Capitolo 18 - Indiscretamente


Regno Unito, Inghilterra.
Londra.

Le voci intorno a lei si sovrapponevano l'una con l'altra, creando un brusio indistinto. Il tintinnio dei cucchiaini, che sbattevano contro la ceramica delle tazze, si amalgamava con i rumori provocati dalle macchine del caffè. Le sembrava di concentrarsi su ogni cosa e allo stesso tempo di non farlo su nulla. I pensieri nella sua testa le rendevano tutto più difficile e quei suoni, presi singolarmente, sarebbero anche potuti passare inosservati. Ma così, tutti assieme, non facevano altro se non crearle fastidio.

Seduta da sola, a quel piccolo tavolo rotondo, guardava fuori dalla finestra, senza però osservare nulla per davvero. I suoi occhi erano puntati oltre quel vetro e sembravano fissare la città. In realtà, tutto ciò che stava accadendo fuori, non arrivava alla sua attenzione. Jourdan era concentrata su altro, rinchiusa in un mondo fatto dai suoi stessi pensieri e dalle sue preoccupazioni.

E, mentre fuori tutto aveva vita, lei restava immobile.

A stoppare tutto per qualche secondo, fu la porta di quel bar, che si aprì all'improvviso, rompendo i rumori tipici del luogo e facendo invadere l'ambiente da quelli provenienti dalla strada. A provocare tale rottura, fu Rob, che entrò all'interno della caffetteria. Era arrivato, con qualche minuto di ritardo, da subito cercandola con lo sguardo. E quando la individuò, non perse tempo, raggiungendola a grandi falcate.

Quella mattina, si era svegliata con un messaggio ad illuminare lo schermo del suo telefono. Il giornalista le chiedeva di incontrarlo in un bar del centro e non aveva nemmeno avuto il tempo di capire come avesse fatto a trovare il suo numero di cellulare, perché subito si era dovuta alzare, vestire e dirigersi sul luogo dell'incontro.

Prese posto accanto a lei, che non lo degnò di uno sguardo. «Spero tu abbia qualcosa per me» disse subito, lisciandosi i pantaloni grigio chiaro. «Ormai è passato parecchio tempo da quando hai accettato il nostro piccolo accordo e io sono stato troppo paziente» continuò, innervosendola fin da subito.

Jourdan strinse quella tazza in ceramica nella sua mano, fino a farsi sbiancare le nocche.
Qualcosa lo aveva scoperto, parlando con i suoi amici e ascoltando le loro conversazioni. Il punto era che non voleva rivelarglielo, non voleva giocare contro di loro, anche se sembrava essere davvero necessario per poter perseguire il piano che aveva escogitato per smarcarsi da quella situazione complicata. Chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro. «Ricciardo potrebbe lasciare la McLaren, alla fine della stagione» parlò tutto d'un fiato.

Rob aggrottò la fronte, poggiando gli avambracci sul tavolo, sporgendosi più in avanti. «Ma il suo contratto prevede ancora un anno con loro» le fece presente, dimostrando di essersi informato sulle notizie già note che riguardavano quel mondo.

«I vertici non sono contenti delle sue performance con loro e vogliono puntare su qualcun altro» rivelò quello che aveva origliato quando, due sere prima, Daniel era passato a trovarle in hotel, dopo aver finito il lavoro sulla pista. Stava parlando con loro, davanti ad una bevanda fresca e una telefonata aveva interrotto le loro conversazioni. L'australiano si era spostato nel salottino di quella stanza e lei, con la scusa di andare al bagno, si era premurata di ascoltare ciò che lui stava dicendo.

Era stato al telefono con India per una decina di minuti, rivelandole, e inconsciamente facendo sapere anche a Jourdan, alcune informazioni che sarebbero dovute restare confidenziali. La ragazza non si aspettava quella notizia, ne era rimasta davvero sorpresa. «Su chi stanno puntando?» domandò curioso il giornalista.

«Non lo so, questo non l'ha detto. Nemmeno lui ne è al corrente» ricordò quella parte di conversazione che aveva origliato, riportandosi alla memoria, in particolare, il dettaglio del suo tono di voce. Nella posizione in cui si era messa, non riusciva a vederlo, ma, dal modo in cui stava parlando e da come sospirava di tanto in tanto, Jourdan poteva percepire perfettamente la tristezza che lo attanagliava. Eppure, guardandolo e passandoci del tempo insieme, durante tutti quei giorni, mai si era accorta di nulla, mai avrebbe detto che potesse avere qualche problema.

«La McLaren però non ha un'academy di piloti nei team minori, tieni a mente questo» gli diede tale indizio, un qualcosa a cui subito aveva pensato. Perché se davvero avessero voluto sostituirlo, recidendo il suo contratto con un anno di anticipo, allora dovevano essere certi di avere qualcuno già pronto per prendere il suo posto. E quel qualcuno, data la situazione, doveva essere un pilota libero da qualsiasi vincolo con altri team. Oppure, avrebbero dovuto chiudere un accordo in modo molto furbo, nel caso in cui il loro desiderio fosse stato quello di accaparrarsi una persona già impegnata in qualche academy.

«Ricciardo dove andrà?» chiese allora, Rob.

Era proprio questo il problema.
Daniel, al telefono, lo aveva detto chiaramente a India, se la McLaren avesse davvero deciso di perseguire quella strada, lui non vedeva molte vie possibili da poter intraprendere.
La sua carriera, che era iniziata in modo tanto brillante, sembrava poi esseri spenta passo dopo passo.

Era la stella della Red Bull, il pilota su cui puntavano per sostituire Vettel e mantenere alto il loro nome.
Ci stava riuscendo, le cose sembravano davvero girare per il verso giusto, almeno fino all'arrivo di Max. Perché era stato proprio il fratello di Jourdan a far cambiare ogni prospettiva. Il padre era entrato in modo prepotente nel team, dettando da subito le sue regole e pretendendo che venissero rispettate. Grazie alle sue conoscenze e alle sue amicizie con i capi, ci era riuscito senza problemi. E così, da un momento all'altro, Daniel non era più il pilota di punta, ma semplicemente una spalla.

