Capitolo 20 - Un passo di troppo
Francia, Costa Azzurra.
Saint-Tropez.
La costa scorreva veloce fuori dal finestrino dell'auto, lasciando che tenui raggi di quel sole appena nato entrassero dentro l'abitacolo. «Non dovevi accompagnarmi» Jourdan si voltò verso il ragazzo che stava guidando, interrompendo quel piacevole silenzio che si era creato sin dal momento in cui erano partiti.
Charles scosse la testa, tirando la bocca in un leggero sorriso. «Quello che stai facendo oggi è un passo importante. Non ci sono potuto essere l'altra volta, a Cannes, mi fa piacere starti accanto ora» rispose per tanto, tenendo lo sguardo fisso sulla strada.
Dopo giorni passati in solitudine a riflettere, dopo aver preso una decisione sul come vivere quella conoscenza con Lewis e dopo aver fatto quella pazzia di raggiungerlo di notte nel circuito, Jourdan si era ritrovata a dover prende in mano un'altra situazione. Alla fine, aveva accettato quell'invito, da parte di Pauline, di recarsi sul luogo dove si sarebbe tenuto il servizio fotografico.
Non voleva farsi aspettative, porsi limiti o spingersi ad oltrepassarli. Esattamente come nella sua conoscenza con Lewis, voleva semplicemente farsi trascinare dal momento, compiendo la mossa che più sentiva giusta per lei, senza vincoli. Sperando che, almeno per quella volta nella sua vita, tali decisioni non si rivelassero sbagliate e deleterie.
La sera precedente, lei, Charles e Skye, si erano ritrovati per bere qualcosa in un locale sulla spiaggia, passando un serata tranquilla, tra chiacchiere e risate. In mezzo alle tante parole fatte, si era affrontato anche il discorso sui programmi che la modella avrebbe avuto per il giorno successivo. La sveglia sarebbe suonata presto e lei si sarebbe dovuta recare a Saint-Tropez, il luogo che Pauline le aveva comunicato per quel servizio fotografico.
Il monegasco allora, si era subito offerto volontario per accompagnarla. Dopo che gli raccontò l'incontro avvenuto a Londra, con quelle due persone del suo passato e tutto il tempo che aveva trascorso per prendere una decisione sul da farsi, aveva subito compreso quanto, quello che a chiunque sarebbe potuto sembrare un piccolo passo, per lei era qualcosa di enorme. E lui voleva restarle accanto.
Ecco che quindi, quella mattina, alle sei in punto si era recato sotto casa della ragazza, aspettando che salisse in auto, per poi dirigersi assieme verso la meta principale di quella giornata.
Jourdan gli era molto grata per essere lì con lei, aiutandola, anche solo con la sua semplice presenza, a tenere a bada l'ansia e le preoccupazioni. «Hai idea di quanto durerà?» le domandò, lanciandole una veloce occhiata.
«Essendo un servizio fotografico all'aperto, dipende da molti fattori. Il meteo, la luce, la location» ne elencò alcuni. «Per poi aggiungere anche i modelli e il fatto che riescano o meno a trovarsi da subito in sintonia con il tutto. E lo stesso vale anche per il fotografo e i vari assistenti» aggiunse.
«Credevo che fosse tutto molto più semplice» aggrottò la fronte. «Ho partecipato ad alcuni servizi per il team e vari sponsor, ma non mi sembravano così complicati come me lo stai descrivendo tu adesso» commentò, premendo maggiormente il piede sull'acceleratore e sfrecciando indisturbato su quell'autostrada ancora quasi del tutto deserta.
«Qui si tratta di alta moda» gli ricordò, poggiando la testa al sedile. «Tutto è sempre complicato» prese un profondo respiro. Recuperò il cellulare, che vibrò sopra le sue cosce, lasciate scoperte da quel vestitino leggero che indossava. Osservò lo schermo, illuminato dal messaggio, mettendo un attimo in pausa la conversazione con l'amico.
"Anche se non me l'hai voluto dire, buona fortuna per qualsiasi cosa tu stia andando a fare."
Era da parte di Lewis e il sorriso non tardò ad arrivare per incresparle le labbra. Dopo quel loro incontro notturno nel circuito di Silverstone, non si erano potuti vedere ancora, perché il pilota era rimasto per qualche giorno in Inghilterra con la famiglia, approfittando della settimana di pausa tra un Gran Premio e l'altro. Mentre lei era ritornata nel Principato.
La sera precedente però, prima che Jourdan si incontrasse con i suoi amici, Lewis le aveva scritto che stava tornando, chiedendole se le fosse andato di vederlo il giorno successivo. Invito che lei aveva dovuto declinare, dal momento in cui aveva già un impegno, decisamente importante, che avrebbe potuto portare significativi cambiamenti in positivo o affossare ancora di più la sua carriera già zoppicante. Ecco perché aveva preferito restare vaga e non rivelargli nulla di concreto.
Nonostante questo, lui non si era dimenticato di farsi sentire, mandandole il suo supporto per un qualcosa di cui nemmeno era a conoscenza.
Digitò velocemente una risposta su quello schermo, inviandola.
"Grazie e mi farò perdonare per averti dato buca oggi."
Charles la guardò di sottecchi, notando la sua completa attenzione catturata da quel cellulare. Dovendo tenere gli occhi sulla strada, però, non riusciva a scorgere nulla di più per poter capire che cosa la stesse intrattenendo così tanto.
"Stai forse dicendo che mi devi un favore?"
Un altro messaggio arrivò e un altro sorriso tirò le sue labbra definite. Un qualcosa che al ragazzo accanto a lei non passò inosservato.
"Non ti allargare adesso. Sceglierò io come farmi perdonare, Hamilton."
Inviò anche quella risposta, iniziando a percepire un certo sguardo addosso. Alzò la testa, voltandola verso Charles, beccandolo mentre cercava di mantenere un'espressione disinvolta, fallendo però miseramente. «Avanti, lo so che non vedi l'ora di chiedermelo» lo spronò, conoscendolo ormai fin troppo bene.
Il ragazzo non si lasciò pregare. «Chi era?» domandò subito, dando completo spazio alla sua curiosità.
Jourdan alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa divertita. «Sei proprio un pettegolo, lo sai vero?» lo prese in giro. «Tra te e Pierre non so chi sia peggio» aggiunse, tirando in mezzo anche il francese.
Charles si fece di colpo più serio, mordicchiandosi l'interno guancia, spostando la sua attenzione su un fulcro decisamente diverso dal precedente. «Senti... a proposito di Pierre» intavolò quel discorso, portandola a maledirsi da sola per averlo nominato. La ragazza avrebbe voluto zittirlo, dirgli di non aprire tale argomento, perché in tutti i pensieri che aveva fatto in quei giorni, si era appena resa conto di non aver mai compreso il ragazzo.
Eppure, dentro quella storia formata da problemi, intrecci e dubbi, c'era anche lui, senza nemmeno volerlo. E vi era dentro perché proprio lei ce lo aveva spinto, dopo avergli mentito guardandolo dritto negli occhi, durante quella cena a casa di Skye. Dirgli la verità sarebbe stato di certo più semplice, d'altronde non stavano insieme ed erano stati sempre chiari sul fatto di poter frequentare chiunque altro avessero voluto, a patto di informarsi a vicenda, così da portarsi il giusto rispetto reciproco.
Jourdan avrebbe davvero voluto tener fede a quella promessa, ma quella volta risultava decisamente più complicato del previsto, dal momento in cui la persona che stava frequentando era Lewis Hamilton. Se la verità sulla sua famiglia fosse stata resa nota a tutti, allora non avrebbe avuto problemi nel rivelarglielo. Ma, tanti dettagli ancora erano taciuti agli occhi del mondo e la strada migliore era evitare di sbandierare in giro cosa stesse accadendo tra lei e l'inglese, cercando di restare nell'ombra, non dando così ai giornali altro per cui creare gossip. Perciò, meno persone lo sapevano e meglio era. Il fatto che Skye ne fosse a conoscenza era già rischioso.
