Capitolo 19 - Vetro


Regno Unito, Inghilterra.
Silverstone Circuit.

Ogni volta in cui si spingeva al limite era come se infrangesse un vetro.
Migliaia di scaglie esplodevano e venivano schizzate ovunque, aprendogli un passaggio che gli permetteva di proseguire sulla strada che si era prefissato.
Non sempre però, quelle schegge lo lasciavano passare indisturbato. Spingersi al limite comportava spesso delle controindicazioni.

I vetri si rompevano ed era probabile che ti colpissero. Le ferite poi, potevano anche essere profonde, non semplici da curare, da rimarginare.
Eppure, nonostante tutto, era incapace di farne a meno di quell'adrenalina, della sua forza di volontà, della sua fame di traguardi. Tutto ciò era più forte del dolore che sarebbe potuto arrivare, valeva sempre la pena, per lui, di rischiare.

Oltre alle ferite, quei vetri portavano con sé anche il riflesso delle sue azioni, di se stesso. Erano come uno specchio della sua anima, della vita che aveva costruito. Andava in mille pezzi per qualche secondo e poi si trasformava, ricomponendosi in un nuovo tassello che si sarebbe adagiato sul cammino che stava percorrendo.

Premette il piede sull'acceleratore, affrontando il rettilineo che si estendeva davanti ai suoi occhi, percependo la macchina come un prolungamento naturale del suo stesso corpo. Strinse il volante tra le mani, imboccando le curve che il circuito presentava, cercando di entrarvi e uscirvi nel migliore dei modi, così da non perdere nemmeno un preziosissimo secondo.

In quella gara era partito primo, dopo essersi conquistato la pole position. A seguito di un pit-stop, durante il quale aveva perso più tempo del previsto, per via di un errore da parte dei meccanici della Ferrari, che avevano dato il via libera a Sainz per poter lasciare la pit-lane, quando lui stava già arrivando a pochi metri di distanza, rischiando quasi di far scontrare le due auto. Ora si ritrovava qualche posizione indietro rispetto la testa di quella corsa.

Aveva effettuato già alcuni sorpassi, arrivando secondo. Dopo essersi lasciato alle spalle Leclerc, davanti a sé vedeva perfettamente la macchina dell'altro suo avversario per quel mondiale. Verstappen però, risultava ancora troppo lontano. Ma lui continuava a guidare cercando di non commettere il minimo errore, così da recuperare tempo e terreno, per poter riprendersi in fretta quella prima posizione.

«Okay, Lewis, è il momento dell'Hammertime» udì la voce di Bono tramite gli auricolari, che gli rese impossibile trattenere un sorriso. Non si deconcentrò, non rispose nemmeno, decidendo di lasciar parlare la pista, come sempre suo padre gli aveva consigliato di fare.

Anthony Hamilton, sin dal primo momento in cui aveva fatto salire il figlio su un kart, si era raccomandato con lui di non sprecare fiato, di non perdere tempo a controbattere alle accuse o alle provocazioni. Il modo migliore per zittire chi aveva troppa voglia di parlare a sproposito, era attraverso le sue azioni in pista. E così, Lewis aveva sempre fatto, scegliendo di restare calmo davanti alle critiche crudeli e ingiustificate che gli venivano mosse da chi viveva con l'invidia, la cattiveria e l'ignoranza nel cuore, lasciando che a zittirli ci pensassero i suoi traguardi. Il padre gli aveva insegnato ad amare i fatti e non le parole, perché con queste ultime tutti sono bravi.

E proprio lui, che aveva contribuito a rendere possibile il suo sogno e a farlo diventare l'uomo che era, si trovava ora dentro i box della Mercedes, con un paio di cuffie sulle testa e lo sguardo concentrato verso i monitor degli ingeneri. In silenzio, con un'espressione indecifrabile, tifava per suo figlio, sentendosi riempito di orgoglio nel vedere chi e cosa era diventato. Aveva sempre creduto in lui, anche quando nessun altro lo faceva, anche quando gli dicevano che sarebbe stato impossibile, che i soldi non sarebbero mai bastati, che quello non era uno sport per un bambino con un colore di pelle come il suo. Anthony era sempre rimasto dalla sua parte, non lasciandosi mai scoraggiare.

Avevano lavorato duro, assieme, costruendo, passo dopo passo, pezzo dopo pezzo, quella via che li aveva condotti verso ciò che Lewis aveva sempre desiderato. E alla faccia di chiunque li aveva screditati, discriminati e derisi, adesso guardava suo figlio, assieme agli occhi di quelle persone, continuare a fare la storia di quello sport. Una storia sulla quale aveva già scritto abbondantemente, a caratteri cubitali e indelebili, il suo nome: Lewis Hamilton.

Un nome, che andava anche oltre lo sport stesso, oltre i traguardi e i numeri. Un nome che aveva lasciato il segno, rimescolando le carte in tavola, portando dei cambiamenti positivi all'interno di un ambiente che necessitava quel tipo di crescita.

Accanto ad Anthony, vi era anche sua moglie, la donna che, assieme alla sua madre biologica, aveva contribuito a crescerlo. E infine il fratello, Nicholas, concentrato come il padre sui dati che comparivano sugli schermi. Il resto della sua famiglia, le sorelle, la mamma e i nipoti, si trovavano invece all'interno del motorhome, per evitare di affollare i box e recare un qualsiasi possibile fastidio a chi vi stava lavorando dentro.

