Capitolo 13 - La notte
Principato di Monaco.
Monte-Carlo.
Quella notte nel Principato fu diversa per molte persone.
I fan che avevano assistito alla gara affrontavano il viaggio per tornare a casa, chi più vicino e chi più lontano. Al circuito si lavorava per iniziare già a smantellare le tribune e le varie protezioni. Sparsi tra i locali più famosi di Monaco, alcuni piloti stavano festeggiando, per un podio, per una vittoria, o semplicemente per il gusto di farlo.
E poi, c'era chi quella notte non se la stava godendo affatto. Chi si rigirava tra le coperte, incapace di prendere sonno, chi era appena tornato a casa, dopo una movimentata chiacchierata con il capo e chi cercava di fare ordine nella sua testa.
Era stata una lunga giornata, che sembrava proprio non voler mai arrivare alla fine. Jourdan aveva sperimentato emozioni che nemmeno sapeva esistessero. Aveva provato la paura concreta di poter perdere qualcuno a cui teneva. Quell'incidente, vissuto dal vivo, nel mezzo del caos che si era creato ai box, a pochi metri dal luogo in cui si era verificato, l'aveva segnata al punto da toglierle il sonno quella notte.
Se le cose fossero andate male, se dalla macchina Max non fosse mai sceso da solo, l'ultimo ricordo che avrebbe avuto con lui sarebbe stata una lite. Le ultime parole che si erano scambiati erano intrise di rancore e cattiveria. Questo continuava a pensare, trattenendosi dalla voglia di recarsi in camera del fratello e lasciarsi semplicemente andare, stringendolo in un abbraccio, dimenticando tutto quello che era successo.
Ma non lo fece.
Perché le sembrava un gesto esagerato. Per sedici anni non avevano avuto nemmeno un contatto e in quegli ultimi tempi passati assieme, non si erano mai riservati un tocco amorevole. Non riusciva quasi a ricordare quando era stata l'ultima volta in cui si erano lasciati andare ad un abbraccio, ad una consolazione reciproca o ad un semplice gesto d'affetto tra loro. Ecco perché lasciò perdere, rimase nella sua stanza, sdraiata a pancia in su sul letto.
Max, dal canto suo, non se la stava passando meglio. Quella sera avrebbe avuto dei programmi, si era accordato con Daniel e Lando per andare a festeggiare. Dopo il risultato della gara di quel pomeriggio, però, la sua voglia di uscire era diventata nulla. Successivamente all'incidente, si era fatto controllare al centro medico, dove si erano accertati che non avesse riportato alcun tipo di ferita. Le cose sembravano comunque essere andate per il meglio, a parte qualche indolenzimento dovuto all'impatto contro quelle barriere.
Doveva essere contento di esserne uscito completamente illeso. E lo sarebbe anche stato, avrebbe anche perso solo la parte positiva di tutta quella situazione, se avesse avuto una mentalità diversa. Invece il suo cervello continuava a fargli pensare al fatto che fosse uscito dalla gara, che fosse tornato a casa con nemmeno un punto da aggiungere a quelli che già aveva per la corsa al mondiale.
Aveva perso.
In quella gara aveva perso in ogni modo possibile. Giocandosi un podio, giocandosi dei punti e giocandosi una posizione in classifica.
Questa era l'unica cosa che la sua mente riusciva a ricordargli, portando con sé anche le parole di suo padre. Perché sapeva di averlo deluso ancora una volta.
E, forse, avrebbe davvero avuto bisogno di un abbraccio. Di una persona che perdesse anche solo pochi secondi della sua vita per dargli una pacca sulla spalla e rassicurarlo di essere abbastanza. Non lo avrebbe mai ammesso però, non era così che era stato cresciuto, gli era sempre stato insegnato che i sentimenti, le emozioni, in situazioni difficili è meglio non esprimerle, altrimenti si fa la figura del debole.
Divisi da qualche metro, Max e Jourdan restarono nelle loro stanze, soli, senza sapere che, per consolarsi, per tirare un sospiro di sollievo, sarebbe bastato aprire le loro porte e permettersi di essere fragili.
Dopo aver passato parecchi giorni assieme, gli amici di Lewis erano tornati in America.
Spinz e Miles, visto il risultato della gara, avevano offerto il loro pieno supporto al pilota, proponendosi per restare ancora. Lui li aveva ringraziati, declinando però quell'offerta. Necessitava di stare solo, riflettere su quanto accaduto e prendersi del tempo per riordinare i pensieri. Era grato di avere al suo fianco amici così leali e premurosi, che poteva considerare come fratelli. Ma aveva bisogno anche lui di momenti da dedicare a se stesso.
Al centro medico gli era stato detto che non riportava alcuna lesione al braccio che gli doleva. Gli avevano messo del ghiaccio, informandolo che si trattasse solo di un trauma dovuto all'impatto. Si erano raccomandati di non sforzarlo troppo e avevano parlato con Angela, subito accorsa da lui, consigliandole di fargli fare degli esercizi mirati e massaggi rilassanti. Lewis si era poi ritirato subito nel suo motorhome, attendendo la fine della gara e il confronto con Toto e il suo team.
Nessuno era felice del risultato ottenuto, Lewis in primis detestava l'idea di essersi giocato la gara in quel modo. I fatti però non si potevano cambiare, l'unica cosa che si poteva fare era imparare dai propri errori ed evitare di commetterli di nuovo. Questo era l'insegnamento che Niki aveva dato a tutti loro.
"Dalla mia esperienza personale posso dire che vincere è importante. Ma dalle sconfitte ho sempre imparato di più per il futuro."
Questo era ciò che aveva ripetuto, in ogni situazione difficile, a tutto il team. Ciò che aveva detto a Lewis, dopo che, anni prima, per un suo errore si era giocato un'intera gara. Guardandolo negli occhi, con una mano poggiata sulla spalla, gli aveva ripetuto queste parole, facendogli comprendere che anche gli sbagli sono fondamentali per capire dove e come migliorarsi. Senza di essi è impossibile crescere, perché la perfezione non esiste, è solo una favola che ci raccontiamo per evitare di ammettere o di lavorare sulle nostre debolezze.
