Capitolo 23 - Passato, presente e futuro


Austria, Spielberg.
Red Bull Ring.

Jourdan assottigliò lo sguardo, fissando da lontano quell'uomo. Se ne stava fermo davanti al motorhome della McLaren, aspettando che qualcuno di interessante, per lui, uscisse. Pronto per scagliarsi e iniziare con foto e domande a raffica.

Più lo guardava e più si rendeva conto di odiarlo.
Con quella sua espressione e quei suoi modi di fare finti gentili, intortava chiunque, solo per poi colpirlo alle spalle. Esattamente come aveva fatto con lei, la prima volta in cui si erano conosciuti. Un'avvenimento che mai avrebbe potuto dimenticare, perché aveva contributo a cambiarle la vita, in peggio. Per quello lo odiava e per il modo in cui aveva continuato, facendo qualsiasi cosa pur di intromettersi nelle sue questioni private, fino ad arrivare a ricattarla.

Lanciò un'occhiata verso l'alto, notando Ricciardo, dalle vetrate, attraversare il piano superiore. Probabilmente si stava dirigendo verso l'uscita e per lei era quindi arrivato il momento di agire. Camminò velocemente in avanti, schivando le persone che aveva attorno, non prestando alcuna attenzione a nessuno. Raggiunse il giornalista, poco prima che il pilota uscisse da quelle porte scorrevoli.

Con un dito gli mimò di seguirlo, fissandolo in modo serio. Rob non ci pensò su, prima di andarle dietro, convinto che avesse qualche altra interessante notizia da dargli. In tal caso, quindi, tutte le domande provocatorie che si era preparato per Ricciardo, potevano aspettare fin anche dopo la gara. La seguì, tra le costruzioni di quel paddock, fino a che raggiunsero un posto decisamente più appartato, lontano da persone e occhi indiscreti.

«Che cazzo era quell'articolo che hai fatto uscire?!» domandò lei di botto, fermando i suoi passi e voltandosi verso di lui con un'espressione arrabbiata.

Rob sorrise, capendo che non ci sarebbe stata alcuna notizia per lui, solo l'ennesimo confronto con quella ragazza. Un qualcosa che comunque lo divertiva tanto. «Non capisco a cosa ti riferisci» si strinse nelle spalle. «Io ho semplicemente scritto ciò che tu mi hai detto, aggiungendo il mio parere personale» Jourdan lo fulminò con lo sguardo.

«Peccato che il tuo parere personale sia una stronzata» rimbeccò. «Non sai nulla di questo mondo, tutto quello che hai scritto su Daniel non è vero» aggiunse, cercando quanto più possibile di tenere a bada la sua rabbia, per un comportamento che già aveva iniziato a sospettare sin dall'inizio di quel ricatto.

Il giornalista scosse la testa, divertito. «Perché, tu pensi di saperne più di me su questo mondo?» la punzecchiò, mettendole davanti la realtà dei fatti. «No, cara Jourdan. Non fai parte di tutto ciò» le indicò quello che li circondava. «Sei semplicemente una ragazza ribelle, insoddisfatta. Che per colpa dei suoi errori si è ritrovata qui, chiedendo asilo al fratello perduto. Che si sta approfittando della sua vita per cercare di scappare dalla propria» avrebbe voluto rispondergli, contraddirlo, ma non aveva detto altro, se non la verità.

Le aveva ricordato che non faceva parte di quel mondo, nonostante iniziasse a sentirsi sempre più a suo agio in esso. Non importava quanto fingesse, quanto tempo passasse lì, in che modo si legasse a quelle persone. La realtà restava sempre la medesima: lei non apparteneva a tutto ciò e mai lo avrebbe fatto.

Il suo passato non si poteva cambiare, lo stesso valeva anche per la persone che era. Sarebbe sempre rimasta una modella, con tutti gli scandali a pesarle sulle spalle. «Non farò parte di questo mondo, sarò anche un po' ignorante riguardo i suoi meccanismi e la sua storia, ma, almeno, io queste persone le conosco» decise di ribattere. «Io conosco Daniel» insistette. «E tutto quello che hai insinuato su di lui, sono cazzate!» esclamò decisa. «La colpa di quello che potrà succedere è della McLaren, non sua» rivelò infine il suo intento nascosto sul perché avesse deciso di rivelargli quella notizia.

Rob sbuffò leggermente, quasi annoiato da tutto quel discorso. «Sei venuta qui da me per fare i capricci?» la prese in giro. «Oh, guarda quel giornalista cattivo» scimmiottò la sua voce, esagerandola e fingendo di piangere. Tutto quello che Jourdan avrebbe voluto fare in quel momento, sarebbe stato tirargli un pugno dritto sul naso. Ma si trattenne. «Io faccio solo il mio lavoro. Il gossip non si basa sulla verità, alla gente questo non interessa» le ricordò, puntandole un dito contro.

La ragazza prese un profondo respiro, rendendosi conto che, non importava quale notizia avrebbe mai potuto rivelargli, lui comunque l'avrebbe sempre rigirata come preferiva. Non c'era quindi modo di sfruttare quel ricatto per cercare di fare qualcosa di buono, per quanto possibile. Ciò significava che il tempo era agli sgoccioli e, per liberarsi da quella situazione, non avrebbe più potuto rimandare, prima di attuare quello che aveva in mente ormai da settimane.

«Sai cosa, hai ragione» gli disse allora, lasciandolo perplesso. «Bisogna stare sempre attenti a quello che si rivela e a chi» continuò, incrociando le braccia al petto. «Mai dare troppe informazioni» concluse, lanciandogli un'occhiata furba, prima di voltarsi e andarsene, non aspettando una sua risposta.

Il giornalista la fissò allontanarsi, domandandosi nella testa che cosa intendesse con quell'ultimo discorso. Aveva forse in mente qualcosa? O erano solo frasi dette per portarlo a farsi qualche paranoia basata sul nulla?

Si convinse della seconda opzione, sapendo di avere le redini di quel gioco ben strette tra le mani. Eppure, avrebbe scoperto presto di aver peccato di presunzione, di essere stato fin troppo sicuro.

Erano passate alcune ore da quella conversazione, durante le quali, chiunque aveva avuto il tempo di prepararsi al meglio in vista della gara. Rob aveva scattato foto e intervistato chi di dovere, Jourdan aveva trascorso il suo tempo con Skye, fino a chiudersi, assieme a lei, dentro quella stanza sopra i box. E i piloti avevano mantenuto fede ognuno a propri rituali pre gara.

Lewis e Daniel, come sempre, si estraniavano dal mondo esterno, infilandosi delle cuffie e ascoltando della musica. Pierre allenava i riflessi, Esteban ripassava nella sua mente il circuito a memoria, Max si limitava a sorseggiare la sua bevanda dalla borraccia, mordicchiando spasmodicamente quella lunga cannuccia. Altri, invece, come Charles e Lando, guardavano la loro auto, parlavano con i meccanici e studiavano con attenzione la situazione che li circondava.

Chi si era reso conto di non avere più un rituale pre gara, era Sebastian.
Il tedesco, su quella griglia di partenza, davanti al team, che metteva mano per l'ultima volta alla vettura, prima che la corsa iniziasse, si era ritrovato ad osservare quello che aveva attorno. Aveva guardato gli altri piloti, si era concentrato su ognuno di loro, fissandoli mentre si preparavano, in modi diversi, a salire in macchina.

