Capitolo 12 - Pioggia
Principato di Monaco.
Monte-Carlo.
Una perturbazione di passaggio, tipica di quel mese che portava via la primavera e dava inizio all'estate. Così avevano definito quelle nuvole nere che incombevano minacciose sulla città di Monaco.
«Pioverà prima della gara» qualcuno diceva.
«Saranno solo due gocce» commentava qualcun altro.
«È un temporale di passaggio» affermava chi stava osservando il radar del meteo.
E avrebbero avuto tutti ragione, se solo il vento non fosse poi cambiato, facendo avvicinare altre nuvole e spingendo il centro di quella perturbazione proprio sul Principato.
Max osservava la pioggia cadere dal cielo scuro, infrangendosi al suolo e bagnando l'asfalto sul quale avrebbe dovuto correre. Da sopra il suo box, con lo sguardo fuori dalla finestra, teneva d'occhio parte del circuito. Guardava le persone già sedute sulle tribune, chi era riparato dalla tettoia poteva dirsi fortunato, perché agli altri era toccato indossare giacche impermeabili o abbandonare i loro posti, in attesa che la pioggia smettesse.
Le grandi barche ormeggiate al porto, oscillavano seguendo il moto delle onde. E lì sotto, sulla pit-lane, non si faceva altro che aspettare che quel temporale passasse. Mancava mezz'ora all'inizio della gara e tutti erano già consapevoli del fatto che, pioggia o no, avrebbero comunque cominciato in ritardo.
Avrebbero corso su asfalto bagnato, o quantomeno umido, a tutti sarebbe toccato montare delle gomme adatte a tale situazione. E lui sperava sinceramente di poterle cambiare il prima possibile.
In griglia erano in pochi a saper guidare bene in condizioni di pista bagnata. Lui faceva parte di quelli. Ma, chi più di tutti sapeva gestire la pioggia e i disagi che essa comportava, era proprio la persona sulla quale il suo sguardo era andato a posarsi in quel momento.
Lewis, con indosso una lunga giacca impermeabile nera, marchiata Mercedes, era appena uscito dal suo box. Il cappuccio gli copriva la testa, ma riuscì comunque a vedergli il volto, quando puntò il naso all'insù, per dare un'occhiata al cielo. Alcune gocce di pioggia gli caddero sugli zigomi, facendogli subito abbassare la testa. Si voltò verso Toto, che lo aveva raggiunto e gli disse qualcosa che però gli fu impossibile udire. Il team principal annuì un paio di volte, prima di tornare all'interno dei garage, lasciandolo nuovamente solo.
Una specie di sesto senso si accese in lui, spingendolo ad alzare ancora una volta lo sguardo. I suoi occhi si incrociarono con quelli di Max, che decise di mantenere il contatto visivo. I due si osservarono per qualche secondo, come se si stessero studiando.
Nella loro testa, nel frattempo, alcune domande vagavano solitarie. Con punti di partenza diversi, ma tutte con lo stesso soggetto in comune: Jourdan.
Dopo il Festival di Cannes, altri articoli erano usciti riguardo la modella. Da quando era stata vista lasciare il motorhome del team Mercedes, gli occhi dei giornalisti erano puntati su di lei e sui due piloti inglesi che ne facevano parte. George era fidanzato da qualche anno, molti lo scartavano come ipotesi e molti altri invece speravano che fosse proprio con lui che Jourdan avesse un qualche flirt, perché in quel modo ci sarebbe stato un gran gossip da pubblicare.
Ma, dopo quell'evento nell'iconica città della Palma D'Oro, l'opinione pubblica sembrava concordare: se Jourdan stava avendo una frequentazione con un pilota Mercedes, quel pilota era Lewis.
Ed ecco che altri articoli erano subito usciti, tutti corredati da foto che li ritraevano scambiarsi sguardi sul red carpet e successivamente alla sfilata. Articoli che facevano notare come entrambi fossero presenti all'after party e come poi tutti e due si fossero dileguati per un po di tempo, fino a che solo lui si era rifatto vivo tra la folla. Allora le persone si chiedevano se quelle fossero tutte coincidenze o se qualcosa sotto invece ci potesse essere.
E tra queste persone vi rientrava anche Max.
Aveva preferito restare in silenzio, non partire in quarta con le domande ed evitare possibili discussioni con sua sorella. I dubbi però iniziavano a logorarlo dall'interno e, ora che guardava direttamente negli occhi Lewis, anche un pizzico di rabbia si andava ad aggiungere ad essi. Poteva davvero esserci qualcosa tra Jourdan e quello che era stato il suo più grande rivale in pista durante la carriera fatta fino a quel momento?
L'inglese decise di interrompere quel contatto visivo, tornando dentro il suo box e lasciandolo con lo sguardo fisso sul punto dell'asfalto su cui si trovava fino a pochi secondi prima. Tuttavia, non ebbe il tempo di scollegarsi dal resto del mondo, perché la sua attenzione venne presto attirata da altro.
Un'orda di giornalisti e fotografi stava camminando all'interno del paddock, accerchiando proprio quella che subito riconobbe essere sua sorella. Jourdan teneva una mano davanti al viso e la testa bassa, mentre con l'altra impugnava un ombrello, che serviva a ripararsi da quella pioggia fitta. Muoveva passi veloci in avanti, cercando di raggiungere il prima possibile un posto sicuro nel quale nessuno di loro sarebbe potuto entrare.
Presto uscì dal suo campo visivo, lasciandolo in compagnia di un'unica consapevolezza. Avrebbe davvero dovuto parlare con suo padre, perché la piega che quella situazione stava prendendo non prometteva niente di buono.
«É vero che tra te e Hamilton ci sarebbe un flirt?» stava ignorando ogni genere di domande, non avrebbe risposto a nessuna di esse, indipendentemente da quale sarebbe stato il quesito.
«Di Pierre e Max invece che ci dici? Sono storie già finite?» alzò gli occhi al cielo, cercando però di mantenere la calma. Aumentò il passo, avvistando finalmente la sua amica, che la stava aspettando dentro l'hospitality della Ferrari.
«Dovete dire la verità sulla vostra famiglia» urlò qualcuno tra la folla. Jourdan alzò immediatamente la testa, cerando con lo sguardo da chi provenisse tale frase e non ci volle molto prima che i suoi occhi incrociassero il viso di quel giornalista.