Lewis era il primo critico di se stesso, il più duro. Anche se poteva non sembrare da fuori, il pilota era molto severo con la sua persona. Ammetteva i suoi errori, ne era sempre consapevole e finiva per rimuginarci su per ore, cercando di capire dove avesse sbagliato e come avrebbe potuto evitarlo. Ed era esattamente ciò che stava facendo anche quella notte.
Rientrato a casa a tarda sera, era stato accolto da Roscoe, che non aveva esitato un attimo per fargli qualche festa e ricevere delle veloci coccole. Lewis si era poi fiondato sotto la doccia, volendo rilassarsi, provando a liberare la mente. Un tentativo che si era rivelato fallimentare, dal momento in cui aveva passato tutto il tempo a visualizzare nella sua testa l'incidente e cercare di individuare il preciso momento in cui avrebbe potuto accorgersi delle pericolose distanze tra la sua macchina e quella dell'avversario.
Con un sospiro frustato, aveva abbandonato quel box doccia, asciugandosi e indossando qualcosa di comodo. Si era diretto nuovamente in salotto, deciso a prendere il computer e lavorare un po' alla sua musica, l'unica cosa che avrebbe potuto distrarlo in quel momento.
O forse non proprio l'unica.
Il trillo emesso dal suo cellulare attirò tutta la sua attenzione. Si avvicinò ad esso, recuperandolo dall'isola della cucina e osservando quella notifica.
Dall'altra parte di Monte-Carlo, ancora in quella stanza buia, Jourdan era stata sorpresa da una telefonata. «Dove sei? Stiamo festeggiando e manchi solo tu» la voce di Charles le arrivò disturbata, coperta a tratti dalla musica in sottofondo e da tante altre persone intente a parlare.
«Perceval, te l'avevo detto che non sarei venuta questa sera» gli ricordò. Dopo le emozioni vissute a quel Gran Premio, l'ultima cosa che le andava di fare era uscire e girare per locali. Le dispiaceva non essere presente a divertirsi con loro, ma era anche giusto che in una situazione tale mettesse se stessa al primo posto.
«Ah già» si ricordò, lasciandosi poi andare ad un risolino, dandole la conferma che dovesse aver già bevuto un po'. «Però mi dispiace che non ci sei» la ragazza sorrise e lui venne interrotto da un'altra voce femminile.
Skye si era appropriata del suo telefono. «J, tutto bene?» le chiese subito.
«Sì, è tutto okay. Charles mi ha chiamata e suppongo si sia già lasciato andare con l'alcol» disse divertita.
«Ci hai preso» le confermò l'altra. «Tu comunque stai bene? Max sta bene?» volle accertarsi ancora.
Jourdan si rigirò tra le coperte, mettendosi su un fianco. «È tutto okay, davvero, non preoccuparti, pensa a divertirti» rispose. «E tienimi d'occhio Charles» si raccomandò scherzosamente.
«Sarà fatto» acconsentì. «Tu cerca di riposare» si premurò infine, prima di chiudere quella telefonata.
Con un sorriso ancora ad adornarle le labbra, la modella si sistemò meglio su quel cuscino. Credeva di essere ormai pronta per addormentarsi, per spegnere la mente e lasciare che si ristorasse assieme al suo corpo. Ma così non fu.
Passarono i minuti, lenti, inesorabili. La sua percezione del tempo era falsata dal nervosismo di non riuscire a prendere sonno. Aveva chiuso gli occhi e le sembrava passata una vita, tanto che quando li riaprì, per controllare che ore fossero, credeva che non dovesse mancare troppo al sorgere del sole. Si rese poi conto però, che dal momento in cui aveva provato a dormire, erano passati solo una manciata di minuti.
Gemette in modo frustrato, tirando fuori le braccia da sotto il leggero piumino e lasciandole ricadere pesantemente sopra di esso. Si chiese se fosse l'unica sveglia in casa o se anche suo fratello fosse nella stessa situazione. Pensò ai suoi amici, lì fuori in qualche locale del Principato, intenti a fare festa e poi un dubbio le sorse spontaneo.
"Chissà se Lewis dorme."
Non sapeva dire perché il suo cervello l'avesse portata a pensare a lui in quel momento. Forse perché era stato a sua volta un protagonista di quell'incidente, forse perché ci aveva scambiato qualche parola proprio prima della gara, forse per i loro molteplici incontri, per quel bacio, per quella curiosità che provava nei suoi confronti. Poteva essere qualunque di questi fattori, fatto stava che ora non riusciva a togliersi dalla mente il suo volto.
Magari era sveglio anche lui e come lei non riusciva a dormire, dopo che il modo in cui quella giornata lo aveva segnato negativamente. Se lo immaginò rigirarsi tra le coperte, esattamente come la ragazza stava facendo, e poi il suo cervello prese a viaggiare, chiedendosi che tipo potesse essere.
Era una di quelle persone amanti della notte o preferiva essere sempre il primo ad alzarsi, pronto per l'inizio di un nuovo giorno? Aveva un pigiama per dormire o andava a letto semplicemente con qualche maglietta recuperata casualmente dall'armadio? Era una persona da lenzuola coordinate o da come viene, viene?
"Ma che cosa te ne frega?"
Le domandò la sua mente, facendole scuotere la testa, davanti a quei pensieri scoordinati. Che però, in quanto tali, l'avevano portata a riprendere il cellulare tra le mani. Se tanto le interessava se fosse sveglio o meno, c'era un unico modo per scoprirlo. Aprì la rubrica, cercando quel numero di telefono che lui stesso aveva salvato, in uno dei loro ultimi incontri. Tergiversò ancora per qualche secondo, prima di decidersi a dare corda alla sua parte irrazionale.