E fu in quel momento in cui prese per davvero coscienza del fatto che, forse, tutto il suo entusiasmo era svanito. Un tempo, prima di salire sulla monoposto, valutava ogni minimo dettaglio di ciò che aveva intorno, si concentrava e ricordava ogni curva e ogni rettilineo del circuito che avrebbe dovuto affrontare, dicendosi come avrebbe potuto farle al meglio. Adesso però, si limitava ad osservare gli altri, comparandosi con loro e rendendosi conto di essere diverso.

Guidava provando emozioni, ma non più trasporto.
Dov'era finita quell'ardente passione che lo spingeva a non perdere nemmeno un secondo di tempo su una pista?

Posò il suo sguardo su Lewis, che si trovava non molto lontano da lui, dovendo partire tredicesimo. Voleva parlargli, aveva bisogno di farlo, ma non poteva, non in quel momento. Come avvertito da un sesto senso, l'inglese si voltò, incontrando gli occhi azzurri del suo amico. Gli sorrise caloroso, augurandogli buona fortuna con lo sguardo, per poi infilarsi la balaclava. Non c'era più tempo per i pensieri, la gara stava per iniziare.

Seb ricambiò quell'augurio, o almeno ci provò, evitando che dalla sua espressione potesse trasparire il turbamento che lo aveva attanagliato. Poi eliminò tutto dalla sua mente, svuotandola, salendo in macchina.

In sequenza, dopo il giro di formazione, quei semafori si accesero, divennero verdi e poi si spensero. La gara iniziò e Lewis fu protagonista di un'ottima partenza, ritrovandosi, alla prima curva, quella che portava il nome di Niki, già decimo. Quel giorno, dopo essere stato costretto, la notte prima, a cambiare alcune componenti nella vettura, aveva ricevuto delle posizioni di penalità in griglia. Ritrovandosi tredicesimo, sapeva che avrebbe dovuto recuperare quanto più possibile per massimizzare i punti e decise di non perdere tempo.

Aveva degli ottimi riflessi, migliori anche di piloti molto più giovani di lui, e la sua tecnica di partenza, si rivelava sempre, impeccabile. Era l'unico in griglia ad adottare quel particolare posizionamento delle mani sul volante, non le teneva entrambe ai suoi lati, la sinistra la poneva al di sopra di esso, mantenendola in quella posizione dall'accensione dei semafori fino a quando la monoposto prendeva velocità. In tale modo, evitava di schiacciare per sbaglio la paletta del cambio sequenziale, che lo avrebbe portato a scalare le marce e perdere così velocità, oltre che preziose posizioni.

Affrontò il primo giro mantenendosi decimo in classifica, cercando di far scaldare le gomme, così da avere quanto più grip possibile sull'asfalto. Fece lo stesso ancora per altri due, prendendosi il suo tempo, per poi avvicinarsi quanto più possibile alla macchina che aveva davanti, superando con facilità la McLaren di Lando Norris.

La strategia gomme prevedeva di effettuare due soste per i settantuno giri che si sarebbero dovuti compiere su quella pista. Viste le condizioni di quest'ultima, gli pneumatici più adatti sarebbero stati un alternarsi tra medium e hard. Era partito con le prime, volendo sfruttarle al massimo per recuperare posizioni, per poi montare quelle più dure, mantenendo ciò che avrebbe conquistato e, infine, rimettendo le medie, così da giocarsi ancora una rimonta, nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno.

Una strategia concordata con il team, che si sarebbe dovuta poi adattare al modo in cui le condizioni della pista sarebbero potute cambiare e agli imprevisti che sarebbero potuti capitare. Perché in quello sport, niente era scontato, nulla era certo. Ogni cosa poteva mutare da un momento all'altro.

«Il minimo rischio pioggia che prevedevano, sembra essere svanito del tutto. Rimaniamo perciò sulla nostra linea strategica» Bono si aprì via radio con lui, comunicandogli quel messaggio.

Lewis ne prese atto, ma si preoccupò più per altro, ignorando quella frase. «Come stanno reagendo le gomme sull'auto di George?» domandò, volendo essere certo che i cambi fatti nella sua monoposto, non avessero influito sull'assetto gara testato e deciso durante le prove libere dei giorni precedenti.

L'ingegnere osservò i dati sul monitor. «State girando più o meno sugli stessi tempi» lo rassicurò, consentendogli poi di tornare a correre senza ulteriori distrazioni.

Il pilota iniziò quel quindicesimo giro da settimo, avendo recuperato altre due posizioni. Non stava spingendo troppo, era più in gestione della gomma, volendo allungare il più possibile prima di fare la sosta del pit-stop. Nello specchietto dietro di lui vedeva l'auto di Esteban, davanti quella di Leclerc. Si trovava in mezzo a due piloti con cui andava parecchio d'accordo, che considerava amici. Due con i quali aveva sempre piacere a lottare per una posizione.

Prima di superare del tutto Ocon, si erano ritrovati ad affrontare qualche curva e un rettilineo assieme, duellando in modo pulito ma entusiasmante. E ora sarebbe toccato a Charles, nel momento in cui gli fosse stato possibile provare a superarlo.

Il monegasco era andato lungo ad una curva, girandosi di poco e perdendo così alcune posizioni. Si era però subito rimesso in lotta, non lasciandosi scoraggiare, volendo, come lui, recuperare quanto più possibile. Percorsero il rettilineo del terzo settore quasi attaccati, prima che Lewis tentasse un sorpasso sull'ultima curva che precedeva il traguardo. Charles protesse bene la sua posizione, mantenendolo dietro e costringendolo a ritentare.

L'inglese attivò il DRS, appena entrato nella zona del secondo settore, recuperando quanto più terreno possibile in quel tratto di massima velocità del circuito. Concluse il sorpasso in curva quattro, per poi venire nuovamente attaccato dal monegasco in quella successiva. Leclerc passò davanti per qualche secondo, prima che Hamilton riprendesse la posizione. I due, in quella gara non da molto iniziata, avevano già regalato parecchio spettacolo. Quel sano intrattenimento che i fan amavano sempre vedere.

«Allunga quanto più possibile la distanza, così da assicurarci di mantenere la posizione durante il pit-stop» lo avvisò Bono, sotto lo sguardo serio di Toto.

Da quella sala sopra i box, Jourdan e Skye stavano osservando con attenzione lo schermo del televisore, scostando di tanto in tanto lo sguardo, puntandolo sulla pista che si estendeva oltre le vetrate. La modella seguiva con gli occhi le macchine che sfrecciavano sull'asfalto, concentrandosi sulla battaglia che Lewis e Charles avevano messo in atto.

Di solito non si sentiva inquieta guardando una gara, ma in quei momenti, in cui vedeva persone per lei, in qualche modo, importanti, giocarsela in modo più pericoloso, una strana sensazione le attanagliava il petto. Aveva quindi portato lo sguardo sull'auto di Max, che, in prima posizione, stava conducendo una gara tranquilla. Tirò un sospiro di sollievo, capendo di non doversi preoccupare anche per lui.

Quella battaglia tra il pilota Ferrari e il pilota Mercedes si concluse, con quest'ultimo che allungò di poco la distanza che si frapponeva fra le due auto.
«Quindi, che hai combinato ieri sera? Dopo avermi lasciata da sola al tavolo, con ancora il dolce davanti» le chiese Skye, approfittando di quel momento di calma nella gara.

Jourdan la osservò velocemente, per poi riportare gli occhi sullo schermo. «Perché mi fai queste domande, se già sai la risposta. Sei stata tu a leggere il messaggio che Lewis mi aveva inviato» le ricordò il modo in cui aveva afferrato il suo telefono, nel momento in cui lo schermo si era illuminato, dando libero spazio a tutta la sua curiosità.