«So che non vi state vedendo o parlando molto in questo ultimo periodo» disse Charles, imboccando l'uscita dell'autostrada che recitava la scritta: Saint-Tropez.
«È un periodo un po' difficile per me» rispose semplicemente, evitando di sbilanciarsi, non sapendo se Pierre gli avesse o meno detto qualcosa riguardo la loro situazione.
«Sì, non sono tempi rose e fiori nemmeno per lui» le rivelò, facendola subito voltare di scatto nella sua direzione.
«Cosa intendi?» indagò. Non essendosi più frequentati in quelle ultime settimane, si rese conto di non avere più idea di ciò che stava succedendo nella vita del ragazzo.
Charles si immise nel lieve traffico mattutino di quella città marittima. «Ormai è da un po' che sta cercando la sua opportunità per staccarsi definitivamente dalla Red Bull» le disse qualcosa che già sapeva. Non era mai stato un segreto nel loro gruppo, la volontà di Pierre di liberarsi da qualsiasi vincolo che ancora lo legava al team austriaco.
Aveva iniziato la sua carriera con la loro scuderia minore, cogliendo poi subito l'opportunità che gli avevano dato di entrare a correre per quella principale, al fianco di Max. Un qualcosa che però si rivelò decisamente più un incubo che un sogno, come invece si era immaginato. Il modo in cui lo trattarono, facendogli fare qualche gara, mettendolo alla prova psicologicamente, sminuendolo e poi declassandolo nuovamente nel team minore, lo costrinse ad affrontare un periodo decisamente buio della sua vita.
Un qualcosa che ora aveva superato, ma che comunque gli veniva costantemente ricordato dal fatto che continuasse a correre sotto il loro logo. Nonostante si trovasse bene in AlphaTauri, avendo stretto uno splendido rapporto di amicizia con il suo compagno, Yuki e con il resto del team, il suo obbiettivo restava sempre quello di trovare una via che gli permettesse di firmare con qualcun altro. Qualcuno che non avesse alcun legame con la Red Bull e che potesse dargli decisamente più opportunità di quello che loro di certo non facevano.
«Potrebbe aver trovato un modo. Ma, oltre alla difficoltà di recidere il suo contratto, riuscendo a trovare una via d'uscita dalle clausole che lo legano, dovrebbe anche poi ritrovarsi a sperare che scelgano lui, al posto di un pilota della loro academy» confessò un dettaglio a lei del tutto sconosciuto.
Jourdan aggrottò le sopracciglia. «Loro chi? Di che team si tratta?»
«Alpine» rispose, fermandosi ad un semaforo.
A quel punto la ragazza fu ancora più confusa. Il team francese aveva già i suoi due piloti e nessuno era mai sembrato intenzionato a lasciare. Credeva che solo la McLaren, con Ricciardo, stesse combinando qualcosa e invece, all'interno di quel mercato di trattative e contratti, sembrava esserci molto di più pronto a muoversi, durante la sempre più vicina pausa estiva.
«E vorrebbe correre con Esteban? Lo stesso Esteban con cui, appena possono, si lanciano occhiate di disprezzo?» chiese retorica, essendo a conoscenza che tra i due non scorresse proprio buon sangue. «O spera che sia lui quello che lascerà il posto?» aggiunse, vedendolo come un pensiero più logico .
«In questi casi, se vuoi crearti l'opportunità per far svoltare la tua carriera, te ne freghi se dovrai lavorare accanto ad una persona con cui non vai d'accordo» le fece notare. «Non conosco così a fondo Esteban, ma sono quasi del tutto certo che, se qualcuno dovesse lasciare il posto in Alpine, quel qualcuno non sarebbe lui» rifletté, ripetendo la stessa cosa che aveva detto anche all'amico, quando gli aveva esposto la sua speranza che fosse Ocon ad abbandonare il team, nel caso in cui lui fosse entrato. «Il suo teammate, Alonso, ha ormai più di quarant'anni, potrebbe decidere di ritirarsi» quella gli sembrava l'opzione più probabile, dal momento in cui non era a conoscenza di altri posti in team che potevano creare opportunità, che si sarebbero liberati alla fine della stagione.
Prima che lei potesse dire qualsiasi cosa, Charles proseguì. «Tutto ciò per dirti che, non sarebbe poi così male se smettessi di ignorarlo e ci parlassi. Chiarite qualsiasi cosa abbiate da chiarire, almeno entrambi vi toglierete un pensiero in più dalla testa» concluse.
Non aveva torto, anzi. Pierre faceva parte della sua vita, era un amico e una persona con cui aveva condiviso piacevoli momenti di intimità, lasciare che le cose si sgretolassero davanti ai loro occhi, quando invece sarebbe bastato parlare, era una mossa decisamente stupida. «Okay, prometto che lo farò» disse, intendendolo veramente, aggiungendolo alla lunga lista di cose che avrebbe dovuto sistemare nella sua vita.
Il monegasco raggiunse il luogo dove si sarebbe svolto quel servizio, parcheggiando l'auto lungo il marciapiede che costeggiava la discesa verso la spiaggia. «Grazie» rispose, sentendosi più leggero, ora che sapeva che i suoi due migliori amici avrebbero chiarito quello strano stallo che si era creato tra loro. «Adesso però, mente libera e concentrati sulla tua giornata» le prese la mano, stringendola nella sua, cercando di confortarla e donarle forza per affrontare quella nuova opportunità.
Jourdan fece ricadere lo sguardo sulle loro dita intrecciate in quel gesto affettuoso, che rispecchiava perfettamente il legame di amicizia che c'era tra i due. «Andiamo» annuì decisa, per poi scendere dall'auto, seguita da lui.
La location che alla fine era stata scelta per quel servizio fotografico di Hermès, era la famosa spiaggia Pampelonne di Saint-Tropez. Un luogo circondato da vigneti, piantagioni di bambù e pini, frequentato da sempre da iconiche star di Hollywood, famosi artisti e persone di spicco. Gente che aveva fatto la storia nel proprio campo e che continuava a farla. Un luogo che rispecchiava perfettamente lo stile e l'eleganza della città e del marchio.
Camminarono fianco a fianco su quella passerella, oltrepassando il famoso stabilimento Le Club 55, al quale il team di Vogue si sarebbe appoggiato per aiutarsi nel lavoro. «Buongiorno, posso-» le parole della ragazza addetta all'accoglienza vennero subito interrotte, dal momento in cui Pauline li raggiunse con passo svelto, avendoli già notati nel momento in cui erano scesi dall'auto.
«Jourdan, sono molto felice che tu sia qui» le disse, stringendola in uno dei suoi soliti abbracci. «E chi mi hai portato» spostò lo sguardo sul ragazzo accanto a lei, che subito le sorrise gentile. «Charles Leclerc, giusto?» volle accertarsi, avendolo già visto, ma mai conosciuto.
«Esatto, piacere» le tese la mano, che lei non perse tempo per stringere subito vigorosamente.
«Ci teneva a farmi compagnia in questa giornata, spero non sia un problema» si intromise la ragazza.
Pauline fece aleggiare una mano. «Ma non dire stupidaggini. Lo sai che non sei obbligata a venire in solitudine sui miei set» le ricordò. «Ci fa sempre piacere avere ospiti» portò nuovamente lo sguardo su di lui, osservando il suo outfit composto da un semplice pantaloncino e una maglietta a maniche corte bianca. «Abbiamo solo una regola però, per chi viene qui come accompagnatore, niente cellulari» lo informò. «E questo significa che non potrai fare foto del servizio, da postare sui social o qualsiasi cosa che potrebbe far uscire informazioni in anteprima riguardati il lavoro che faremo oggi» si raccomandò, puntandogli un dito contro, usando un tono serio, mantenendo però quello sguardo gentile.