"Mi spiace per come è andata oggi. Per quel che vale, credo che, sia tu che mio fratello siate stati dei cretini a provare a sorpassarvi in quel punto."
Questo era il messaggio che stava illuminando lo schermo del cellulare di Lewis. Lo stesso messaggio che stava fissando ormai da un tempo indeterminato. Il numero dal quale proveniva non era salvato, ma non ci mise molto a capire chi potesse celarsi dietro di esso. Si morse l'interno guancia, sbloccando lo schermo e decidendo di rispondere.
"Cosa ci fai ancora sveglia?"
Sapeva che che la ragazza, con ciò che aveva scritto, era completamente nella ragione. Lui e Max erano stati due stupidi a tentare un sorpasso in quel punto, ne erano consapevoli anche loro. Ormai però era successo, la gara era finita in quel modo e continuare a parlarne non avrebbe cambiato nulla. Jourdan, con la decisione di scrivergli, aveva portato la sua testa in un altro mondo, lontano dal ricordo dell'incidente. E ora, l'ultima cosa che voleva era proprio portare avanti quel discorso. Ecco perché decise di sviare, ignorando ciò che gli aveva scritto.
"Pensieri. E tu?"
La risposta gli arrivò quasi subito, segno che lei fosse lì, con il telefono vicino, ad attendere un suo messaggio.
"Pensieri."
Scrisse a sua volta, per poi soffermarsi a riflettere. Voleva finire quella conversazione così? Sperare che fosse lei a portarla avanti aprendo un altro discorso? Una parte della sua mente la pensava in modo alquanto diverso. E lui decise di ascoltarla.
"Ti va un po' di compagnia?"
Jourdan rilesse quel messaggio un paio di volte, indecisa sul da farsi. Forse non era il caso di rispondere positivamente, si era già spinta troppo oltre. Non avrebbe più dovuto dargli corda e invece si era ritrovata nel suo motorhome. Non avrebbe più dovuto vederlo e invece si era ritrovata nella sua macchina a baciarlo. Sarebbe dovuta stargli lontano e invece lo aveva cercato ancora al Festival. Ci aveva riparlato alla gara di quel pomeriggio e ora gli aveva anche scritto un messaggio, aprendo quella conversazione.
Al suo corpo però sembrava non interessare tutto ciò, perché le dita iniziarono a digitare una risposta completamente opposta da quello che la mente le stava suggerendo.
"Intendi messaggiare con me per il resto della notte come se fossimo ragazzini al liceo?"
Ormai le era chiaro che quella sera non avrebbe chiuso occhio, tanto valeva prendere il meglio dalla situazione che lei stessa aveva deciso di creare. E Lewis sembrava della medesima idea, perché aveva completamente allontanato la razionalità, dando libero spazio a quello che in realtà desiderava davvero, ignorando del tutto ciò che era giusto e ciò che era sbagliato.
"No, intendevo chiederti se ti andasse di vederci. Se dobbiamo passare la notte in bianco, almeno evitiamo di farlo fissando il soffitto delle nostre stanze."
Jourdan avrebbe dovuto rifiutare. Scriversi messaggi per tutta la notte sarebbe stato un conto, incontrarsi sarebbe stata tutta un'altra storia. L'avrebbe esposta ad un tipo di situazione dalla quale si era detta non ci sarebbe più cascata. Ma perché tutto doveva sempre andare male negli scenari che il suo cervello si immaginava? Il fatto che in passato fosse andata così non significava matematicamente che sarebbe accaduto ancora.
"Vengo io da te."
E con questo ragionamento, grazie al quale aveva scelto di auto convincersi che stava facendo la cosa giusta, scrisse quell'ultimo messaggio.
Probabilmente stava sbagliando.
Sicuramente si stava infilando in qualcosa dal quale sarebbe stato meglio stare alla larga.
Ma lei aveva scelto di credere alla positività.
Ingenua, speranzosa positività.
Si chiedeva solo se anche quella volta le si sarebbe ritorta contro.
Abbandonò il tepore del suo letto, dirigendosi verso l'armadio, liberandosi del pigiama e indossando un comodo pantalone della tuta, rosa pastello. Mise sopra una semplice felpa dal taglio corto e recuperò un paio di tennis. Tenendo queste ultime tra le mani, afferrò il suo cellulare e uscì dalla stanza. Cercò di fare meno rumore possibile, per evitare di farsi sentire dal fratello. Si diresse verso il mobiletto all'entrata, prese le prime chiavi che le capitarono sotto mano e poi sgattaiolò fuori casa, richiudendosi con molta cura la porta alle spalle.
Indossò le scarpe mentre attendeva l'ascensore e una volta nei garage osservò il mazzo che aveva preso, al buio, senza nemmeno guardare. Fece un cenno di approvazione, scoprendo fossero quelle della Ferrari che Max si era da poco comprato. L'aprì, salendo al suo interno e non aspettando un secondo di più per metterla in moto. Si prese un momento per studiarla. Aveva la patente, ma non le capitava di guidare spesso. In America c'era sempre un autista pronto a portarla dovunque volesse e lì a Monaco, per qualsiasi cosa, si muoveva a piedi o scroccava passaggi ai suoi amici.
Dopo aver capito come funzionasse, decise di fare manovra, per uscire da quel parcheggio e dirigersi finalmente in strada. Probabilmente era l'unica persona che avesse mai guidato una Ferrari per le strade deserte di Monte-Carlo senza superare mai i limiti di velocità. Ma la macchina non era sua, non guidava da tanto e voleva evitare di riportarla a casa anche solo con un graffio. Perciò, per una volta, preferì la prudenza al divertimento.
Ricordava perfettamente quale fosse il palazzo che ospitava l'appartamento di Lewis e non ci volle molto a raggiungerlo. Parcheggiò ad alcuni metri da esso, per poi restare in auto per qualche secondo di troppo. La macchina era ormai spenta, le sue mani però sembravano incerte sul lasciare o meno il volante.
"Che cazzo stai facendo?"
