Giorno 9 / etereo

«Allora, come avrai capito dalla sua gitarella all’inferno, non possiamo guardare Shemuel coi nostri occhi anche se siamo già morti, non ci è permesso. È l’unico modo per un’anima celeste di provare dolore: vedere un angelo. Lui non si mostrerà in forma di luce, come l’hai visto all’inferno, prenderà un’altra forma.»

«Che forma? Come farò a riconoscerlo?»

«Non è sempre la stessa, ma ha un debole per anziani e bambini, quindi è probabile che apparirà come tale. Lo riconoscerai dagli occhi. Non sono occhi umani, si intravede la luce celeste che si nasconde dietro l’iride. Lo capirai.»

«Cosa dovrei fare? Presentarmi?»

«Oh, no, certo che no. Ti basterà restare sullo sfondo e non si accorgerà nemmeno che esisti. Vedrai, ragazzino, è tutto sotto controllo.»

Francesco sbatté le palpebre, sbigottito. «Ragazzino?!»

«Certo, sei piccolo.»

«Non sai neanche quanti anni ho!»

«In che anno sei morto?»

«Cosa? E questo che c’entra?»

«Quindi?»

Alzò gli occhi al cielo. «Nel duemilaventuno.»

«E avrai venticinque anni al massimo. Io ne avevo trentadue quando sono morto nel duemilasette. Visto? Sei molto più piccolo di me.»

«Che c’entra questo? Quando muori smetti di invecchiare, il tempo qui non esiste neppure!»

Sulle labbra di Danilo spuntò un sorrisino furbetto. «Non accetto paternali da un pulcino nato al più presto nel novantasei, mi dispiace. Ma se ragazzino non ti piace ci sono un sacco di altri nomignoli che posso usare. Piccolo, cucciolo, bimbo...»

«Sei così fastidioso con tutte le anime qua in giro?»

«Solo con quelle dannate. Scusa, bimbo, ma non posso essere troppo irritante con questi noiosi, mi scoprirebbero subito! Così, ora che mi puoi sorbire tu, devo recuperare.»

«Andiamo, bimbo no! È persino peggio di ragazzino!»

«Shh, abbassa la voce, bimbo. Non si parla quando parlano i grandi.»

«Se potessi ucciderti lo farei.»

«Ma non puoi! Sono già morto!» esclamò, sfoggiò un sorriso abbagliante, poi tornò serio in un attimo. «Andiamo, ora. Quando viene in visita, Shemuel cerca sempre di tenermi d’occhio. Tieniti fuori dai radar, comportati come sempre e tutto andrà bene.»

«Non voglio venire» protestò, sentendo l’ansia che tornava a travolgerlo, dimenticata solo per il tempo della piccola discussione. «Ho paura, e se ho paura mi faccio notare.»

«Sarebbe più sospetto se non ti presentassi, te l’ho già detto. E poi preferisci davvero aspettare qui su, da solo, con la paura che da un momento all’altro la tua porta potrebbe venire buttata giù da un arcangelo con gli occhi dardeggianti?»

«Non sono mai stato un cuor di leone.»

«Non è vero. Molte altre anime sarebbero arrivate qui e, dopo tutto quello che hai passato, sarebbero rimaste sul pavimento a fare le larve. Tu ti sei rialzato, hai fatto quello che dovevi fare. Ti sei ripreso, beh, te. E non lascerai che te lo portino via, lo so. E non lascerò che succeda neanch’io.»

Quando era in ansia, il dolore alle ginocchia aumentava e tutto il male alle giunture acciaccate tornava a tormentarlo.

«Sarà un disastro.»

«Se non ci muoviamo lo sarà di sicuro, quindi muoviamoci.»

Aveva un vuoto nel petto, una forza impellente che lo spingeva a tornare in stanza, serrarsi dentro e nascondersi sotto il letto.

Ma no, Danilo aveva ragione. Una bestia si sarebbe rintanata nel suo luogo sicuro, ma lui non era una bestia, la sua anima era più importante di così.

O forse no? E se si fosse meritato la punizione? Se in fondo, molto in fondo, sapesse di essere solo un mucchietto di fame e di dolore che non valeva niente? Forse il suo posto era davvero in quella pozza all’inferno.

«Stai andando benissimo» lo rassicurò, una volta che furono arrivati all’ascensore.

Si diede un rapido sguardo allo specchio a figura intera sulla sinistra.

La sua immagine non era più consunta come quella che aveva avuto al suo ingresso in paradiso. Non era più incrostato di fango, non era nudo né zuppo, non lasciava impronte maleodoranti e i suoi capelli non gli stavano appiccicati sulla testa.

Ancora tremava, benché fosse più sicuro sulle gambe.

Al venticinquesimo piano, c’erano molte più anime di quante non ce ne fossero mai state prima. Quello era il piano del ristorante, del bar e della sala giochi, insieme a qualche saletta per gli hobby come quella di disegno e quella della musica, che era in grado di riprodurre qualsiasi canzone mai esistita o che sarebbe mai stata composta in un futuro che, in quella dimensione, era tanto passato quanto tutto il resto.