Non era stato facile gestire quella situazione, passare dal vedere il tuo team felice dei tuoi traguardi, al vedere il consulente sportivo arrabbiarsi perché aveva battuto Max nel fare la pole o in gara. Non sapeva come fosse stato possibile mantenere la sua amicizia con Verstappen, c'erano giorni in cui non lo sopportava. Eppure, la sua razionalità aveva sempre avuto la meglio, ricordandogli che non era colpa sua se il padre era uno stronzo insensibile e i membri del team gli andavano dietro. Max non gli era mai andato contro, aveva sempre tenuto al loro rapporto, dimostrandoglielo in parecchie occasioni. E Daniel aveva compreso quanto spietato potesse essere quel mondo, facendoti stare, un secondo prima in cima e un secondo dopo nella parte più bassa di esso.

Il suo sogno era di vincere un mondiale, proprio per questo decise, dopo qualche anno, di lasciare la Red Bull. Si spostò in Renault, dove da subito venne trattato con affetto e rispetto. Questo nel team non era mai mancato, ciò che non c'era però, era una macchina competitiva. Perciò iniziò a chiedersi che senso avesse avuto cambiare team, se tanto nemmeno in quel caso avrebbe mai avuto l'opportunità di vincere un mondiale.

Prima che potesse prendere una decisione, riflettendoci su a dovere, gli eventi esterni lo fecero per lui. Renault era destinata a cambiare nome e anche parecchi membri del team, diventando l'attuale Alpine. Esteban, il suo compagno di squadra del tempo, era già stato scelto dai nuovi vertici come il pilota su cui puntare e lui, per la seconda volta, era stato messo da parte. D'altronde, Daniel era da solo, mentre Ocon aveva alle sue spalle un team importante e dominante come Mercedes, che spingeva e garantiva per lui.

Ecco che quindi, quando la notizia di quel posto libero in McLaren, dovuto allo spostamento di Sainz in Ferrari, venne fuori, lui decise di approfittarne. Il vecchio amministratore delegato della Renault, Cyril, prima che potesse firmare con il team inglese, decise di metterlo in guardia. In quell'anno, la McLaren era arrivata terza nel mondiale costruttori, il che aveva fatto ben sperare il pilota australiano. Daniel, guidando un'auto inferiore rispetto a loro, era comunque riuscito a fare un ottimo lavoro, vedeva quindi, in quel team, la possibilità di poter vincere il tanto desiderato mondiale. Cyril però la pensava diversamente e cercò di avvertirlo.

Gli disse di non lasciarsi ingannare dall'apparenza, quel terzo posto era stato un traguardo sì, ma anche una casualità fortunata. Era a conoscenza di più dettagli burocratici rispetto a lui e sapeva che la situazione interna al team non fosse proprio rosea, per via di alcuni debiti e altre problematiche nella dirigenza. Si raccomandò di stare attento, di prendere quella scelta con criterio. Ma Daniel si sentiva di rischiare, non voleva stare in un team dove sapeva già sarebbe stato trattato da secondo, non voleva rivivere quell'esperienza. Firmò così con la McLaren, scommettendo su di loro, con la speranza che finalmente avrebbero potuto dargli una macchina in grado di competere sempre nelle prime file.

Peccato che le cose non andarono affatto così.
Cyril aveva avuto ragione su tutto, sui debiti, sull'ambiente di lavoro teso e sul fatto che non avrebbero mai puntato su di lui, a differenza sua. Per l'ennesima volta, era stato messo da parte, costretto a guidare nell'ombra del suo compagno di squadra. Aveva lasciato la Renault proprio per evitare ciò e ora si ritrovava esattamente nella stessa situazione. Con anche un'aggravante, non aveva più dove andare, non c'erano posti liberi in cui rifugiarsi, nessun team che avrebbe potuto permettergli di conquistare un mondiale.

E allora tutto, piano piano, aveva iniziato a farsi scuro. Quel sogno, con una straziante lentezza, si era trasformato in un incubo. L'unica flebile luce, che ancora gli permetteva di vedere una via d'uscita, erano le parole che Zak Brown, l'amministratore delegato della McLaren, gli aveva rivolto: "Non preoccuparti, ai vertici piace parlare. Ma puoi stare certo che resterai con noi fino alla scadenza del tuo contratto. E chissà, magari anche oltre."
Un mucchio di stronzate, anche se ancora non poteva saperlo.

«Risponditi da solo. Vedi posti liberi in qualche top team? O in qualche team appena sotto di essi?» parlò retorica lei, iniziando a far ragionare il giornalista. Tra tutti i fatti che avrebbe potuto raccontagli, lei aveva scelto proprio quello. Sapeva che se la McLaren avesse davvero deciso di lasciarlo a casa in quel modo, allora sarebbero stati davvero dei bastardi. E, in tal caso, era bene che tutti venissero a conoscenza di come stavano realmente le cose.

«Perciò, ricapitoliamo» Rob si sistemò meglio sulla sedia. «Mi stai dicendo che la McLaren ha intenzione di chiudere il contratto di Ricciardo, con un anno di anticipo, perché non sono contenti di come sta guidando. Ma non hanno un'academy da cui attingere, perciò, nel caso in cui decidessero di guardare in Formula 2, dovrebbero prendere un pilota svincolato da altri team» lei lo interruppe.

«O provare comunque a prenderne uno nelle academy» gli mise quell'idea in testa, facendogli tirare le labbra in un ghigno. Le scorrettezze e i giochetti gli erano sempre piaciuti, sapeva che sicuramente avrebbe puntato tanto su quelle possibilità, quando avrebbe scritto l'articolo da pubblicare.

«In tutto ciò, se le cose dovessero andare in questo modo, il povero Ricciardo si ritroverebbe senza un sedile, costretto quindi a lasciare la Formula 1» concluse quel riepilogo. «Doppiamente fottuto quindi e dal suo stesso team, per di più» Jourdan annuì, sentendosi decisamente triste per l'amico, davanti alla possibilità di tale scenario.