La bionda sogghignò. «Lo avete fatto nel suo motorhome o siete andati nella sua stanza d'hotel?» domandò con tono scherzoso.

«Un giorno capirò perché la mia vita amorosa e sessuale ti interessa tanto» rimbeccò, mordendosi l'interno guancia, quando vide alcuni piloti iniziare ad essere chiamati in pit-lane per il cambio gomme.

«Perché la mia è piatta e vuota. Invece quella della mia amica è sempre incasinata e piena di novità. E io amo spettegolare di queste cose» rispose, spingendosi con i talloni e facendo sì che le rotelle sotto la sua sedia la conducessero più vicina a lei.

Jourdan alzò gli occhi al cielo, trattenendo un sorriso. «Potrebbe non essere più così vuota» le suggerì.

«Ah sì? Mi hai trovato un ragazzo e ti sei dimenticata di avvisarmi?»

«No, ma se solo tu e mio fratello vi decideste a parlare, invece che limitarvi ad osservarvi di nascosto, fingendo che non ci sia nulla tra voi, di certo le cose cambierebbero» si spiegò meglio, vedendola arricciare le labbra.

«Da che pulpito. Jourdan Reed che consiglia di parlare chiaramente e definire le relazioni» la prese in giro.

La modella le tirò una piccola spinta, facendola allontanare. «Il fatto che io non segua i miei stessi consigli, non significa che non siano buoni» puntualizzò. «E comunque, io e Lewis abbiamo parlato spesso, più o meno. Da qualche parte ci siamo arrivati almeno, tu e Max zero invece» le fece presente, lanciandole uno sguardo serio.

«Ma cosa dovrei dirgli, scusa?» si passò una mano nei lunghi capelli biondo naturale. «Ciao Max, sai che forse ho una cotta per te? Cosa ne dici di uscire insieme e vedere come va? Tanto al massimo che può succedere? Potremmo solo rovinare anni e anni di amicizia che è sempre andata più che bene» si fece il verso da sola, scuotendo successivamente la testa.

Pensando ad entrambe le loro situazioni, non era facile prendere una decisione su come comportarsi, perché, qualsiasi cosa avessero scelto, ci sarebbero stati dei possibili rischi. Rischi, che nessuna delle due sapeva come avrebbe potuto gestire o affrontare. L'opzione migliore sembrava restare lì dov'erano. Skye, in quel limbo amichevole con Max. E Jourdan, in quella specie di flirt senza definizione, in equilibrio tra il segreto e il pubblico, con Lewis.

«Allora potrete continuare ad osservarvi da lontano, con quella voglia repressa di saltarvi addosso. E magari potrei farvi ubriacare più spesso alle feste, così qualche bacio rubato potrete darvelo» concluse, ridendo divertita, facendo fare lo stesso anche a lei.

I giri di quella gara, nel frattempo, continuavano a calare.
Dopo un primo pit-stop azzeccato da parte di Mercedes, il secondo andò leggermente più lungo con i tempi, per Lewis, facendogli perdere preziosi secondi. Un qualcosa che però, sia lui che il team avevano messo in conto, sapendo di poter contare su quelle gomme medie per provare ancora a recuperare posizoni.

La gara era andata liscia, senza troppi imprevisti o impedimenti. Aveva recuperato parecchie posizioni, tenendo fede alla sua volontà di lottare per il primo posto e null'altro. E riuscendo anche a trionfare quella piccola scommessa fatta con Jourdan, la sera prima. Lei lo aveva sfidato, dubitando che potesse arrivare in qualche gradino del podio, dal punto in cui era stato costretto a partire. E lui, ora, dalla sua provvisoria terza posizione, aveva appena provato che avesse torto.

Comunque, non si sarebbe accontentato. Avrebbe continuato a lottare, fino a quando avrebbe raggiunto il gradino più alto del podio. Perché era lì per quello. E quando avrebbe smesso di pensarla in quel modo, allora sarebbe arrivato il momento di dire addio alla Formula 1. Ancora però, quel momento sembrava decisamente lontano.

Davanti a sé vedeva il suo compagno di squadra, dietro, nuovamente Charles, che dopo aver superato Perez si era appropriato del quarto posto. Russell quindi doveva proteggere la sua posizione da Lewis, che a sua volta doveva proteggerla da Leclerc. Sarebbe stata un'altra bella battaglia, che avrebbe tenuto gli spettatori con il fiato sospeso.

Le macchine dei tre piloti si trovavano molto vicine tra loro, tutte in zona DRS l'una con l'altra. «Daremo ordine a George di lasciarti passare, nel caso in cui Leclerc potesse essere una reale minaccia per la tua posizione» gli comunicò direttamente Toto. Tra i due, Mercedes si stava giocando il campionato piloti con Lewis, che attualmente si trovava primo in quella classifica, con Max e Charles a pochi punti di distanza da lui. Nello stesso momento però, George occupava la quarta posizione e massimizzare i punti era necessario per poter vincere anche il campionato costruttori. Ecco perché il team avrebbe richiesto ordini di scuderia solo nel caso in cui ci fosse stata una reale minaccia alla preziosa posizione di Lewis e ai punti per il campionato, evitando così di penalizzare a priori l'altro loro pilota.

In ogni caso, Lewis non rispose, pensando a restare del tutto concentrato su quella gara. Attivò il DRS, nell'esatto momento in cui anche Charles, dietro di lui, fece lo stesso. Mantenne il totale controllo dell'auto, tentando subito un sorpasso sul suo teammate, venendo attaccato in contemporanea da Charles. Affrontarono la curva uno quasi assieme, con George che mantenne la sua posizione davanti agli altri due, per poi perderla quando il monegasco, sul rettilineo veloce del secondo settore, approfittò della battaglia tra Lewis e il suo compagno di squadra, che stava facendo sprecare tempo ad entrambi, per sorpassare Hamilton e puntare su Russell.

«Cazzo» imprecò Lewis tra sé, non richiedendo però l'ordine di scuderia. Restando sempre attaccato alla monoposto di Charles e di conseguenza anche a quella di George, tentò una manovra più azzardata in curva sei. Fu lui quella volta ad approfittare delle distrazioni degli altri due, infilandosi all'interno, mentre il suo teammate proteggeva l'esterno e il monegasco lo attaccava da quel lato. Replicò quasi il sorpasso che due anni prima aveva attuato in Inghilterra, recuperando due posizioni di fila, superando, in quel caso, Perez e Charles nello stesso momento.

Sul primo rettilineo del terzo settore, concluse quel sorpasso, tra una folla decisamente poco esaltata per lui. Cosa che comunque non lo stupiva e a cui non faceva alcun caso, essendo completamente concentrato sulla gara. «Okay, Lewis, è il momento dell'hammertime» udì la voce di Bono tramite le cuffie, non aspettando un secondo di più per premere il piede sull'acceleratore.

Vedeva Max, in lontananza. L'olandese aveva creato un buon gap tra lui e le altre auto, avendo avuto tutto il tempo per farlo, guidando una gara quasi in solitario, senza essere disturbato da altri piloti, che invece erano impegnati in altre lotte. Spinse la macchina al limite, come ogni volta in cui gli veniva detta quella frase. Completò tre giri senza il minimo errore, migliorandosi sempre. Si impossessò del giro veloce e si avvicinò sempre di più alla macchina del suo avversario.