Lewis sapeva della presenza della sua famiglia, oltre che quella dei suoi amici e anche per questo aveva una particolare voglia di tagliare quel traguardo da primo. Si trovava in Inghilterra, nel circuito di casa, una pista che aveva un rettilineo con il suo nome, circondato da una miriade di fan e compaesani, oltre che dai suoi cari. Questo gli donava una forza e una sicurezza incredibile, che lo stava spingendo a guidare al massimo delle sue capacità.

Tra tutti, solo una persona sembrava mancare all'appello. La stessa che era mancata anche nei giorni precedenti. Jourdan, da dopo quegli hot laps, non si era più fatta vedere. Non si era presentata a Silverstone e non aveva mai pensato di mandargli nemmeno un messaggio, come invece spesso avevano fatto nelle settimane precedenti. Non aveva idea di dove fosse, soprattutto dal momento in cui, invece, la sua amica era sempre stata presente sul circuito.

La ragazza sembrava semplicemente essersi dileguata nel nulla. Eppure gli aveva detto che sarebbe rimasta lì fino a domenica, che sarebbe rimasta nei paraggi e avrebbero quindi avuto tempo di rivedersi per provare a passare del tempo da soli.
Lewis si era fatto passare per la testa parecchie ipotesi per provare a dare una giustificazione alla sua mancanza. Forse era dovuta partire per un'emergenza, forse non era stata molto bene o forse, semplicemente, non aveva più alcun interesse ad andare su quei circuiti, a vederlo.

E se l'ultima di queste opzioni avesse rispecchiato la verità, allora la sua convinzione sul fatto di non essere il solo a provare curiosità nei suoi confronti e voglia di scoprirsi, sarebbe stata solo un abbaglio. Erano pensieri, quelli riguardanti Jourdan, che stava rigorosamente tenendo lontano dalla sua testa. In un momento tale, aveva bisogno della massima concentrazione, ogni cosa che avrebbe potuto nuocere ad essa non poteva assolutamente entrare a disturbare la sua mente.

Era una capacità che ogni pilota doveva avere ed essere in grado di padroneggiare al meglio, perché se i problemi esterni iniziavano ad essere portati in pista, allora tutto cominciava a crollare. Ecco perché evitò comunque di rivolgere i suoi pensieri alla modella, anche nel momento in cui la macchina di Max fu decisamente più vicina.

Ancora una volta, lasciò che il suo piede si abbandonasse completamente sopra l'acceleratore, mentre gli occhi restavano fissi sulla strada davanti a sé. Seguì le fattezze della pista, continuando ad avvicinarsi alla monoposto della Red Bull, che gli stava davanti. I tempi scendevano quasi ad ogni giro, riusciva a migliorarsi e quando non lo faceva, comunque restava perfettamente sugli stessi minuti del suo avversario. E quando si ritrovò sotto il secondo da lui, entrando nella zona DRS della pista, non perse tempo, attivandolo subito e tentando il sorpasso.

Max stava seguendo con lo sguardo l'auto del suo avversario, attraverso lo specchietto retrovisore e quando lo vide avvicinarsi in quel modo, si mise subito all'opera per proteggere la sua posizione. Gli chiuse la strada, costringendolo a lasciare l'acceleratore. L'inglese però non si fece scoraggiare, restando sempre pericolosamente vicino a lui. E appena ne riebbe l'occasione, ci riprovò.

Proseguirono su quel rettilineo, quasi fianco a fianco, fino a che Lewis passò davanti, affrontando così la curva Copse, mantenendolo dietro di lui.
«Questa curva ci regala sempre tanto spettacolo, è incredibile» commentò uno dei telecronisti, facendo riferimento a molti degli avvenimenti che negli anni erano accaduti proprio in quel punto del circuito. La stagione precedente, l'aveva visto protagonista di un sorpasso ad arte compiuto da Leclerc su Lewis. Mentre, quella ancora prima, era stata segnata dal tumultuoso incidente che aveva visto coinvolti, ancora una volta, proprio Max e Lewis.

«Hai proprio ragione, chissà se dopo quella combattuta stagione, entrambi riusciranno a terminare la gara su questa pista o si scontreranno nuovamente» aggiunse il collega, con tono esaltato.

Max, a sua volta, non lasciò perdere quella battaglia, superandolo ancora, tornando alla testa della gara. Ci rimase per poco però, perché alla leggera curva Chapel, Hamilton passò nuovamente avanti e su quel rettilineo nel quale poteva spingere la macchina alla massima velocità, si prese lo spazio necessario per lasciare un distacco tra i due. Inizialmente minimo, ma che poi, giro dopo giro, mentre continuava a guidare con la massima concentrazione, portando l'auto al limite, diventò sempre più significativo.

«Devo rallentare per il degrado gomme o posso continuare a spingere?» domandò a Bono.

«I dati sono buoni, Lewis. Le stai gestendo bene. Tu come le senti?» chiese di rimando, volendo avere una conferma anche da lui, che si trovava sulla monoposto e poteva quindi avere una sensazione diversa rispetto ai dati che leggeva sui monitor.

«Io non sento problemi. Anzi, vorrei provare per il giro veloce» aggiunse, sapendo che ormai ne mancassero pochi alla fine di quella gara.

Bono vide Toto fare un sorriso, dopo aver udito tale dichiarazione. «Lewis, hai già tu il giro veloce» gli comunicò.

«Ah... okay» chiuse quella conversazione, non volendo più distrarsi, volendo pensare esclusivamente a quegli ultimi chilometri che gli mancavano per chiudere la gara. I giri calarono e al cinquantaduesimo, tagliò il traguardo per l'ultima volta quel giorno, incontrando la bandiera a scacchi e vincendo il Gran Premio d'Inghilterra.

