Giorno 27 / ruvido

Separare Danilo dal ghiaccio era stata una tortura per tutti e due.

La sua pelle era incollata, e staccarla l’aveva strappata in più punti, straziando ancora di più la proiezione del suo corpo.

Almeno era libero.

In quel momento era agonizzante sul ghiaccio, Francesco sperava che il freddo anestetizzasse il dolore, e cercava di farlo riprendere.

Era seduto per terra, anche lui iniziava sul serio a soffrire le temperature gelide, ma sopportava perché era l’unico che poteva farlo.

Danilo era steso sul ghiaccio, con la testa sulle sue gambe, ma avvolto in una coperta spessa e grezza che aveva trovato all’interno del cestino una volta che l’aveva tirato fuori.

«Ti avevo detto di andare via» mormorò a mezza bocca, i suoi respiri erano pesanti e affannati, come se avesse fame d’aria.

«Non me ne sarei andato senza di te.»

«Ora siamo qui in due.»

«Ce ne andremo. Ci hanno mandato a parlare col grande capo.»

«Il grande capo...?»

«Sì. Quello che dovrebbe amministrare un po’ come vanno le cose.»

«Cioè tipo Dio?»

«Credo che se Dio esistesse non gli sarebbero sfuggite le cose di mano in questo modo.»

«E allora chi?»

«Non ne ho la più pallida idea. Ma noi gli parleremo e lo convinceremo a cambiare il sistema.»

«Come?»

«Con il nostro irresistibile fascino, suppongo.»

«No, cambiare il sistema come

«Cioè?»

«Cioè dobbiamo... dobbiamo...» gli occhi di Danilo iniziavano a snebbiarsi, la sua mente non sembrava compromessa come aveva temuto. «Dobbiamo portare delle proposte. Altrimenti che senso ha?»

Francesco restò interdetto. Non credeva fosse sua responsabilità suggerire come le cose dovessero essere cambiate. Non era sua giurisdizione, lui poteva segnalare irregolarità, ma che autorità e competenze avrebbe avuto per offrire soluzioni?

«Ehi» mormorò, e avviluppato in quella coperta ruvida, con le ciglia ingioiellate di cristalli di ghiaccio, gli suscitava una tenerezza nuova. «Lo convinciamo. Vedrai che lo convinciamo.»

Ma come? Non avevano niente in mano. Solo indignazione per le anime innocenti condannate all’inferno, e anche per quelle con le mani sporche di sangue. L’eternità della dannazione era troppo, per qualsiasi colpa e qualsiasi anima.

Sì, anche per quel despota tedesco con una mediocre inclinazione per l’arte e l’ossessione verso i seguaci di una certa religione semitica.

Francesco faceva passare le mani sulla coperta grezza, per sfregare forte e scaldare la persona all’intermo. Anche lui aveva un po’ di conforto, anche lui si scaldava un po’ con l’attrito, pure se i palmi gli facevano male e gli si consumavano su quella superficie ruvida.

«Tu hai qualche idea?»

«Ci verrà in mente.»

Ci verrà in mente.

Danilo era così, ottimista sino all’ingenuità.

Non ti scopriranno mai.

Smetterai di ingozzarti sino a vomitare, devi solo lavorarci un po’ su.

Ci verrà in mente.

Andrà tutto bene.

Diciamo che sino a quel momento aveva mantenuto bassissime percentuali di accuratezza nelle sue previsioni.

«E se invece no? Torneremo senza nulla. Ci puniranno e non sarà servito a niente.»

«Non è vero. Sarà servito a noi. Perché... perché ci avremo provato. Non siamo mostri. Non siamo mostri, anche se tutti cercano sempre di convincerci del contrario. Tu non sei un mostro. E non lo sono neanche io. Siamo anime. Lo saremo sempre, non importa cosa ci faranno da qui all’eternità. Io saprò sempre chi sono.»

Note autrice
Abbiamo un Danilo un poco a pezzi, ma si sta riprendendo. Non voglio rivelare se programmano davvero qualcosa da proporre a chi guida la baracca e, nel caso, che cosa.
Lo lascerò per quando incontreremo davvero il grande capo. Perché sì, lo incontreremo tra qualche giorno... voi come lo immaginate?

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