Gli spettatori sugli spalti iniziarono a fare il tifo per Max, in modo quasi totalmente unanime. Mentre, nei box, i vari membri dei due team osservavano con smaniosa attenzione ogni minimo movimento dei due. Anche Jourdan e Skye si erano del tutto zittite, concentrandosi solamente su quello schermo, tenendo il fiato sospeso, in attesa di ciò che sarebbe o non sarebbe potuto succedere.

Nella seconda zona DRS, Lewis si trovò nella posizione di attivarlo, ma i giri scarseggiavano e sapeva che non avrebbe avuto molte possibilità di sorpassarlo, se le cose non fossero andate bene subito. Max protesse l'interno, spingendolo quasi del tutto fuori dalla pista. «Stai attento ai track limits» gli ricordò Bono, sapendo che in quel circuito fossero presenti dei sensori che avvisavano chi aveva il compito di controllare che tutti i piloti rispettassero i limiti del tracciato.

Mancavano due soli giri alla fine di quella gara e Lewis tentò nuovamente di sorpassare Max. Ancora una volta, l'olandese utilizzò quella particolare aggressività, che solo nei confronti dell'inglese sembrava tirare sempre fuori. Lo spinse verso il limite del tracciato, internamente. Hamilton strinse con più forza il volante, un ultimo giro alla fine e poteva decidere se rischiare o accontentarsi di quel secondo posto.

Non voleva di certo compromettere la sua intera gara, non dopo che aveva faticato per recuperare tutte quelle posizioni. Ma non voleva nemmeno accontentarsi, arrendersi, davanti alla durezza di quello sport e all'arroganza del suo rivale. Provò un terzo sorpasso, quella volta evitando di alzare il piede, mostrandogli che non avrebbe avuto alcun timore a tener testa al suo modo di guidare, quel modo che solo a lui sembrava sempre riservare.

Le due auto si toccarono, portando l'ala anteriore destra della Mercedes a danneggiarsi. «Lewis!» lo richiamò Toto, tramite le cuffie.
Il pilota venne colpito da un improvviso flashback, come se quel ricordo del passato lo avesse investito, tirandogli un forte pugno nello stomaco. La voce del suo team principal e il modo in cui lo aveva richiamato, gli aveva ricordato il modo che aveva Niki di riprenderlo quando si arrbbiava.

«Lewis! Quante volte te l'ho detto, sono i punti che fanno vincere i campionati. Non serve mirare alla vittoria, se poi significa sacrificare un'intera gara, sacrificare preziosi punti nella classifica. Solo gli stupidi pensano che la vittoria sia sempre e solo l'unica cosa che conta. Fai parte di quegli stupidi?!»

Risentì perfettamente nella sua testa quelle parole, come se fosse Niki stesso, davanti a lui, a pronunciarle in quel momento. Lo rivide nei suoi ricordi, lo rivide la prima volta che si era davvero arrabbiato con lui, quando aveva buttato via un'intera gara per dare ascolto solo al suo orgoglio.

Scosse la testa, prendendo un profondo respiro, che però fu più tremolante del previsto. Quel ricordo, così vivido, così reale, lo aveva scosso. Aveva fatto una bella gara, aveva rimontato, passando dalla tredicesima posizione alla seconda. Non c'era il tempo per concludere un sorpasso in sicurezza, non c'erano le condizioni e non avrebbe avuto senso rischiare in quell'ultimo giro, mandando tutto a puttane.

Alzò il piede dall'acceleratore, continuando però a stare attaccato dietro la macchina di Max. Tagliò il traguardo subito dopo di lui, terminando quella corsa, portando a casa i punti che gli spettavano per la seconda posizione e quello addizionale del giro veloce. La classifica del mondiale, dopo tale gara, si aggiornò come di consuetudine e, nonostante ora solo un punto dividesse lui e Max, restava comunque primo. Almeno per il momento.

Parcheggiò l'auto nell'apposito spazio indicato, per poi scendere e andare a festeggiare brevemente con alcuni membri del suo team. Lo stesso fecero Verstappen e Leclerc. Nel frattempo che prendevano parte alle procedure post-gara, in attesa di poter entrare nella cool down room e salire sul podio, interagivano tra loro e con altri piloti che mano a mano passavano di lì, per raggiungere i propri box.

Tra questi, Sebastian si fermò da loro. Si congratulò prima con Charles e poi con Max. Infine, attirò Lewis in un abbraccio, facendogli i complimenti per la gara. Nessuno dei tre lo vide in faccia, perché il tedesco non si era tolto il casco, aveva solo alzato, appena appena, la visiera. Nessuno, quindi, scorse quel suo sguardo malinconico, quella tristezza che velava le sue iridi azzurre, difronte alla consapevolezza che, ormai, lui e la Formula 1 stavano viaggiando su due strade diverse.

Guardando quella scena dall'esterno, fu come osservare il passato e il futuro di quello sport, che interagivano. La vecchia generazione di piloti, rappresentata da Sebastian e Lewis, che si interscambiava con la nuova di Charles e Max. E, prima o poi, quello scambio sarebbe cessato, dando il via ad una completa nuova era. Così come in passato loro stessi avevano fatto. Perché lo sport era in continuo movimento, era emozione, amore, passione ed eterno cambiamento. Passato, presente e futuro, destinati a ripetersi in un loop infinito.

Terminata la premiazione e le varie interviste post-gara, Lewis era pronto per fare ritorno al suo motorhome, così da farsi una doccia e rilassarsi un po', prima di provare a chiamare Jourdan, che ancora non era riuscito a vedere durante quella giornata. Qualcosa però gli fece capire che ogni piano che si era prefissato, avrebbe dovuto aspettare.

Arrivato davanti all'hospitality del suo team, notò Sebastian, proprio lì fuori, già completamente vestito, privato di ogni indumento che rappresentasse il suo essere pilota. Sembrava intento ad aspettare qualcuno e solo dopo che i loro sguardi si incrociarono, capì che stava aspettando proprio lui. «Ehi» lo salutò, cercando già di indagare sul perché della sua presenza lì.

«Hai tempo per parlare un po'?» gli chiese, stringendosi nelle spalle.

«Certo» non esitò nemmeno per un secondo, prima di invitarlo ad entrare dentro quel motorhome. Si chiusero nella sua stanza, lontano da ogni altra persona, lontani da qualsiasi tipo di disturbo.

Sebastian si accomodò su uno di quei divanetti in pelle nera, lisciandosi delle pieghe immaginarie su quei comodi pantaloni verde scuro. «Vuoi qualcosa da bere o-» la domanda di Lewis venne interrotta dall'amico, che non gli permise di proseguire oltre.

«Hai mai pensato a quanto la tua vita potrebbe essere diversa se quella singola cosa non fosse mai accaduta?» era una domanda inaspettata, che lo lasciò perplesso. Rimase a fissarlo per qualche secondo, osservandolo mentre sistemava la sottile fascetta che teneva indietro parte dei suoi capelli chiari, ormai troppo lunghi.

Quanto sarebbe stata diversa la sua vita, se suo padre non gli avesse mai comprato quella macchinina telecomandata? Se non avesse mai provato a correre su un kart? Se avesse dato retta a chi diceva che non avrebbe mai combinato niente nella vita? Se non avesse vinto quelle gare, venendo notato dal programma della McLaren?