«Congratulazioni, Lewis!» esclamò Toto, aprendosi via radio con lui. «Hai fatto una gran gara e nonostante quell'imprevisto hai rimontato velocemente, guidando sempre in modo impeccabile» si compimentò.

«Grazie, Toto! E grazie anche a tutto il team per il duro lavoro che fa sempre, ogni giorno. Sono orgoglioso di tutti noi e come sempre, per restare al top, continuiamo a spingere» rispose, dopo essersi lasciato andare a qualche esultanza. Non c'era sensazione come quella di vincere a casa e lui la smaniava da parecchio tempo, dal momento in cui, l'anno precedente non aveva avuto un macchina competitiva che potesse permetterglielo. Ma lui non se ne era mai andato, non aveva mai mollato e adesso che la monoposto era tornata al vecchio splendore di sempre, poteva guastare nuovamente quelle emozioni indescrivibili.

Rallentò la velocità, avvicinandosi al bordo della pista, avvistando uno dei marshall che, come da tradizione ormai, si era premurato di portargli una bandiera inglese. L'afferrò dal manico, facendogli un gesto della mano, ringraziandolo, per poi ripartire e compiere un altro giro della pista, lasciando che quella stoffa riportante i colori del suo paese svolazzasse con l'aria, fuori da quella macchina.

Tra le urla di gioia della folla, si accinse poi a raggiungere il parcheggio riservato all'auto del vincitore. Non perse tempo, scendendo velocemente, mantenendo alta quella bandiera, poggiandola solo per liberarsi dei guanti e successivamente del casco. La fece sventolare ancora per qualche secondo, incontrando lo sguardo dei tifosi che urlavano il suo nome, per poi lasciarla nelle mani di uno degli addetti e correre ad abbracciare il suo team, attraverso quelle basse transenne che li dividevano.

Le braccia del padre gli cinsero il collo, attirandolo a sé. «Bravo, sei stato grande lì fuori» gli disse, tenendolo stretto.

«Grazie, papà» gli rispose, sorridendogli allegramente.

E, tra i tanti occhi che stavano osservando tale scena, vi erano anche quelli di Max.
Da lontano, il ragazzo, con il casco ancora tra le mani, prima di entrare nella cool down room, si era perso per un attimo a guardare l'abbraccio genuino e amorevole che Lewis e suo padre si erano scambiati. Vide bene l'espressione di Anthony, il modo in cui gli stava sorridendo e come i suoi occhi brillavano, era fiero di suo figlio, era felice. Due emozioni che nelle iridi di Jos, invece, non aveva mai scorto.

Perché suo padre non era in grado di dargli quel tipo di amore, che ogni genitore dovrebbe riservare al proprio figlio? Perché anche lui non poteva essere fiero di quello che faceva? Era forse colpa sua? Sbagliava qualcosa o aveva sbagliato qualcosa negli anni?
Si chiedeva come mai potesse essere così difficile per Jos comportarsi come gli altri papà e gli veniva difficile discolparsi. Una parte del suo inconscio continuava a pensare che fosse lui stesso il problema in tutta quella situazione. Anche se non era così.

Si guardò attorno, oltre al suo team, per lui, lì, non vi era nessuno. Suo padre, sua madre, sua sorella, nessuno. Scosse la testa, scegliendo, per l'ennesima volta, di lasciarsi scivolare tutto addosso, fingendo che non lo toccasse, per poi dirigersi dietro al podio.

A farsi strada tra la folla di persone, fu Toto, che, con suo figlio sulle spalle, raggiunse le transenne. Si congratulò ancora con il suo pilota, mentre il piccolo Jack non riusciva a togliersi il sorriso dalle labbra. Il padre lo fece scendere, continuando però a tenerlo in braccio. «Hai vinto» parlò il bambino, sporgendosi verso Lewis.

«Te l'ho detto che avrei guidato ancora meglio, solo per te» gli ricordò, stringendogli la mano che gli stava porgendo, per poi regalargli un piccolo abbraccio.

Il dolce viso del bimbo, incrociato dai capelli a caschetto biondo cenere, si illuminò ulteriormente di felicità. Ma quel momento non potè durare ancora molto. «È ora di salire sul podio» gli ricordo Toto, indicandogli uno dei marshal che stava cercando di attirare l'attenzione del pilota.

La cerimonia di premiazione si svolse come sempre. Dopo le conferenze stampa e le interviste post gara, ogni pilota fu libero di ritornare al proprio motorhome, per rinfrescarsi, rilassarsi, cambiarsi e lasciare quel circuito, in vista della prossima tappa.

Max, uscito dalla stanza delle conferenze, incontrò Skye, sulla strada verso l'hospitality del suo team. «Complimenti» gli disse, attirandolo in un abbraccio veloce, che lui ricambiò.

Le rispose con un cenno della testa e un flebile: "Grazie", lasciando che fosse lei a proseguire con quella conversazione. «Lando ha prenotato alcuni tavoli in uno dei più prestigiosi locali in centro» gli disse qualcosa che già sapeva. «Ci sarai anche tu?» chiese poi.

Il ragazzo annuì. «Sì. Avrò il piacere di incontrare lì anche mia sorella? Dopo che non la vedo o sento da più di una settimana?» domandò, alzando un sopracciglio.