«Nessun problema» la rassicurò, alzando le mani.
«Bravissimo» si sciolse in un sorriso. «Seguitemi, così vi spiego un paio di cose» iniziò a camminare, portandoseli dietro.
Oltrepassarono l'area dell'accoglienza di quello stabilimento balneare, per poi raggiungere la parte solitamente adibita a ristorante e bar, che quel giorno però serviva ai parrucchieri, stilisti e truccatori, per preparare i modelli che avrebbero preso parte al servizio. «Charles, tu ti puoi accomodare lì» gli indicò una sedia stile regista, uguale a tutte le altre presenti. «Quando inizieremo il servizio, se vorrai vedere più da vicino, potrai seguirci» aggiunse, per poi portare tutta la sua attenzione sulla ragazza.
Jourdan si era persa per qualche secondo ad osservare l'ambiente circostante, ricordando la miriade di volte in cui si era ritrovata su un set fotografico, all'aperto o al chiuso. E le uniche belle esperienze che aveva avuto, erano state proprio quelle in cui collaborava con Pauline. Ecco perché si sentiva più tranquilla nel pensare che lei fosse lì, in quel momento, per dirigere il tutto. «Tesoro, tu sei libera di fare quello che vuoi. Questa è casa tua» le poggiò una mano sulla spalla, donandole, attraverso quel gesto e quelle parole, una sensazione di calore e un certo senso di appartenenza a qualcosa che non avrebbe mai creduto di poter apprezzare. «Come ti ho detto, non ti obbligherò a prendere parte agli scatti, se non vorrai. Ma, in ogni caso, ti ho riservato una postazione e tenuto da parte degli abiti» aggiunse, indicandole un punto poco lontano da loro.
La modella osservò quella sedia alta, posta davanti al tavolo da trucco, arricchito dallo specchio rettangolare illuminato, sopra il quale vi erano poggiati diversi oggetti del mestiere. Accanto, invece, un appendiabiti dalla barra lunga, con le rotelle per facilitare gli spostamenti, portava con sé alcuni vestiti accuratamente protetti da involucri in stoffa. «Ti sarei molto grata se riuscissi a seguire e dare qualche dritta alle ragazze e ai ragazzi sul set di oggi. Me ne hanno mandati un paio che non hanno mai lavorato per il brand e con i tuoi consigli potremmo velocizzare le cose» Jourdan annuì, non avrebbe avuto alcun problema a rendersi utile in quel modo.
«C'è anche Aiko?» domandò alla fotografa, non avendo ancora visto in giro quell'altra modella.
Pauline scosse la testa. «No, è rimasta in Inghilterra. Aveva alcuni impegni per Vogue e non poteva proprio liberarsi» le spiegò e lei fu davvero contenta della presenza di Charles al suo fianco. Guardandosi attorno, incontrava solo facce nuove. Modelli e modelle con i quali non aveva mai collaborato prima, che nemmeno aveva mai visto da qualche parte. Probabilmente tutte relative new entry in quel mondo, che lei si era persa, dal momento in cui era completamente sparita da ogni radar della moda per due anni. Fortunatamente, il suo migliore amico aveva insistito per accompagnarla e non avrebbe dovuto affrontare quella giornata da sola. Come invece accadeva sempre in passato.
Qualche minuto dopo, tutti si erano spostati verso la spiaggia, portando con sé il necessario per poter lavorare in quell'ambiente. Pauline teneva stretta la sua amata macchina fotografica, mentre alcune sue assistenti si premuravano di mantenere sempre nella giusta posizione gli ombrelli per direzionare la luce nel punto più consono. Charles li aveva seguiti, decisamente incuriosito dal tutto, posizionandosi sotto un ombrellone, seduto su uno dei lettini, riuscendo così ad osservare meglio ogni cosa.
Jourdan, nell'ombrellone accanto, stava in piedi davanti al monitor del computer, affiancando un'altro degli assistenti di Pauline, controllando con attenzione ogni scatto che veniva passato sullo schermo. «Questa è la foto principale, Anne! Deve essere perfetta!» esclamò la fotografa, sbuffando leggermente, per poi continuare a scattare. «Non avere paura della sabbia o dell'acqua, è un vestito fatto apposta per questo servizio» le ricordò, facendole presente che non avrebbe dovuto preoccuparsi se si fosse sporcato o bagnato.
La ragazza aveva smesso di tenere lo sguardo fisso sul monitor, udendo le parole di Pauline, spostandolo verso di loro. Quella modella sembrava non trovare la giusta armonia tra l'abito che stava indossando e il paesaggio in cui erano. Gli scatti quindi risultavano sconnessi, la sua espressione poco incisiva e i movimenti del corpo quasi meccanici. «Okay, facciamo una pausa di cinque minuti» annunciò la fotografa, passandosi una mano sulla fronte sudata, per poi asciugarsela con un asciugamano.
Camminò, con i piedi che sprofondavano nella sabbia, fermandosi davanti all'ombrellone sotto il quale si trovava il ragazzo. «Charles, non ti hanno portato nulla?» gli domandò, vedendolo semplicemente lì seduto, senza però lasciargli il tempo di rispondere. «Prendetegli qualcosa da bere, chiedetegli se vuole qualcosa da mangiare. Forza, ragazzi, è un nostro ospite» sollecitò alcuni membri del suo team, facendolo ridacchiare.
«Pauline, non preoccuparti» la rassicurò.
«Oh, non fare complimenti» fece aleggiare una mano, per poi riprendere la sua camminata, fino a raggiungere l'altro ombrellone, qualche metro più in là. Jourdan gli rivolse un sorriso dolce, che lui ricambiò, continuando a tenere lo sguardo su di lei, anche quando la ragazza prese a parlare con la fotografa. Non riusciva a sentire perfettamente ciò che si stavano dicendo, un po' per via della distanza e un po' per via del vento e delle onde del mare che sovrastavano il tutto. Quindi si limitò ad osservare, cercando di decifrare il più possibile.
Jourdan le indicò il monitor del computer, per poi dirle qualcosa e mimare una posa che l'altra modella aveva precedentemente fatto. Pauline scosse la testa, passandosi una mano nei folti capelli ricci, lasciandosi ricadere su uno dei lettini. Parlarono ancora per qualche minuto, confrontandosi anche con l'assistente lì presente, fino a quando fu il momento di ritornare al lavoro.
«Aspetta» Jourdan fermò l'altra ragazza, prima che potesse mettersi in posa. «È un abito abbastanza impegnativo da portare, prova quindi a sfruttarlo a tuo favore» le disse, avvicinandosi a lei, fino ad affiancarla. «Tieni sempre il collo del piede teso, anche quando non si vede. Stare in punta aiuta a rendere i movimenti delle gambe più fluidi davanti all'obiettivo» le fece vedere. «Non è semplice sulla sabbia, ma è necessario» aggiunse, per poi mostrarle una posa, utilizzando le braccia per giocare con le ombre che si creavano a seconda della luce.
Charles, sorseggiando quella limonata che gli avevano portato, guardava la scena, vedendo, per la prima volta, la sua amica nel suo campo di lavoro. Non si intendeva di moda, di pose o di qualsiasi altra cosa riguardasse il caso, ma non gli era comunque difficile capire la sua bravura davanti all'obbiettivo. Gliel'aveva detto più volte quanto non le piacesse quello che faceva, eppure, sembrava decisamente nata per farlo.