Dove sarebbe ora se invece avesse vinto quel mondiale nel suo primo anno di carriera in Formula 1, evitando quell'errore di rientro nella pit-lane in Cina? Se non avesse dato fiducia all'offerta che Niki Lauda gli stava proponendo, scegliendo di seguire la Mercedes? Se uno dei tanti incidenti avuti in carriera fossero andati in modo diverso?

«Non è un qualcosa a cui mi fermo spesso a pensare» rivelò. Perché era la verità, Lewis non si poneva mai quel tipo di domanda. Sapeva chi era, cosa voleva, come conquistarlo e faceva di tutto per riuscirci. Aveva sempre fatto di tutto. Nella sua vita si era convinto che, anche solo iniziare a credere in un proprio sogno, ti portava già a metà strada per realizzarlo. Quindi, no, non si chiedeva mai come sarebbe potuto essere se determinati eventi fossero andati in modo diverso. Era stato lui stesso a cercare di mettersi nella posizione per cui essi gli accadessero. Almeno per quanto riguardava quelle situazioni che era possibile mantenere sotto controllo.

«Negli ultimi tempi, invece, io me lo domando quasi ogni giorno» confessò Sebastian, sospirando pesantemente. E fu allora che la vide, la tristezza nei suoi occhi, quell'emozione che fino a quel momento, in qualche modo, aveva nascosto.

Si sedette accanto a lui. «Riguarda quella cosa che mi avevi accennato mesi fa, a Miami?» chiese, non sapendo se fosse davvero pronto per la possibile risposta.

«Oggi, ho guardato tutti i piloti in griglia. Ognuno di loro, di voi, fa qualcosa prima di salire in auto, che sia per distrarsi o per concentrarsi» intavolò quel discorso, passando un dito nello scollo a V della sua maglietta, come se lo stesse infastidendo. «Io no» disse amareggiato. «Io mi limito a correre. Salgo in macchina e corro, non c'è nulla nel mezzo» scosse la testa.

Lewis decise di intervenire. «Non è necessariamente una cosa negativa» ma nemmeno lui era certo di quello che stava dicendo. Se prima di una gara non sentivi alcuna emozione, se non provavi timore, eccitazione, impazienza, passione, allora che senso aveva?

«Lo è invece» tagliò corto Sebastian. «Mi chiedo poi cosa ci faccio ancora qui» espose un altro dei suoi dubbi deleteri. «Insomma, i giovani arrivano ed è giusto lasciargli spazio. Un tempo eravamo noi quelli al loro posto» fece tornare protagonista quella sensazione che aveva avvertito poco prima, sotto il podio, assieme a lui, Max e Charles. «Ma poi mi dico: "Cazzo, Seb, non arrenderti così. Sai guidare e lo sai fare ancora alla pari di qualunque ventenne"» ed era vero, Lewis non avrebbe avuto alcun dubbio a riguardo.

Per quanto lui e Sebastian fossero ormai parte della vecchia generazione, considerati vicini alla fine delle loro carriere, non avevano nulla da invidiare a chi era più giovane. Sapevano guidare, sapevano farlo meglio di ogni altra cosa e questo non sarebbe mai svanito. Ciò che invece poteva scomparire, era la voglia, quella passione sfrenata che ti faceva mettere sempre le corse al primo posto.

«Sai qual è il punto però?» il tedesco attirò nuovamente la sua attenzione. «È che sono stanco, Lewis» scosse le spalle, poggiandosi completamente con la schiena a quel divanetto. «Sono stanco» ripetè, con tono quasi tremolante e a Lewis sembrò di ricevere uno schiaffo in faccia. Un qualcosa che lo mise davanti alla realtà dei fatti, riguardo come si sentiva per davvero il suo amico, una delle persone più importanti per lui, che aveva incontrato proprio su quei circuiti. «Le delusioni sono state tante, i miei piani sono andati in fumo. E io sento di aver dato tutto quello che potevo dare a questo sport.»

Sebastian aveva senza dubbio un posto tra i nomi dei più grandi piloti di Formula 1. I suoi anni con la Red Bull erano bastati per consacrarlo in quell'olimpo, dopo tutte le vittorie e i quattro mondiali di fila conquistati. Ma, aveva creduto talmente tanto in quel sogno, da portarlo all'estremo, da far sì che le cose iniziassero a rivoltarsi contro di lui. Il suo passaggio in Ferrari era stato visto come una nuova luce di speranza per la scuderia di Maranello. Sebastian Vettel sarebbe dovuto essere l'uomo che avrebbe riportato la coppa del mondiale da loro. Peccato però, che le cose, per una serie di fattori sfortunati, non andarono affatto così. E, tutti quegli anni passati con il team, non lo avevano mai visto conquistare nulla di più che vittorie, nonostante fosse stato spesso in competizione per il mondiale. In competizione proprio con Lewis, che ne era sempre uscito vincente.

E, mentre doveva fare i conti con uno dei suoi sogni che, piano piano, si sgretolava tra le sue mani, doveva anche gestire tutta la pressione mentale che la stampa gli metteva addosso. Ignorare le critiche volte a ferirlo, quelle che portavano le persone a scagliarsi contro di lui e, nello stesso tempo, cercare di non darla vinta ai suoi pensieri negativi.  Senza dubbio, quello, per lui, era stato uno dei periodi più complicati che avesse mai affrontato nella vita. Una situazione che lo aveva drenato quasi del tutto di ogni sua forza.

«Non ho più niente. Ho dato tutto. Per molto tempo mi è andata bene, questo sport mi ha guardato e mi ha sorriso. E poi, ha iniziato a guardarmi e sputarmi in faccia» chiuse gli occhi per qualche secondo, mentre Hamilton abbassava la testa, avendo ormai capito che, il momento di Seb, per appendere il casco al chiodo, era ormai arrivato. Quell'ipotesi, che per mesi aveva cercato di scacciare dalla sua testa, alla fine gli era appena stata confermata. I muri con cui si era scontrato, che aveva preso dritto in faccia, sembravano non voler finire. Iniziati da quella stagione duemilaventuno, continuavano imperterriti a metterlo alla prova. Ogni anno con una sfida diversa.

Prima il suo ottavo mondiale, che gli era stato strappato dalle mani, rubato da sotto gli occhi da un commissario di gara che aveva deciso di cambiare il regolamento in corsa. Poi il progetto sbagliato di quella che doveva essere l'auto che gli avrebbe permesso di riscattarsi. E ora quella notizia, che vedeva uno dei suoi più cari amici lasciare quello sport, che lo vedeva triste in un modo che mai aveva creduto fosse stato possibile su di lui.

«Sono solo stanco» ripeté Sebastian, passandosi una mano sul volto, come a voler giustificare quella decisione che, in cuor suo, sapeva di aver già preso da tempo.

Lewis si ricompose velocemente e l'unica cosa che si sentì di fare in quel momento, fu stringerlo in un abbraccio, lasciando che in esso sfogasse tutte le pesanti emozioni che si stava portando dentro ormai da anni. «Se è quello che ritieni più giusto, se è quello che ti fa stare bene, allora io sono totalmente dalla tua parte» lo rassicurò, spiegandogli che non importava quello che avrebbe affrontato lui, quello che avrebbero pensato gli altri, l'unica cosa che importava era che fosse felice.

Certo, avrebbe preferito continuare ad averlo al suo fianco durante quel lavoro tanto bello quando complicato, sia a livello fisico che mentale, ma qui non si trattava di lui e di cosa preferiva. Qui si trattava di Sebastian e di ciò che avrebbe potuto renderlo o meno lieto.