«Non credo. Non sta ancora molto bene, ha mangiato qualcosa che deve averle fatto male...» lasciò la frase in sospeso, non avendo idea di quali altri dettagli aggiungere a quella che era a tutti gli effetti una bugia.

Jourdan stava benissimo, semplicemente, da quando era arrivata nella camera del nuovo hotel in centro nel quale si erano spostate, dopo essere stata fuori tutta la giornata, le aveva detto che avrebbe avuto necessariamente bisogno di tempo per riflettere. Non le aveva spiegato altro, si era limitata a guardarla dritta negli occhi, con quell'espressione quasi preoccupata, chiedendole di non farle domande e di non contrastare quella sua decisione di prendersi dei giorni per se stessa, per: "Riordinare i pensieri", ricordò le sue testuali parole. Una richiesta, fatta in un modo che l'aveva messa all'angolo, impedendole quasi di controbattere, lasciandole come unica via quella di acconsentire.

E così era stato. Durante quei giorni aveva evitato di indagare o di chiederle di andare con lei sul circuito, lasciando che passasse le ore chiusa dentro quella stanza, sperando che tutto ciò le sarebbe davvero servito a qualcosa.

«Quando? Ma cos'ha mangiato? E adesso sta bene?» preoccuparsi, per Max, fu inevitabile. Per anni, per via di una miriade di motivi che glielo avevano impedito, non aveva potuto farlo, scegliendo di non sapere, per evitare di impensierirsi o incolparsi. Ma ora, che si erano, in qualche modo, ritrovati, restare distaccato era impossibile.

«Non allarmarti, sta bene. Non credo sia stato tanto qualcosa che ha mangiato, quanto il fatto che, beh... ha il ciclo e sai, fa caldo, non è a casa sua» si stava decisamente arrampicando sugli specchi, non era brava a dire quel tipo di bugie in situazioni del genere. «Insomma, adesso sta bene» tagliò corto, sperando di averlo convinto.

Max arricciò le labbra, per poi alzare le mani. «Okay, di questa situazione te ne intendi decisamente più tu di me» ammise, non essendo poi così ferrato in fatto di crampi o qualsiasi tipo di altro dolore dovuto al ciclo. «Perciò, se mi dici che sta bene, mi fido» Skye tirò un sospiro di sollievo. «Ma, se dovesse esserci qualsiasi cosa...» si grattò la nuca. «Lo so che adesso il nostro rapporto è alquanto teso, però, ecco... tu chiamami» concluse con un po' di difficoltà quella frase, arrivando però al punto del discorso.

«Certo, di questo non devi preoccuparti» lo rassicurò, stoppando i suoi passi, nel momento in cui entrambi raggiunsero il motorhome della Red Bull. «Allora, ci vediamo stasera» gli disse.

Il pilota annuì, per poi parlare ancora, prima che lei andasse via. «Potrei passare a prenderti e potremmo andare insieme alla festa» propose, stringendosi nelle spalle.

Skye trattenne quel sorriso felice che scalpitava per uscire, cercando di restare calma e di non far intravedere il suo entusiasmo per quell'idea. «Sì, mi sembra perfetto» disse semplicemente. «Ci sentiamo per telefono per l'orario» aggiunse e dopo che lui acconsentì, si salutarono con un bacio sulla guancia, proseguendo ognuno per la propria strada.

La ragazza, finalmente lasciò sfogare quel sorriso, mentre lui riportò la sua mente indietro, fino al bacio che, da ubriachi, si erano scambiati in quel locale di Monte-Carlo, lo stesso bacio che stava fingendo di non ricordare, del quale non aveva mai voluto parlare con lei, confessandolo solo a Daniel. Non era certo del reale interesse che provava nei confronti di Skye, non sapeva dire se fosse qualcosa che poteva portarlo oltre quel contatto che avevano avuto o se fosse semplice amicizia che ormai li legava da un bel po' di tempo. Forse, però, come aveva detto Danny, solo provando a spingersi un po' più in là lo avrebbe scoperto.

Nel frattempo, il circuito si era svuotato, i tifosi, i piloti e la maggior parte degli addetti ai lavori erano tornati nelle loro case o nei loro hotel, riposandosi finalmente, dopo quella giornata impegnativa.
Il sole si trovava adagiato sull'orizzonte, pronto a tramontare da un momento all'altro, regalando una spettacolare vista a chiunque fosse ancora presente su quella pista.

Tra questi, vi era anche Lewis, che però non stava prestando attenzione al cielo fuori da quelle vetrate. I suoi occhi scuri erano concentrati sullo schermo del computer che aveva davanti e furono costretti a lasciarlo solo quando udì una voce femminile farsi spazio nella stanza. «Ehi» lo richiamò Angela. «Gli altri sono andati via tutti» si riferiva al loro team. «Loro volevano venire a salutarti invece» fece entrare i suoi nipoti, che subito gli corsero incontro con dei grandi sorrisi sulle labbra.

«Zio!» gridarono, gettandosi addosso di lui, ancora seduto su quella sedia.

«Ciao, piccole pesti» li salutò, scompigliandogli i capelli e lasciandogli qualche bacio sulle guance. «Vi siete divertiti oggi?» domandò, tenendoli entrambi seduti sulle sue ginocchia.

«Tantissimo» rispose Kaden, allargando le braccia, enfatizzando le sue parole.

