Giorno 3 / cura

La stanza 42151180 era su all'ultimo piano, e riuscirono ad arrivarci passando per un ampio e luminoso ascensore con uno specchio che ne copriva una parete intera.

Francesco si osservò, dopo aver sbattuto le palpebre con perplessità. I capelli fradici erano appiccicati alla fronte e sulla testa, aveva il volto incrostato di fango, e così il torso, e intorno alla vita aveva annodato un lenzuolo che, ormai bagnato e sporco, segnava l'inguine e tutta l'attrezzatura.

Fece una smorfia, tirò un poco su la linea del lenzuolo, e distolse imbarazzato lo sguardo, portandolo al pavimento liscio dell'ascensore. Aveva lasciato delle impronte di fango dietro di sé, che indicavano il suo passaggio.

Cristo, quanto era caduto in basso...

«Ora ti dai una sistemata.»

Francesco lo guardò di sottecchi. Sentiva il cuore battergli forte quasi in gola, non sapeva neanche lui come facesse a reggersi in piedi, e stava solo aspettando il momento in cui quel giovane di bell'aspetto si sarebbe trasformato in un demone orrendo che l'avrebbe deriso e rigettato dove meritava.

Sentì gli occhi inumidirsi. Quanto era stupido? Perché illudersi tanto? Perché seguire il suo aguzzino verso chissà quale tortura indicibile?

Ma, del resto, che altra scelta avrebbe avuto?

L'ascensore iniziò a salire verso il quattrocentoventunesimo piano. Il giovane si dondolò sulle gambe nell'attesa, e al vederlo muoversi lui si ritrasse di scatto, in un gesto istintivo.

«Ehi. Ehi, tranquillo. Qui sei al sicuro. Hai vinto il biglietto d'oro, ricordi?» Francesco lo guardò, gli occhi scavati dal terrore. Dato che non accennava a rispondere, lui continuò, posandosi una mano aperta sul petto. «Il mio nome è Danilo. Vuoi dirmi il tuo?»

Sospetto. Molto sospetto. Ai demoni non erano mai piaciuti i nomi, perché i nomi creano un'identità, e l'identità porta all'umanità. Forse era una domanda a trabocchetto.

«Allora?» incalzò.

«Francesco» capitolò infine, in un borbottio.

«Francesco! Beh, molto piacere.»

Gli venne voglia di sorridere per la prima volta da... quanto tempo? Non lo sapeva. Non per la gioia, la soddisfazione, men che meno per la serenità. Un semplice sorriso finto di cortesia, di quando ti trovi davanti a uno sconosciuto e vuoi sembrare amichevole con un goffo sorrisetto imbarazzato un po' del cazzo.

Così lo fece. Un goffo sorrisetto imbarazzato un po' del cazzo.

Pura magia. Sorridere. Allora ricordava ancora come si faceva. Sorridere, sembrava passata un'eternità dall'ultima volta che l'aveva fatto.

Sorridere. Parlare. Camminare su due gambe.

L'ascensore si fermò. Le porte si aprirono rivelando un corridoio identico a quello precedente.

«La tua stanza è vicino alla mia. Vieni, te la mostro. In genere è Shemuel a fare il tour ufficiale, ma negli ultimi tempi è molto occupato...»

Francesco incespicò e il ragazzo, Danilo, lo sostenne. Cominciarono a camminare per il tappeto che lui macchiò con le sue impronte di fango. Gli sembrò sbagliato insozzare un luogo tanto puro, come se potesse averlo contaminato.

Si chiese cosa sarebbe successo una volta giunti alla porta. Lui non aveva una chiave, né poteva essercene una destinata a lui, su nessun registro. Sarebbe stato allora che la fregatura sarebbe saltata fuori?

Stanza 42151180. Eccola là.

«Apri, avanti.»

Francesco deglutì. Perché si ostinava ancora a prenderlo in giro? Lui aveva abbassato la guardia, e adesso-

«Non serve una chiave. Un'anima abbassa la maniglia per la prima volta e quella stanza è sua.»

Certo, come no. Avrebbe abbassato la maniglia e al suo interno ci avrebbe trovato la sua pozza maleodorante, e Danilo ce l'avrebbe spedito con un calcio in culo.

Del resto, se lo meritava. Aveva peccato in vita, avrebbe patito nella morte. Quello era il suo posto.

Non era pronto a tornare. Ecco, ora sì che quello scherzo appariva evidente nella sua crudeltà. Si era abituato ormai a essere trattato come una bestia, quasi assuefatto, così gli avevano dato una parvenza di umanità per poi strappargliela di nuovo. E avrebbe sofferto come e più della prima volta.

Posò la mano sulla maniglia col cuore pesante e un masso sul petto. Stupido, stupido, stupido. Era stato uno stupido.

Gli occhi bruciavano, sapeva avrebbe iniziato a piangere a breve, non riuscì a vergognarsene. Aveva già pianto davanti ai demoni, a loro non importava. Le umiliazioni subite erano state ben peggiori.