Nel frattempo, in una situazione decisamente diversa, Jourdan si trovava assieme a Skye, sul terrazzo dall'hospitality Ferrari. Stavano aspettando che Charles finisse di cambiarsi, per tornare assieme all'hotel nel quale alloggiavano. Non aveva ancora avuto l'occasione di vedere suo fratello da quando quella gara era terminata e non si era potuta congratulare per la vittoria. Lo stesso valeva nei confronti di Lewis. Nemmeno con lui aveva avuto ancora occasione di vedersi.

Eppure, come se con quel pensiero lo avesse chiamato, il telefono le vibrò nella tasca dei pantaloni. Lo recuperò con discrezione, dando la schiena alla sua amica, cercando di non farle vedere cosa stava facendo.

"Dietro il mio motorhome tra cinque minuti?"

Recitava così quel messaggio al quale lei non esitò nemmeno per un secondo prima di rispondere.

"Aspettami lì."

Si voltò nuovamente verso Skye. «Io... vado» disse, grattandosi la nuca.

La bionda la guardò perplessa. «Vai dove?» chiese.

«Vado» rispose lei, non riuscendo ad inventarsi nessuna scusa plausibile in quel momento, non avendo nemmeno voglia di farlo.

Skye le si avvicinò, sorridendo furbamente, con entrambe le sopracciglia alzate. «Okay, il dove non lo sai. Ma sono certa che il chi sì» la punzecchiò.

Jourdan lasciò ricadere leggermente la testa all'indietro, sbuffando. «Vado da Lewis, probabilmente a scopare. Sei contenta adesso?» le domandò ironicamente, dopo aver ceduto alla sua incessante curiosità.

«Prego?» una terza voce si intromise tra di loro. Charles era appena uscito sulla terrazza e le stava fissando con gli occhi sgranati, non riuscendo però del tutto a nascondere un'espressione divertita.

Il monegasco ripensò allora alle parole che il giorno precedente, Sebastian gli aveva detto ed ebbe la conferma di ogni cosa. «Tu e Lewis?» chiese. «Insomma... le voci sui giornali non erano proprio campate per aria allora» rifletté.

Jourdan fece aleggiare una mano. «Ti prego, Charles, non è il momento» tagliò corto, non volendo perdere altro tempo. «Giuro che ti spiegherò tutto. Ma non adesso» aggiunse, ponendogli le mani sulle spalle.

«Certo che mi spiegherai tutto. Hai tenuto me, il tuo migliore amico, all'oscuro di ogni cosa. Una spiegazione mi sembra il minimo» si finse offeso, incrociando le braccia al petto. La ragazza gli rispose lasciandogli un veloce bacio sulla guancia e rivolgendogli un sorriso, per poi correre giù dalle scale.

«Spero di non rivederti fino a domani mattina» le urlò Skye, guadagnandosi uno sguardo stupito da parte di Charles, al quale rispose alzando le mani al cielo.

Jourdan attraversò quel paddock, passando dalla via sul retro, priva di persone, percorrendola fino a raggiungere il motorhome Mercedes, non molto distante da dove si trovava lei precedentemente. Si fermò li davanti, guardandosi attorno, non vedendo però nessuno. Ipotizzò che il pilota dovesse essere in ritardo, che magari qualcuno lo avesse fermato per parlare e decise semplicemente di attendere.

Sussultò di scatto quando, da dietro, due mani le si poggiarono sui fianchi. Si voltò, ritrovandosi davanti il volto di Lewis. «Cazzo, mi hai spaventata» ammise, sorridendo.

«Scusa» ridacchiò, per poi avvicinarsi maggiormente al suo viso. La ragazza si guardò in giro, accertandosi che non vi fosse nessuno oltre a loro. Tornò poi a donargli la sua completa attenzione, nel momento in cui avvertì la punta del naso di lui sfiorarle il lato del collo. «C'è niente che vuoi dirmi?» le parlò vicino all'orecchio, provocandole una scossa nel basso ventre.

«Del tipo?» gli chiese, cercando di restare quanto più composta possibile.

Lui la guardò dritta negli occhi. «Del tipo: "ho sbagliato a dubitare di te, sei davvero capace a rimontare. Charles aveva ragione, tu avevi ragione e io avevo torto"» le suggerì, facendola ridere.

«Bravo, hai vinto la nostra piccola scommessa» ammise.

"E tu e mio fratello siete anche riusciti a non ammazzarvi in pista. Da soli o a vicenda..."

Avrebbe voluto aggiungere, ma si limitò a pensarlo nella sua mente e custodirlo lì.

«Vorresti un premio?» lo provocò, parlandogli a fior di labbra. Ma, prima che lui potesse risponderle, un rumore attirò la loro attenzione. Gli occhi di Jourdan incontrarono una figura altra e dall'aria imponente, che subito la fece irrigidire.

Lewis spostò lo sguardo nella stessa direzione di quello della ragazza. «Non preoccuparti, è il mio bodyguard» la rassicurò.

«Scusate l'interruzione. Volevo solo dirti che, quando vuoi, siamo pronti per andare» lo informò, accennando a tornare dentro quel motorhome.

«Lloyd» lo richiamò subito. «Le diamo uno strappo al suo hotel» aggiunse.

«Alloggi in un albergo diverso?» domandò lei.

«Questa volta sì» rivelò.

Jourdan arricciò le labbra. «Sarei curiosa di vederlo» gli disse, con un'espressione che lasciava intendere tutto il doppio senso che aveva nascosto dietro quella frase.

Il pilota le prese la mano, iniziando a camminare verso la guardia del corpo, portandola con sé. «Cambio di programmi, andiamo direttamente al nostro hotel» gli comunicò, mentre l'uomo cercava di mantenere un'espressione impassibile. «Vieni a prenderci qui dietro» aggiunse poi e Lloyd annuì, dirigendosi a recuperare l'auto, di modo che, grazie a quei vetri oscurati, nessuno li vedesse uscire assieme.

Il viaggio in macchina fu piuttosto silenzioso, accompagnato solo da qualche sguardo che i due si lanciavano e da quella mano sulla coscia che Lewis non aveva alcuna intenzione di staccare, con la quale, di tanto in tanto, le provocava qualche brivido, per via delle lievi carezze che lasciava sulla sua pelle delicata. I minuti trascorsero velocemente e, presto, l'alto palazzo illuminato di quell'hotel si stagliò davanti a loro.

Lloyd, scese nei garage, permettendo loro di passare da sotto, dopo aver notato alcuni paparazzi appostati proprio fuori dall'entrata. «Grazie» Jourdan si rivolse a quell'uomo, prima di chiudersi la portiera alle spalle. Camminò accanto a Lewis fino a uno degli ascensori, prendendolo direttamente da lì sotto. Il pilota selezionò il piano tramite quella tastiera ed entrambi attesero con impazienza che le porte si chiudessero.

«Anche tu parti domani?» chiese Lewis, muovendo un passo indietro e tornando accanto a lei.

Attese qualche secondo di troppo una risposta che mai arrivò da parte di Jourdan. La ragazza non aveva alcuna voglia di parlare, non in quel momento almeno. Lo avrebbero fatto poi, sarebbe stata ad ascoltarlo o a rispondergli anche per ore, dopo però. L'unica cosa che bramava in quel momento, era sentire le labbra carnose del pilota sulle sue, fremere ad ogni tocco che le lasciava sulla pelle e udire il modo, assolutamente sexy, che aveva di gemere sommessamente, quando lo stuzzicava troppo.