Willow si intromise. «Sei stato molto bravo, zio» gli disse, alzando le sopracciglia. La ringraziò con un bacio sulla fronte. Non riusciva a definire la quantità di gioia che i suoi nipoti riuscivano a donargli, forse era anche paragonabile a quella che provava quando saliva sul podio. Amava passare del tempo con loro, vederli felici e regalare a tutti e tre degli indimenticabili bei ricordi assieme. Le corse, la sua famiglia e i suoi amici, erano le cose più importanti che aveva, senza le quali non sapeva proprio stare.

«Sir Lewis» lo richiamò Kaden, con quel soprannome scherzoso che gli piaceva usare, da quando lo avevano proclamato Sir, lì in Inghilterra. «Vieni a casa con noi adesso?» chiese, saltando giù dalle sue gambe.

Il pilota scosse la testa. «Ho ancora del lavoro da fare» gli dispiacque non potergli dire di sì. «Ma domani pomeriggio sono tutto vostro» aggiunse, facendo tornare il sorriso sul viso di entrambi i bambini. A parte la sera, che l'avrebbe passata con i suoi amici, alla festa che avevano organizzato per la gara e per la vittoria, non avrebbe avuto altri impegni e non trovava modo migliore per trascorrere il suo pomeriggio che con i suoi nipoti.

«Ti fermi qui per qualche giorno?» domandò Willow, spostandosi una ciocca di capelli biondi dal viso.

«Esatto, avremo tanto tempo da passare assieme» confermò. «Adesso però andate a casa, dovete riposarvi, che è da questa mattina che siete in giro» si raccomandò, per poi salutarli. «Roscoe è con mio papà, giusto?» volle accertarsi, rivolgendosi ad Angela.

«Sì, sono qui sotto che li stanno aspettando per andare via» indicò i due bambini. «Se hai bisogno, chiamami» lo avvertì, facendolo annuire. «E non fare troppo tardi» aggiunse, prima di lasciare quella stanza, facendolo ridacchiare per il modo in cui si preoccupava sempre per lui.

Non seppe dire quanto tempo passò, dal momento in cui rimase nuovamente solo in quella stanza, fino a quando udì quel rumore che lo fece quasi sussultare. A lui erano sembrati pochi minuti, ma, notando la sera ormai completamente calata, si rese conto che doveva esserne trascorso decisamente di più di quello che pensava.

Lewis si voltò verso il punto dal quale era provenuto quel rumore. Dalla porta ora aperta, pensava di ritrovarsi davanti qualcuno degli addetti ai lavori che erano rimasti ancora nel circuito. Quando però i suoi occhi incontrarono la figura di Jourdan, ne rimase del tutto sorpreso. «Cosa ci fai qui?» le chiese, studiandola con lo sguardo.

Sembrava essere uscita di fretta, indossando le prime cose che le erano passate sotto mano. Il pantalone della tuta blu, vestiva largo, con la parte finale leggermente a campana, che ricadeva sulle tennis dal colore bianco, verde salvia e rosa. Le stesse sfumature presenti sulla canottiera corta, che le copriva il busto, adornata da quei ricami floreali. Le spalline sottili e lo scollo costruito, le mettevano il risalto il seno.

«Volevo vederti» rivelò lei, con la voce bassa, quasi gli stesse confessando un segreto. Eppure, in quella stanza, e a dire il vero anche nel resto di quell'edificio, non vi erano altri che loro.

Avrebbe voluto risponderle in modo piccato, dicendole che se avesse voluto vederlo, avrebbe potuto restare fedele a ciò che gli aveva detto ormai sei giorni prima, invece di sparire e farsi viva solo in quel momento. Ma poi si rese conto di come tale reazione sarebbe potuta essere inutilmente eccessiva. Era vero che, durante quegli hot laps, si erano detti che si sarebbero visti nei giorni seguenti e poi così non era stato. Però, non era un ragazzino, non reagiva in quel modo senza prima capire se dietro a tale comportamento ci fosse un perché valido.

«Come sei entrata?» decise quindi di chiederle, ignorando semplicemente la sua affermazione. La osservò abbassare per un attimo lo sguardo, spostandosi alcuni capelli che le erano ricaduti sulle spalle. Stava temporeggiando.

«Mi ha aiutata Skye» rivelò, scegliendo di dire la verità, senza bisogno di abbozzare qualche scusa inutile.

Lewis annuì, tornando a darle la schiena. Riprese a fare ciò che stava facendo prima del suo arrivo, analizzare le telemetrie e valutare i dati raccolti dopo quella gara. Il resto del team, come gli aveva detto Angela, era già andato a casa da un pezzo, solo alcuni addetti a smontare e caricare tutto sui vari tir, si trovavano sotto, nella pit-lane, intenti a preparare al meglio ogni cosa, per poter spostare le auto verso la prossima tappa che li aspettava. Il pilota aveva deciso di fermarsi decisamente più a lungo quella sera, rifugiandosi così nell'unico luogo tranquillo di quel circuito.

Lì, nello stabile adibito alla sala stampa, televisione e agli uffici della FIA, nessuno lo avrebbe disturbato e lui avrebbe potuto continuare a lavorare in pace. La gara era andata bene, ma Lewis era un perfezionista e voleva assicurarsi che le modifiche portate all'auto durante quel weekend, potessero funzionare anche su altri tipi di circuiti e non solo su quello, che era il primo su cui le avevano testate in modo attivo.

Alcuni passi dietro di lui si mossero, avvertì la presenza della ragazza decisamente più vicina, ma non si girò, continuando a darle le spalle. «So che hai vinto» gli disse.

«Hai visto la gara?» domandò subito, prima che lei potesse aggiungere altro.

