che spuntò dal salotto, però la stoppò.

«A cena» rispose, come se fosse una domanda. Non capiva il senso di quel quesito, dato che anche lui era stato invitato.

«Intendevo, perché vai ora?» si spiegò meglio. Il ragazzo era già pronto e stava attendendo che anche lei lo fosse, per poi prendere la macchina e dirigersi assieme al ristorante.

«Mi è passato a prendere Pierre» gli rivelò, facendolo sospirare e scrollare le spalle,

«E non potevi dirmelo?»

«Pensavo che Skye ti avesse avvisato» si giustificò.

Max tentennò per qualche secondo, indeciso se porle la domanda che gli stava ronzando per la testa sin da quella mattina. Non si erano ancora chiariti dopo Melbourne e non aveva alcuna voglia di aprire un altro litigio. Ma, alla fine, non riuscì a trattenersi. «Cosa ci facevi questa mattina con Lewis?»

La sorella aggrottò le sopracciglia. «Perché ti interessa?»

«Non lo so, forse perché non ti ho mai vista parlare prima con lui. Perché ormai è chiaro che tu e Pierre andiate a letto assieme. E perché sui giornali ancora scrivono che tra noi due ci sarebbe una storia.»

Jourdan contrasse la mandibola, muovendo qualche passo verso la sua direzione. «E me lo stai chiedendo perché ti preoccupi per me? O semplicemente perché ti preoccupi per te?» domandò. «Hai paura che possano scrivere altro? Che papà Jos possa venire qui a sgridarti?» Max alzò gli occhi al cielo, lasciandosi ricadere le braccia lungo i fianchi.

«Ancora con questa storia» borbottò, ma la ragazza aveva ragione. Non si fidava di sua sorella, non dopo tutte le cose che aveva combinato negli anni. Ultimamente sembrava essersi messa la testa a posto, ma non poteva evitare di stare sempre sulle spine.

«E comunque, per smentire la voce sulla possibile storia su di noi, basterebbe che dicessi la verità» gli fece presente, per poi afferrare la maniglia di quella porta e uscire di casa, sbattendosela alle spalle, non dandogli più modo di risponderle. Fece lo stesso entrando nella macchina di Pierre, facendolo voltare di scatto.

«Ciao» le disse, fissando lo sportello di quell'auto a noleggio, che aveva appena chiuso con troppa forza.

«Scusa, è che mio fratello è proprio un coglione» ammise subito, mentre il ragazzo iniziava a guidare verso il ristorante.

Le lanciò una veloce occhiata. «Cosa è successo?» chiese.

Jourdan si passò una mano sul volto, prendendo un profondo respiro. «Lascia stare» tagliò corto, non avendo alcuna voglia di parlarne.

Pierre annuì. «Come vuoi» si fermò per far attraversare dei pedoni. «Comunque, sei molto bella questa sera» confessò, sporgendosi un po' verso di lei.

La ragazza sorrise divertita. «Non iniziare a fare il simpatico» l'ammonì, spettinandogli i capelli.

Arrivarono al ristorante qualche minuto dopo e quando fecero il loro ingresso, trovarono già Skye, Charles e quella nuova ragazza seduti al tavolo che era stato prenotato. Nel momento in cui Jourdan prese posto, l'amica si avvicinò subito a lei. «Allora? Piaciuta la sorpresa?» le chiese, con un'espressione entusiasta.

«Devi smetterla di provare ad accasarmi. Soprattutto con Pierre, lui non cerca una relazione seria e nemmeno io» provò a spiegarle, ma sapeva che tanto, nemmeno quella volta l'avrebbe ascoltata.

La bionda fece aleggiare una mano, zittendola. «Dov'è tuo fratello?» domandò poi, guardandosi attorno.

«Non lo so e non mi interessa» si versò un bicchiere d'acqua.

«Perché non la smettete di comportarvi come due bambini?» era da un po' che li conosceva ormai e poteva dire che ogni tanto sembrava davvero come se avessero dieci anni, per il modo in cui litigavano e poi non si parlavano per giorni.

Jourdan non rispose più, intromettendosi nel discorso che Charles stava avendo con Pierre.
Alla fine, suo fratello li raggiunse con un po' di ritardo. Ordinarono da mangiare e cenarono, intrattenendosi con diverse chiacchiere.

«E questa è la storia del mio avvincente viaggio fino a qui da Milano» concluse Pierre, dopo aver raccontato come fossero andate le cose per lui quella mattina, facendo ridere tutti.

I telefoni dei tre i piloti suonarono all'unisono, segno che fosse arrivato un messaggio sul gruppo che avevano in comune con gli altri colleghi che correvano con loro. «Avete letto?» domandò Charles, alzando lo sguardo.

«Ci toccherà prendere parte all'ennesimo noioso evento organizzato per gli sponsor» si lamentò Max.

«Dai, sarà divertente. Lewis scrive che sarà in un famoso hotel sulla spiaggia di Miami» gli fece notare Pierre, che a differenza sua amava partecipare a quel tipo di iniziative.

«È esclusivo per voi?» chiese la ragazza del monegasco.