Rob riportò l'attenzione della ragazza su di sé, battendo le mani assieme, per poi sfregarle. «Brava, J. Reed. -la chiamò con il nome con cui erano solita identificarla nel campo della moda.- Queste sono le notizie che mi piacciono» si rimise gli occhiali da sole. «I tuoi segreti continuano ad essere salvi, per il momento» si prese gioco di lei, poggiandole una mano sulla spalla, facendola subito ritrarre. «Alla prossima» la salutò così, prima di alzarsi e andarsene.

Nuovamente sola a quel tavolo, si portò due dita sulle tempie, massaggiandole leggermente, cercando di alleviare tutto lo stress accumulato. E ne avrebbe anche potuto avere dell'altro, se solo si fosse accorta di quel cellulare, puntato nella sua direzione, che, alcuni minuti prima, era intento a scattare una foto a lei e all'uomo che le sedeva accanto. Forse, la scelta di accomodarsi in un tavolo vicino alla vetrata, non era stata poi così intelligente.

Non molto lontano da quel bar, infatti, una McLaren dal colore arancione acceso, aveva parcheggiato sul bordo della strada trafficata. Successivamente, da essa era sceso Lando, che non avrebbe nemmeno dovuto essere lì, in quel quartiere, se solo il suo amico si fosse ricordato, quella mattina, di passare a ritirare il casco speciale che si era fatto fare in occasione del Gran Premio di casa sua.

Sbuffando, aveva camminato lungo la via, destreggiandosi tra le centinaia di persone che la affollavano, tutte di fretta, come se fossero in ritardo per un importante appuntamento. Ringraziò però che fosse così, se avessero avuto tempo, certamente qualcuno avrebbe fatto caso a lui, fermandolo e attirando l'attenzione di tanti altri. In quel modo, invece, con gli occhiali da sole e il cappellino stile pescatore, decorato da tante piccole bandiere inglesi, si confondeva bene tra la folla.

Camminando a passo sostenuto, diretto verso la sua meta, tenne la testa bassa per qualche metro e ciò lo portò a scontrarsi con un uomo in giacca e cravatta, che, neanche il tempo di chiedergli scusa, era già corso via, precipitandosi giù dalle scale di quella fermata della metro. Nel voltarsi, per tornare a proseguire sulla sua strada, lo sguardo venne attirato da una figura ormai famigliare. Osservò la ragazza, riconoscendo subito che fosse la sorella di Max. Ciò su cui era confuso, invece, era proprio l'uomo che le sedeva accanto e con il quale stava parlando.

Ci volle qualche secondo di troppo, prima di fargli tornare a galla un ricordo. Come il flash di uno scatto, la mente si accese e lo riportò indietro nei mesi, fino al Gran Premio d'Australia. Si ricordò della discussione avvenuta tra Max e un giornalista. E proprio quest'ultimo sembrava essere la stessa persona accanto alla modella. Penso di non aver visto bene, insomma, non aveva alcun senso che la sorella di Verstappen fosse lì, in un bar, davanti ad un caffè, insieme all'uomo che, in mezzo al paddock, aveva urlato all'amico di dire la verità sulla sua famiglia. Una frase che lo aveva fatto arrabbiare a tal punto da portarlo quasi ad alzargli le mani. Cosa che avrebbe anche fatto, se solo lui non lo avesse fermato in tempo.

Eppure, più lo guardava e meno dubbi gli restavano. Era proprio quel giornalista. Davanti a tale convinzione, la parte più riservata di Lando, quella che preferiva farsi gli affari propri, iniziò a cedere. Era vero che non aveva mai chiesto dettagli in più a Max, riguardo la sua situazione famigliare, ora però era chiaro anche a lui che qualcosa non andasse. Ecco perché, per una volta, decise di sbilanciarsi, estraendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e puntandolo verso quella vetrata. Aprì la chat di Max, inviando la foto, allegandola ad un messaggio.

"Questo non è il giornalista che stavi quasi per picchiare in Australia?"

Inviò, per poi decidersi a proseguire nella sua camminata, ricordandosi delle altre mille commissioni che gli spettavano, oltre che ritirare quel casco.
La risposta, comunque, non tardò molto ad arrivare.

"Che cazzo ci fa mia sorella con lui?!"

Gli aveva appena confermato che quell'uomo fosse proprio lo stesso al quale lui aveva pensato. Iniziò a digitare una risposta, ma l'atro lo precedette, chiamandolo.

«Jourdan?» quella voce squillante la sorprese, nell'esatto momento in cui si alzò dal tavolo, decisa ad uscire dal bar e ritornare in hotel. Si voltò, incontrando un viso conosciuto, che non vedeva da parecchio tempo. «Sei proprio tu» appurò quella ragazza dai tratti asiatici.

«Aiko, giusto?» le chiese, sperando di essersi ricordata bene il suo nome.

L'altra annuì. «Sono passati, quanti... tre anni forse» la attirò in un abbraccio, cogliendola di sorpresa.

«Probabilmente sì. L'ultima volta che ci siamo viste è stato al servizio fotografico di Prada, a Milano» le confermò, ripensando a quel giorno. Aiko era una modella anglogiapponese, non molto alta, dai lunghi capelli neri e gli occhi nocciola. Una bellezza particolare, che stuzzicava l'immaginazione degli stilisti. Il marchio italiano, infatti, l'aveva presa come volto per la collezione primavera/estate, di tre anni prima, mantenendola poi anche per quello successivo. Ed era proprio in tale occasione che le due si erano incontrate.

Jourdan avrebbe dovuto indossare e posare con qualche abito e, appena arrivata sul set, Aiko non aveva perso tempo per presentarsi. Era sempre stata molto espansiva e socievole. Durante quei tre giorni di shooting, le due erano andate molto d'accordo l'una con l'altra, ritrovandosi anche a pranzare assieme o uscire a bere qualcosa dopo il lavoro. Quella piccola amicizia, però, non era durata oltre. Terminato il servizio, Jourdan era volata in Russia per prendere parte ad un altro e poi tornata in America. Mentre Aiko era rimasta in Italia, avendo ormai preso casa lì, per quegli anni di contratto con Prada.