Ormai davanti alla sua meta, stoppò i suoi passi e senza nemmeno rifletterci, lasciò che qualcosa nel suo cervello scattasse, che la rabbia prendesse il sopravvento. «Fotti, Rob!» esclamò, avvicinandosi a lui. Arrivò a pochi centimetri dal suo viso, guardandolo dritto negli occhi, serrando la mandibola. «Fottiti» gli disse a denti stretti, prima di dargli una spinta e farlo finire addosso ad altri giornalisti che si trovavano dietro di lui. Con la macchina fotografica stretta tra le mani, il giornalista le sorrideva beffardo, contento della reazione brusca che era riuscito a scaturire in lei.
«Jourdan!» la sua amica, vedendo la scena dalla vetrate di quel motorhome, era uscita subito fuori, pronta per intervenire. La sua voce la fece ritornare alla realtà. Aveva lasciato che la rabbia controllasse le sue azioni, ed era una cosa che non capitava da così tanto tempo. Prima beveva nuovamente e poi si lasciava andare in quel modo alle sue emozioni. Stava lentamente tornando ad essere quella di prima. Quella persona che l'aveva solo trascinata a fondo, che era pronta a farlo ancora.
Scrollò le spalle, girando le suole dei suoi stivaletti e aprendosi un varco tra quei giornalisti. Raggiunse Skye, entrando poi all'interno di quel motorhome e nascondendosi da ogni occhio indiscreto. Ma ormai poco importava, perché quello che aveva fatto era stato ripreso da una miriade di fotocamere e nessuno di loro si sarebbe fatto scrupoli a utilizzare quelle immagini, montandoci dietro una storia per creare altri drammi attorno al suo nome.
Nel frattempo, Max stava camminando avanti e indietro per quella stanza, con il cellulare stretto tra le mani. «Okay» parlò con se stesso, decidendo finalmente di comporre quel numero di telefono e far partire la chiamata. Attese qualche squillo, pochi logoranti secondi, prima di sentire una voce dall'altro capo.
«Chi è?» rispose quella donna.
«Lo sai benissimo chi è, il mio nome compare sullo schermo» puntualizzò, già infastidito dal fatto che fosse stata lei a rispondere. Non le diede il tempo di ribattere, continuando a parlare. «Puoi passarmi mio padre?»
«È un po' impegnato al momento» disse, per poi lasciarsi scappare un risolino, mentre lui udì una voce maschile in lontananza che le diceva di chiudere quella chiamata.
«Passamelo e basta» parlò secco. La donna cedette, lasciando in mano il telefono a quello che era il suo proprietario.
«Cosa c'è?» rispose Jos, con tono infastidito.
Max prese un profondo respiro, facendo ordine tra i suoi pensieri e cercando la miglior farse con cui iniziare. «Dove sei? Avevi detto che saresti stato qui al circuito» gli ricordò.
«Ho avuto un contrattempo» il ragazzo poteva già immaginare qualche fosse, sicuramente la sua nuova compagna gli aveva chiesto di fare l'ennesima vacanza e lui non l'avrebbe di certo delusa, come invece continuava a fare con quello che era suo figlio. «Ma poi come mai mi stai chiamando? Non dovresti essere in pista?» domandò, lanciando un'occhiata all'orologio.
«Hanno rimandando la partenza per via della pioggia» spiegò. «Senti, papà...» decise di continuare subito, cambiando argomento. «Volevo parlarti a proposito di Jourdan» introdusse.
«Hai finalmente capito che ho ragione e che è meglio che ognuno torni alla propria vita» disse, prima ancora di lasciarlo proseguire. «C'è un motivo se da bambini vi abbiamo divisi. Jourdan non è un bene per la tua carriera e io ci avevo visto lungo» Max lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, capendo che quella conversazione sarebbe stata più difficile del previsto.
«È mia sorella» gli ricordò.
Jos sbuffò. «E quindi?»
«E quindi non è giusto che si addossi delle colpe che non ha o che venga inseguita e tormentata dai giornalisti» cercò di spiegargli.
Il padre però la pensava molto diversamente. «Forse non hai notato che per tutta la sua vita è stata la prima a gettarsi in pasto ai giornalisti» il tono si era fatto decisamente più serio. «Tu vorresti affossare me e lasciare un'ombra sulla tua carriera, sulla tua corsa al mondiale di quest'anno, per difendere una persona che con i giornalisti praticamente ci lavora?»
Max si trovò in difficoltà, alquanto spiazzato dalle parole di suo padre che, per l'ennesima volta, dimostrava di non avere un minimo di empatia o amore, che non fosse per se stesso e per i suoi obbiettivi. Parlava di sua figlia come se fosse un'estranea e trattava lui allo stesso modo. Eppure, anche davanti a quelle consapevolezze, il coraggio di affrontarlo per davvero, faticava a trovarlo.
«Ci sono già delle ombre sulla mia carriera» gli ricordò, riferendosi ad alcune controversie che l'avevano visto protagonista. A come aveva conquistato il suo primo mondiale e a come il suo team avesse infranto un'importante regola. «E la colpa è tua» finalmente il suo reale pensiero su quelle questioni era venuto fuori. Era passato del tempo, ma l'aveva ammesso a se stesso e lo aveva detto anche ad alta voce direttamente a lui.
Jos aveva sempre comandato e diretto in tutto e per tutto la sua carriera, la sua intera vita. Non gli permetteva di decidere, non permetteva nemmeno al suo team di farlo. Doveva sempre mettersi in mezzo, dire la sua e pretendere che le cose venissero fatte secondo le sue regole e il suo volere. Lui aveva voluto quella decisione della direzione gara, sull'ultimo giro di quell'ultima corsa del mondiale di due anni prima. Portandolo sì a vincere il suo primo mondiale, ma a farlo nel mezzo di una miriade di controversie. Marchiando per sempre il suo titolo con quell'ombra che nessuno mai si sarebbe dimenticato.
Perché quando si pensava a chi avesse vinto nel 2021, si pensava prima a cosa fosse successo in quell'ultimo giro, alla decisione della direzione gara, al fatto che ad andarci di mezzo e a rimetterci fosse stato Lewis, il suo rivale. E il suo primo mondiale passava in secondo piano, oscurato da tutte quelle controversie e dalle successive dichiarazioni fatte.
