Giorno 1 / fruscìo

La puzza. Per qualche motivo, la cosa peggiore era la puzza.

Ci si poteva abituare ai liquami che si infilavano tra le pieghe della carne in punti imbarazzanti, ci si poteva abituare a ai latrati e ai lamenti delle anime sventurate, ci si poteva abituare alla costante sensazione di essere fradici sotto la pioggia incessante, al male alle giunture e alla schiena per essere ridotti sempre a girare a carponi... non ci si abituava al tanfo terribile del fango.

Francesco aveva sempre avuto il conato facile. Capita questo quando sei abituato a indurti il vomito, capita che rigurgiti più spesso, anche quando non vuoi.

Per lui era così. Aveva sempre il vomito in canna, bruciore all’esofago, annaspava senza riuscire a respirare, col sapore acido sulla lingua.

E poi c’era l’umiliazione. Non ci si poteva abituare neanche all’umiliazione.

L’umiliazione di razzolare come una bestia, di essere nudo e disperato e imbruttito davanti ad altri nudi e disperati e imbruttiti come te, e per quanto?

Per sempre. Per il fottuto cazzo di sempre, cazzo.

Aveva quella maledetta puzza di morte nei polmoni, il rigetto pronto in gola, le ginocchia doloranti, il fango infilato dappertutto, e i lamenti nelle orecchie. C’era caldo, le altre anime nude gli stavano addosso, lo calpestavano e lui li calpestava da tanto, troppo tempo. E sapeva che là in mezzo ce n’erano da più tempo di lui.

Fu allora che lo sentì. Fu basso, sotto la lagne delle anime peccatrici, appena percettibile in quello sguazzare disordinato, ma lo sentì.

Un fruscìo sommesso, semi nascosto sotto quello che era letteralmente un chiasso infernale.

Non seppe mai perché decise di voltare gli occhi per osservare, seguendo il suono. Del resto, i maiali non sono capaci di guardare il cielo.

Forse fu per questo che lo fece. Perché lui non era un maiale, era una persona. Perché questo ancora non gliel’avevano tolto.

Così sentì un fruscìo, voltò la testa e, fuori dalla pozza di fango maleodorante, vide un lampo di luce accecante, che gli esplose in testa mandandolo a fuoco. Strizzò gli occhi, dalle labbra gli sfuggì l’ennesimo guaito di dolore.

Perché quella luce improvvisa? L’unica luce presente all’inferno era quella scarlatta e furiosa delle fiamme. La luce delle fiamme poteva essere guardata. Questa luce, d’altro canto... questa luce ti distruggeva l’anima.

Che ci faceva lì? Cosa accidenti era?

Curiosità. Da quanto tempo non provava quel sentimento? Curiosità. Avrebbe ucciso per soddisfarla. La prima volta che si era sentito umano dopo essere stato gettato in mezzo alle bestie.

Curiosità.

Scivolò a carponi nei liquami, affondando mani e ginocchia, le unghie nere piene di fango. Combatté contro un conato, il sapore del vomito in bocca, sbattendo a corpi nudi e tremanti che si lamentavano.

Aveva le ginocchia sbucciate da tanto gattonare, infette perché il fango era sporco. Grugnì dal fastidio come un animale, ma continuò a procedere stringendo i denti, palpebre socchiuse a seguire quella luce che non riusciva a guardare.

Si issò fuori dalla pozza fetida e si ritrovò sul terreno ardente e desertico dell’inferno. Guaì forte, la terra lo bruciava, eppure continuò a gattonare.

Istinto di sopravvivenza, curiosità, disperazione, l’impressione a lungo dimenticata di avere uno scopo.

Un gorgoglìo uscì dalla sua gola, dallo sforzo e dalla frustrazione, non vedeva quasi nulla, sapeva che a breve qualche demone l’avrebbe trovato e ributtato nel fango con un calcio alla testa, sapeva che a breve avrebbe perso anche questa stupida, minuscola, infinitesimale briciola di umanità. Che sarebbe stato deriso, umiliato, percosso e infilato tra le bestie di nuovo.

E che, prima o poi, quando avesse sentito un fruscìo sospetto non si sarebbe più voltato a guardare. Sarebbe rimasto solo a razzolare, instupidito e solo.

Tutto gli bruciava, stava sudando, non ricordava più come si faceva a camminare sulle gambe, lacrimava, seguiva la luce e a un certo punto tutto si illuminò a festa.

Strabuzzò gli occhi, si sentì risucchiare verso l’alto da una forza irresistibile, e tutto era luminoso e bellissimo di nuovo, e l’istante dopo rotolò su un piacevole pavimento fresco e pulito, un tappeto forse.

Provò a sollevare la testa per capire dove accidenti si trovava, ma gli mancarono le forze e poi più nulla.

Note autrice
Che vitaccia, quella delle anime dannate!
Il nostro protagonista è un po’ imbestialito, nel senso più letterale del termine. È selvatico, stanco, impaurito.
E, grazie alla sua innata curiosità, è stato appena scaraventato ai piani alti, seguendo una luce misteriosa.
Ma cosa ci faceva là quella luce? Come farà a farsi accogliere passando per anima celeste quando è chiaro che è spaesato, sporco di fango, esausto?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
Il writober ha come numero minimo di parole cento al giorno, e non ha numero massimo. In questo caso sono circa settecento, ma ci saranno capitoli ben più lunghi (presumo, non li ho ancora scritti). È verosimile però pensare che i primi, intanto che prendo il via, saranno abbastanza brevi.
Grazie di essere arrivati sin qui e a domani!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top