Quel fermarsi forzatamente, la sera prima, voluto da lei, non aveva fatto altro che lasciarla con un'insoddisfatta voglia carnale di lui, che era venuta fuori tutta in un colpo nel momento in cui lo aveva visto. Un qualcosa che anche dentro Lewis stava ribollendo, ma che, a differenza della ragazza, lui riusciva ancora a tenere a bada.

Jourdan lo fissò con le pupille velate dall'eccitazione. Puntò gli occhi su quelle labbra, si leccò lentamente le sue, facendogliele schiudere di poco, intravedendo così quel diastema. Tornò poi a incatenare le iridi con le sue. «Shh...» gli disse, a pochi centimetri dalla sua bocca. I loro nasi si sfiorarono e Lewis si trattenne dal compiere qualsiasi mossa, volendo scoprire cosa lei aveva in mente.

Gli lasciò un delicato bacio sulle labbra, che lui ricambiò con la stessa attenzione, quasi avessero paura di farsi male. Un qualcosa che sapevano si sarebbero davvero potuti fare a vicenda, ma che cercavano di ignorare, evitando che la paura sopraggiungesse e li portasse a venire inghiottiti dai loro dubbi e timori.

Presto però, quel bacio divenne sempre più intenso, fino a quando la schiena di Lewis andò a scontrarsi contro la parete dell'ascensore. I denti della ragazza affondarono nel labbro inferiore del pilota, portandolo a sospirare pesantemente e trattenere un gemito. Le poggiò una mano dietro la schiena, attirandola ancora più vicina a sé, mentre l'altra si posizionò sul suo collo, applicando una leggera pressione, che la portò ad interrompere quel bacio per riprendere fiato.

Con il respiro corto, come se avesse appena finito di correre, quegli occhi lucidi, le labbra gonfie e arrossate, fu una visione quasi dolorosa per Lewis, tanto gli piacque. Quasi non si erano nemmeno toccati, eppure, quel bacio, quei minimi dettagli, erano bastati per trasportarli in un'altra dimensione, in cui esistevano solo loro, in cui la passione e l'eccitazione dominavano ogni loro pensiero.

Mantenendo la presa sul suo collo, Lewis accarezzò le labbra della ragazza con il pollice e sgranò gli occhi, quando lei lo strinse tra i denti, delicatamente, per poi avvolgerlo con la sua bocca. «Cazzò...» mormorò Lewis, non riuscendo a distogliere gli occhi dai suoi. Jourdan vi fece scorrere sopra la lingua, con una lentezza straziante, e a lui, chiuso in quel piccolo abitacolo, completamente incantato da quelle iridi azzurre, mentre la sua mente viaggiava, immaginandosi le cose più indicibili, gli sembrò quasi di essere diventato pazzo.

Era stato con così tante donne in vita sua, in ogni modo, in ogni situazione. Eppure, mai nessuna prima era stata in grado di fargli provare quel tipo di sensazioni, così radicate, così reali, così belle e dolorose allo stesso tempo. Da quando l'aveva incontrata, da quel momento in cui, per la prima volta si erano rivolti parola, lei sembrava averlo stregato, come se avesse lanciato su di lui un qualche incantesimo, capace di fargli mettere in dubbio ogni sua certezza, portandolo a non riuscire più a togliersela dalla mente.

Un suono acuto attirò l'attenzione di entrambi, avvisandoli che l'ascensore aveva ormai raggiunto il loro piano e le porte si sarebbero aperte da lì a qualche secondo. Come se la cosa gli provocasse un indescrivibile dolore, si staccarono, abbandonando quell'abitacolo, ritrovandosi nel corridoio, per loro fortuna, deserto. Camminarono per qualche metro, prima di fermarsi davanti ad una porta, che Lewis aprì con la chiave magnetica che tirò fuori dalla tasca dei pantaloni.

Quando furono di nuovo al sicuro, lontano da ogni possibile sguardo indiscreto, quella piccola pausa che avevano dovuto prendersi, cessò immediatamente. Il tempo che la porta si richiudesse alle loro spalle ed erano nuovamente avvinghiati l'uno all'altra. La maglietta, caratterizzata dal logo del team e di altri sponsor, che Lewis stava indossando, finì sul pavimento. Venne seguita anche dal top di Jourdan e, ben presto, quella camera tanto ordinata, divenne il quadro della loro voglia di sentirsi.

Le dita del pilota iniziarono a scorrere sulla pelle dei fianchi della modella. Chiara, sottile, costellata in quel momento da una miriade di brividi, provocati dal suo tocco leggero. Le sfiorarono i seni scoperti, stuzzicando ben presto i capezzoli, portandola ad emettere un gemito quasi sussurrato. Ricaddero entrambi su quel letto dal materasso morbido, portando disordine anche sulle lenzuola. Lewis le lasciò umidi baci sul collo, scendendo lungo di esso, soffermandosi qualche secondo negli stessi punti che le sue dita stavano stuzzicando, per poi proseguire quella strada immaginaria.

E, mentre le mani di Jourdan si stringevano attorno al lenzuolo sotto di lei, quelle del pilota scostavano il tessuto semi trasparente di quelle mutandine bianche, intrufolandosi tra le pieghe della sua parte più sensibile. La ragazza inarcò la schiena, alzando di poco i fianchi e lui, prontamente, poggiò una mano sul quel basso ventre, riportandola ad adagiarsi completamente sul materasso. «Lewis» lo richiamò lei, con il tono tremolante. Le labbra di lui si incresparono in un sorrisetto compiaciuto, avendo ormai capito l'effetto che il suo tocco riusciva a farle.

Per quanto ci provasse, Jourdan non riusciva a capire come fosse possibile che quell'uomo, con il quale ancora stava imparando a conoscersi, da subito avesse scoperto ogni suo punto debole. E sembrava sempre sapere come stimolarlo per riuscire a portarla al limite ancora prima che se ne rendesse conto. Aveva appena iniziato a toccarla, eppure lei sentiva di essere già vicina al culmine. Era una qualcosa che non le era mai successo con nessuno prima, credeva di essere la sola a conoscere per davvero il suo corpo. Invece, Lewis l'aveva smentita.

Il pilota aveva un'attenzione e forse anche un talento naturale nel riuscire ad osservare il suo corpo e comprenderlo in ogni minimo movimento che compiva, riuscendo così sempre a stargli dietro, essendo in grado di dargli ciò che preferiva. Questo non faceva altro che alimentare quell'attrazione che provava per lui, perché la curiosità di scoprirlo sempre di più a livello mentale, era proporzionata e anche alimentata da quella chimica tra i loro copri che li incastrava perfettamente.

Lewis scivolò indietro, ritrovandosi ben presto in ginocchio, giù da quel materasso, smettendo per un attimo di donarle piacere con le dita. Le afferrò le caviglie, tirandola più verso di sé, si liberò di quelli slip che lei ancora stava indossando, le fece piegare le gambe, per poi accarezzarle le cosce, prima di soffermarsi sulla ginocchia e spalancarle. Invitato anche dai talloni della ragazza, che gli applicarono una leggera pressione sulle spalle, non ci pensò su un secondo di più per smettere di ammirare ogni dettaglio di quel corpo, in grado come nessun altro di farlo impazzire, per continuare ad assaporarlo anche con le labbra.

La mente di Jourdan si annebbiò del tutto, rendendo ogni cosa confusa. Non riusciva a concentrarsi su altro che non fosse quel piacere che lui le stava donando. Il tempo diventò del tutto relativo, sembrando scorrere velocemente e poi fermarsi di colpo. I muscoli delle gambe si irrigidirono e, prima ancora che potesse metabolizzarlo, raggiunse il culmine. Non si diede nemmeno il tempo di riprendere fiato, non riuscendo ad averne ancora abbastanza di lui.

