Giorno 19 / schiaffo
«Parlare...?»
«Parlare, sì. Sai ancora farlo, vedo. Andiamo, vieni.»
Era un buon segno? Poteva essere.
Avrebbe potuto essere sia un ottimo segno che un pessimo segno. Danilo avrebbe anche potuto avere da dirgli di lasciarlo in pace per sempre e smetterla di ronzargli intorno, per esempio.
Quello avrebbe fatto male.
«Andiamo in camera?»
«Sì, ma non nella tua. E neanche nella mia.»
«E in camera di chi, allora?»
«Tu vieni e zitto.»
Francesco aggrottò la fronte e si alzò in piedi, contrariato. Avrebbe voluto protestare, ma non voleva vanificare questo suo segnale di apertura.
Uscirono dalla sala giochi e Danilo svoltò verso il corridoio che portava all’ascensore. Francesco lo seguì.
«Sai perché mi piaci?» gli chiese d’un tratto, mentre aspettavano che l’ascensore arrivasse al piano.
Oh, quella frase prometteva bene.
«Mh?»
«Mi piaci perché mi prendi a schiaffi. Sì, so che suona folle, ma è così. La prima volta che ti ho visto eri un cosino minuscolo incrostato di fango con degli enormi occhi terrorizzati, e hai dato un ceffone alla noia di questa non vita del cazzo che mi ha buttato per terra da quanto era forte.»
«Io... io non volevo...» le porte metalliche si aprirono e si infilarono all’interno.
«Ogni cosa che hai fatto da quando sei qui mi è arrivata come uno schiaffo. Quando hai fatto il matto giù al ristorante, per esempio. O quando mi hai detto com’eri finito qui. Per non parlare di quando hai iniziato a parlare senza incartarti, a camminare senza zoppicare, spazzando via tutte le mie aspettative, radendole al suolo. Tu mi riempi di schiaffi in faccia, mi educhi a schiaffi. E io... lo adoro, cazzo. Prima di te non c’era mai stato nessuno che mi colpisse così. Qua sono tutti così ingessati, prevedibili... ma uno schiaffo del genere non lo vedi arrivare. Ti ribalta. Come te.»
Francesco lo guardò, non si voltò verso di lui ma fece scorrere gli occhi sullo specchio per osservarlo evitando il suo sguardo diretto. Non sembrava imbarazzato, sembrava più concitato.
«Quando ti ho confessato cos’avevo sentito, avrei dovuto immaginare un altro schiaffo, invece mi ha colto così di sorpresa che me ne sono andato. Però... penso ancora che non possiamo sollevare l’inferno come dei Martin Luther King dei poveri, ma forse possiamo fare qualcosa di meglio.»
«Quindi vuoi... aiutarmi?»
«Bimbo, certo che voglio aiutarti. Non ho fatto altro da quando ti conosco. Che ti aspettavi?»
Non se la sentì di ribattere a questo. «Dove andiamo?»
«Da un amico.»
«Pensavo non potessimo avere amici.»
«Non possiamo fidarci di nessuno, è vero, ma le anime celesti non sono cattive. La maggior parte di loro è qui perché ha fatto qualcosa di tanto buono da non poter essere nascosto sotto il tappeto.»
«Vuoi raccontare a un tuo amico cos’è successo?»
«L’ho già fatto. E ha qualche idea.»
«L’hai detto a qualcuno?» domandò, incredulo. «Hai detto a qualcuno quello che hai sentito all’inferno? Non l’avevi mai fatto prima.»
Un piccolo angolino della bocca di Danilo si piegò all’insù in un sorrisino. «L’ho detto che mi educhi a suon di schiaffi. E poi fanculo, hai ragione. Sono rimasto qui a dare il peggio di me per tutto questo tempo... così finisce che me lo merito davvero, l’inferno. Non voglio questo. E poi magari, se ti accontento, ti posso convincere farti sbattere a letto un’altra volta» aggiunse, con un occhiolino.
«Vedo che hai ben chiare le tue priorità.»
«Non dirmi che non ti è piaciuto...»
«Certo che l’autostima non ti manca.»
Alzò un sopracciglio. «Non ti è piaciuto?»
Francesco si sporse in avanti, gli sfiorò la fibbia dei pantaloni con finta aria distratta. Al suo tocco lo sentì tremare. «Okay, forse mi è piaciuto.»
«Attento a quello che fai» sibilò, con un passo in avanti lo strinse contro lo specchio. «Potrei iniziare a riprendede subito da dove abbiamo lasciato.»
Il trillo dell’ascensore arrivato al piano lo ridestò dall’ipnosi in cui sentiva essere caduto. «Prima il dovere...»