I loro impegni le avevano divise sin da subito, ma ora, dopo tre anni, si erano rincontrate per puro caso, in una delle tante caffetterie di Londra. «Sei qui per il Gran Premio?» le chiese, portandosi poi una mano a colpirsi il volto. «Scusa, è che ho visto alcuni articoli in cui eri assieme a dei piloti e ho dato per scontato fossi qui per quello» aggiunse velocemente, abbassando lo sguardo.

Jourdan scosse la testa, sorridendo appena. «Non preoccuparti. Anche perché ci hai preso. Io e una mia amica, la cui famiglia lavora all'interno della Formula 1, stiamo girando un po' per il mondo, seguendo le varie tappe» le spiegò velocemente, non alludendo affatto agli articoli usciti su di lei e sulle sue possibili relazioni con i piloti.

«Ma è fantastico» tornò a guardarla, con un'espressione entusiasta. «Quindi non sei qui per lavoro?» indagò, alzando un sopracciglio.

«No, non al momento» rispose, sistemando meglio una delle forcine che tenevano in perfetto ordine il suo chignon.

Aiko arricciò le labbra. «Sai a cosa stavo pensando?» Jourdan la spronò a continuare, con un movimento della testa. «Pauline è qui per fare alcuni scatti a Primrose Hill per Burberry» le rivelò, citando il nome della stessa fotografa che le aveva immortalate per Prada. «Stavo giusto prendendo un caffè prima di andare da lei. Credo che le farebbe molto piacere rivederti» le disse, sapendo che le due poi non avevano più avuto occasione di lavorare assieme.

«Oh, sì... il fatto è che sono un po' di fretta» abbozzò una scusa, non essendo pienamente convinta di farsi trascinare in qualche studio fotografico o atelier di moda.

«Ma dai, è solo per un saluto. Non ci vediamo da anni, riviviamo un po' i vecchi tempi» la incitò, afferrandola per un braccio.

La ragazza restò immobile, riflettendo su quell'invito, chiedendosi se fosse davvero il caso di seguirla. Si trattava di un semplice saluto e qualche ora passata in compagnia di una vecchia amica. Che male avrebbe mai potuto farle? D'altro canto, però, sapeva quanto potessero essere eclettici i fotografi e gli stilisti e non potevi mai essere certa del fatto che tutto sarebbe finito con un semplice ciao. Valeva la pena rischiare?

«Non posso fare tardi, perché nel pomeriggio ho-» non la lasciò finire, iniziando a trascinarla fuori da quel bar, senza premurarsi di ascoltare cos'altro aveva da dirle. Aprì subito la portiera di un taxi, parcheggiato sul lato della strada, lasciando che Jourdan la richiudesse una volta entrata. Comunicò al conducente la loro meta e attese che partisse. Per la durata del viaggio, la ragazza si limitò ad ascoltare il fiume di parole che Aiko le stava rivolgendo, ragguagliandola su ogni cosa successa nella sua vita durante quegli anni. Annuiva e, di tanto in tanto, lasciava che il suo sguardo si posasse fuori dal finestrino, osservando le vie di Londra scorrere sotto i suoi occhi.

Quando si era svegliata, quella mattina, non si sarebbe mai aspettata una giornata così piena, dal punto di vista fisico ed emotivo. Lei credeva semplicemente di godersi la sua colazione in pace, per poi richiudere la valigia e spostarsi nell'altro hotel, passando il pomeriggio a fare shopping per le vie del centro. Invece, prima c'era stato Rob e ora, si ritrovava in un taxi, assieme ad una sua vecchia collega, diretta in uno dei luoghi che era solita frequentare in passato.

L'auto si fermò davanti ad Harrods, lasciandole scendere dopo che Aiko si offrì di pagare. Jourdan la seguì, oltrepassando l'iconico centro commerciale, arrivando davanti ad un palazzo non troppo alto, dalla facciata bianca, in classico stile inglese. Lo riconobbe senza problemi, era uno dei tanti luoghi in cui vi erano gli studi fotografici dei grandi giornali di moda. Entrarono al suo interno, godendosi il fresco di quell'atrio, chiudendo il caldo sole estivo fuori dal portone.

Dentro il palazzo, da subito si poteva capire di trovarsi nel mezzo di un importante arteria della moda. Alcune persone camminavano da una sala all'altra, con plichi di fogli in mano, sottolineati di diversi colori e marcati da post-it. Altri si destreggiavano cercando di non rovesciare i caffè che stavano portando. I flash delle macchine fotografiche, ogni tanto, donavano più luce agli ambienti e i classici click degli scatti scandivano il tempo, accompagnati dalla miriade di voci che si sovrapponevano. Ad un occhio esterno, sarebbe potuta sembrare una situazione di puro caos, ma per Jourdan quella era sempre stata la normalità.

La ragazza dietro al bancone all'ingresso, sorrise ad entrambe. Prima che potesse chiedere loro qualsiasi cosa, un'altra voce intervenne. «Aiko!» esclamò. «Ti stavo aspettando, dobbiamo muoverci se vogliamo...» la donna lasciò quella frase in sospeso, notando anche l'altra modella. «Chi mi hai portato? Non sarà mica Jourdan Reed quella che vedo qui» la indicò, aprendo la bocca in un gran sorriso.

«Ciao, Pauline» salutò lei, quasi timidamente. Non era cambiata negli anni, aveva sempre i suoi voluminosi capelli ricci, quella pelle scura e lucente e gli occhi vispi.

«Dio mio, da quanto tempo, tesoro» commentò. «Vieni qui, fatti abbracciare» Jourdan decise di lasciarsi andare, sciogliendosi un po', ricambiando quel gesto d'affetto. Contrariamente alle esperienze che aveva avuto in America, quel palazzo in Inghilterra le riportava a galla bei ricordi. Si era sempre trovata bene lì, lavorando con persone simpatiche, che evitavano di opprimerla. E di Pauline, soprattutto, non avrebbe potuto mai dire nulla di male. Nonostante quel servizio in Italia sancì la loro ultima collaborazione, la ragazza di lei non si era scordata e la cosa era reciproca.