In uno dei vari salottini, Danilo si infilò. Francesco lo seguì con un ronzio insopportabile nelle orecchie, e la consapevolezza paralizzante che quello sarebbe stato il suo ultimo momento all’Hotel Paradiso.

«Ma guarda tu chi si rivede!» esclamò Danilo, nell’attimo esatto in cui entrò con baldanza nella sala.

Francesco gli sgusciò dietro cercando di farsi piccolo e insignificante, le ginocchia che bruciavano.

C’era un bambino, al centro della stanza. Era piccolo, sui sei anni, ed era... perfetto.

Non era solo un bambino, no, era il bambino. Era l’esatta immagine che ti lampeggia nella mente quando senti la parola “bambino”.

E i suoi occhi facevano paura.

Quell’essere voltò lo sguardo verso la direzione del saluto. Le sue iridi erano di un argento vivo luccicante, iridescenti, e Francesco si accorse che guardarle per più di qualche breve istante gli faceva venire il mal di testa.

«Danilo, amico mio» salutò quello, con la sua voce cristallina.

Quelle tre parole bastarono per fargli notare che la creatura non aveva la minima inflessione regionale. Parlava un italiano in dizione impeccabile, come un doppiatore o uno speaker radiofonico infallibile.

Si interrogò su come e se salutare. Il suo istinto fu quello di dire “salve”, ma forse sarebbe sembrato troppo formale. “Ehi”, al contrario, molto forzato. Si limitò ad accennare un sorrisino di saluto, che la creatura neanche considerò.

«Qual buon vento ti porta da queste parti?»

La creatura sorrise di un sorriso meraviglioso. «Disinfestazione.»

Francesco sentì brividi corrergli lungo la schiena.

«Non sapevo ci fossero i topi in paradiso» commentò Danilo, in tono scherzoso.

«Questo è più un problema di maiali» rispose l’altro, con la sua vocina allegra.

«Se vedrò qualcosa grufolare qua in giro, sarai il primo a saperlo.»

«Voglio ben sperare. Sarebbe un peccato interrompere una tanto florida collaborazione come la nostra, non ti pare?»

«Mai stato più d’accordo di così!»

«Del resto, tutto quello che funziona qui dentro funziona perché è un ambiente controllato. Non possiamo permettere contaminazioni, giusto?»

«Con me sfondi una porta aperta, bello.»

Quel bambino perfetto sollevò gli angoli di quelle labbra perfette. Tutto in lui urlava fidati di me, eppure le parole che uscivano dalla sua bocca erano agghiaccianti.

Fece qualche passo in avanti e Francesco ebbe l’impressione che, al contrario di quel che gli era successo quando era arrivato lui, i punti in cui i suoi piedi toccavano il suolo rilucessero di una pulizia più splendente del solito.

Le iridi argentee osservarono distratte la sala, e si soffermarono su di lui solo un altrettanto distratto istante. Quello dopo, invece, si inchiodarono su qualcuno.

«Rita, tesoro, c’è qualcosa che vorresti dire?»

Francesco era rimasto in tensione tutto il tempo, rigido come un ciocco di legno, ma quando si voltò e riconobbe la donna che era stata con lui il giorno del suo arrivo, se avesse avuto un cuore avrebbe smesso di battere.

Ricordò che in quel momento lei stessa aveva proposto di riferire all’angelo quello che era successo.

“Forse dovremmo chiamare Shemuel,” aveva detto. “Ha qualcosa che non va.”

«Cosa mai dovrei dire?» rispose, seduta sulla poltrona imbottita che la faceva sembrare ancora più esile.

«Ti vedo pensierosa. Hai incontrato per caso qualche bestia, di recente?»

Francesco fu certo che gliel’avrebbe detto. Fu certo che avrebbe citato l’episodio avvenuto al suo arrivo, non poteva averlo dimenticato, era sembrata turbata quando era successo.

«Nessuna bestia» rispose, soltanto. «Solo anime.»

La creatura non parve darvi peso. «Andrò a fare qualche domanda in giro. Se notate qualcosa, non esitate a chiamarmi.»

Detto questo, attraversò la sala e se ne andò.

Francesco prese una boccata d’ossigeno con fame d’aria. Sentì la mano di Danilo che gli sfiorava il braccio per intimarlo a calmarsi.

Lui continuava a osservare la donna sulla poltrona che, senza fare una piega, si era messa a leggere un libro che teneva sulle ginocchia.

Perché non riferire ciò che aveva visto davvero? Che se ne fosse davvero dimenticata? No, era impossibile.

«Vieni, bimbo. Facciamo un giro in sala giochi. Oggi sembra il tuo giorno fortunato.»

Note autrice
Tanto piacere, caro Shemuel!
Ecco qui che abbiamo conosciuto l’arcangelo che tiene in gestione il paradiso. Impressioni? Pareri? Ingiurie?
Scopriremo presto se qualcuno parlerà. Intanto, la dottoressa Montalcini ha tenuto la bocca cucita. “Nessuna bestia, solo anime.
Del resto, si è nascosta per tanti anni dai rastrellamenti nazisti, non è certo una incline a fare la spia.
Noi ci vediamo domani con un capitolo, presumo, più breve di questo.

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