Presto, Lewis si ritrovò nuovamente sul letto e le posizioni tra i due si invertirono. La schiena di lui ora poggiava sul materasso, mentre lei saliva a cavalcioni sul suo basso ventre. Il pilota si passò il dorso della mano sulle labbra, pulendosi un poco, osservandola mentre si posizionava su di lui. Fece scorrere gli occhi su quei lunghi capelli, che le ricadevano sulle spalle, coprendole parte dei seni. E, dal canto suo, anche Jourdan fece lo stesso con lui, studiando, per la millesima volta, ogni minimo dettaglio di quel corpo scultoreo.

"Sei bellissima."

Avrebbe voluto dirglielo, ma si limitò a pensarlo, custodendolo quasi come fosse un segreto indicibile.

«Merda» imprecò lei, quando, con un movimento involontario, fece scontrare le loro intimità eccitate. Lewis strinse la presa sulle sue cosce, vedendo la pelle sbiancare ulteriormente sotto i suoi polpastrelli. Jourdan si liberò in fretta di quei box che ancora stava indossando, diventati decisamente di troppo in tale situazione. Quella volta di proposito, fece sì che le loro intimità si scontrassero ancora. Il pilota socchiuse gli occhi, deglutendo quasi a fatica.

«Hai i preservativi?» chiese lei, guardandolo dall'alto.

«Prova a cercare nel cassetto del comodino» indicò, sapendo che quegli hotel, spesso erano soliti fornirli, avendoli ormai in molti introdotti in quello che era il kit di benvenuto per gli ospiti. Jourdan si allungò, iniziando a frugare in quel cassetto, trovando ben presto ciò che stava cercando.

Non persero più tempo e, indossata quella protezione, lui scivolò dentro di lei, mantenendola sopra, lasciando che fosse la ragazza a dettare il ritmo. Illuminati dai raggi della luna, che filtravano da quelle finestre, lasciarono che ogni loro voglia si sfogasse, che i loro corpi trovassero il piacere che bramavano l'uno dall'altro. Nessuno dei due sarebbe stato in grado di spiegare a parole ciò che provavano quando lasciavano il mondo fuori e si concedevano solo a donarsi attenzioni. Era un qualcosa a cui poi nemmeno volevano pensare, perché le possibili risposte li lasciavano davanti ad ulteriori dubbi e sembrava proprio non esserci una via d'uscita nella ricerca della spiegazione di quella naturale chimica che vi era tra loro.

Un gemito più gutturale lasciò le labbra di lui, quando la ragazza roteò i fianchi. «Lewis, sto-» si piegò sul suo petto, facendo aderire la pelle con la sua.

Il pilota non le lasciò finire la frase, zittendola con un bacio. «Lo sento» rispose, avvertendo come i muscoli del suo corpo fossero diventati più rigidi e le sue pareti si fossero strette sempre di più attorno alla sua lunghezza. E, anche se si trovava decisamente vicino al culmine, scelse di dare ancora la precedenza a lei, trattenendosi fino a quando udì quei gemiti più acuti e le sue unghie conficcarsi quasi nella pelle del braccio. Solo dopo quel momento si lasciò andare a sua volta.

Per i minuti subito successivi, entrambi rimasero immobili, cercando di riprendere fiato, mentre Jourdan restava adagiata su di lui e le braccia del pilota le cingevano la schiena. Il silenzio si impossessò di quella stanza, accompagnato solo dai loro respiri irregolari. Li spaventava il fatto che, se fosse dipeso unicamente da loro, sarebbero rimasti in quella posizione, anche tutta la notte. Attendendo che il sonno sopraggiungesse, mentre ascoltavano l'uno i respiri dell'altra.

Invece, anche fin troppo presto, Jourdan abbandonò quella presa, scivolando accanto a lui e Lewis si tirò a sedere. «Vado a farmi una doccia» l'avvisò, rivolgendole uno sguardo veloce. «Non ti chiederò di restare e nemmeno di andare. Fai quello che preferisci» aggiunse poi, prima di chiudersi la porta del bagno alle spalle.

La ragazza rimase a rimuginare per qualche minuto su quella frase, ancora stesa tra le lenzuola stropicciate. Doveva restare? Doveva andare?
Prendere una decisione le sembrava così complicato, così stancante, soprattutto dal momento in cui le palpebre iniziarono a farsi pesanti e tenere gli occhi aperti divenne più complicato del necessario. Quel pensiero che richiedeva quindi fin troppe energie, venne semplicemente accantonato, vinto dal sonno.

Chiuso nel bagno, invece, Lewis lasciava che l'acqua della doccia scorresse sul suo corpo e che la sua mente, a differenza di quella della ragazza, non gli desse un attimo di tregua. Non sapeva cosa lei avesse deciso, ma sapeva quello che lui avrebbe voluto. Avrebbe voluto chiederle di restare, eppure le aveva comunque lasciato una scelta. Ciò che lo confondeva però, era il modo in cui, una parte della sua mente, sperasse che lei scegliesse di andarsene. Se lei avesse deciso di lasciare quella stanza, allora sarebbe stato come una specie di conferma che ancora si trovavano ben lontani da quel genere di rapporto più approfondito che lo terrorizzava.

Nonostante questo, nonostante si stesse imponendo che il suo reale pensiero fosse quello di non volerla per davvero, sapeva che la realtà dei fatti era un'altra. La voleva eccome, fisicamente e mentalmente. La voleva in un modo che credeva di non essere più in grado di provare, con una necessità, un bisogno che lo ponevano di fronte ad ogni sua paura. E, quando tornò nella stanza, vedendola ancora stesa su quel letto, ormai addormentata, un senso di panico attraversò il suo petto.

Era rimasta.
Lei era rimasta e lui era felice e terrorizzato allo stesso tempo.

Forse le cose stavano andando troppo veloci. Forse si era lasciato prendere dalla situazione e doveva solo tornare alla realtà, doveva solo concentrarsi su quel mondiale, evitando quel genere di distrazioni. Perché, dal momento in cui non si sentiva in grado di gestire la situazione, Jourdan rappresentava proprio quello, una distrazione, un rischio, una possibile scelta che lui si sarebbe potuto ritrovare a dover prendere nuovamente.

La sua mente aveva deciso di rabbuiarsi, di riportare a galla tutti i suoi timori, facendogli mancare il respiro.

E allora si rese conto che lei quella notte era rimasta, ma lui non poteva farlo.

🌟🌟🌟

Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻

La gara poteva andare decisamente peggio e invece ho deciso di fare la brava 😇

Non l'ho fatta per la parte che riguarda Sebastian.
Perché il momento di farlo aprire in modo più approfondito sui suoi pensieri era arrivato.

Come presto arriverà il momento di Jourdan di attuare il suo piano e provare a togliersi dal ricatto che Rob le ha imposto.

Nel frattempo però, prima dovrà affrontare un risveglio in solitudine, nella stanza d'hotel di Lewis.
Un Lewis che ha scelto di andare via, facendosi vincere dalle sue paure.

Come la prenderà lei?
E come procederà la loro storia da questo punto?
Ma, soprattutto, quale sarà questo piano che Jourdan ha in mente?

Per scoprirlo non dovrete fare altro che continuare a leggere😈

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XOXO, Allison💕

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