Si chiese nella mente, rendendosi conto per davvero, solo in quel momento, di quello che sarebbe potuto accadere.
"Torna a casa."
Le urlava una voce nella sua testa, ma quando i suoi occhi incontrarono la figura di Lewis, essa venne strozzata. Il pilota era appena uscito dal palazzo. Con le braccia conserte, si dondolò sui talloni, per poi guardarsi attorno, attendendo di vederla arrivare. E lei comprese la situazione a cui lui aveva dato vita. Era sceso, uscendo da casa sua, aspettandola fuori, lasciando così a lei la decisione di salire oppure restare lì sotto da qualche parte. Non l'aveva attesa nel suo appartamento, mettendola davanti all'unica possibilità di dover recarsi da lui. Le aveva creato una scelta.
E allora, Jourdan finalmente scelse.
Scelse di scendere dall'auto e andargli incontro.
Accortosi della sua presenza, l'accolse con un sorriso e qualche passo verso di lei. «Ehi» le disse poi.
«Ehi» ricambiò con quelle stesse sillabe.
Lo sguardo del pilota cadde sull'auto dalla quale si era allontanata. «Non male» la commentò così.
«È di mio fratello» lo informò, facendo spallucce.
«E suppongo lui sappia che l'abbia presa tu, per venire qui» alzò un sopracciglio, stuzzicandola con quella presa in giro.
Jourdan annuì con foga. «Certamente. Gli ho detto che stavo venendo da te ed è stato proprio lui a consigliarmi di prendere la sua nuova macchina» parlò con ironia, perché Max era del tutto all'oscuro di ciò che stava succedendo dall'altro lato della città. Era convinto che la sua sorellina stesse dormendo, non immaginava nemmeno lontanamente quale fosse la realtà.
L'attenzione della ragazza venne poi catturata dal rumore delle onde che si infrangevano, leggere e instancabili, contro la battigia. «Il mare di notte ha qualcosa di poetico, non trovi?» commentò, essendosi accorto dello sguardo di lei rivolto verso l'orizzonte.
Jourdan abbassò gli angoli della bocca, incrociando le braccia al petto. «Pilota, modello e pure poeta» elencò. «Quante altre cose sei, Hamilton?» domandò, guardandolo negli occhi.
«Non ti priverò di scoprirlo da te, rivelandotelo io» le rispose, incamminandosi verso la scalinata che portava alla spiaggia sottostante. La modella, senza nemmeno pensarci, si ritrovò a seguirlo, attirata come fosse una calamita. Scesero, incontrando la sabbia, facendola scricchiolare, ad ogni passo, sotto i loro piedi. Raggiunsero un piccolo ammasso di scogli, sul quale lui la aiutò a salire, per poi sedersi affianco a lei.
In silenzio per alcuni preziosi secondi, osservarono il mare, nero come il cielo che lo sovrastava, illuminato solo dalla luna che vi si rifletteva. «È questo che fai quando non riesci a dormire?» gli chiese, guardandolo di sottecchi.
«Alle volte. Venire in spiaggia mi rilassa sempre, soprattutto se deserta» confessò, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé. Jourdan si prese il suo tempo per osservarlo, facendo scendere gli occhi lungo il naso perfettamente dritto, incontrando poi le labbra definite e scendendo sul resto del corpo. «Tu hai dei metodi per farti venire sonno?» domandò, voltandosi verso di lei, cogliendola a fissarlo.
La modella lasciò subito cadere lo sguardo, portandosi poi le gambe al petto, circondandole con le braccia. «Di solito me ne sto ferma, ostinandomi a guardare un punto nella mia stanza, sperando che gli occhi si stanchino e decidano di chiudersi da soli» rispose. «Prima, quando faticavo a dormire, buttavo giù qualche pastiglia con un po' di whisky e il sonno veniva da sé» aggiunse, ricordando le molteplici volte in cui quella era stata la sua ninnananna. L'unica che avesse mai conosciuto, l'unica che avesse mai ricevuto.
«Pensi che qualcuno si fosse mai reso conto di quello che stavi provando in realtà?» si riferiva al suo passato, a quando essere una modella era l'unica via che conosceva.
«Tu te ne eri mai accorto?» gli girò la domanda e Lewis scosse la testa. «Non credo che nessuno si sia mai preso il disturbo di andare oltre i titoli di giornale. Alle persone piacciono i gossip, non si preoccupano di chi c'è dietro» anche se in modi diversi, tutti e due erano sempre stati presi di mira dai giornalisti, sapevano cosa significava vivere con addosso gli occhi giudicanti degli altri. «A tutti è sempre piaciuto dipingermi come la bambina troppo cresciuta, disconnessa da ogni cosa, ingrata verso il mondo che le aveva dato tutto» abbracciò maggiormente le sue gambe, sfregando il naso tra le ginocchia e prendendo un lungo respiro.
«Alla gente piace puntare il dito e sputare sentenze, soprattutto senza conoscere» le fece presente. «Si attaccano ad ogni cosa. Ad una parola di troppo, ad un minimo errore, al colore della tua pelle...» lasciò quella frase in sospeso, ricordando le molteplici volte in cui era stato discriminato, allontanato, solo perché la sua pelle era diversa da quella degli altri.
Jourdan avrebbe voluto chiedergli di più, ma non se la sentì di approfondire quell'argomento. Voleva evitare di riportargli a galla forzatamente ricordi troppo dolorosi, non sapeva tutta la sua storia, per capire fino a dove potesse spingersi. «Ma tu sei stato forte, hai continuato a fare quello che sognavi e guarda dove sei ora» gli fece presente, sciogliendo le gambe dalla sua stessa presa, sedendosi più compostamente. «Io ho risposto attaccandomi ad una bottiglia» la verità era che, era sempre stata più debole di quello che credeva. Si mostrava forte, imperturbabile, menefreghista davanti al mondo. Ma erano tutte cazzate.
«Ci trovavamo in situazioni diverse» le fece presente, avendo ormai capito che lei non avesse mai avuto nessuno da cui potersi rifugiare, che la rassicurasse.