In più, era stato sempre Jos a spingere il team ad infrangere quel nuovo regolamento che prevedeva un tetto massimo di spese per poter costruire la monoposto. "Dovete fare di tutto per far vincere mio figlio" queste erano state le sue parole, prima di chiudersi nell'ufficio del team principal e discutere con lui per più di un'ora. Ma poi la verità era venuta fuori, quella mossa scorretta era uscita allo scoperto e, anche se la punizione ricevuta era stata minima, quella restava comunque un'altra ombra presente sulla sua carriera.
Ma poteva davvero puntare il dito e incolpare solo suo padre? Era certo di essere completamente fuori da quelle questioni? Insomma, lui sapeva, era a conoscenza delle intenzioni di Jos e gli permetteva di essere così opprimente. Era lui a non avere il coraggio di allontanarlo dalla sua vita. Quindi, forse, non era così innocente come continuava a raccontarsi.
«Come hai detto?!» esclamò il padre. «Io ti ho fatto arrivare dove sei. È solo grazie a me se oggi sei un due volte campione. Altrimenti non saresti nessuno, Max» ed ecco che tutto il suo coraggio e le sue convinzioni scomparivano.
Era davvero così? Senza i suoi metodi, senza tutte le restrizioni, le punizioni, i traumi, non avrebbe potuto conquistare nulla?
I dubbi tornarono nella sua testa, portandolo ad interrogarsi persino sul suo talento. Quest'ultimo non era stato il padre a darglielo, ma forse era grazie a lui se era sbocciato in quel modo. Forse aveva ragione Jos.
Oppure, quello era solo l'ennesimo modo di plasmare la sua mente, convincendolo che senza di lui non sarebbe mai potuto essere nulla. Quando, magari, proprio da solo avrebbe potuto essere molto di più di quello che già era diventato.
Ma chi aveva ragione?
Qual era la verità?
Non sapeva rispondersi.
«Invece di mostrarmi gratitudine, mi accusi. E tutto per difendere una persona che da quando ha ripreso a fare parte della tua vita, ti ha portato più guai che altro» continuò, determinato sulla sua linea. «Questa non è altro che l'ennesima delusione che mi arriva da te» non gli lasciò il tempo di rispondere, perché dopo quelle parole chiuse la telefonata, lasciandolo ad ascoltare null'altro che il silenzio di quella stanza.
Max rimase per qualche secondo con il telefono poggiato all'orecchio, prima di decidersi a lasciarlo ricadere sul divanetto dietro di lui. Sbuffò frustrato, passandosi una mano nei capelli chiari. Ci aveva sperato che suo padre potesse ragionare e acconsentire a dire la verità sul reale legame tra lui e Jourdan. Peccato però che quella speranza era stata infranta presto dalla realtà. Jos non era mai cambiato, non era in grado di poterlo fare e lui ora si ritrovava nuovamente in compagnia di quella maledetta parola che lo aveva accompagnato per tutta la sua vita.
Delusione.
Non riusciva nemmeno più a dire quante volte l'avesse sentita, quante volte suo padre gliel'avesse detta. «Max» si voltò, incontrando la figura di uno dei suoi meccanici, che si era affacciato dalla porta. «Hanno rimandato la gara di un'altra mezz'ora» gli comunicò, facendogli lanciare un'occhiata fuori dalle finestre. La pioggia non aveva smesso, continuava a cadere instancabile da quel cielo plumbeo.
Il pilota si limitò ad annuire, facendo intendere a quell'uomo di potersi congedare e continuare a lasciarlo solo. «Ho capito, la gara è stata rimandata ancora!» esclamò frustrato, quando sentì quella porta aprirsi nuovamente.
«Grazie dell'informazione, ma non sono qui per questo» gli rispose una voce femminile, che identificò immediatamente. Jourdan mosse qualche passo in avanti, fermandosi a pochi metri da lui e sedendosi sul bracciolo del divanetto in pelle nera.
Max si voltò completamente verso di lei, alquanto sorpreso di trovarla lì. «Devi parlare con Jos» sentenziò, scrollando le spalle e alzando un sopracciglio. Il pilota sorrise nervosamente, davanti al tempismo di tutto ciò.
«Se fossi arrivata qualche minuto prima, mi avresti proprio trovato al telefono con lui» rivelò, indicando con il mento il cellulare abbandonato sul divano.
«E?» lo spronò lei, sporgendosi in avanti, poggiando le mani su quel bracciolo, leggermente schiacciato sotto il suo peso.
Il pilota scosse la testa. «E... non ha cambiato idea. Non la cambierà» puntualizzò, rassegnandosi davanti all'evidenza dei fatti.
Jourdan sospirò, mordicchiandosi l'interno guancia. Se lo aspettava, nemmeno per un secondo aveva dubitato che Jos potesse acconsentire a dire la verità. Ma aveva comunque voluto dare fiducia a suo fratello, lasciandolo provare. «Io però non posso continuare ad essere perseguitata dai paparazzi» gli fece notare. «Anche se scommetto che a lui non freghi niente di questo» aggiunse poi.
E aveva ragione. Senza bisogno che Max glielo confermasse, sapeva di avere ragione.
Il ragazzo decise poi di dare voce a uno dei pensieri che gli stava passando per la testa. Non ci rifletté su può di tanto, stressato da quel ritardo nel far partire la gara e dalla telefonata avvenuta con il padre, lasciò che semplicemente le parole uscissero dalla sua bocca. «Forse, per non farti inseguire dai fotografi, sarebbe bastato evitare di farti vedere mentre uscivi dal motorhome della Mercedes.»
Lei alzò immediatamente la testa, puntando gli occhi su di lui e raddrizzando la schiena. «Come prego?» domandò retorica. La soluzione a quel problema, secondo lui, sarebbe quindi stata quella di limitare ogni suo spostamento, stando sempre attenta a dove mettesse piede. Come se fosse una bambina e dovesse rendere conto di dove e con chi andava. E in tal caso, allora, avrebbe fatto prima a chiudersi un'altra volta in casa o a tornare alla sua vecchia vita. «Forse, per non farmi inseguire dai fotografi, sarebbe bastato dire la verità sin da subito» riprese le sue stesse parole, correggendole.