Abbassò la maniglia e spalancò la porta senza riuscire a trattenere un guaito di paura.

L'anta sbatté al muro con un botto, lui sobbalzò.

Una sontuosa stanza d'albergo, all'apparenza del tutto innocua, si dipanò davanti ai suoi occhi.

«Bene. Eccoci qui. Io... vado, allora. Fatti una doccia, poi magari anche un bagno... ti consiglio la doccia, prima. Il cibo viene servito al venticinquesimo piano, non c'è orario perché, beh... il tempo è per i vivi. Oggi c'è festa, mi troverai lì quando avrai finito. Quando hai aperto la porta sono apparsi i tuoi vestiti nell'armadio, li trovi tutti là. Dormi, se vuoi. Non ne hai bisogno, ma c'è a chi piace. Con un po' di fortuna, puoi anche riuscire a sognare!»

Lo guardò aspettandosi un saluto. Forse avrebbe dovuto farglielo. Sarebbe sembrato ridicolo salutare un demone, quindi non era sicuro di volersi sbilanciare.

Però lui era stato... gentile. E la stanza d'albergo era davvero una stanza d'albergo. E nessuno si era preso cura di lui per un'eternità. Aveva persino sparato la supercazzola dell'alluvione per parlargli il culo. Chissà perché l'aveva fatto.

«Perché mi aiuti?»

Fu Danilo a sorridere quella volta. «Sei un'anima in pena. Empatizzo.»

«Grazie.»

Idiota, un grazie era ancora peggio di un saluto. Che ridicolo che era stato. Chissà le grasse risate che si sarebbero fatti tutti quando lui sarebbe ricaduto all'inferno come un coglione.

«Ci vediamo al venticinquesimo piano» rispose, poi chiuse la porta lasciandolo solo.

Francesco osservò la porta chiusa per quello che, se il tempo fosse esistito, sarebbe stato poco meno di un secondo. Poi un gemito acuto gli scappò dalla gola, il suo volto si accartocciò in una smorfia, e lui esplose in pianto.

Le gambe cedettero e cadde in ginocchio, imbrattando il pavimento di fango e di lacrime.

Si ritrovò carponi di nuovo, e continuò a piangere sempre più forte, singhiozzi grassi e violenti che gli scuotevano il petto.

La gola gli faceva male dallo sforzo, non riusciva a distinguere che qualche contorno sfocato per le lacrime, ed era tornato il dolore alle ginocchia. Era esausto.

Pianse perché parlare con qualcuno era stato bello. Pianse perché gliel'avrebbero portato via di nuovo. Pianse perché ricordare il suo nome l'aveva sconvolto. Pianse perché si era illuso e allo stesso tempo era lì che aspettava la fregatura.

Pianse e si accasciò sul pavimento, sbatté le palpebre scacciando le ultime lacrime e, quando i singhiozzi si calmarono, mise a fuoco, a qualche decina di metri, un gonfio divano color crema e, ancora più in là, uno spazioso letto matrimoniale cperto da lenzuola di un delicato color pesca e quattro cuscini spessi e morbidi.

Ne studiò i particolari senza poter fare di più, e dopo un tempo che sembrò infinito raccolse le forze, si appoggiò a un tavolinetto basso vicino all'ingresso, e si issò sulle gambe.

«Fanculo» mugugnò, tentando qualche passo. Danilo gli aveva suggerito di fare una doccia, e lui avrebbe accolto quel consiglio con piacere.

Gli avrebbero tolto tutto ancora una volta a breve? Beh, lui se lo sarebbe goduto sinché fosse durato.

Il lenzuolo bagnato e sporco scivolò in terra e lui fu nudo di nuovo. Si infilò in una porticina laterale, che immaginò portare al bagno. La luce si accese al suo varcare della soglia, illuminando un pavimento piastrellato.

Una grossa vasca a idromassaggio, almeno per quattro persone, era proprio al centro della stanza. Una grossa doccia faceva angolo, e c'era persino un lavandino dotato di imponente specchio quadrato.

Non era presente il wc, immaginò di non averne bisogno.

Si infilò nella doccia con titubanza. Sarebbe uscita acqua bollente che l'avrebbe scorticato? O sarebbe riuscito a prendersi cura di sé, per una volta?

Aprì l'acqua, guardingo. Era tiepida, né troppo calda né troppo fredda, la temperatura era perfetta. Si infilò sotto il getto, compresa la testa, e si spazzolò i capelli sentendo scrotarsi intere placche di fango.

Ah, l'acqua corrente. Pura magia anche quella. Non importava quanto sarebbe durata, in quel momento era sua, e tanto bastava.

Note autrice
Sappiamo anche il nome del nostro salvatore: Danilo!
So che in questo capitolo non è successo granché, ma volevo dare un po' l'idea di Francesco che inizia a tentennare e un pochino a fidarsi. Riuscirà a lasciarsi andare? E quando? Lo scopriremo solo vivendo! A iniziare da domani, quando un piccolo e vecchio problemuccio potrebbe ripresentarsi... qualche teoria?

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