«Adesso ho perso quella brutta abitudine» l'aveva detto guardandolo dritto negli occhi, riferendosi al bere troppo. L'aveva detto cercando di convincere entrambi, come se nemmeno lei fosse certa delle sue stesse parole. E non lo era, perché i fatti la smentivano.
«L'altra volta hai bevuto» lui decise di riportare a galla quei fatti.
Jourdan si ricordò di come erano andate le cose, dello sbaglio commesso, permettendosi di ritornare alle brutte abitudini, mascherandole da vecchie tradizioni. «L'altra volta non ero a mio agio» si giustificò.
«Adesso sei a tuo agio?» chiese Lewis.
La ragazza aggrottò le sopracciglia, perdendosi per qualche secondo nei suoi pensieri. «Sì» avvalse le sue parole con un cenno della testa, tornando a guardarlo in quei suoi grandi occhi scuri, messi in risalto dalle ciglia lunghe. «Sai, devo dire che fai meno schifo della maggior parte delle persone» ammise, scrollando le spalle.
Lewis rise, davanti a quel sottile complimento. «Beh, grazie» lo disse come se fosse una domanda, mantenendo quel sorriso ad increspargli le labbra, contagiando anche lei.
Jourdan non sapeva stabilire se fosse per lui o per la situazione in cui si erano ritrovati, con il rumore del mare a fare da sottofondo alle loro conversazioni, ma si sentiva stranamente pacifica. Il suo cervello era a riposo, non stava pensando a niente. Lasciò che il suono della risata di lui si mescolasse alle onde e a quel leggero venticello che si era alzato. Un'aria notturna che abbassava di poco la temperatura di quel mese di maggio in dirittura di arrivo.
Il piccolo tremolio che scosse il suo corpo, non sfuggì all'attenzione di Lewis. «Hai freddo?» chiese, già pronto a darle una giacca che però non stava indossando, avendo su null'altro che una felpa senza cappuccio. Jourdan rispose facendo spallucce, non essendo sicura di nulla di ciò che stava provando in quel momento. «Possiamo salire da me, se vuoi» decise di sbilanciarsi, avvertendola più vicina a lui, con le loro braccia che quasi si sfioravano.
In tutta risposta, lei si alzò in piedi, guardandolo dall'alto. «Andiamo» disse, iniziando ad incamminarsi, senza aspettarlo. Lewis non perse tempo, raggiungendola a grandi falcate. Insieme, arrivarono sino all'entrata del suo palazzo, lui salutò il portiere notturno con un cenno, per poi avviarsi verso uno degli ascensori.
Jourdan sì guardava in giro curiosa, osservando i dettagli di tutto quello che la circondava. Era un edificio curato, arredato a metà tra lo stile moderno e quello classico. Il viaggio in ascensore fu silenzioso, lei rimase un passo indietro rispetto a lui, lasciandolo uscire per primo, una volta raggiunto uno dei piani più alti. Lo seguì, fermandosi davanti ad una porta scura, che lui aprì con un codice, invitandola poi ad entrare.
Probabilmente doveva esserci un profumatore per ambienti da qualche parte, perché il buon odore che le invase le narici la lasciò piacevolmente sorpresa. Si addentrò maggiormente in quell'appartamento, attirando del tutto l'attenzione del bulldog inglese che era sdraiato sul divano in salotto. Il cane alzò la testa, osservandola per qualche secondo, prima di saltare giù in modo alquanto goffo, da quell'arredamento in stoffa scura. Arrivò da lei già in cerca di coccole, che Jourdan certamente non gli negò.
«Come hai detto che si chiama?» chiese, accarezzandogli il dorso.
«Roscoe» rispose lui, avviandosi verso la cucina ad open space, lasciando sopra all'isola il cellulare che teneva nella tasca dei pantaloni. «Vuoi qualcosa da bere o... non so, da mangiare?» domandò, cercando di metterla a suo agio in qualche modo.
Jourdan scosse la testa, alzandosi in piedi e guardandosi attorno ancora per qualche secondo. «Sei piuttosto ordinato» commentò, notando la cura con cui ogni oggetto fosse posizionato.
«Amo la precisione» rispose lui, avviandosi verso il divano, facendosi seguire dal bulldog. Con una piccola spinta lo aiutò a risalire, accarezzandolo poi per qualche secondo, fino a che i suoi occhi si chiusero.
La ragazza, abbandonò a sua volta le chiavi dell'auto e il cellulare sull'isola in marmo, addentrandosi maggiormente in quel salotto, continuando a far saettare gli occhi da una parte all'altra della casa. «E quindi vivi da solo» non l'aveva posta come una domanda, ma il tono che aveva usato aveva tutta l'aria che lo fosse.
«Sì» confermò. «L'unica persona che frequenta in modo assiduo questa casa è la mia fisioterapista, Angela» aggiunse quell'informazione. «Credi che stia nascondendo una qualche relazione?» rise leggermente, abbandonando quel divano e avvicinandosi a lei, ferma a pochi centimetri dalla finestra che dava sul balcone.
«Non lo so. Ogni tanto penso che tu abbia la mia età, ma poi mi ricordo che sei molto più grande e il dubbio che tu stia nascondendo da qualche parte moglie e figli insorge» scherzò, ma un fondo di preoccupazione, per quanto minimo, c'era comunque. Jourdan era stata presa in giro in tantissimi modi, raggirata e ingannata anche da persone che credeva fidate. Che qualcuno nascondesse di essere impegnato o di avere una famiglia, non era cosa nuova per lei. Quindi, preoccuparsi anche sotto quel fronte, era alquanto inevitabile.
Lewis non riuscì a trattenere un altro sorriso. «Non credi che se fossi stato sposato o se avessi avuto dei figli, sarebbe venuto fuori in qualche modo?» le disse, alludendo a come il suo essere conosciuto a livello mondiale non gli lasciasse tanto spazio per la privacy. E, un'informazione di quella portata, di certo non sarebbe sfuggita agli occhi dei media.