E fu in quel momento che Max non resistette a lanciare quella piccola frecciatina. «Oh, magari mia sorella lo sa» parlò, attirando gli sguardi confusi di tutti. «Questa mattina ha passato parecchio tempo a parlare con Lewis» aggiunse, facendo subito voltare Skye verso di lei, che la guardò con gli occhi spalancati.

«Mi stavi spiando?!» si rivolse a Max, stoppando l'amica ancora prima che potesse parlarle.

«No, ero affacciato dal balcone di casa mia e voi eravate lì sotto» puntualizzò, sorridendole infastidito. La ragazza proprio non riusciva a capire quale fosse il suo problema. Aveva paura che potesse diventare amica del suo rivale in pista? Che i giornali potessero cucire un'altra bella storiella inventata? O semplicemente aveva voglia di fare lo stronzo?

«Beh, ti ha detto qualcosa?» saltò su Pierre, beccandosi una leggera sberla sul braccio da parte di Charles. «Che c'è? Ci ha parlato, magari lo sa per davvero» si giustificò, facendo spallucce. L'altro scosse la testa, alzando gli occhi al cielo.

Nel frattempo, Max e Jourdan continuarono a scambiarsi occhiate silenziose, che però lasciavano intendere tutta la rabbia che stavano covando. «Non è un evento esclusivo, si possono portare degli accompagnatori, basta comunicare i nomi entro giovedì mattina» si intromise Skye, leggendo dal suo cellulare, dopo aver chiesto al padre qualche informazione in più.

Proseguirono con quella conversazione, spostandosi poi su un altro argomento, ma per tutto il resto del tempo, i due fratelli rimasero in silenzio. Quando si alzarono da quel tavolo, Skye si scambiò un'occhiata con la sua amica, per poi andare da Max, fermandolo prima che potesse salutare tutti e tornare a casa. Si misero in disparte a parlare, sotto lo sguardo curioso della sorella.

Uno sguardo che venne distolto dall'arrivo di Charles, che aveva chiesto alla sua ragazza di aspettarlo per qualche minuto, lasciandola con Pierre. «Allora?» si rivolse a Jourdan.

«Allora cosa?» lo guardò confusa.

«Domani sera partiamo per Miami e so che verrà anche Skye, tu cosa pensi di fare?» le chiese, alzando un sopracciglio.

La ragazza sospirò, piegando leggermente la testa all'indietro. «In più, il francese laggiù saprebbe anche chi portare a quell'evento» aggiunse, indicando il suo amico con la testa.

«Charles» lo fissò seria, già pronta a declinare quell'offerta che pure Skye aveva provveduto a farle il giorno prima.

«Non dire subito di no. Sarebbe anche un'occasione per tornare a casa» le fece notare.

«È proprio questo il punto» ammise lei. «Tu non hai idea di come sono lì e io non sono pronta ad affrontare i paparazzi, le eventuali persone del mio passato e tutte le discussioni che nasceranno con mio fratello» spiegò, passandosi una mano sul volto.

«Non sarai mai pronta finché continui a scappare» puntualizzò. «Hai fatto delle cazzate, ma ne hai già pagato il prezzo. Non puoi continuare a punirti e tenere in pausa la tua vita» sapeva di aver ragione e lo sapeva anche lei. Per quanto tempo avrebbe continuato a nascondersi? Forse era arrivato il momento di prendere coraggio e affrontare per davvero la realtà.

Charles recuperò il cellulare. «Ti ho inviato il biglietto. Il volo parte domani sera alle sette. Se vorrai venire, sai cosa fare» le disse, poggiandole una mano sulla spalla e poi avvicinandosi. Le lasciò un bacio sulla guancia, salutandola, prima di raggiungere nuovamente la sua ragazza e uscire dal locale.

Jourdan fissò il messaggio che le aveva mandato, guardando quel biglietto elettronico con mille dubbi nella testa. Alzando poi gli occhi dallo schermo, incontrò quelli di suo fratello. Iridi azzurre, come le sue, enigmatiche, che la fissavano in cerca di risposte e soluzioni a tutti i loro problemi.
Non rendendosi conto che, esattamente come lui, anche lei faticava a lasciarsi alle spalle i suoi traumi infantili.

La loro infanzia non vissuta avrebbe continuato a perseguitarli.
Ed era solo l'inizio.

🌟🌟🌟

Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻

Lewis e Jourdan, dopo la conversazione che hanno avuto, potrebbero avere più dubbi che risposte l'uno sull'altra. Ma potrebbe essere proprio questa curiosità reciproca a spingerli a cercarsi ancora. Non credete?😚

Intanto, tra lei e Max le cose non sembrano essersi aggiustate affatto. Però vi ho lasciato dei piccoli indizi su quello che potrebbe essere successo nel passato di Jourdan e quello che potrebbe essere stato il suo grande scandalo👀

Pensate che Jourdan accetterà l'invito di Charles e Skye di andare a Miami con loro per il Gran Premio, dopo come sono andate le cose in Australia?

Per scoprirlo non dovrete fare altro che continuare a leggere😈

Commentate facendomi sapere cosa ne pensate e per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi.

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XOXO, Allison💕

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