«Cosa ci fai qua? Hai ripreso a lavorare nel mondo della moda e nessuno mi ha avvisata?» domandò, guardandosi intorno, portando la segretaria ad alzare le mani, in segno di non colpevolezza.

Jourdan rise. «Tranquilla, sono a Londra per altri motivi. Ma, ho incontrato Aiko e lei ha insistito per portarmi da te» le spiegò. «L'unico lavoro che ho fatto in questi ultimi tempi, è stato chiudere la sfilata di Dior, in occasione del Festival di Cannes» aggiunse poi, anche se sospettava che già ne fosse al corrente.

«Ed eri davvero divina» si complimentò, poggiandole una mano sulla spalla. «Come lo sei ora» diede un'occhiata complessiva alla ragazza, notando le sue lunghe gambe, coperte da quei jeans un po' larghi e il top, formato da un profondo scollo a V, che copriva i seni, allacciandosi dietro al collo. «Dai, venite. Andiamo avanti a chiacchierare mentre lavoro, altrimenti non riuscirò a ultimare i preparativi per il servizio di domani» le invitò a seguirla.

Si spostarono al piano superiore, ritrovandosi in una stanza dominata da un enorme tavolo centrarle, sopra il quale erano poggiate ordinatamente alcune prove di copertina per Vogue UK e altri scatti, accostati a dei fogli colorati. Una decina di manichini decoravano alcune parti della sala, alcuni vestiti in modo completo e altri solo con qualche stoffa abbozzata indosso.

Dalle ampie finestre entrava molta luce, nonostante questo, le lampade al neon, sul soffitto, erano accese, per permettere a chi stava lavorando lì di poter vedere al meglio ogni dettaglio, non lasciando nulla al caso. Su uno schermo, posizionato infondo alla stanza, scorrevano vari scatti di alcune modelle, davanti ad esso, due ragazze li stavano valutando. Mentre, dal lato opposto, delle sarte e alcuni aiuto stilisti, stavano analizzando dei bozzetti.

Con sua sorpresa, per la prima volta dopo parecchio tempo, Jourdan si sentì come a casa dentro quel tipo di ambiente. Probabilmente era perché mai aveva provato disagio in quella parte di redazione di Vogue in Inghilterra e i bei ricordi che la legavano a quel posto le stavano facendo un bell'effetto.

Era quasi confusa, mai avrebbe pensato di provare tale sentimento dentro un luogo che trasudava moda da ogni angolo. Eppure, era così. Forse aveva passato troppo tempo lontana da quel mondo e la nostalgia le stava giocando brutti scherzi. O forse era semplicemente perché, nonostante le sue amicizie e i legami che aveva creato, sapeva di non appartenere per davvero al mondo della Formula 1 e lì, in mezzo a quelle persone, invece sentiva essere parte di qualcosa.

Non avrebbe saputo darsi una risposta, durante la sfilata di Dior, alla quale l'avevano obbligata a prendere parte, aveva provato parecchie emozioni e nessuna di quelle era stata positiva. Lo stesso poteva dire se ripensava al suo passato in America.
Ma lì, lì sembrava tutto diverso.
Quanto potevano influire dei bei ricordi su un passato fatto di tristezza e solitudine?
Avrebbero davvero potuto edulcorare così tanto la realtà, da portarla a provare un senso di nostalgia verso quel mondo che, fino a poco prima, era certa di disprezzare?

«Ragazze, guardate chi vi ho portato» annunciò Pauline, attirando l'attenzione di chiunque lì dentro. In pochi secondi, ogni persona abbandonò il lavoro che stava facendo, avvicinandosi a lei, salutandola con gli ennesimi gesti di affetto. Un qualcosa che da altre parti, in quel mondo della moda, non aveva mai ricevuto. «Aiko, vai un attimo da loro e prova quel dannatissimo completo, che dovrai indossare nel servizio di domani. Pregando che finalmente abbiano trovato la quadra per adattarlo al meglio» si rivolse all'altra ragazza, mandandola verso il gruppo di sarte e aiuto stilisti.

«E allora, dimmi un po', Jourdan, come sono andate le cose in questi ultimi tempi?» le chiese, iniziando a visionare alcune di quelle foto sparse sulla superficie del tavolo.

La modella si strinse nelle spalle. «Avrai letto...» si limitò a rispondere.

«Oh, tesoro, non me ne frega niente di quello che scrivono quei giornaletti di gossip» fece aleggiare una mano, utilizzando un tono di disprezzo verso quella parte dell'editoria che lei considerava come la rovina del settore. «Io lo sto chiedendo a te. Lo sai che qui non siamo degli stronzi, come da altre parti» le ricordò.

Jourdan si ritrovò a sorridere, decidendo di rispondere in modo più concreto alla domanda che le aveva posto. «Sono andate male, parecchio. Adesso però sto bene, ho trovato un certo equilibrio.»

Pauline le lanciò un'occhiata. «Lontano da questo mondo» notò, sapendo bene che, a parte quella piccola apparizione nella sfilata di Dior, non aveva più fatto nulla. «Hai deciso di intraprendere un'altra strada?» chiese, visionando le prove copertina e scartandone alcune.

«Non lo so, per il momento ho trovato una specie di zona di comfort a Monte-Carlo, seguendo il mondo della Formula 1» spiegò, avvicinandosi a uno dei manichini, iniziando a spostare la stoffa che vi era spillata sopra.

La fotografa le prestò la sua attenzione, osservando quello che stava facendo. Creò una specie di top, abbinando dei colori e dei tessuti in modo audace, per poi accostarci uno degli scatti paesaggistici di Londra, che vi erano sul tavolo. «Ed è lì che vuoi lavorare?» domandò.

«Non lo so, Pauline» fece spallucce.