La modella ci rifletté su per qualche secondo, appurando che avesse ragione. «Sarà, ma con voi uomini non si può mai essere sicuri» rispose per tanto, continuando a dargli le spalle, lasciando che il suo sguardo si posasse oltre quella finestra, osservando il mare dall'alto.
Il pilota allora mosse un altro passo in avanti, annullando la poca distanza che prima li divideva. Lei sentì il suo respiro caldo sul retro del collo e le sue labbra quasi sfiorarle l'orecchio. «Non generalizzare quando parli di me» l'avvertì, dicendole implicitamente di non essere affatto come gli altri. O quanto meno, di non essere come gli altri che aveva incontrato lei durante il suo passato.
Ma era davvero così? Lewis era diverso?
Lei voleva credere di sì, perché molteplici erano state le occasioni in cui le aveva dimostrato di esserlo. E se invece si stesse solo illudendo? Era capitato così tante volte nella sua vita, di autoconvincersi che fosse la cosa più giusta, quando invece avrebbe dovuto solo scappare a gambe levate.
Nonostante tutti questi pensieri, il suo corpo le suggerì di voltarsi, smettendola di prestare attenzione al panorama e volgendo il suo sguardo su di lui. Una pessima idea, perché presto si ritrovò incastrata tra il vero di quella finestra e il suo corpo. E il cervello sembrava essere andato in tilt, incapace di formulare un pensiero compiuto che le suggerisse cosa fare.
La distanza era talmente minima che se solo si fosse sbilanciata di poco in avanti, i loro nasi si sarebbero sfiorati. Si perse ad osservare quei grandi occhi marroni. Erano scuri, privi di qualsiasi altra sfumatura, invasi dalla pupilla dilatata, che si prendeva più spazio del solito, togliendone a quel colore così profondo. Aveva sempre apprezzato i suoi occhi chiari, li credeva semplicemente più belli rispetto a qualsiasi altro colore. In quel momento però, non ne era più così sicura, perché quelle due iridi stavano mettendo in discussione molte cose nella sua testa.
Lewis non aveva aggiunto altro, lasciando quel silenzio a regnare sovrano. Si era semplicemente limitato a ricambiare il suo sguardo, eppure, a lei sembrava come se riuscisse a leggerle l'anima. Con una semplice sua occhiata, si sentiva così esposta, quasi vulnerabile. Non le piaceva per niente quella sensazione, ma non poteva farne a meno. Più quegli occhi la fissavano e più lei aveva desiderio di ricambiare.
«Perché mi hai scritto questa sera?» le domandò tutto d'un tratto, spezzando quel silenzio diventato di troppo.
Lei si rese conto di non avere una motivazione. O meglio, ne aveva una, ma spiegargli tutti i ragionamenti contorti che la sua mente l'aveva portata a fare, sarebbe stato impossibile. «Non riuscivo a dormire» si limitò a rispondere, etichettando quella sua decisione come semplice frutto di una noia da sconfiggere in qualche modo. Ma sapeva bene che non fosse affatto così.
«E sei uscita in piena notte, di nascosto, rubando la macchina di tuo fratello e guidando fino a qui, semplicemente perché non riuscivi a dormire?» era una domanda retorica quella che le aveva appena posto. «C'erano modi più semplici per ritrovare il sonno, non credi?» alzò leggermente la testa, trattenendo un sorriso sornione.
«Non mi piacciono le cose semplici» lasciò le labbra schiuse, avvertendo sempre più forte, dentro di lei, quella voglia di avventarsi sulle sue labbra, di scoprire il suo corpo, tocco dopo tocco e lasciare che lui facesse lo stesso. Ma era così sbagliato.
Lewis si premette contro di lei, facendole aderire la schiena al vetro dietro. A Jourdan mancò il respiro per qualche secondo. Messa a dura prova da quella vicinanza, faticava a mantenere il controllo e ragionare razionalmente. Poggiò i palmi delle mani sul petto di lui, volendo allontanarlo, ma non applicò alcuna forza, si limitò a restare immobile, avvertendo i muscoli tonici, coperti da quella felpa, sotto le sue dita.
«Nemmeno a me» soffiò lui, a pochi millimetri dalle sue labbra.
«Non dovremmo essere in questa situazione» gli disse, cercando di convincere anche se stessa che non lo volesse. «Non mi fido di te» in realtà non si fidava di se stessa. «Non...» lasciò quella frase in sospeso, rendendosi conto di aver già finito le scuse per evitarlo.
Il pilota allontanò di poco il volto dal suo, permettendosi di guardarla ancora ditta negli occhi. «Sei sicura di quello che dici, Jourdan?» chiese,
Non dovette pensarci su, la sua mente era incasinata, ma il suo corpo sapeva bene cosa desiderava. «No» ammetterlo le fece quasi male.
Spostò le mani dai suoi pettorali, attirandolo verso di sé, facendo scontrare le loro labbra.
Ci era già stata in quella situazione, giorni prima, sulla macchina di lui e tutto si era interrotto per via di quell'altra auto che si era parcheggiata dietro di loro. Anche quella volta sarebbe arrivato qualcuno o qualcosa a fermarli?
Non poteva saperlo, l'unica certezza che aveva era la volontà di approfondire sempre di più quel bacio.
Un desiderio taciuto, ma da lui ricambiato. Lewis si spinse maggiormente contro di lei, facendo aderire i loro bacini, portandola ad emettere un gemito sommesso. Jourdan lasciò ricadere le braccia, presa alla sprovvista dal modo in cui una delle sue mani le si avvolse attorno al collo. Avvertì il calore della sua pelle, in completo contrasto con quella parte fredda rappresentata dai due anelli che stava indossando.
A differenza sua, Lewis sembrava avere il pieno controllo della situazione. Dal modo in cui si muoveva e guidava quel bacio sembrava quasi che nella sua mente non regnasse il caos. Ma le cose non stavano così, la confusione era presente anche per lui, così come per Jourdan. Cercava solo di ignorarla, evitando di fermarsi a rimuginare, perché se lo avesse fatto, quel momento sarebbe finito.