Max sembrò non ascoltarla nemmeno. «Che cosa ci eri andata a fare?» domandò invece. Si era tenuto dentro quel dubbio per settimane, aveva fatto finta di nulla, ma, adesso che si era lasciato andare a quel quesito, la curiosità di sapere aveva preso il sopravvento.
«Lo sapevo!» esclamò Jourdan, battendo le mani. «Lo sapevo che non stavi aspettando altro se non una scusa per tirare fuori questo argomento» sorrise amareggiata, perché era consapevole del fatto che lui non si fidasse di lei. E la cosa che più la infastidiva, era che avesse ragione a non farlo, perché nemmeno lei si fidava di se stessa.
Ciò che però continuava a non avere senso, era il portare avanti quella retorica per cui lei fosse stata la sua ragazza e poi fosse passata a Pierre e ora, a quanto pareva dai media, a Lewis. Quello che non le stava bene, era che la dipingessero come una poco di buono che si era infiltrata nel mondo della Formula 1 per cercare una seconda vita, dopo che aveva mandato a puttane la prima. Le cose non stavano così e odiava doverlo lasciar credere a chiunque non la conoscesse di persona.
«Oh, ma smettila, per favore» incrociò le braccia al petto. «Non ti ho mai chiesto nulla a riguardo, perché non volevo mettere le mani avanti fin da subito. Ma, dopo le foto e gli articoli riguardanti il tuo comportamento e quello di Lewis al Festival, mi sembra il caso di parlarne» precisò. La cosa che però non confessava, era che, ciò che realmente lo infastidiva di tutte quelle voci, fosse la possibilità che sua sorella avesse una qualsiasi frequentazione con il suo più grande rivale in pista.
«Ti interessi della mia vita adesso?» Jourdan alzò un sopracciglio. «Perché non mi sembra che ti interessasse molto quando me ne stavo dall'altra parte dell'oceano. Quando ero sola e tra un servizio e una sfilata passavo il tempo con qualche bottiglia di alcol» gli fece notare, serrando poi la mandibola, cercando di tenere a bada la rabbia che già sentiva crescere dentro.
«Neanche tu ti sei mai interessata di come stessi durante tutti questi anni di lontananza» rimbeccò, facendole presente come in quella situazione che si era creata, le colpe fossero di entrambi.
La ragazza scattò in piedi. «Giochiamo a puntarci il dito contro?» chiese, senza dargli modo di rispondere. «Io ero completamente sola, immersa fino al collo nei problemi di alcol, droga e con quel bastardo che mi manipolava con ogni mezzo possibile» Max abbassò lo sguardo. Era a conoscenza, come chiunque, del grande scandalo di cui si era resa protagonista. Era a conoscenza dei problemi che aveva avuto. Mai però, da quando si erano ritrovati, le aveva chiesto di più. Per timore, per sensi di colpa, aveva evitato di domandare e farsi raccontare come fossero andate le cose. Restando all'oscuro del suo punto di vista e conoscendo solo quello dei giornali.
E di questo, Jourdan se ne era resa conto. Non lo aveva mai detto, ma, quel disinteresse nei suoi confronti le aveva fatto male. Skye, da subito si era resa disponibile per ascoltarla, per darle una spalla su cui poggiarsi se avesse avuto bisogno. Lui, che invece era suo fratello, mai una volta le aveva chiesto cosa avesse passato, come fossero andate le cose.
«Tu che scusa avevi?» proseguì lei. «La paura di deludere Jos?» lo mise davanti alla realtà dei fatti. Perché, se quando era un bambino non aveva i mezzi per farlo, quando poi era cresciuto, non l'aveva mai cercata per il semplice timore di suo padre. Ma lei non sapeva cosa aveva passato lui, come era stato trattato e cresciuto. Non era a conoscenza del casino che aveva in testa e soprattutto del perché ce l'avesse.
«Jourdan, tu non sai come stavano le cose per me» le fece presente, muovendo qualche passo verso in avanti. «Non sai come stanno» ribadì ancora, guardandola severo.
«Nemmeno tu» rispose lei, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi, come se anche il suo corpo rispecchiasse la rassegnazione presente nella sua voce. «Non sai un cazzo di me» aggiunse, con tono tremolante, dovuto ad un misto di rabbia e tristezza, davanti alla realtà dei fatti che loro due non fossero nulla di più che degli sconosciuti. Sarebbero dovuti essere fratelli, ma non si erano mai vissuti per davvero, non si conoscevano, non sapevano nulla l'uno dell'altra. E, mentre lei capiva benissimo di chi fosse la colpa di tutto ciò, lui non riusciva ad ammettere che Jos fosse stato la causa. Anzi, ancora gli copriva le spalle.
Davanti al silenzio di Max e alle sue emozioni che minacciavano di straboccare, Jourdan scosse la testa, per poi voltarsi e uscire da quella stanza, sbattendosi la porta alle spalle.
Sulla pit-lane sottostante, intanto, Lewis era uscito un'altra volta dai suoi box, avvicinandosi al muretto del team, per dare un'occhiata al radar e capire se quella perturbazione desse un po' di tregua alla loro giornata di gara. «Per me possiamo correre» decretò poi, voltandosi verso Toto, che se stava seduto su uno degli sgabelli, riparato dal tettuccio.
Il team principal scosse la testa. «Se Niki fosse qui ti avrebbe lanciato la sua solita occhiata severa, per poi farti una ramanzina su quanto l'impulsività non sia mai la strada giusta» gli fece notare, innescando nella mente di entrambi una serie di ricordi legati a diversi momenti del passato.
«Se Niki fosse qui...» ripeté lui, sospirando e lasciando quella frase in sospeso per qualche secondo. «Tante cose sarebbero diverse... più semplici» aggiunse, spostando lo sguardo sull'asfalto sottostante, osservando quella pioggia scorrere su di esso.
Era stato proprio Niki Lauda ad averlo convito a entrare in Mercedes, in quel lontano 2013, facendogli lasciare la McLaren, il team con cui aveva iniziato la sua carriera in Formula 1 e con il quale aveva vinto un mondiale. Lui l'aveva indotto a fare quella mossa, che gli aveva svoltato tutta la carriera, portandolo a consacrarsi per sempre nella storia di quello sport.
Non avrebbe mai smesso di essergli grato, per quello e per il modo in cui aveva sempre mantenuto tutte le sue promesse. Ma, soprattutto, per come avesse permesso che fosse se stesso, senza mettergli divieti e restrizioni, sostenendolo e insegnandogli tanto.