«Sì, ma dalla televisione, in hotel» specificò. Il pilota fece un mezzo sorriso ironico, voleva mantenere la sua concentrazione su quei dati, sullo schermo di quel computer, non donarla alla ragazza dietro di lui. Eppure non ci riuscì.

Si voltò di scatto, facendo fare lo stesso anche alla sedia girevole. «Avevi detto che saresti rimasta nei paraggi per questa settimana» le ricordò. «Forse però avevamo un'idea diversa riguardo tale affermazione» commentò, incrociando le braccia al petto.

Jourdan abbassò la testa, scuotendola leggermente. «Giovedì ho incontrato due persone che non vedevo da un po' di anni» decise di spiegargli. Dopotutto, era lì anche per quello, per provare a riordinare le carte sparse sul tavolo e dare un senso al gioco al quale entrambi avevano preso parte. «Con una delle due ho lavorato in molte occasioni e, parlare con lei, mi ha dato modo di riflettere. Di vedere le cose sotto un'altra prospettiva, che fino a questo momento non avevo mai preso in considerazione» continuò, notando come l'espressione di lui fosse cambiata, passando dal nervosismo alla curiosità.

«Insomma, avevo bisogno di capire alcune cose riguardo me e il mio lavoro. E di farlo da sola» aggiunse, portandolo ad aggrottare la fronte.

«È un modo per dire che il tuo essere sparita era dovuto al fatto di volerti prendere del tempo per riflettere?» domandò, volendo accertarsi di aver compreso il suo discorso. Lei annuì. «E sei venuta fino a qui per farmelo sapere?» Jourdan annuì nuovamente, con più decisione. «Perciò, sei arrivata a qualche conclusione?» alzò un sopracciglio. Non capiva se in tutto quel discorso centrasse anche lui o fosse semplicemente un modo per donargli una spiegazione.

«Non a tutte» rivelò, avvicinandosi di qualche altro passo. Gli occhi di Lewis saettarono sul corpo della ragazza, seguendone i movimenti. La vide piegare leggermente la schiena e poggiare le mani sullo schienale alto della sedia sulla quale si trovava. «Ma a qualcuna sì» glielo disse a fior di labbra, restando ferma in quella posizione per qualche secondo.

I loro occhi si cercarono e si trovarono immediatamente, incatenandosi attraverso quelle sfumature tanto diverse, uniche a modo loro. Fu Jourdan a sbilanciarsi per prima, facendo aderire le loro bocche. Fu un gesto al quale Lewis non si oppose. Anzi, decise subito di ricambiare, dimenticando in velocissimi secondi tutto ciò che c'era stato prima, tutto il fastidio e il nervosismo che aveva accumulato.

Un bacio iniziato in modo quasi casto, che presto prese una piega più passionale. Lewis si staccò, mantenendola però vicina a lui. «Mi chiedo se ti rendi conto di quanto mi confondi» disse, emettendo un sospiro. Con lei c'erano quei giochi di sguardi, i momenti carichi di tensione fisica, le risate, i discorsi più seri, il nulla per giorni interi e poi tutto da capo. Sembrava un cerchio destinato a ripetersi in loop, che gli rendeva difficile decifrare cosa le passasse per davvero nella testa.

Jourdan giocò con quella singola treccina che gli era scappata dall'elastico, ricadendogli delicatamente sul viso. Se la fece attorcigliare sull'indice, stando attenta a non tirarla troppo. «Ed è una cosa buona o cattiva questa, Hamilton?» gli domandò, tirando le sue labbra in un sorriso sornione.

Il pilota apprezzò nuovamente quel modo che lei aveva di chiamarlo per cognome. Un qualcosa che usava per mantenere una distanza, un certo distacco, che poi però veniva tradito dai suoi stessi gesti. «Penso che solo con il tempo lo scoprirò» rispose, non essendo certo sul fatto che quella confusione che gli provocava sarebbe rimasta per sempre un qualcosa di buono nel loro rapporto.

La modella non era propriamente una ragazza facile con la quale avere a che fare. Il suo carattere era enigmatico, segnato dal passato che la caratterizzava. E si faticava sempre a comprendere cosa potesse passarle per la testa, il perché dietro determinate azioni che compiva. Ma a Lewis non piacevano le cose semplici e questa particolarità andava ad aggiungere ancora più legna da ardere sul fuoco scalpitante della curiosità che provava verso di lei.

L'unica cosa sulla quale non aveva dubbi, comunque, restava quello sguardo che, di tanto in tanto, gli rivolgeva. Un'occhiata carica di scintille di desiderio e voglia di trascorrere del tempo con lui, a baciarsi, a fare sesso o a parlare per ore. E proprio su questo Jourdan aveva riflettuto, oltre che sul suo lavoro e su se stessa.

Perché tra i dubbi che l'assillavano, vi era certamente anche Lewis. Ormai, quella conoscenza, come continuava a definirla, stava andando avanti da mesi ed era innegabile che il loro rapporto fosse evoluto durante quel lasso di tempo. Partito da un semplice scambio di convenevoli in quell'hotel del Bahrain, per poi evolversi su più livelli, toccando anche delle corde decisamente più emotive. Con lui, Jourdan si era sentita al sicuro di poter raccontare la sua versione dei fatti su quell'avvenimento scandalistico del suo passato. Mai una volta aveva avuto timore di dover dosare le sue parole, tenendole per sé, raccontando bugie inutili.