Inconsciamente, per tutti quegli anni passati, si era chiesto come fosse davvero quella ragazza. Immaginava come sarebbe stato conoscerla, parlarci, assaporare le sue labbra. Gli capitava di farlo per qualche secondo, ogni volta in cui lo la incontrava a qualche sfilata o evento. E, ora che tutto stava accadendo davvero, si rendeva conto di come ogni cosa che aveva sempre immaginato fosse stata sbagliata. Perché si era reso conto che l'immagine che i giornali avevano dipinto di lei fosse errata, c'era molto di più dietro a quel volto usato a piacimento dai media. C'era un mondo intero e lui aveva iniziato a scoprirne solo la prima superficie.
Si staccarono per pochi secondi, solo per riprendere fiato, scambiandosi una veloce occhiata con i respiri corti e le pupille dilatate allo stremo. Ritornarono a baciarsi, facendo nuovamente incontrare le loro lingue, lasciando che i corpi si nutrissero di quella sensazione quasi paradisiaca, desiderandone sempre di più.
Le mani di Lewis scesero, afferrandole i polsi, portandola ad alzare le braccia sopra la testa. Jourdan sentiva il cuore aumentare il suo battito e quel pizzicore nel basso ventre iniziare quasi a bruciare. Non c'era più traccia di ripensamento, l'unica cosa che ora, all'unanimità, la sua mente e il suo corpo desideravano, era godersi ogni centimetro di quel corpo ai suoi occhi perfetto.
Avrebbe voluto toccarlo, far vagare le mani sul suo petto, farle scivolare sotto quella felpa di troppo, percependo ogni singolo muscolo che si celava sotto il suo tessuto. Ma, la posizione in cui l'aveva messa, le impediva di muovere le braccia, tenute da lui sopra la sua testa. E questo non faceva altro che far aumentare ancora di più il desiderio di percepirlo su ogni parte di se stessa.
Lewis decise di mantenere le redini di quel pericoloso gioco tra le sue dita. Lasciò le labbra della ragazza, scendendo lentamente verso il collo, iniziando a costellarlo di umidi baci. Leccò e mordicchiò quella pelle sensibile, mantenendo salda la presa sui suoi polsi e la vicinanza al suo corpo, che la portava ad essere completamente poggiata a quel vetro. Jourdan non riuscì a trattenersi davanti a tali sensazioni più amplificate, lasciando fuoriuscire dalla sua bocca schiusa un paio di gemiti e pesanti sospiri.
Qualcuno però sembrò contrariato da quel cambio di direzione.
Si fermarono, quando il cane abbaiò un paio di volte, in segno di protesta davanti al rumore che stavano creando, che andava a disturbare il suo sonno. Entrambi portarono lo sguardo verso di lui, che continuava ad osservarli con il capo leggermente piagato. «Hai ragione, amico. Scusa» disse Lewis, facendola ridacchiare.
Un urletto abbandonò poi le sue labbra, quando i suoi piedi smisero di toccare il pavimento. Il pilota l'aveva afferrata dai fianchi, prendendola in braccio, portandola ad aggrapparsi a lui per evitare di sbilanciarsi. Iniziò a camminare velocemente verso la camera da letto, per poi chiudersi la porta alle spalle e adagiarla sul materasso.
In un'altra situazione, Jourdan si sarebbe messa ad osservare ogni dettaglio che la circondava. In quel momento però, non gliene fregava nulla dell'arredamento o di qualsiasi altra cosa che non fosse l'uomo che aveva davanti. Si allungò verso di lui, afferrandolo per l'orlo di quella felpa. Lo attirò a sé, facendogli scontrare le gambe con il bordo del letto. Seduta davanti a lui, fece risalire lo sguardo fino ad incontrare i suoi occhi. Lo osservò dal basso, con un sorrisetto furbo sulle labbra e lo sguardo falsamente innocente.
Lewis si morse la lingua, sospirando pesantemente davanti a quella visuale che faceva diventare i suoi pensieri tremendamente poco casti. Allungò una mano, passandola tra i suoi lunghi capelli e tirandoli leggermente, facendole piagare la testa di poco all'indietro. Jourdan schiuse le labbra, lasciandosi scappare un lieve gemito, mantenendo il contatto visivo con lui. Il pilota cedette, incapace di resisterle un secondo di più.
Si avventò su di lei, riprendendo a baciarla con più foga e impazienza. Jourdan finalmente lo liberò da quella felpa, lanciandola il più lontano possibile, godendosi la vista di quel corpo scultoreo, assaporandolo con le dita, tracciandone ogni contorno, beandosi dei muscoli che si contraevano al suo passaggio.
Anche lui iniziò ad esplorarla maggiormente con le mani, intrufolandole sotto alla felpa che lei ancora indossava, provocandole una scossa di brividi nel momento in cui i suoi polpastrelli le risalirono la pancia. Lewis scoprì presto che sotto quell'indumento non stava indossando nulla, rimanendone piacevolmente sorpreso. Prese a stuzzicarla, accarezzando quei seni, soffermandosi a donare più attenzioni ai capezzoli già turgidi.
La ragazza spinse verso il basso l'elastico dei pantaloni che lui stava portando, mandandoli sempre più in giù, aiutandosi anche con i talloni. Lewis si liberò del tutto da quell'indumento, lasciandolo ricadere sul pavimento, accanto alle scarpe che già precedentemente si era tolto. Rimase con indosso null'altro che i boxer neri e anche lei presto si liberò della sua tuta, scalciandola via assieme alle tennis.
Jourdan decise di ribaltare la situazione, salendo sopra di lui e adagiandosi sul suo basso ventre. Gli occhi del pilota si soffermarono per qualche secondo di troppo su quelle mutandine in pizzo grigio che portava. Presto però la sua attenzione fu attirata da altro, nel momento in cui lei si liberò della felpa. Non era l'unico ad essersi perso ad osservare ogni dettaglio del corpo che aveva davanti, anche la modella, per l'ennesima volta, si era ritrovata a fare lo stesso.