Il ringhio di disappunto che gli arrivò all’orecchio gli fece ribollire il sangue.
«Allora!» Esclamò, dandogli una leggera spintarella e separando Danilo da lui. «Quale amico devo aspettarmi?»
«Uno... esperto.»
Si inoltrarono nel dedalo di corridoi dell’albergo, sino a che non furono in quello accanto al loro. Danilo si fermò davanti a una porta in legno laccato uguale a tutte le altre, e bussò due volte, secco e deciso.
L’attimo dopo, la porta si schiuse davanti ai loro occhi.
«Entrate, forza.»
Si infilarono all’interno della stanza, Francesco non era mai stato in una camera altrui. La struttura era identica alla sua. Letto matrimoniale in fondo, divanetto sul davanti, bagno lussuoso sulla sinistra, e sulla destra un’ampia cabina armadio.
Niente finestre, così come nessuna porta conduceva all’esterno. Non esisteva un fuori, in quel piano dell’esistenza c’era solo l’hotel con i suoi ospiti.
Il letto era sfatto, il piumone pesante era variopinto. Ricordò che le anime celesti non provavano caldo né freddo, la scelta del piumone piuttosto che di un lenzuolino era puramente estetica. Sul tavolino davanti al piccolo divano si trovava una fumante tazza da tè, Francesco sapeva che esisteva una sorta di servizio in camera, benché lui non ne avesse mai usifruito.
Le pareti non erano dipinte di un bianco splendente come le sue, ma bensì di un delicato color beige, e sopra il letto era appesa la foto di una ragazza in preda alle risate.
«Mia figlia» commentò l’anima, rivolta verso lui che l’osservava.
«Non credevo si potessero portare foto, qui.»
«Siamo in paradiso» si inserì Danilo. «C’è ben poco che non possiamo fare.»
«Allora» Luigi Strada, detto Gino, anima celeste di recente arrivata in paradiso, si sedette in un posto al salottino e fece loro segno di fare lo stesso. «Io ho un debole per i peccatori, sapete? Senza di loro che noia sarebbe? E poi chi non lo è, andiamo... e mia figlia... lei è viva. Pensavo di doverla solo aspettare qua sopra, ma se le cose stanno così... converrete con me che bisogna fare qualcosa.»
«Vorremmo fare qualcosa» disse Francesco, accomodandosi. Era bello poter essere se stesso con qualcun altro. «Abbiamo pensato di scendere ai piani bassi a far girare la voce. Magari, se gli altri sapessero...»
«Non è una buona idea.»
«Ah!» esclamò Danilo, soddisfatto.
«Non credo la situazione cambierebbe. Le anime dannate sono già stanche della pena, se potessero evitarla lo farebbero, ma non possono. Non è su di loro che bisogna contare.»
«Non starò qui rintanato senza far niente.»
«Non ho detto che devi fare questo. Ho detto che non sono le anime dannate a doversi sollevare.»
«Vuoi dire che...»
«Le anime celesti sono meno, è vero, ma una loro protesta sarebbe molto più grave, ai piani alti. Sono le voci dei privilegiati quelle che vengono ascoltate, è sempre stato così. E a nessuno importa se un’anima condannata alla pena eterna è scontenta. È nata per esserlo. Se fosse un’anima celeste, a sollevarsi...»
«Perché le anime celesti dovrebbero protestare per noi?»
«Se sono finite qui ci sarà un motivo. Forse non saranno tutti d’accordo, ma molti sì.»
«Dovremo dirlo a tutti» mormorò Danilo, senza fiato.
L’uomo annuì. «Dovremo farlo. E dovremo farlo in modo convincente. Dovranno star male quanto stiamo male noi. Dovranno essere neri di rabbia.»
«Pensi davvero che funzionerà?»
«Se c’è una cosa che può funzionare è questa. Le grida di dolore delle anime dannate sono una cosa. È roba vecchia che tutti si aspettano. Un’insurrezione celeste... è tutta un’altra storia.»
Note autrice
Pace! Che bellezza! E un po’ di divertimento selvaggio all’orizzonte? Chissà...
La frase sugli schiaffi l’ho presa da un’altra storia in realtà (sempre mia, per carità, io copio solo a me stessa lol), anche se quel brano non l’ho ancora pubblicato (la storia sì). Pensavo che sarebbe stata molto bene per Danilo, quindi gliel’ho fatta usare. Credo però che manterrà anche il suo personaggio originale, vedremo.
Intanto... Appoggiate l’idea di Gino? Pronti a sollevare una rivolta in Paradiso? E, soprattutto, pronti ad affrontarne le conseguenze?
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