In quella zona di comfort che si era creata a Monte-Carlo, ne faceva parte anche lui. Era un tassello ormai importante di essa, un luogo in cui sapeva di potersi recare per staccare la testa dalla vita di tutti i giorni e trascorrere del tempo lontano dai pensieri. Ed era un qualcosa che solo i suoi amici, fino a quel momento, erano stati in grado di darle. Ma con Lewis sembrava essere comunque diverso. L'attrazione fisica che provava nei suoi confronti, si spingeva oltre quella che aveva provato durante i vari anni con i vari ragazzi con cui aveva avuto una storia. Come lui, avvertiva quella stessa curiosità e voglia di scoprire. E per la prima volta, si sentiva libera.

Libera di parlare, di muoversi e di osare. Libera da tutti quei vincoli che nella sua precedente relazione le erano stati imposti. Libera di vivere semplicemente, in un modo del tutto nuovo, che la spaventava, ma allo stesso tempo sapeva di non poterselo perdere.

Ecco perché era arrivata alla conclusione che quel rapporto, qualsiasi cosa fosse, qualsiasi nome potesse avere, che si stava costruendo con Lewis, era un qualcosa al quale non voleva rinunciare. E non le importava dei giornali, di Rob, di suo fratello, di Jos o di chiunque altro che avrebbe potuto mettere bocca su di esso. Le importava solo di quello che facevano insieme e di come si sentiva con lui.

Era quindi arrivato il momento di smetterla di scappare e iniziare a vivere ciò che c'era e ci sarebbe stato tra loro, in ogni modo in cui si sarebbe potuto evolvere. Senza più nascondersi dietro futili scuse e menzogne che sceglieva di raccontare anche a se stessa.

Tornò a baciarlo, facendo scorrere le mani lungo il tessuto di quella maglietta del team che stava indossando, percependo sotto di essa i muscoli in rilievo. Lui si alzò in piedi, attirandola maggiormente a sé, premendo le mani sul fondo della sua schiena. «Credi che sia una buona idea?» chiese Jourdan, lanciando uno sguardo alla porta dietro di loro.

«Non credo che qualcuno abbia bisogno di entrare qui, a quest'ora» mosse qualche passo, allontanandosi da lei, fermandosi poi davanti a quella porta. «Ma, per sicurezza» aggiunse, chiudendola con un giro di chiave. La ragazza poggiò le mani sul bordo del tavolo, usato come scrivania, dandosi la spinta per sedersi sopra la sua superficie piatta. Dondolò le gambe, scrutandolo con curiosità, mentre tornava ad avvicinarsi.

Ogni volta si stupiva di quanto la sua bellezza potesse colpirla, soprattutto dal momento in cui si ricordava quale fosse la sua età. Perché le sembrava davvero impossibile che quell'uomo avesse trentotto anni e non almeno dieci in meno.
Quella singola treccina gli ricadeva su un lato della fronte, ondeggiando leggermente, passo dopo passo. La barba curata gli incorniciava il volto, mettendo in risalto la sua mandibola dalla linea perfetta. Quei due piercing sulle narici, brillavano a seconda della luce che li colpiva, donandole una piccola distrazione. La raggiunse, posizionandosi tra le sue gambe leggermente aperte, lasciando che le cingesse attorno alla sua vita, diminuendo ulteriormente la distanza tra i loro corpi.

«Farlo dentro un circuito era una delle opzioni da depennare dalla tua lista?» le chiese ridacchiando, riferendosi a quella battuta che lei stessa gli aveva detto a Montréal, durante quella serata passata al luna park.

«Lo è appena diventata» rispose, lasciandosi andare a sua volta ad una risata. Le mani di Jourdan si intrecciarono dietro il suo collo, riportando le loro bocche a sfiorarsi. Con quel movimento, una spallina della canottiera che stava indossando, scivolò lungo la parte alta del suo braccio, portando il tessuto ad abbassarsi, scoprendo dei lembi di pelle in più.

Lewis tornò a baciarla con trasporto, facendo vagare le dita dapprima nei suoi capelli, per poi farle scendere lungo il collo, accarezzandolo piano. Ne tracciò tutta la lunghezza, seguendo il perimetro della spalla, spostandosi poi sulla clavicola sporgente, provocandole una miriade di brividi che cosparsero la sua pelle chiara. Con un tocco veloce fece ricadere anche l'altra spallina, portando quella canottiera a scendere ancora di più, scoprendole quasi del tutto il seno. Con le labbra ancora ancorate alle sue, insinuò l'indice sotto il tessuto leggero, sfiorandole il capezzolo sinistro, facendola sussultare quando lo pizzicò leggermente.

Jourdan si staccò dalla sua bocca, riprendendo fiato, per poi afferrare l'orlo della sua maglietta e privarlo velocemente di essa. Si beò della vista di quel corpo che sembrava essere stato perfettamente scolpito da uno degli scultori più esperti, decorato con quel tocco unico che i tatuaggi che lo ricoprivano gli donavano. Poggiò le labbra sul suo collo, baciandolo piano, con estrema minuzia, per poi mordicchiarlo e accarezzarlo con la lingua. Il pilota le posò le mani sui fianchi, da sotto quel top che ancora, in parte, indossava, facendo scontrare gli anelli freddi con la pelle bollente della ragazza.

Continuando a baciargli il collo, scendendo mano a mano sempre più in giù, lasciò che le sue dita si infilassero tra il suo basso ventre e i pantaloni larghi, applicando una leggera pressione, spingendoli verso il basso, rivelando la V marcata che i suoi fianchi formavano. Ne tracciò le linee, arrivando a sfiorare il tessuto dei boxer. Lewis lasciò ricadere leggermente la testa all'indietro, quando quel contatto divenne più approfondito, beandosi delle sensazioni estatiche che lei gli stava procurando.