Li aveva già visti quei tatuaggi, quei pettorali, eppure non poteva farne a meno di donar loro la sua attenzione, ancora e ancora. Lewis, dal canto suo, vedendola così scoperta per la prima volta, non poté fare a meno di pensare a quanto potesse essere bella. Con i capelli sciolti, che le ricadevano disordinatamente sulle spalle, adagiandosi in parte sulla schiena e in parte a coprire il suo seno dalle forme armoniche, poco pronunciate. Aveva le guance un po' arrossate, le labbra gonfie e quello sguardo colmo di desiderio. Non avrebbe potuto chiedere visione migliore in quel momento.
La modella si spostò leggermente all'indietro, facendo scontrare le loro intimità eccitate, provocando in entrambi un sussulto, facendogli abbandonare quel momento che si erano presi per studiarsi a vicenda.
La riportò verso di sé, tornando ancora una volta sulle sue labbra, non riuscendo ad averne abbastanza. Ne era assuefatto, come fosse una droga. Entrambi liberi dai vestiti, si percepirono in un nuovo modo, pelle contro pelle, l'ennesima scarica elettrica che smosse i loro corpi. La mano destra di Lewis le carezzò la schiena nuda, scendendo sino alle natiche e stringendone una sotto il palmo. Con un dito andò poi a sfiorarle l'intimità da sopra gli slip, facendola sussultare.
Jourdan percepiva la durezza di lui premerle contro il pube e avrebbe voluto arrivare subito al dunque, ma allo stesso tempo non voleva affrettare le cose, desiderosa di godersi ogni sensazione che stava provando, che con lui inspiegabilmente sembrava sempre amplificata rispetto a ciò che aveva percepito con tutti gli altri.
E quando il suo indice si intrufolò sotto il tessuto fine di quelle mutandine, dischiudendo le sue pieghe bagnate e iniziando ad esplorare, spingendosi a fondo, lei interruppe quel bacio, premendo la fronte contro la sua, godendosi quell'ennesima sensazione paradisiaca che le stava donando. «Cazzo» sussurrò con tono tremolante, pronunciando la prima parola da quando quel momento era iniziato. Fino ad allora aveva lasciato spazio solo a gemiti e sospiri.
Lewis trattenne un sorriso compiaciuto, continuando quel delicato, semplice e logorante movimento di dentro e fuori. E andò avanti con quella piacevole tortura fino a che avvertì le sue pareti stringersi maggiormente attorno all'indice e i muscoli delle gambe tendersi. Fu allora che spostò il pollice verso l'altro, concentrandosi così anche sul clitoride. E da quel momento in poi non ci volle molto prima che lei venisse scossa da un fremito e l'orgasmo la travolgesse.
Si poggiò completamente su di lui, realizzando solo dopo qualche secondo quello che era successo. L'aveva portata al culmine in un modo che mai prima di allora aveva sperimentato. Con una dedizione e una precisione nei movimenti, affiancata da una delicatezza mirata, che l'aveva indotta a rilassarsi tanto da avere la testa completamente vuota. E aveva toccato ogni punto giusto, come se la conoscesse da una vita, come se sapesse esattamente cosa le piaceva, conducendola così a raggiungere l'orgasmo in davvero poco tempo.
Ancora confusa e annebbiata da quell'inebriante sensazione, si ritrovò nuovamente con la schiena poggiata sul materasso. Lewis era tornato a torreggiare sopra di lei e la stava liberando definitivamente da quelle mutandine, per poi fare lo stesso con i suoi boxer. Si prese ancora un momento per osservarla, mentre con il fiato corto lo guardava desiderosa di riprovare ancora e ancora quelle sensazioni. E lui non si fece di certo pregare, impossibilitato a resistere anche solo un secondo di più.
Indossò velocemente un preservativo, precedentemente recuperato dal cassetto del comodino accanto a letto. Piegandosi verso il suo corpo, sprofondò dentro di lei.
Le labbra della ragazza, vicine al suo orecchio, emisero un gemito più acuto, uno dei suoi più belli e sensuali che avesse mai sentito. Avvertì il calore della sua intimità accoglierlo e quando iniziò a muoversi, quella piacevole sensazione venne amplificata.
Nessuno dei due sapeva dire per quanto tempo andarono avanti, l'unica certezza fu che si godettero ogni singolo minuto, non pensando ad alcuna conseguenza, lasciando il domani come un problema di un futuro lontano, che non li avrebbe riguardati,
Ma quella notte, presto sarebbe giunta al termine e la luce di un nuovo giorno avrebbe illuminato il cielo, distruggendo la bolla nella quale si erano rinchiusi, riportandoli a vedere il mondo che li circondava. La realtà era che nessuno dei loro problemi era sparito, nulla delle loro situazioni era cambiato, anche se per qualche ora avevano finto fosse così. E il momento in cui avrebbero dovuto tornare a fare i conti con la realtà sarebbe tornato presto.
Perché è dietro la quiete che si preparano le più potenti tempeste.
🌟🌟🌟
Non dimenticatevi di lasciare una stellina🙏🏻
Beh, direi che alla fine quel numero di telefono è tornato utile, non trovate?
Sembrava una notte all'insegna dell'insonnia e dei pensieri e invece ha avuto una bella svolta😏
O almeno, per Lewis e Jourdan.
Max invece se ne è rimasto in camera sua a riflettere su quella gara passata, completamente ignaro della mancanza di sua sorella in casa e anche della sua macchina.
Dite che se ne accorgerà?👀
E come si evolverà da questo momento in poi il rapporto tra il pilota e la modella?
Ma, soprattutto, quale sarà questa tempesta che sta per arrivare?
Per scoprirlo non dovrete fare altro che continuare a leggere😈
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XOXO, Allison💕
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