Nel frattempo, Pauline mise nuovamente mano alla sua macchina fotografica, iniziando a scattare sin dal momento in cui Jourdan si mise a mostrare diverse pose all'altra ragazza. La richiamò poi, con un gesto della mano, chiedendole di seguirla fino al computer. Davanti a quello schermo, le mostrò i suoi scatti. «Io non voglio forzarti, Jourdan» ed era la verità. «Però, guardati» la incitò, indicandole il monitor. La modella osservò le foto, notando come, in confronto a quelle dall'altra ragazza, fossero decisamente più azzeccate per la rivista. Aveva un talento innato per quel lavoro, che le piacesse o no, quella era la verità.
Ciò che poteva fare era, rinnegarlo del tutto o provare a sfruttarlo al meglio secondo le sue regole, adesso che finalmente poteva. «Okay» parlò a bassa voce, annuendo più a se stessa che a qualsiasi altra persona. «Faccio qualche scatto di prova, con un solo abito» si rivolse a Pauline.
«Due» rilanciò prontamente la donna.
Jourdan ci pensò su per qualche secondo. «Va bene. Ma saranno gli unici scatti che farò oggi» sentenziò, portando immediatamente Pauline a sorridere, per poi dirigersi verso le postazioni trucco, per potersi cambiare e sistemare. Ritornò qualche minuto dopo, con indosso un abito nero, accollato, lungo fino alle caviglie, formato da una stoffa in maglia bucherellata, decorata con alcuni punti luce del medesimo colore. Sotto di esso non indossava nulla, fatta eccezione per quello slip nero. Due capi marchiati Hermès, audaci e allo stesso tempo eleganti, che facevano parte della collezione estiva straordinaria che la Maison aveva realizzato in onore della Costa Azzurra.
«Anne, vai pure a riposarti un po'. Faccio qualche scatto di prova con lei intanto» avvisò l'altra modella, che fu quasi sollevata di lasciare che fosse lei a posare con quell'abito così impegnativo. «Fai semplicemente quello che sai fare meglio» parlò a Jourdan, lasciandole completo campo libero.
Gli occhi chiari della ragazza incrociarono quelli di Charles, che subito non perse occasione per sorriderle e farle il gesto del pollice in su, infondendole coraggio. Jourdan lo ringraziò, ricambiando quel sorriso, per poi smetterla di tergiversare. Iniziò a posare, lasciando che la mente si svuotasse del tutto e il corpo iniziasse a muoversi in completa sintonia con le forme dell'abito e il paesaggio che li stava ospitando.
Dopo qualche foto in piedi, decise di adagiarsi sulla sabbia, giocando con essa e con le piccole onde che si infrangevano su quella battigia. L'obbiettivo della macchina fotografica non era il solo che non riusciva a staccarsi da lei, anche gli occhi degli altri presenti facevano lo stesso. Le modelle e i modelli, che aspettavano il loro turno per essere chiamati a posare, approfittarono di quel momento per osservare ogni minimo movimento compiuto dalla ragazza e cercare di rubare con lo sguardo qualche consiglio taciuto.
Nessuno dei presenti aveva mai lavorato con lei e di certo non si sarebbero fatti scappare l'opportunità di imparare quanto più possibile da quella che era, senza alcun dubbio, la migliore modella dei loro anni. Perché non importava quanti articoli scandalistici con il suo nome fossero usciti, non importavano le notizie, i guai in cui si era cacciata, la sua bravura restava sempre lì e in quei momenti le persone dimenticavano ogni cosa, concentrandosi solo sul suo lavoro, su come potessero solo che imparare da lei.
Dopo aver indossato anche il secondo abito, dalle fattezze decisamente diverse rispetto al primo, a partire dalla lunghezza, che non oltrepassava il ginocchio, fino al taglio svasato, le maniche lunghe, una delle quali ricadeva leggermente sotto la spalla, lo scollo a V e i colori che viravano dal rosso corallo al cipria. Scattò altre foto, accontentando Pauline, che, a lavoro terminato, le saltellò incontro, felice come una bambina. Stringendola in un abbraccio, non riusciva a smettere di sorridere e lo stesso, sorprendentemente, valeva anche per Jourdan.
«Sei stata assolutamente perfetta» si complimentò. «Ti manderò poi tutte le foto. Guardale, in questi giorni e poi fammi sapere, entro il weekend, se posso pubblicarle sulla rivista» si staccò da lei, mantenendole le mani sulle spalle.
«Pauline» la richiamò, fissandola in modo serio, non riuscendo però a nascondere il suo divertimento.
«Shh, non facciamo parole inutili. Tu pensaci» tagliò corto, raccomandandosi con uno sguardo.
Jourdan annuì leggermente, per poi tornare verso la parte del ristorante, per potersi sistemare. Charles si alzò, raggiungendola. «Sei stata bravissima» le disse subito.
«Grazie» rispose, quasi imbarazzata. Si stava rendendo conto solo in quel momento che ce l'aveva fatta. Dopo tutto quel tempo, dopo i momenti bui, le lacrime, la solitudine e la rabbia, ce l'aveva fatta. Era tornata su un set, aveva posato, aveva compiuto il suo lavoro e la cosa che la imbarazzava, era che mai avrebbe pensato che le sarebbe potuto piacere. Ma così era stato, Jourdan poteva non ammetterlo o cercare di negarlo, eppure si era divertita.
Per la prima volta nella sua vita, aveva vissuto una situazione legata al suo lavoro senza alcuna ansia addosso. E ciò era stato possibile per il semplice fatto che nessuno sguardo severo le pesava addosso. Non vi erano gli occhi di Agnes, pronti a seguire ogni suo minimo movimento per riprenderla, correggerla e criticarla. E non vi erano gli occhi di quell'uomo, che la tenevano in una morsa con un semplice sguardo, facendole domandare sempre se ogni decisione presa fosse frutto della sua volontà o di qualche manipolazione.
Era stata su un set, con una persona con cui aveva sempre amato lavorare e il suo migliore amico accanto. E tutto era andato bene. Allora iniziò seriamente a pensare che le cose potessero davvero rimettersi in sesto, forse era davvero possibile riprendere in mano la sua vita. O forse no. Almeno non fino a quando non sarebbe stata in grado di risolvere quei problemi che ancora lo assillavano. Rob continuava a starle con il fiato sul collo e le cose con suo fratello restavano alquanto complicate.
Non poteva lasciarsi abbindolare da una sola giornata andata bene. Non poteva permettersi errori. Era questo che si stava ricordando, mentre osservava le altre modelle posare e proseguire con quel servizio. Dopo essersi ripulita e cambiata, era tornata ad affiancare Pauline, consigliando, quando ce n'era bisogno, le persone che stavano dal lato opposto dell'obbiettivo.
«J» la richiamò Charles, avvicinandosi a lei lentamente, per evitare di disturbare. La ragazza si voltò, invitandolo a continuare.
«Mi ha chiamato mio fratello, Lorenzo» l'avvisò. «Pensava di organizzare una cena, assieme ad Arthur, mamma e me, per presentarci meglio la sua ragazza» spiegò, tenendo ancora stretto tra le mani il cellulare.
«Oh, certo. Andiamo» rispose subito lei. Prima che potesse dire o fare altro, venne fermata dal ragazzo. Non glielo aveva detto a voce, ma non aveva bisogno di ulteriori conferme per capire che si stesse divertendo sul set di quel servizio. Aveva apprezzato posare e le stava piacendo aiutare gli altri modelli, che sembravano tutti molto disposti ad ascoltare e applicare ogni suo consiglio. Quando gli aveva parlato del suo lavoro, in passato, mai una volta le era sembrata felice, mai l'aveva descritto come un qualcosa di positivo. Quel giorno, però, pareva essere proprio così e non voleva di certo mettere fine a tale momento, perché comprendeva quando poteva essere importante per lei un'esperienza così positiva sul suo campo lavorativo.