All'apparenza non avrebbero potuto sembrare più diversi. Niki, al tempo era un pilota in pensione, tre volte campione del mondo, che aveva avuto modo di imparare molto durante la sua carriera e ora si trovava ad essere uno dei dirigenti di quel team che sembrava avere ogni carta in regola per poter dominare. Lewis, invece, era ancora un ragazzo, agli inizi della lunga strada che aveva davanti, con tanta voglia di vincere e troppa impulsività, che a volte sfociava in una sbagliata arroganza.
Eppure, quel binomio non avrebbe potuto funzionare meglio.
Lauda aveva convinto il pilota a firmare per Mercedes, promettendogli una macchina vincente, in grado di stare davanti a tutte le altre. E, quella promessa, l'aveva mantenuta eccome.
Aveva inoltre permesso anche a Lewis di lavorare alla monoposto, in modo decisamente attivo, esattamente come aveva fatto lui ai suoi tempi. L'esperienza di Niki e la nuova visione dell'inglese, avevano portato il team tedesco a presentarsi in pista, la stagione successiva, con un'auto che non aveva competizione.
E quello fu l'inizio della sua nuova parte di carriera. Un inizio fatto di vittorie, titoli, delusioni, rabbia, sorrisi, festeggiamenti, errori, crescita e ricordi che per sempre si sarebbe portato nel cuore e nella mente.
Niki se ne era andato quattro anni prima, spegnendosi in quell'ospedale svizzero. Aveva lasciato un enorme buco nel team, non era stato facile per nessuno proseguire senza di lui, senza un importantissimo mentore e una guida fidata. Ma, tutti si erano impegnati per farlo, per rendere omaggio a tutto il suo lavoro e renderlo fiero, ovunque si trovasse.
Lewis, però, si ritrovava spesso a chiedersi se davvero ce l'avessero fatta, se Lauda fosse fiero di loro, di lui. Perché, ogni tanto, sui suoi pensieri scendeva una coltre nera, che lo portava a credere che gli errori commessi fossero troppi, che avrebbero potuto gestire tante situazioni in modo diverso. Che, se solo ci fosse stato Niki, quella dura batosta subita due anni prima e la situazione instabile che aveva vissuto il suo team nella stagione successiva ad essa, non sarebbe mai accaduta.
Forse, in quei momenti, lo avevano deluso davvero.
Toto gli poggiò una mano sulla spalla, attirando la sua attenzione. «La pioggia smetterà tra poco. È meglio se vai a prepararti» con la scomparsa di Niki, il pilota non era stato il solo a perdere una figura importante. Per il team principal era stato lo stesso. Aveva perso un mentore, il suo braccio destro, un amico fidato. E c'erano dei momenti in cui la strada sembrava più buia del normale, senza Lauda al suo fianco. Momenti di difficoltà, come quei due anni passati, in cui per un lungo periodo ogni cosa era andata male. Rialzare la testa, rimettersi sotto a lavorare e correggere gli errori, senza di lui, era stato più difficile di quanto si sarebbe mai aspettato.
Lewis non era il solo a pensare di averlo deluso in certe situazioni. Anche Toto si ritrovava assalito da quel dubbio. Un dubbio che però sarebbe sempre rimasto tale, perché nessuno avrebbe potuto dar loro una risposta.
Di ritorno al suo box, Lewis si ritrovò ad incrociare lo sguardo con quegli inconfondibili occhi chiari. Occhi che non vedeva sin da quella sera a Cannes. E solo in quel momento si rese conto di quanto gli fosse mancato osservare quelle iridi azzurre.
Jourdan aveva appena lasciato la stanza nella quale, fino a pochi minuti prima, aveva discusso con il fratello. Era decisa ad andarsene da quel circuito. La figura di Lewis, però, le fece interrompere i suoi passi. Il pilota, con il cappuccio di quella giacca ad impedirgli di bagnarsi, le fece un cenno con la testa, salutandola silenziosamente. La pit-lane era libera dai paparazzi e lei decise di avvicinarsi un po', restando sotto l'ombrello che stringeva nella mano sinistra. «Ciao» gli disse. Dal momento in cui lo aveva visto, i pensieri riguardanti la discussione avvenuta con Max, erano passati in secondo piano, sostituiti dai ricordi dei loro ormai molteplici incontri.
«Seguirai la gara da qui?» chiese lui, volgendo lo sguardo verso i due box della Red Bull.
Jourdan ci pensò su per qualche secondo, prima di rispondere con il pensiero più impulsivo che le passò per la testa. «A dire il vero sì» confermò, prendendo quella decisione così, su due piedi. Non ci aveva riflettuto, era stato solo un veloce pensiero, dettato dalla rabbia per la discussione appena avuta con il fratello. Non aveva tenuto conto delle possibili conseguenze di quel gesto, conseguenze che sarebbero andate anche contro di lei e non avrebbero fatto altro che ingigantire le voci che già giravano.
Ma, sul momento, non le importava. Voleva solo riportare Max al centro dei gossip. In quel modo, magari, si sarebbe convinto a dire la verità sulla loro famiglia. Era l'ultimo tentativo prima di passare al piano che aveva sempre avuto in mente. Un piano che prevedeva di rivelare tutto, non tralasciando alcun dettaglio. Un piano che però le avrebbe fatto voltare le spalle verso suo fratello, che avrebbe potuto creare una crepa nel loro già precario rapporto, che forse sarebbe stata impossibile da riparare.
Ecco perché decise che quella volta avrebbe seguito l'intera gara dall'interno del box di Max. Con la speranza che i giornalisti tornassero a parlare di loro e lui si trovasse con le spalle al muro, messo davanti ad una scelta che aveva una sola via giusta: dire la verità.
«Peccato, con un paio di cuffie Mercedes staresti decisamente meglio» la punzecchiò, riferendosi a ciò che avrebbe dovuto indossare per poter seguire la gara dall'interno del box.
Jourdan si ricordò di quel loro incontro avvenuto dietro il podio di Miami, di come lui si fosse sbarazzato del cappellino Red Bull che indossava e glielo avesse sostituito con quello del suo team, che sarebbe stato destinato a lui. Un accessorio che custodiva ancora gelosamente, ben nascosto nel suo armadio. Lo guardò da capo a piedi, con un espressione maliziosa e un sorrisino furbo. «Credo che starei bene con indosso anche qualcos'altro marchiato Mercedes» rispose.