Un gemito roco sfuggì dalla sua bocca, un suono che provocò una scossa nel basso ventre di Jourdan, per quando fu sensuale e piacevole da sentire. «Merda» sussurrò lui, mentre lei continuava a donargli piacere con il singolo tocco di quella mano delicata. «Non ho preservativi» confessò poi, ritornando a guardarla negli occhi, maledicendosi da solo, anche se ovviamente non avrebbe mai immaginato che quella serata potesse finire così, per potersi in qualche modo preparare.

Jourdan trattenne un sorriso, per poi staccarsi leggermente da lui. Piegò di poco indietro la schiena, infilando una mano nella tasca dei pantaloni, estraendo un incarto dal colore blu chiaro. Lewis alzò entrambe le sopracciglia, scoppiando poi a ridere. «Beh, vedo che avevi già le idee chiare quando hai deciso di presentarti qui» commentò, scuotendo leggermente la testa.

«In realtà no, ma ho voluto tenere aperta ogni opzione» confessò, seguendolo in quella risata divertita. Una risata che venne spenta solo nel momento in cui lei scartò quell'involucro, estraendone il preservativo, per poi infilarglielo con cura, tenendo lo sguardo incatenato al suo. La mano destra di Lewis le cinse il collo con delicatezza, mentre quella sinistra le si poggiò sulla spalla, applicando una leggera pressione, spingendola verso il basso, fino a quando la sua schiena si scontrò con la superficie del tavolo. I pantaloni che lei stava indossando risultavano decisamente di troppo e così, mentre la ragazza si sfilò le scarpe, alzò anche di poco il bacino, permettendogli di farli scivolare via.

Il pilota si piegò sopra di lei, lasciandole un altro bacio sulle labbra, mentre la ragazza, che aveva attorcigliato nuovamente le gambe attorno alla sua vita, lo attirava sempre più vicino, impaziente di avvertire quel contatto decisamente più profondo, intimo e carnale, che desiderava sin da quel momento in cui si erano ritrovati chiusi in quella macchina, sulla pista di Silverstone. Lewis non si lasciò pregare, scivolando velocemente dentro di lei, strappandole un respiro. Le dita di Jourdan, inizialmente ancorate al bordo di quel tavolo, presto, si spostarono sulle spalle di lui, aggrappandosi ad esse ad ogni spinta, lasciando alcuni segni su quella pelle scura.

«Shh» le sussurrò a fior di labbra, quando alcuni gemiti più acuti abbandonarono la bocca della ragazza. Era vero che la porta era chiusa a chiave, ma se qualcuno fosse passato per caso di lì, avrebbe comunque potuto sentirli.

Oltre le vetrate, che ricoprivano un'intera parete della stanza, le stelle brillavano nel cielo e il circuito si estendeva ai loro piedi, grazie all'altezza di quell'edificio, che donava tale splendida visuale. Ma, nessuno dei due stava facendo caso al panorama, troppo concentrati sull'unione dei loro corpi, che, nonostante fosse avvenuta in modo decisamente diverso dalla loro prima volta a casa di lui, risultava comunque paradisiaca.

Non avevano potuto prendersi tutto il tempo necessario per donarsi diverse attenzioni a vicenda, non avevano potuto dare più spazio alla lentezza e all'assaporarsi il momento in piccole dosi. Eppure, in quel modo in cui lo stavano facendo, in segreto, in un luogo decisamente non consono, li faceva sentire come due ragazzini al primo amore, che non riuscivano a starsi lontano.

Ed era esattamente quella sensazione che li spinse oltre un altro loro limite, ad infrangere l'ennesimo vetro.
Chissà se quelle schegge avrebbero potuto ferirli. Se avessero permesso loro di oltrepassarle indenni o se avessero formato sulle loro anime le ennesime ferite che quei sentimenti, tanto belli quanto pericolosi, spesso lasciviavano.

🌟🌟🌟

Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻

Diciamo che questo capitolo è stato abbastanza carico di emozioni in relazione a diversi avvenimenti. Prima la gara, poi la famiglia di Lewis, Max che li osserva da lontano, per poi fare un passo in più verso Skye, il piccolo Jack che fa il suo ritorno in scena, l'arrivo dei nipoti e infine quello a sorpresa di Jourdan. Tante piccole cose, ognuna importante a modo suo.

Nonostante i giorni passati senza vedersi, direi che lei e Lewis hanno recuperato bene il tempo perso😚
La ragazza sembra aver preso a sua volta la decisione di non frenarsi più in questo rapporto che i due stanno creando. Sarà un bene? Sarà un male?

Intanto, ancora non sembrano esserci tracce di un possibile articolo di Rob sulle informazioni che Jourdan gli ha confessato.
Cosa starà aspettando il giornalista?

Una cosa, in tutto ciò, dovete però sempre tenere a mente: ci sono tante cose in ballo, ma ognuna di queste è in bilico, in attesa che la verità sulla famiglia di Jourdan e Max venga fuori. Perché verrà fuori, non vi dirò quando e non vi dirò come ancora, ma lo farà. E allora quale di queste cose, già in precario equilibrio, reggerà la botta? Quale invece si schianterà al suolo? Chi verrà colpito dai vetri di quei limiti infranti?

Per scoprirlo, non dovrete fare altro che continuare a leggere😈

Commentate facendomi sapere cosa ne pensate e per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi.

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XOXO, Allison💕

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