«Posso essere sincera e schietta con te?» chiese, mettendosi le mani sui fianchi. Jourdan annuì. «La zona di comfort e tutte quelle cose lì, sono molto belle, ma sono anche tante stronzate» le disse. «Io credo che, per paura di tornare nel mondo reale, tu ti sia adagiata in questo limbo. E non sto dicendo che tu sia obbligata a rimetterti a lavorare come modella, se vuoi cambiare strada sei liberissima di farlo» spiegò, avvicinandosi a lei. «Il punto è: tu vuoi cambiare strada?» domandò retorica. «Se avessi voluto per davvero, non avresti avuto alcun dubbio, sin dal momento in cui ti sei liberata da ogni vincolo» le fece notare.

Jourdan aggrottò le sopracciglia, riflettendo su quelle parole. «Sei sempre stata sotto qualcuno in passato, lasciando che le persone ti dicessero cosa fare, come farlo e quando. Le decisioni non le prendevi tu, ma gli altri. Adesso però, quella parte è un capitolo archiviato. Sei libera di scegliere, senza pensare ad altri che a te, a quello che vuoi» aveva ragione. Da quando aveva chiuso i rapporti con Agnes, comunque non era mai stata padrona di se stessa, andando ad infilarsi in quella relazione tossica con il suo stesso agente. Credeva che il problema fosse quella donna, forse invece era lei. Voleva tanto essere libera, fare ciò che desiderava, però poi, in qualche modo, finiva sempre per trovarsi qualcuno che scegliesse al posto suo.

«Hai odiato questo mondo, probabilmente lo odi ancora. Ma, ti sei mai chiesta se provi questo disprezzo nei suoi confronti solo perché altri ti hanno costretto a viverlo nel modo in cui volevano loro?» analizzò quella domanda, cercando di capire se le cose potessero davvero stare così. Odiava la moda e il suo lavoro o semplicemente odiava le persone che l'avevano circondata durante quel tempo passato?

Non era facile rispondere a tali dubbi così, su due piedi. Avrebbe dovuto ragionarci su a lungo, prendersi dei momenti per comprendere e farlo prima di tutto nei confronti di se stessa.

Pauline le rivolse un sorriso quasi materno. «Puoi avere entrambe le cose, se vuoi. La tua zona di comfort a Monte-Carlo, i tuoi momenti di svago nei paddock e il lavoro che sai fare meglio di chiunque altra in questo settore» Quanto avrebbe desiderato qualcuno come lei accanto durante la sua crescita. Una persona comprensiva, capace di ascoltare e di darle consigli senza doverla manipolare per secondi fini.

Inevitabilmente, la donna era venuta a sapere della sua riapparizione proprio nel mondo della Formula 1. Osservando le riprese andate in onda, le foto e scambiandoci quelle parole, aveva compreso che fosse un qualcosa dove lei stesse bene, perché, attorno ad esso, vi ruotavano delle persone con cui aveva stretto dei legami. Stava solo cercando di farle capire che, riprendere in mano la sua vita e scegliere una strada da seguire per il futuro, non l'avrebbe privata di quelle amicizie.

«Questo è un talento innato dentro di te» indicò il manichino che aveva vestito, ispirandosi proprio ai paesaggi londinesi e dandole, senza nemmeno farlo apposta, un'ottima idea per il servizio fotografico del giorno successivo. «Buttarlo all'aria, per l'ennesima scelta altrui, sarebbe davvero un peccato» concluse, con tono ovvio, per poi tornare a concentrarsi sugli scatti presenti sul tavolo.

Jourdan lasciò scorrere i suoi occhi su quel manichino, spostandoli poi ad osservare, ancora una volta, l'interno di quella sala. Guardò Aiko, fare un piccolo scatto, quando l'ago, con il quale la sarta stava fermando una parte del vestito, le punse la pelle, ricordandosi tutte le volte che era capitato a lei. Vedere quelle persone lavorare in modo armonico, come una squadra, costruendo i numeri che sarebbero andati a comporre le varie pagine del giornale più importante nel campo della moda, la fece pensare che Pauline non doveva essere andata proprio fuori strada con il discorso che le aveva fatto.

«Grazie» la affiancò, rivolgendole quella semplice parola.

La donna la fissò dritta negli occhi, scuotendo la testa, minimizzando ciò che invece, per Jourdan, aveva avuto un grande significato. «Senti, ti propongo una cosa» iniziò, facendola irrigidire. «Settimana prossima sarò in Costa Azzurra, per un servizio fotografico di Hermès, il luogo degli scatti lo stanno ancora decidendo, ma, cosa ne dici di passare di lì?» chiese, cercando di contenere l'entusiasmo.

Venne colta di sorpresa da quell'invito, trovandosi in difficoltà sulla risposta da dare. Lì per lì, stava quasi per accettare. Ma una vocina nella sua testa le urlò di non farlo, facendo piombare su di lei un certo timore. «Pauline, io non so se sia proprio una buona idea» ancora non si fidava di se stessa, aveva paura che tutto ciò potesse finire come la sera del Festival di Cannes, temeva che le sue brutte abitudini tornassero e la travolgessero.

«Ti terrò da parte degli abiti e se deciderai di unirti, poserai con quelli. Altrimenti potrai sempre guardare e dare qualche consiglio alle modelle e ai modelli» aggiunse, dandole libera scelta sul lavorare attivamente o meno. Non la stava obbligando, le stava solo chiedendo di regalare una possibilità alla sua proposta e valutare nel mentre come comportarsi.

Poteva farcela, poteva accettare in quel modo, a patto che nessuno la costringesse a fare nulla che non volesse.
E così, si limitò ad annuire.

Le ore passarono, il sole tramontò, colorando il cielo di Londra di sfumature calde. Jourdan salutò Pauline e Aiko, tornando in hotel, con la promessa di rivederle la settimana successiva. Ormai era tarda sera e nella città le strade sembravano essere decisamente più tranquille, il traffico era svanito, nessuno correva più da una parte all'altra.

Lì, nel quartiere di Marylebone, c'era quasi silenzio. Le luci delle case illuminavano le larghe vie, aiutate anche dai lampioni dallo stile antico. Un sassolino rotolava lungo il marciapiede, venendo calciato, di tanto in tanto, dai ragazzi che vi stavano camminando sopra.

«Se vincerai il Gran Premio, dovremmo organizzare una bella festa» disse Spinz, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.