Lewis schiuse le labbra, avendo intuito subito l'allusione a lui. «Chissà se riuscirò mai a trovarti senza la risposta pronta» commentò, alzando un angolo della bocca, avvertendo nuovamente quella voglia di rompere ogni metro di distanza che li separava.
«Chissà» replicò lei, facendo spallucce, prima di voltargli la schiena, incamminarsi dentro il box di Max. E fu proprio il volto di quest'ultimo che i suoi occhi incontrarono, nel momento in cui lei si avviò.
Con il casco tra le mani, pronto a seguire la sua monoposto, che sarebbe stata portata in pista per far iniziare quella gara, il ragazzo li aveva osservati parlare per tutto il tempo. Lewis, in tutta risposta, decise di sorridergli, alzando le sopracciglia, lanciandogli quella provocazione implicita, per poi tornare a camminare verso il box Mercedes.
Max non aveva ricambiato quel sorriso, anzi, era rimasto del tutto serio, stringendo maggiormente il casco tra le sue dita e sentendo una strana rabbia ribollire dentro di lui. Forse era lo stress dovuto alla telefonata con il padre, al ritardo della gara, alla lite con la sorella. Ma, in quel momento, aveva solo una gran voglia di urlare e prendere a pugni qualcosa. E il sorrisetto che Lewis gli aveva rivolto, dopo aver parlato con Jourdan, come a volergli comunicare qualcosa per infastidirlo, non aveva aiutato.
«Che cazzo hai in mente?» afferrò il braccio della ragazza, quando gli passò accanto. E non sapeva dire se si stava riferendo alla sua entrata nel garage Red Bull o al fatto che avesse parlato con il suo avversario per tutto quel tempo.
«Seguirò la gara da qui» lo avvisò, liberandosi dalla sua presa. «Sono tua sorella, è giusto che ti supporti e che lo faccia senza bisogno di nascondermi in qualche stanza dai vetri oscurati» aggiunse, raggiungendo la postazione destinata agli ospiti. «Sii gentile e passami un paio di cuffie» concluse, allungando un braccio, attendendo che lui facesse come gli aveva chiesto.
Max non smise di rivolgerle quello sguardo duro, contraendo la mandibola in modo nervoso. Ma non disse una parola, non le passò le cuffie, semplicemente si voltò, iniziando a camminare verso al pit-lane. Sapeva che se avesse dato corda alla sua provocazione sarebbe scoppiata un'altra lite tra loro due e non era proprio il momento. La gara sarebbe finalmente iniziata da lì a poco, doveva concentrarsi solo su di essa e null'altro.
Farlo, però, sarebbe risultato più difficile del previsto quella volta.
E si sa, in uno sport come quello, la concentrazione è fondamentale. Senza si fanno valutazioni sbagliate, mosse avventate.
Si commettono errori.
I piloti si erano ormai tutti posizionati all'interno delle loro monoposto, la pioggia si era trasformata in sottile pioviggine, i gazebo che servivano per tenere al coperto i meccanici e gli ingeneri, mentre effettuavano gli ultimi controlli alle auto, erano stati smontati e quella griglia di partenza si era mano a mano svuotata.
Davanti alle venti macchine, ve ne era una ventunesima. Perché quella gara sarebbe partita sotto safety car, per permettere ad ognuno di loro di ispezionare le condizioni della pista e per farla asciugare quanto più possibile al passaggio delle ruote, creando delle traiettorie decisamente meno bagnate.
Completato il giro di formazione, i semafori si accesero in sequenza una seconda volta e, allo spegnimento, ognuno di loro partì ad una velocità moderata. «Le condizioni ci sono, per me si può correre» Lewis si aprì subito via radio con Bono, dando voce anche alla sua smania di iniziare a tutti gli effetti quella gara.
«La pista va bene per le full wet e tra qualche giro potremo già montare le intermedie» anche Max, impaziente come l'inglese di correre, si aprì subito via radio con il suo ingegnere.
I due però avevano un vantaggio rispetto agli altri, si trovavano a partire al primo e al secondo posto, avevano un'ottima visibilità. Gli schizzi di rimbalzo delle gomme delle altre auto davanti non li interessavano, a differenza di chiunque si trovasse imbottigliato nel traffico dietro di loro.
Charles, che, dopo una sfortunata qualifica, si ritrovava quarto, aprì il contatto radio. «La visibilità non è il massimo, ma si può fare» comunicò.
«Com'è la pista?» chiese uno degli ingegneri McLaren. Il team aveva entrambe le vetture piazzate a metà griglia, nel mezzo degli zampilli provenienti dalle ruote delle altre auto.
«Fottutamente bagnata» rispose Lando, cercando di non sbandare sulla curva Mirabeau Haute.
La stessa domanda fu fatta anche al suo teammate. «Amico, io non vedo un cazzo qui dietro» Daniel frenò, per imboccare il tornante dell'Hairpin. «Ma va bene, corriamo» aggiunse poi, dando anche il suo okay per far iniziare quella gara.
Le monoposto percorsero altri tre giri sotto safety car, prima che quest'ultima rientrasse nella pit-lane e la velocità in pista aumentasse a vista d'occhio. Dai box, Jourdan stava seguendo attentamente ogni cosa. Attraverso le cuffie che indossava, poteva sentire alcune comunicazioni che venivano fatte internamente al team. Mentre, tramite i monitor che aveva davanti, poteva guardare attentamente ciò che succedeva in pista tra le varie auto.
Si rese conto che seguire la gara in quel modo gliela faceva assaporare diversamente, rispetto che guardarla tramite uno schermo in una delle stanze private dell'edificio del paddock. Da dentro quel box, viveva attivamente tutto quello che succedeva, gli ingegneri che analizzavano i dati, i meccanici che seguivano a loro volta con i monitor, sempre pronti per poter effettuare un pit-stop. Come infatti accadde poco dopo, quando la macchina del fratello entrò per cambiare le gomme e passare dalle full wet alle intermedie.
Stare lì la faceva sentire, in qualche modo, parte di quel mondo.