«Ferma, non voglio condizionarti. Non posso proprio mancare a questa cena, forse però c'è qualcuno che può riportarti a casa qui. Oppure potrei-» venne interrotto prima che potesse terminare quel discorso.
«Dove devi andare?» chiese una delle ragazze, che fino a poco prima stava posando.
«Monte-Carlo» le rispose.
«Ti portiamo noi allora» indicò un'altra ragazza e altri due modelli poco più in là, che aveva assistito fino a poco prima. «Nicholas -lo puntò con il dito- voleva passare da Nizza questa sera, per salutare alcuni amici. Il Principato non dista molto, possiamo allungare senza problemi di qualche chilometro per portarti a casa» proseguì, sorridendole amichevolmente, lasciandola sorpresa.
Possibile che avesse frequentato sempre le persone sbagliate? Che non avesse mai capito chi era uno stronzo e chi no? A pensarci bene, sì, era estremamente possibile. Perché prima di allora aveva sempre e solo socializzato con chi le veniva presentato da quell'uomo, con i modelli e le modelle che lavoravano nella sua agenzia, vicini a lui. A parte Aiko, con la quale poi non era riuscita, o forse sarebbe meglio dire che non le era stato permesso, mantenere i rapporti, non aveva mai stretto legami con nessun altro al di fuori di quell'agenzia sotto cui era.
E allora sì, era possibile che, attraverso le manipolazioni e quella relazione tossica, non avesse mai potuto frequentare persone che non fossero false e approfittatici.
«Davvero? Riuscireste a riportarla a casa voi?» volle accertarsi ulteriormente Charles.
«Sì, nessun problema» confermò ancora l'altra.
Il monegasco si voltò verso la ragazza. «Ti andrebbe bene?» le chiese, per poi vederla rifletterci su un attimo.
«Ma sì, perché no» acconsentì, cercando di essere flessibile, non volendo privarsi a priori di poter conoscere persone nuove del suo ambiente e capire anche come stavano girando le cose negli ultimi tempi in cui era stata assente.
«Perfetto» tirò un sospiro di sollievo Charles. «Scrivimi quando sei a casa, okay?» si raccomandò, fissandola seria.
«Sì, Perceval. Non preoccuparti» rise, per poi salutarlo con un bacio sulla guancia e guardarlo partire velocemente.
Passò ancora qualche ora, il sole raggiunse l'orizzonte, pronto a scomparire dietro di esso, lasciando spazio allo scurirsi della sera, prima che Pauline battesse le mani, decretando la fine di quel servizio fotografico. Mentre il suo team si occupava di sistemare i vari attrezzi e la location utilizzata, la fotografa si riservò nuovamente di parlare in disparte con la ragazza. Volle accertarsi che durante quella giornata tutto fosse andato per il meglio e dopo la conferma di ciò, non poté evitare di sentirsi alquanto felice.
Adorava lavorare con Jourdan, per la sua bravura naturale e per il modo in cui riusciva sempre ad ispirarla. Le era spiaciuto molto venire a sapere quello in cui si era andata a cacciare, che l'aveva portata ad allontanarsi del tutto e in quel modo brusco dal mondo della moda. Ecco perché, se poteva fare qualcosa per aiutarla a ritornare e non sprecare quel talento innato in lei, si sarebbe subito messa in prima linea.
Dopo i vari saluti, come programmato, Jourdan salì in macchina con quegli altri ragazzi. Durante il viaggio, conobbe meglio Madison, la ragazza che le aveva offerto il passaggio, Kate, Nicholas e Lucas. Sembravano tutti molto simpatici. «Sono quasi le nove ormai, perché non ti fermi a cena con noi, Jourdan?» le domandò uno dei ragazzi.
«Sì, sarebbe carino, se puoi e ti va» saltò su Madison, sperando di poter passare più tempo con quella modella che tanto ammirava, per il suo gran lavoro compiuto con praticamente ogni Casa di moda più importante. Un qualcosa a cui anche lei aspirava un giorno.
Dopo i piacevoli discorsi che avevano intavolato in quell'ora di macchina, Jourdan si disse che non le dispiaceva la loro compagnia e che una cena fuori le avrebbe fatto comodo, visto l'ora ormai tarda. «Va bene» acconsentì. Decise di mandare un messaggio a Charles, avvisandolo dei suoi nuovi programmi, così da non farlo preoccupare se non gli avesse scritto, come la aveva chiesto.
Presto si ritrovò in un tipico ristorante nizzardo, dagli arredi blu mare, che riprendevano i colori di quel bellissimo paesaggio sul quale si affacciava. Davanti a piatti a base di squisito pesce e calici di ottimo champagne, conobbe anche gli amici di Nicholas, proseguendo quella che si stava rivelando una decisamente piacevole serata.
«C'è un yacht al porto. che organizza una serata pazzesca» li avvisò Lucas, spostandosi il telefono dall'orecchio, dopo aver terminato la telefonata che gli era arrivata. «Solo ospiti su invito e si dà il caso che il proprietario sia un mio amico» alzò entrambe le sopracciglia. «Gli ho detto di metterci tutti in lista» aggiunse, guadagnandosi un'ode generale di felicità. Un qualcosa a cui si unì anche Jourdan. Forse era lo champagne bevuto o forse l'euforia della giornata che ancora doveva scemare del tutto, o magari, semplicemente si stava facendo prendere da un momento di convivialità, non soffermandosi troppo a riflettere. Fatto sta, che non ci pensò su due volte prima di accettare anche quell'invito.
Il porto di Nizza era illuminato dalle luci delle abitazioni, dalla luna che si rifletteva nelle sue acque e da quegli yacht che vi erano attraccati. E non passavano di certo inosservate quelle provenienti dallo yacht sul quale si stava tenendo la festa. Togliendosi le scarpe e lasciandole in degli appositi scomparti messi nella stiva, salirono a bordo, venendo subito accolti da un'atmosfera di divertimento, accompagnata da musica e persone intente a ballare.
Lo yacht era decisamente grande, addobbato per l'occasione, con anche una console e un dj. Alcuni camerieri passavano con vassoi colmi di calici di bollicine e altri con secchielli di bottiglie. Quello che doveva essere il proprietario e l'organizzatore della festa quindi, si avvicinò subito a Lucas, salutandolo con un abbraccio, per poi dare il benvenuto anche a tutti gli altri loro.
Presto iniziarono a ballare a ritmo di quella musica. Il calice che aveva in mano Jourdan, si svuotò velocemente e un ragazzo che teneva tra le mani una grossa bottiglia di champagne, non perse occasione per riempirglielo, ancora prima che potesse opporsi. Versò quell'alcol, fino a farlo strabordare dal bicchiere, colando sulla sua mano e sullo strato resistente di pellicola con cui era stata ricoperta tutta la moquette interna di quello yacht.
Non seppe cosa le prese, ma era del tutto lontana da qualsiasi pensiero. Si era prefissata di vivere il momento, cercando di prendere la decisione più giusta per lei, evitandosi di rimuginare e precludersi opportunità. Si era però dimenticata di mettere in conto che non poteva ragionare in quel modo in ogni situazione che le capitava davanti. Andava bene finché si trattava di qualcosa che poteva crearle un'opportunità, nella sua vita privata o lavorativa. Ma era del tutto diverso quando si trattava di azioni che invece necessitavano di riflessioni attente per essere compiute.
E lei non ci aveva ragionato su affatto, prima di perdere il conto dei bicchieri bevuti, prima di ingollare anche quei due shots di vodka liscia, prendendo parte ad un gioco che nemmeno aveva capito come funzionasse. Aveva un problema con l'alcol e con ogni cosa che potesse alterare i suoi pensieri, ne era consapevole, ecco perché, tutte le volte in cui si ritrovava in situazioni dove entrambe le cose erano presenti, aveva bisogno di mantenere la mente lucida e prendere decisioni ponderate.