«La organizzeremo comunque. È la sua gara di casa, si festeggia con ogni risultato» intervenne Miles, colpendo il sassolino, facendolo rotolare qualche metro più avanti. «Magari potresti invitare anche quella certa Jourdan, così ce la presenti. Visto che anche Toto l'ha conosciuta, ma i tuoi migliori amici non ancora» aggiunse, fingendosi offeso.

Lewis alzò gli occhi al cielo in modo divertito. «Toto l'ha conosciuta per caso» puntualizzò, ricordando quell'incontro avvenuto sulla pista di Silverstone, due giorni prima. «E comunque, scordatevelo» aggiunse, riferendosi alla possibilità di invitarla a quell'ipotetica festa.

Spinz stoppò i suoi passi, costringendo anche gli altri due a farlo. «Quindi è una cosa seria» commentò, sorridendo divertito.

«Ma quale cosa seria. È solo una conoscente» sminuì il tutto, riprendendo a camminare.

«Una conoscente con cui sei andato a letto» insistette l'amico, facendolo pentire di averglielo raccontato.

«Non è mica la prima volta che vado a letto con qualcuno» rimbeccò, continuando a non dare importanza a tali eventi. Mentendo a loro e a se stesso, scegliendo di credere che non ci fossero state, in quei momenti, delle emozioni che lo avevano portato a porsi parecchie domande.

Miles lo sorpassò, camminando all'indietro, così da guardarlo dritto in faccia. «Hai finito?» chiese.

«Cosa?» Lewis aggrottò le sopracciglia.

«Di dire puttanate» gli tirò una pacca sulla spalla. «Lei ti piace, ammettilo e basta» sospirò, alzando le mani.

Il pilota si mise subito sulla difensiva. «Non cominciare a fare il Cupido delle cause perse.»

«E tu non partire in quarta» lo ammonì. «Non ho detto che la ami, che sia la donna della tua vita, con la quale devi fidanzarti e costruire un futuro» puntualizzò. «Hai affermato che è piacevole passarci del tempo assieme, che ti fa ridere e ti suscita curiosità» ricapitolò tante delle cose che gli aveva raccontato. «Questo va oltre la semplice attrazione fisica. Lei ti piace e non c'è niente di male.»

Ne poteva essere sicuro?
Insomma, l'ultima volta che aveva avuto un interesse serio per una ragazza, risaliva alla sua relazione di dieci anni prima. E le cose non erano affatto finite bene in quel caso. Durante quegli anni, si era frequentato con diverse ragazze, ma, mai nessuna gli era rimasta in testa. Erano state tutte storielle di qualche settimana, massimo qualche mese. Senza impegno, giusto per svagarsi. Ed era stato così anche dall'altra parte.

Adesso però, qualcosa sembrava essere diverso. Non se lo erano detti, non avevano mai parlato di loro due. Ma, la curiosità che lui provava nei confronti di quella ragazza, la voglia di conoscerla sempre più a fondo, il modo in cui apprezzava il suo sorriso e quegli strani comportamenti che aveva alle volte, gli faceva comprendere che non era affatto come con le altre volte. Ed era quasi certo che per Jourdan fosse lo stesso, lo capiva dal modo in cui lo guardava, dai gesti che compiva.

Tutto ciò avrebbe dovuto fargli piacere, avrebbe dovuto essere contento di star provando quelle belle emozioni dopo dieci anni. Invece, era solo spaventato. Fare il paragone e ripensare alla sua vecchia relazione, era inevitabile per lui. Chi mai avrebbe accettato di essere seconda al suo lavoro?

Perché quella era la realtà dei fatti. Amava ciò che faceva, lo amava con tutto se stesso e non era ancora arrivato a quel punto della sua vita in cui poteva andare avanti anche senza far parte della Formula 1. Le cose non sarebbero cambiate, solo lui avrebbe potuto decidere quando sarebbe stato stanco di essere un pilota. E ciò sarebbe potuto accadere tra un anno, o magari cinque. Solo il tempo gli remava un po' contro, perché ormai era decisamente adulto e sapeva che, prima o poi, anche senza la sua decisione ultima, avrebbe dovuto lasciare il posto a qualcun altro.

Ma, il tempo non poteva controllarlo. I suoi sentimenti sì, invece.
Ecco perché si frenava. Non voleva buttarsi a mente libera in quella nuova conoscenza, lasciare che il suo cuore si affezionasse e poi soffrisse il doppio, perché sapeva di non poter essere in grado di darsi al cento per cento ad una possibile relazione.

Era anche vero però, che non poteva sapere come la pensasse lei. La sua ex aveva un'idea riguardo il futuro che voleva, ciò non significava che essa dovesse rispecchiare anche quella di Jourdan. Eppure, non poteva fare a meno di pensare che le cose sarebbero potute andare bene, solo per poi precipitare rovinosamente e schiantarsi al suolo, rompendosi in modo irrimediabile.

«Te l'ho già detto e te lo ripeto ogni volta, non privarti di qualcosa a prescindere. Non convincerti che per forza debba andare male» davanti alle scale di quella fermata della metro, Miles lo fissò nuovamente negli occhi.

«Io darei una possibilità a qualunque cosa stiate creando» intervenne Spinz. «Non lo so, amico, mi sembri sereno e quando parli di lei, sorridi. Perché non provarci almeno» iniziò a scendere quei gradini.

Forse avevano ragione, avrebbe dovuto viversela con più spensieratezza. Era tanto bravo a vedere sempre il lato positivo, a mantenere la calma, a ponderare le decisioni. Ma quando si trattava di quel tipo di sentimenti, andava in tilt.

La metropolitana di Londra era quasi deserta, fatta eccezione per uno degli addetti e altre due persone che attendevano il treno. L'ultimo di quella sera, prima dello stop alle corse, fino al mattino dopo. Presero le ripide scale mobili, scendendo all'ultimo livello, ritrovandosi sulla banchina. Lewis amava ogni dettaglio di quella città. E di notte, quando era immersa nella calma, lo faceva ancora di più.