Quello stesso gesto del cambio pneumatici fu mano a mano effettuato da tutti i piloti in pista. E, mentre i giri restanti da percorrere scendevano di numero, le posizioni in pista venivano cambiate e riacquistate, grazie alle scelte strategiche di quando far entrare i propri piloti nella pit-lane.
Jourdan si ritrovò ad assottigliare lo sguardo, cercando di captare ogni dettaglio dal monitor davanti a sé, quando notò la monoposto di Max avvicinarsi di molto a quella di Lewis. Percorsero qualche metro a tale distanza, entrando nel Tunnel, imboccarono la Chicane del Porto, mantenendo le loro posizioni iniziali e scesero fino alle Piscine. Fu dopo questo punto che si trovarono nella zona in cui era possibile attivare il DRS e Max decise di fare la sua mossa, passando davanti al rivale inglese.
Superare su un circuito come quello di Monte-Carlo era davvero difficile, ma non impossibile. C'erano parecchi fattori di cui tenere conto, a partire dalla macchina che si aveva a disposizione, fino alla capacità di valutazione di ogni pilota. Anche l'errore più minimo avrebbe potuto compromettere un'intera gara e portare a qualche incidente.
Nel caso di Max e Lewis, entrambi si trovavano a guidare una monoposto con tutte le carte in regola per permettere loro un'ottima trazione, aderenza e soprattuto di avere un'elevata velocità. In più, le loro abilità come piloti gli garantivano un altro asso che poteva essere usato in quella pista per potersi prendere una posizione.
«Hai visto? Hai visto?» uno dei telecronisti domandò all'altro, commentando il sorpasso appena avvenuto.
«Max gli è passato davanti senza pensarci su un secondo» rispose l'altro. «Sembra che la pioggia non sarà l'unica a dare spettacolo e mescolare le carte in tavola oggi» aggiunse, notando come Lewis non accennasse a diminuire la distanza che lo staccava dall'olandese.
Il pilota Red Bull non avrebbe saputo spiegare a parole quello che stava provando, il sentimento che l'aveva spinto a compiere quel sorpasso così prematuramente, non molto dopo il cambio gomme. Nella sua testa era successo tutto velocemente, prima le parole del padre gli erano rimbombate nel cervello, poi quegli articoli di giornale riguardanti la sorella assieme a Lewis, il modo in cui li aveva visti parlare prima della gara e, infine, il sorrisetto che lui gli aveva rivolto. Era stato un mix confuso di tutte queste cose a fargli scattare una specie di interruttore, ad accendere una rabbia che nemmeno sapeva dire da cosa fosse originata per davvero.
E così, la sua voglia di prendersi la prima posizione, ai danni dell'inglese, era aumentata a dismisura. Lewis, però, non si era fatto sorprendere troppo da quel sorpasso, cercando da subito di non fargli guadagnare troppo terreno. Non gli era piaciuta l'aggressività con cui lo aveva compiuto, costringendolo ad alzare il piede, per non finire contro le barriere della curva che stava arrivando. Non sopportava quel modo che aveva di imporsi sugli altri in pista, lo infastidiva parecchio.
Il tracciato era ancora bagnato in alcuni punti e questo non aiutava. Nessuno dei due però sembrò preoccuparsene. Lewis si avvicinò di molto all'altra vettura, tentando un sorpasso in un punto decisamente azzardato, che però non riuscì a concludere, perché Max lo chiuse bruscamente, con una manovra altrettanto pericolosa.
«A cosa stiamo assistendo?» tornò a domandare retorico uno dei commentatori. «Sembra proprio che Verstappen e Hamilton ci stiano regalando una delle loro epiche battaglie. Era dal 2021 che non ne vedevamo una tra i due e possiamo dire che ci erano decisamente mancate» continuò, ricordando uno dei mondiali più combattuti dell'ultimo decennio.
Lewis strinse maggiormente la presa sul volante, avvertiva la sua pazienza al limite dopo quella mossa da parte del suo avversario. Senza quasi rendersene conto, lasciò che l'impulsività prendesse il sopravvento sulla ragione, se Max non si preoccupava della sicurezza durante una manovra, gli avrebbe mostrato come ci si sentiva a stare dall'altra parte. Messi alle strette, costretti ad arrendersi o ad andare a sbattere.
Aspettò di arrivare nella zona DRS, attivandolo subito e attaccandosi dietro la sua auto, lo sorpassò mentre stavano per imboccare la curva, costringendolo ad alzare il piede dall'acceleratore, sbandando di poco l'auto, vedendosi il muro a pochi millimetri di distanza.
Mentre Jourdan si sporgeva in avanti, avvicinandosi ancora di più al monitor, completamente presa da quella gara, il telecronista gridò un'esclamazione di stupore. «Wow, che cos'ha fatto Lewis!»
«Non so cosa stia succedendo qui, ma Hamilton e Verstappen non sembrano volersi arrendere. E mancano ancora quarantatré giri alla fine» aggiunse il collega.
Come se avessero già capitò qualcosa che agli altri era ancora impossibile da vedere, i due team principal alzarono la testa dai loro monitor. Christian lanciò un'occhiata ai box Mercedes, poco dietro di lui, mentre Toto, che non sedeva al muretto, a differenza dell'altro, guardò oltre la porta del garage.
«Non fare manovre troppo azzardate, Lewis. Siamo a Monaco, non dimenticarlo» Bono si aprì via radio con lui, dopo aver notato il cambio di espressione nel team principal che gli sedeva accanto.
«Lo so, non ti preoccupare» rispose il pilota, tenendo la massima concentrazione sulla strada davanti a sé.
La modella sgranò gli occhi, quando li vide imboccare il tunnel, quasi uno accanto all'altro. Percepiva la tensione che si era creata in tutto quel circuito. Lewis, per una frazione di secondo voltò la testa, osservando Max fare lo stesso gesto. Si guardarono, cancellando ogni cosa che li circondava, percependo solo la determinazione di non cedere e continuare a sfidarsi. Tornarono poi con gli occhi sulla strada, premendo entrambi l'acceleratore.
Uscirono da quel rettilineo veloce, quasi nello stesso momento, pronti per imboccare la Chicane del Porto. Ma qualcosa non andò come previsto, le due auto si toccarono.
Non fu un contatto invasivo, fu quasi uno sfioramento, eppure, su quella pista umida e insidiosa, esso bastò per far scivolare le monoposto.