Cosa che invece, quella sera, non aveva fatto. Al Festival di Cannes ci era ricascata perché, durante quell'after party, dopo aver preso parte, contro la sua volontà, a quella sfilata, si sentiva del tutto a disagio, attanagliata dall'ansia. In quel momento, però, era capitato per un motivo decisamente diverso. Lasciandosi prendere dallo spirito di festa e dalla voglia di divertirsi, aveva distorto il consiglio che lei stessa si era data, applicandolo ad una situazione del tutto errata e infilandosi così in un guaio.
Se ne rese conto un po' troppo tardi, quando le cose intorno a lei iniziarono a girare in modo per nulla normale e il suo equilibrio a vacillare. Ed eccolo lì, come un fulmine a ciel sereno, del tutto inaspettato, il panico che tornava a bussare alle porte della sua mente, entrando poi senza chiedere alcun permesso, riportandola in quello stato d'ansia che tanto detestava. Si guardò velocemente intorno, cercando una via d'uscita da quell'enorme salone in cui si trovava. Notò delle scale alla sua destra e, senza indugiare ulteriormente o preoccuparsi di dove fossero le persone con le quali era arrivata lì, si diresse verso di esse.
Le salì con non poca fatica, aggrappandosi al corrimano, avvertendo una brezza fredda colpirle parte del corpo, facendole capire di trovarsi sulla parte esterna dello yacht. Raggiunse una delle terrazze, decisamente più tranquille rispetto all'interno, popolate solo da alcune persone. Tutto l'entusiasmo che l'aveva animata fino a quel momento, era scemato, scomparso fino all'ultimo briciolo, lasciando campo libero ai suoi malesseri.
Voleva andare a casa.
Si conosceva fin troppo bene ormai e sapeva di non potersi fidare di se stessa quando alterava le sue percezioni con l'alcol. Sapeva che, se fosse tornata lì sotto, aspettando la fine di quella festa, non sarebbe stata in grado di trattenersi, bevendo per mettere a tacere la sua ansia, peggiorando ancora di più la situazione.
Ma come poteva andare via da lì?
Le persone con cui era arrivata le aveva perse o comunque erano più ubriache di lei. Chiamare un taxi era escluso, perché qualcuno avrebbe potuto riconoscerla e se fosse venuto fuori che, per l'ennesima volta, era stata beccata in giro da qualche parte, in quelle condizioni, la sua carriera, che con quel giorno aveva iniziato a vedere un minimo spiraglio di luce, sarebbe tornata a sprofondare nell'oscurità. Non voleva disturbare ancora Charles, dopo che già quella mattina si era alzato alle cinque per accompagnarla e stare con lei tutto il giorno. Skye era esclusa, dal momento in cui sapeva fosse a Parigi, alla sede centrale della FIA, per questioni di lavoro assieme ai genitori. Chiamare suo fratello, era l'ultimo dei suoi pensieri, visto come stavano le cose tra loro e, in ogni caso, come lei, anche lui era ad una festa con amici.
Le restava solo un'opzione, solo una persona a cui potersi rivolgere per uscire da quella situazione. Guardò l'orario sullo schermo del suo cellulare, erano quasi le due. Si maledì mentalmente per essere stata così stupida e essersi infilata in quel casino con le sue stesse mani, per poi iniziare a cercare il contatto in rubrica. Fece partire la chiamata.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.
E ancora altri.
Stava pensando di mettere giù, ma, prima che potesse farlo, una voce dall'altro capo rispose. «Pronto?» disse, con un tono decisamente influenzato dal sonno, segno che doveva star dormendo, almeno fino all'arrivo di quella chiamata. Ed era così infatti. Lewis si trovava nel mondo dei sogni già da qualche ora, non aveva però potuto ignorare quella vibrazione insistente sul suo comodino e soprattutto, il modo in cui Roscoe, ai piedi del letto, aveva iniziato adabbaiare, sentendola prima di lui.
Aveva risposto al telefono velocemente, senza nemmeno guardare chi fosse. Cosa che fece dal momento in cui non udì nulla dall'altro capo. Vide il nome sullo schermo: "J Reed" e si tirò a sedere di scatto. «Jourdan?» la richiamò, sentendo in sottofondo solo una musica lontana, tipica di qualche festa.
«Lewis» rispose lei, chiamandolo a sua volta per nome, non sapendo nemmeno cosa avrebbe dovuto dirgli. Forse telefonagli era stata un'idea stupida, era troppo ubriaca per poter ragionare razionalmente, non doveva metterlo in mezzo.
«Sono le - controllò l'ora- due del mattino. Va tutto bene?» le chiese, cercando di capire il motivo di quella telefonata.
La ragazza emise un piccolo risolino, interrotto poi da un colpo di singhiozzo. «Alla grande» rispose, appoggiandosi alla superficie lucida e fredda, che l'esterno di quella barca le forniva.
Il pilota non ci credette. «Dove sei?» indagò.
«A Nizza» confessò subito, con fin troppo entusiasmo nella voce. «Su uno yacht» aggiunse, scostandosi per lasciar passare un paio di persone che dovevano scendere quelle scale, stando attenta a non scivolare.
«Cosa ci fai a lì?» le domandò allora, sentendosi ancora più confuso. Capendo però, dal suo tono di voce un po' sbiascicato, che dovesse aver bevuto.
«Alcune modelle con cui ho lavorato oggi mi hanno invitata qui a cena con i loro amici e poi siamo venuti a questa festa» spiegò, cercando anche lei di mettere assieme gli eventi che l'avevano portata fino a quel punto. «E io credo di aver bevuto troppo» il tono si fece improvvisamente più serio. «Vorrei tornare a casa» quasi sussurrò, sentendo una morsa stringerle il petto. «Non sapevo chi chiamare e forse ti ho svegliato... non avercela con me, per favore» le emozioni, che già faticava a tenere a bada normalmente, si fecero ancora più confuse, in balia delle alterazioni del troppo alcol bevuto. «Però mi conosco e so che quando bevo poi combino casini e-» la fermò prima che potesse proseguire con quel fiume di parole un po' sconnesse tra loro.
Lewis si alzò definitivamente dal letto, dirigendosi verso la cabina armadio, iniziando già a recuperare qualcosa con cui vestirsi. «Calma» la rassicurò. «Vengo io a prenderti» disse deciso. «Dammi solo il tempo di arrivare lì. Nel frattempo, non muoverti e non combinare casini» si raccomandò. «Okay?» insistette, non ricevendo risposta.
«Okay» confermò lei. La chiamata si chiuse e Jourdan si perse per qualche secondo ad osservare il mare che si estendeva ai suoi piedi. Rimase a debita distanza da quel parapetto, mantenendo sempre la schiena poggiata alla superficie dietro di lei. Decise di aspettare lì, raggiungendo l'uscita solo quando lui l'avesse avvisata del suo arrivo. E così fu, dopo una mezz'oretta, Lewis la richiamò e lei non perse tempo. Scese quelle scale con cautela e si diresse fuori, incrociando subito il suo sguardo oltre quella passerella. Lo raggiunse, oltrepassando i due bodyguard, poggiando finalmente i piedi sulla terra ferma.
«E le scarpe?» le domandò subito, vedendola con indosso solo dei calzini bianchi. Jourdan si guardò i piedi, per poi voltarsi verso la stiva aperta dello yacht. Fece scorrere gli occhi su quella miriade di calzature ordinatamente riposte, avvertendo un senso di nausea al solo pensiero di cercare le sue.
Tornò a guardarlo, scuotendo la testa, per poi annullare la distanza tra loro, aggrappandosi al suo braccio. «Va bene, andiamo» disse allora, camminando assieme a lei fino alla sua auto, parcheggiata a soli pochi metri di distanza. La aiutò a salire, per poi raggiungere velocemente la postazione di guida.