Era nato e cresciuto in una cittadina a qualche chilometro dalla capitale. Da piccolo, Londra lo aveva sempre affascinato. Rappresentava tutto ciò che non poteva avere, quella vita che gli era solo permesso osservare da lontano. I problemi di denaro, le discriminazioni per il colore della sua pelle, la malattia del fratello e quel sogno che portava i suoi genitori a compiere così tanti sacrifici per potergli permettere di realizzarlo. Nulla era mai stato facile, non aveva mai guadagnato niente, senza esserselo sudato duramente.

C'erano dei giorni in cui detestava se stesso e quel sogno che tanto desiderava coronare. Giorni in cui vedeva suo padre rientrare sfinito, da uno dei tanti lavori che era costretto a fare e crollare sul divano senza nemmeno mangiare. Giorni in cui tutto diventata troppo e lui si chiedeva perché non potesse avere un desiderio normale, perché proprio quello, così costoso, così esclusivo, proprio a lui che non aveva nulla.

Ma, quando pensava di rinunciarci, un fitta gli trafiggeva lo stomaco. La sola possibilità di non potercela fare, di dover mollare, lo faceva stare male in un modo che mai prima aveva sperimentato. E allora stringeva i denti, faceva il possibile per aiutare i genitori. Quando scendeva in pista, doveva essere il migliore, per ripagarli di ogni sacrificio. Doveva vincere, essere sempre al top, realizzare quel sogno, dare alla sua famiglia la vita che meritavano e dimostrare a chiunque la pensasse diversamente che, anche con il colore che aveva la sua pelle poteva far parte di quello sport e lasciarvi un segno.

Alla fine, ce l'aveva fatta eccome a raggiungere tutti i traguardi che si era prefissato e anche di più.

«Dove scendiamo?» domandò, sedendosi in modo più comodo su quel vagone deserto.

«Ad High Street Kensington?» propose Spinz. Gli altri due annuirono.

«A che ora hai le prove libere domani?» Miles lo guardò.

«Poco dopo pranzo» rispose il pilota.

«Beh, allora possiamo mangiarci qualcosa e poi prendere un taxi e tornare a casa» ragionò l'amico.

Fu proprio ciò che fecero. Scesero dal treno, ritrovandosi nuovamente su delle scale mobili, per poi uscire dalla stazione della metro. Camminarono lungo quella strada, raggiungendo un piccolo chiosco, in fase di chiusura. Convinsero il proprietario a fargli due porzioni di fish and chips e una con del tofu al posto del pesce e delle patate arrosto, per Lewis, rispettando così la sua dieta vegana.

Si sedettero su un muretto, mangiando e scherzando. Erano proprio quei piccoli e semplici momenti che gli facevano rendere conto quanto fossero fortunati ad aversi. Erano grati dell'amicizia che li legava e non avrebbero potuto chiedere di meglio, perché sapevano che ognuno di loro ci sarebbe sempre stato per l'altro.

«Dai, non fare il coglione» si lamentò Spinz, quando Miles gli sporcò la guancia con della maionese, per poi tirargli una patatina.

«Bambini, fate i bravi» li prese in giro Lewis, dondolando le gambe che penzolavano dal muro.

«Potrei essere tuo padre» scherzò Miles, saltando giù.

Spinz scoppiò a ridere, seguito dal pilota. «Ma se sono più grande di te» gli ricordò, avendo cinque anni in più di lui.

«Ma io sono più alto» disse convinto, incrociando le braccia al petto.

Gli altri due si guardarono, continuando a ridere. «Sei anche più scemo» commentò Spinz, ricevendo in risposta un dito medio.

Lewis recuperò il cellulare dalla tasca di quei pantaloni della tuta, dalla fantasia tie dye, che aveva abbinato ad una semplice maglietta, con sopra una giacca nera, per ripararsi dall'aria della sera, decisamente più fresca rispetto al giorno. Un abbigliamento comodo, così come quello degli amici, adatto al giro notturno della città che avevano deciso di fare. Fece illuminare lo schermo, così da poter controllare che ore fossero. «Mandi la buonanotte alla tua ragazza?» lo stuzzicò Miles, sorridendo divertito.

«La vuoi smettere» gli tirò una leggera spinta, saltando poi a sua volta giù dal muretto. «Andiamo a casa, adesso si è fatto tardi» disse poi, sapendo di doversi svegliare abbastanza presto la mattina dopo.

A seguito di quella frase scherzosa da parte dell'amico, Lewis ci pensò davvero ad inviare un messaggio, augurando la buonanotte a Jourdan, ma archiviò subito quell'idea, sentendosi stupido. Infondo, non l'aveva più vista né sentita, da dopo quel loro incontro sul circuito. Che senso avrebbe avuto uscirsene in quel momento con un messaggio del genere. Rimase quindi con la speranza di poterla vedere il giorno dopo, a Silverstone, così da poter provare a passare dell'altro tempo con lei, avvertendo un po' la mancanza di quei momenti.

Peccato però, che Jourdan non ci sarebbe stata su quel circuito il giorno dopo e nemmeno quello successivo.

🌟🌟🌟

Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻

Un po' di drammi sono tornati, ma si può fare di meglio😏
Intanto, Rob ha ricevuto le sue prime informazioni riservate dalla nostra protagonista, riguardanti le sorti di Daniel e il sedile che lo lega alla Formula 1.
Chissà se il giornalista sceglierà di scrivere quell'articolo dicendo la verità dei fatti?

Lando, invece, si trovava nel posto giusto al momento giusto, o sbagliato, dipende dai punti di vista🤭
Max come avrà preso la foto che gli è stata inviata? Dal messaggio di risposta, sembra non bene...

Passiamo ai protagonisti. Jourdan ha rincontrato alcune conoscenze del passato, che però sembrano portare con loro dei bei ricordi. Dite che si presenterà davvero a quel servizio fotografico?
Infine, Lewis ha un bel da fare con i suoi amici, che, proprio come fa anche Skye con la modella, lo spronano a lasciarsi andare in quella conoscenza.
Si sarà convinto a farlo?

Per trovare una risposta a tutte queste domande, non dovrete fare altro che continuare a leggere😈

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XOXO, Allison💕

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