Il cuore di Jourdan sembrò fermarsi per quei millesimi di secondo in cui le macchine slittarono sull'asfalto, sembrando essere invece lunghissimi minuti. Sussultò, quando entrambe impattarono violentemente contro le barriere, rimbalzando e finendo qualche metro più in là. I tifosi sugli spalti erano tutti scattati in piedi, mentre nei vari box si percepiva una certa agitazione, in attesa di capire se i due piloti stessero bene.
Venne subito esposta bandiera rossa, con il conseguente stop alla gara. «È tutto okay?» chiese Charles, rientrando nella pit-lane.
«Non lo so, devono ancora comunicarcelo» rispose il suo ingegnere.
Jourdan era rimasta immobile, con lo sguardo fisso sul monitor che aveva davanti. Continuava a ripetersi nella testa che da lì a poco sarebbero usciti dalle loro auto, che stavano entrambi bene. Era la prima volta che assisteva dal vivo ad un incidente del genere, un incidente che coinvolgeva suo fratello e quell'uomo che in quel poco tempo sembrava aver preso un posto fisso nei suoi pensieri.
Non le piaceva per niente la sensazione di ansia che stava provando, era qualcosa di nuovo rispetto a quella che aveva già sperimentato. Qualcosa che non sapeva come affrontare, che la spaventava parecchio.
L'asfalto della pista era caratterizzato dalle strisciate degli pneumatici e da parecchi detriti provenienti dalle due monoposto. Alla Mercedes di Lewis si era staccato completamente il posteriore, finendo quasi accanto al resto della sua auto. Mentre alla Red Bull di Max era partita una gomma e un pezzo dell'ala anteriore, finita decisamente qualche metro più in là rispetto a dove si trovava lui.
In realtà, il tempo che i due ci misero per ricomporsi e iniziare a scendere dalle loro auto, fu decisamente minore rispetto alla percezione che ogni altro spettatore ebbe.
Preso da un impeto di rabbia, che raramente gli capitava, Lewis staccò il volante della sua monoposto, per poter scendere, ma, invece che poggiarlo, lo scaraventò fuori dall'abitacolo, lanciandolo davanti a sé, facendo sussultare un marshal, che si era avvicinato per aiutarlo. «Fanculo!» esclamò, poggiando i piedi sull'asfalto, avvertendo un dolore al braccio destro, che aveva colpito parte della carrozzeria interna, quando la macchina si era impattata con le barriere.
Proprio prima di quella gara, si era ritrovato a pensare a Niki. Si era ricordato degli insegnamenti preziosi che aveva condiviso con lui, del prediligere la ragione all'impulsività, dal valutare bene ogni condizione prima di compiere una mossa. Si era domandando per l'ennesima volta se potessero averlo deluso da quando se ne era andato. E poi, aveva lasciato che la rabbia prendesse il sopravvento in quella gara, aveva permesso che gli offuscasse la mente e gli impedisse di vedere in quale manovra pericolosa entrambi si stavano infilando.
Preso dal nervosismo, non si era accorto di quanto l'auto di Max si fosse avvicinata lateralmente e non si era spostato. Non si stava addossando la colpa per quello che era successo, perché era un incidente che entrambi avevano creato, dimenticandosi della sicurezza e della pista sulla quale si trovavano. Stava però pensando a come avrebbe potuto evitarlo, se solo si fosse ricordato degli insegnamenti di Lauda e non avesse lasciato che la rabbia lo controllasse.
L'inglese si voltò, guardando dietro di sé, appena in tempo per vedere anche Max scendere dalla monoposto, tirando un calcio all'unica ruota anteriore rimasta. Anche l'olandese era arrabbiato con se stesso, per aver permesso che dei fattori esterni influenzassero la sua performance. Aveva lasciato che i suoi pensieri prendessero il sopravvento, incanalando la rabbia per questioni personali nella guida. Alzò la testa, incrociando nuovamente lo sguardo di Lewis. Si osservarono da dietro le visiere dei loro caschi, che gli permettevano di nascondere l'ira e la delusione per come era andata a finire quella gara. E poi, interruppero quel contatto visivo, andandosene in strade opposte, scortati dai marshal, pronti per ritornare al paddock.
Non interagirono con nessuno, al di fuori del loro team, andarono direttamente al centro medico, per farsi controllare. Jourdan abbandonò quei box, correndo all'immediata ricerca di Skye, necessitando davvero qualcuno di fidato vicino, che riuscisse a calmarla dopo l'ansia sperimentata per quell'incidente.
La pista venne pulita e la gara riprese, concludendosi con la vittoria di Perez, l'altro pilota Red Bull, la seconda per lui su quel circuito. Sul podio, accanto al messicano, salirono Charles e George. E mentre quella cerimonia di premiazione prendeva luogo, i telecronisti non mancavano di commentarla.
«Red Bull e Mercedes se ne vanno entrambe con un podio, ma questa sera il tempo dei festeggiamenti verra senza dubbio oscurato da quello che abbiamo visto oggi in pista. È forse l'inizio di una nuova rivalità tra Verstappen e Hamilton? Magari è presto per dirlo, ma qui nel circuito la tensione si taglia con il coltello»
🌟🌟🌟
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Sembra proprio che Lewis e Max covino un po' di rancore reciproco. Questa storia di Jourdan, poi, non è molto d'aiuto.
Chissà se la sua scelta di seguire la gara dal box del fratello porterà ad altri drammi e a nuovi possibili conflitti tra i due piloti👀
Intanto però, vi ho lasciato qualche informazione in più sul passato di Lewis e su quello che è stato il suo rapporto con Niki Lauda. Chi mi segue anche su Instagram saprà quanto Niki è importante per me e come sia stato proprio lui e la sua storia a farmi appassionare al mondo della Formula 1. Perciò, era inevitabile che non facesse parte, in qualche modo, di questa Fan Fiction. Soprattutto dal momento in cui il protagonista è proprio Lewis.
Quindi, sì, non sarà l'ultima volta in cui verrà nominato🫶🏻
Detto ciò, tenetevi pronte, perché nel prossimo capitolo lo scenario potrebbe cambiare e dalla pioggia potrebbe passare a fare molto caldo😏
Per scoprire cosa succederà, quali altri drammi e sorprese vi aspettano, non dovrete fare altro che continuare a leggere😈
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XOXO, Allison💕
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