Prima di mettere in moto, si prese qualche secondo per osservarla. Indossava quel vestitino dalla tipica fantasia estiva e il colore pastello, aveva i capelli sciolti e un trucco del tutto naturale, composto solo da del mascara. Era chiaro che quella mattina non fosse uscita con l'idea di dirigersi poi ad una festa. Spostò gli occhi sul suo viso, notando le lievi lentiggini che le puntellavano il naso e gli zigomi. Lo sguardo era perso in un punto indefinito oltre il parabrezza e sembrava stanco, triste.
Per la prima volta da quando aveva ricevuto quella chiamata, riflette su tutta la situazione. Quella ragazza gli aveva telefonato nel pieno della notte, chiedendogli di andarla a prendere e lui, senza pensarci su nemmeno un secondo, era saltato in macchina e aveva guidato fino a lì. E ora, davanti all'immagine di lei, persa in quell'alcol che aveva in corpo, provava quasi rabbia per come avesse chiaramente compiuto ogni sua azione senza la minima razionalità. E quella rabbia poi, forse non era altro che preoccupazione nei suoi confronti.
Si scoprì quasi felice all'idea che l'avesse chiamato, perché ora, immaginarsela mentre vagava per quell'enorme yacht, ubriaca, con la possibilità che si potesse cacciare in qualche guaio, era uno scenario che non gli piaceva affatto. Le poggiò una mano sulla spalla, attirando la sua attenzione. «Va tutto bene?» chiese, alzando un sopracciglio. Lei si limitò ad annuire. «Dimmi solo che non ti viene da vomitare e che non ti verrà nemmeno per tutto il resto del viaggio, ti prego» la fece sorridere.
«Lo giuro» alzò le mani e lui sperò davvero che fosse la verità. Mise in moto, partendo velocemente, dirigendosi verso l'autostrada.
Jourdan lo scrutò di sottecchi, beandosi di quell'immagine di lui mentre guidava, con l'espressione seria, concentrata sulla strada. Aveva indossato un paio di jeans scuri, larghi e una maglietta dalla stampa vintage, legando poi ordinatamente le treccine. Osservò le mani tatuate, libere da qualsiasi accessorio, stringersi attorno alla pelle del volante, mentre seguiva l'andamento della corsia che stavano percorrendo e avvertì una scossa nel basso ventre, come ormai capitava ogni volta in cui si trovava in macchina con lui.
Allungò il braccio, adagiando la sua di mano sulla coscia del pilota. Lewis le lanciò un'occhiata veloce, evitando però di perdere la concentrazione. «Stavo pensando che magari potremmo andare anche a casa tua» ammiccò, facendo scorrere le dita su e giù, disegnando linee immaginarie.
«Sei ubriaca e tutto quello che farò stasera sarà riportati a casa tua -marcò quelle tre lettere- e poi tornare a dormire nella mia» chiarì deciso, riprendendo quello stesso concetto che già in occasione del Festival di Cannes, quando si erano ritrovati in una situazione simile, le aveva spiegato. Non si sarebbe mai lasciato andare, approfittato dei suoi confronti, sapendo che non fosse del tutto lucida. Il consenso era fondamentale per lui e non sarebbe mai venuto meno a questo suo principio, anche se passare una notte con lei di certo non gli sarebbe dispiaciuto, ma non in tali condizioni.
Jourdan ritrasse la mano, incrociando le braccia al petto e abbassando lo sguardo. Il resto del viaggio fu silenzioso, ma passò velocemente, tant'è che quasi si stupì quando vide il palazzo che ospitava casa sua, oltre il finestrino. Lewis spense l'auto, scendendo e aggirandola, per aprirle la portiera. «Ce la fai a salire da sola?» domandò, vedendola subito annuire. Ma, il modo in cui inciampò, rischiando di cadere mentre scendeva dall'auto, gli fece capire che la risposta a quella domanda in realtà era negativa.
«Merda... okay» guardò il palazzo davanti a lui, non riuscendo a credere di essere davvero in quella situazione. Non poteva lasciarla andare da sola, se nemmeno era certo che riuscisse ad arrivare fino all'appartamento senza cadere o farsi male. Perciò, gli sarebbe toccato entrare in quel luogo che ospitava la casa di Max, sperando di non incontrarlo, per nessuna ragione al mondo, in una situazione del genere.
Oltrepassarono la soglia d'entrata, immettendo un codice che Jourdan, con un po' di fatica, digitò. Presero l'ascensore, che li lasciò al nono piano e poi, con un secondo codice sul tastierino apposito, la ragazza aprì anche la porta di quell'appartamento.
«Aspetta, aspetta» la richiamò, quando la vide entrare in casa, lasciandolo indietro, sulla soglia. Lei abitava lì, ma allo stesso tempo quello era anche l'appartamento di Max. Aveva rischiato abbastanza già salendo fino a lì, voleva evitare di spingersi oltre. La vide aggrapparsi al mobiletto posto all'entrata, rischiando quasi di far cadere alcune chiavi che vi erano poggiate sopra, provocando comunque un po' di rumore. Ancora una volta si disse che non avrebbe potuto andarsene, senza prima essersi accertato che si mettesse a letto e non potesse più combinare danni.
«Vieni, fa come se fossi a casa tua» lo invitò, voltandosi verso di lui, come se nulla fosse successo. Ma, l'ultima cosa che Lewis aveva intenzione di fare lì dentro, era proprio sentirsi a casa. «Non c'è mio fratello. È fuori con degli amici» gli rese nota quell'informazione, intuendo la sua preoccupazione, procurandogli un po' di sollievo.
Decise, un po' riluttante comunque, di entrare, chiudendosi la porta alle spalle. Si guardò attorno, esplorando l'ambiente circostante. Tutto sembrava essere in ordine, fatta eccezione per alcune cose poggiate sull'isola della cucina e due paia di scarpe adagiate accanto al mobiletto dell'entrata. Era un'appartamento dai toni moderni, caratterizzato da un design pulito e i colori chiari, ma nessun oggetto che delineasse il proprietario di quel posto.
In effetti, Max non aveva appesa alcuna fotografia o soprammobile che potesse far riferimento a qualche parte della sua vita. Fatta eccezione per la stanza dove si trovava tutta la sua postazione per giocare online con gli amici o allenarsi nella guida da remoto. In giro per il resto della casa, non vi era nulla che facesse pensare fosse un pilota di Formula 1. Tutto veniva racchiuso in quell'unica camera.
Lewis riportò l'attenzione sulla ragazza, quando la vide sparire dietro una porta. La seguì, restando sempre cauto. Si ritrovò in quella che doveva essere la sua stanza e ancora una volta notò la mancanza di un qualsiasi particolare che potesse ricordagliela. Tutto restava lineare, come se fosse una casa da esposizione. Il pilota si avvicinò a lei, fermandosi a pochi passi di distanza. Prima che potesse aprire bocca, lei lo precedette.
«Scusa» sentì di doverglielo dire, anche se ancora il suo cervello era annebbiato dall'alcol. Tenendo lo sguardo fisso sul pavimento, chiese scusa a lui e allo stesso tempo anche a se stessa, per aver permesso, ancora una volta, alle sue debolezze di sopraffarla. Aveva ceduto, ricascandoci per l'ennesima volta. Avrebbe mai imparato?
Quando era con i suoi amici, non aveva alcun problema a evitare l'alcol o qualsiasi altra brutta abitudine. Le era capitato spesso di andare a delle feste con loro, vederli bere, qualcuno fino a ubriacarsi, mai però aveva ceduto. Nel frangente del suo mondo, assieme alle persone che ne facevano parte, non riusciva a trattenersi. Avrebbe dovuto imparare a farlo, a tutti i costi. Perché, se davvero desiderava riprendere in mano la sua vita, smettendo di esistere solo all'ombra del suo nome, smettendo di essere uno spettatore passivo, allora non poteva di certo permettersi di darla sempre vinta alle debolezze.
Lewis tirò la bocca in un mezzo sorriso. «Tranquilla» la rassicurò, accarezzandole un braccio. «Poi ne parleremo meglio quando sarà il momento» si ripromise, volendo più chiarezza su come fossero andate le cose durante quella giornata. «Adesso però, dovresti davvero metterti a letto e riposare» le intimò, assumendo un'espressione più seria.
Jourdan si liberò di quel vestitino leggero, dopo aver lanciato via le calze, abbondando anch'esso disordinatamente sul pavimento, restando con indosso solo un paio di slip. Il pilota non riuscì ad evitarsi di lasciar ricadere il suo sguardo su quel corpo dalle forme armoniche, che tanto gli piaceva, che era certo non si sarebbe mai stancato di guardare. Restò però fedele al suo pensiero, evitando di avvicinarsi a lei e posare le mani su quella pelle chiara, carezzandone la morbidezza, beandosi dei brividi che le avrebbe provocato nel farlo.
La ragazza recuperò una semplice canottiera dalla cassettiera, indossandola e poi lasciandosi ricadere seduta sul letto. Gli lanciò uno sguardo un po' perso, prima di distendersi di schiena sul materasso. Lewis la raggiunse, trattenendo un sorriso, mentre lei si sistemava meglio tra quelle lenzuola. Il pilota si accovacciò, la modella si voltò su un fianco, incrociando così i loro occhi. Si osservarono per qualche secondo. «Buonanotte» le disse lui, percependo che fosse arrivato il momento di andare, lasciando finalmente quella casa in cui avrebbe proprio preferito non mettere piede.
Jourdan fece uscire un braccio da sotto quel lenzuolo, afferrandolo dal colletto della maglietta che stava indossando. Lo attirò a sé, lasciandogli un casto bacio sulle labbra, al quale lui non si oppose. Una volta staccatasi, tornò ad adagiarsi del tutto sul cuscino, chiudendo gli occhi, lasciando però le labbra tirare in un leggero sorriso. Lewis la guardò ancora per qualche secondo, prima di darle le spalle.
Le piaceva.
Nonostante tutto, le piaceva.
Ma poteva davvero pensare di andare oltre in quel rapporto che si stava creando? Insomma, come tutti, lei si portava dietro un bagaglio di problemi e, in quel caso, non era piccolo, anzi, era bello pieno, a rischio di esplosione da un momento all'altro. E lui era davvero pronto a convivere con essi?
Forse non era quello il momento giusto per fare una riflessione così importante. Non in quella casa, alle quattro del mattino. Sarebbe stato meglio rinviare a mente più lucida, magari anche con l'aiuto dei suoi migliori amici, che mai avevano fallito nel consigliarli. Si chiuse la porta della stanza alle spalle, pronto per uscire definitivamente da quella casa. I suoi passi però si congelarono, nel momento in cui lo sguardo incrociò quello di un'altra figura, proprio lì nel salotto.
Max lo stava osservando con un misto tra rabbia e incredulità negli occhi.
Era appena rientrato a casa, dopo una serata passata in compagnia di alcuni amici, tra cui anche Lando, con il quale aveva avuto occasione di parlare meglio riguardo quella foto, che ritraeva la sorella e il giornalista assieme in un bar di Londra, che gli aveva inviato. Un qualcosa del quale ancora non aveva discusso con la ragazza, volendo prima provare a inquadrare meglio la situazione. E ora, si ritrovava lì, che usciva tranquillamente dalla porta della stanza di Jourdan, proprio lui, Lewis Hamilton.
«Che cazzo ci fai in casa mia?» domandò subito, in modo schietto, non riuscendo a tenere a bada il nervosismo che si stava del tutto appropriando di lui.
Lewis rimase in silenzio per qualche secondo. «Ho riportato a casa tua sorella» scelse di dire la verità, restando quanto più possibile razionale in quella situazione scomoda.
Max strabuzzò gli occhi, volendo quasi credere di aver sentito male. «Come prego?» chiese, per accertarsi ulteriormente.
«Era ad una festa, aveva bevuto troppo e voleva tornare a casa prima di combinare qualche guaio» gli spiegò, camminando in avanti, volendo raggiungere quella porta d'uscita il prima possibile.
«E ha chiamato te per andare a prenderla e portarla qui?» Max si avvicinò minaccioso a lui, contraendo la mandibola con rabbia. Sua sorella poteva pensare che fosse scemo quando voleva, ma ormai sarebbe stato chiaro anche ad un cieco che qualcosa sotto, tra quei due, c'era. E Jourdan, ancora una volta, invece che andare da lui, aveva scelto di chiamare Lewis.
Dopo l'incidente che avevano avuto nel Gran Premio di Monaco, era sgattaiolata fuori casa di notte, per recarsi dall'inglese. Perché non si era mai bevuto la bugia che in realtà fosse da Skye. E adesso, invece di chiamare il fratello, aveva preferito rivolgersi, un'altra volta, al suo rivale in pista.
Fu una consapevolezza che lo colpì, facendogli male, ferendolo, anche se in modo non visibile, nel profondo. Un qualcosa che venne accentuato, nel momento in cui udì la risposta di Lewis. «Non è colpa mia se ha pensato di chiamare prima me che te» glielo disse quasi sfidandolo, dando un piccolo spazio libero a quel rancore che provava verso i suoi confronti e che era certo di aver ormai seppellito.
Max strinse le mani in due pugni, facendo appello a tutto il suo autocontrollo per evitare di combinare qualche cazzata. «Vai fuori da casa mia» gli ordinò con tono severo, indicandogli la porta. Lewis non se lo fece ripetere due volte, aspettando solo quel momento per potersi finalmente lasciare tale appartamento alle spalle. Tirò un sospiro di sollievo quando lo fece, raggiungendo velocemente la sua macchina e mettendo quanta più distanza possibile tra lui e quel palazzo.
L'altro, invece, rimase ancora per qualche secondo lì, fermo in salotto, cercando di capire cosa fare. Puntò lo sguardo sulla porta della stanza di sua sorella, chiedendosi se fosse davvero il caso di svegliarla e aprire una discussione a quell'ora, non sapendo nemmeno se fosse già del tutto sobria oppure no. Si rese conto che non sarebbe stato l'ideale e si ripromise di aspettare il giorno seguente, decidendo di smetterla di fingere di non vedere le cose. Era passato sopra a tanti accadimenti ed era stanco di essere preso in giro da lei. Era arrivato il momento, per Jourdan, di trovare il coraggio di dirgli la verità, riguardo ogni cosa gli stesse nascondendo.
Perché, per quanto aveva sempre preferito non sapere, si rendeva conto che il loro rapporto non avrebbe mai potuto vedere un vero spiraglio di luce, se prima non si fossero parlati chiaramente, smettendola di nascondersi dietro le loro stesse ombre, presenti e passate.
🌟🌟🌟
Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻
Non voglio dilungarmi troppo perché il capitolo è già abbastanza lungo e corposo di suo.
Detto ciò, preparatevi, perché nel prossimo ci saranno un po' di confronti a cui assistere, a partire da quello tra Max e Jourdan👀
Riusciranno a chiarire le cose?
Nel frattempo, dopo questo incontro inaspettato, anche Lewis ha un po' di cose su cui riflettere.
Chissà a che conclusioni arriverà? E chissà se i suoi amici saranno in grado, ancora una volta, di consigliargli al meglio🤷🏻♀️
Per scoprirlo, non dovrete fare altro che continuare a leggere😈
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XOXO, Allison💕
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