7. et in Arcadia ego
7.
et in Arcadia ego
15:48
Salutare sua madre sui gradini del portico di casa era stato come salutare la sua intera vita. Le era sembrato di staccarsi da uno scoglio, con uno schiocco sonoro del guscio, e di avere d'improvviso lo sguardo rivolto verso l'oceano maestoso all'orizzonte. Azzurra aveva sventolato un'ultima volta la mano verso lei e Damiano mentre salivano in macchina, dopo che lui aveva caricato il trolley nel bagagliaio.
«Divertitevi!» aveva detto parandosi gli occhi dal sole. O forse: «A presto!»
Virginia, la guancia appoggiata alle nocche, l'aveva già dimenticato. Così com'era apparsa, sua madre scomparve di nuovo dai suoi pensieri in un tremolio fugace. Le tornò in mente qualche altra istantanea di ciò che era avvenuto appena tre ore prima, sovrapposta al paesaggio ingiallito della campagna del centro Italia che scivolava al di là del finestrino. Damiano che le aveva sfiorato il fianco con le dita accompagnandola alla portiera. Ludovico che le aveva riservato un sorriso sornione dal sedile del passeggero. «Ciao», «Ciao» aveva risposto lei fredda. E poi era intervenuto subito Damiano. «Non preoccuparti. Gli ho proibito categoricamente di fare lo stronzo con te.»
In quel momento i due stavano canticchiando una canzone di Kanye West che avevano fatto partire a un volume accettabile dalle casse. Damiano picchiettava i polpastrelli sul volante, e ogni tanto le lanciava un'occhiata dallo specchietto retrovisore. Anche Ludovico si voltava a intervalli verso di lei, in un movimento che faceva oscillare aggraziatamente i suoi boccoli d'oro scuro.
«Neanche questa conosci?»
«No.»
«Giusto, dimenticavo che sei una principessina d'altri tempi.»
Ogni volta che le rivolgeva la parola, Virginia si raggomitolava un po' di più verso il finestrino. Avrebbe tanto voluto chiedere a Damiano: ma dovevi invitarlo per forza? O almeno non poteva venire in macchina con qualcun altro? Ma tutto sommato quel fastidio non riusciva a sovrastare il senso dilagante di sospensione che si era creato dentro di lei. Dinanzi all'ignoto in cui si apprestava a saltare, la voce di Ludovico si riduceva a un rumore di fondo causato dal vento. Sapeva già da settimane chi fossero gli altri invitati a Villa Anthares. Sapeva anche che Ludovico avrebbe fatto il viaggio di andata con loro. Aveva accettato la sua presenza come una piccola carie insidiata tra due denti, o un male qualsiasi che risultava sopportabile la maggior parte del tempo. Non avrebbe potuto fare altrimenti, in fondo, se intendeva partecipare alla loro vacanza. Non era lei a stabilire le condizioni.
Le venne l'istinto di allungare una mano verso Damiano e scostargli i capelli dall'orecchio, ma si contenne. Anche se adesso Ludovico sapeva di loro, aveva sempre l'impressione di dover limitare i gesti d'affetto in pubblico, con lui. Forse perché Damiano non voleva dare a nessuno il pretesto di pensare che stessero insieme. Sperava soltanto che alla villa le cose tra loro potessero scorrere con più naturalezza. La segretezza l'aveva stancata. Fuori dal Santa Teresa, dove non c'erano più i compagni a sondare ogni loro minima mossa, non sembrava avere neanche più senso.
In realtà riusciva a individuare in se stessa un malessere ben più impellente di quello causato dalla presenza di Ludovico. Se c'era una persona a cui Damiano non voleva far credere di essere impegnato, era qualcuno che stava già alla villa ad attenderli, e nella mente di Virginia aveva un nome e un volto ben precisi.
Si rigirò sul sedile posteriore trattenendo un lamento. In mezzo ai borsoni di Ludovico e Damiano stava piuttosto scomoda e non aveva modo di piegar bene le gambe. La BMW Coupé non era stata pensata per essere occupata davvero da più di due persone. Si contorse un altro po' per guardare attraverso il lunotto alle proprie spalle se la moto che li stava seguendo non li avesse persi di vista. La trovò ancora lì, a una certa distanza, nera e rumorosa come un moscone.
«Manca ancora molto?» chiese con tono sommesso, mentre percorrevano un tratto di strada che fiancheggiava una collina rocciosa. Avrebbe tanto avuto bisogno di una sosta.
Ludovico sbloccò lo schermo dell'Iphone per dare una controllata. «Considerando che già qui non prende più un cazzo direi di no. Mi sono dimenticato di postare un'ultima cosa prima di finire nell'oblio.»
Virginia controllò il proprio telefono di riflesso. Le tacchette del segnale erano state sostituite da un eloquente cerchio barrato. «In che senso? Non prende da nessuna parte, lì?»
«No. Te l'avevo detto» disse Damiano, un po' contrariato, senza distogliere gli occhi dalla strada. «Ti avevo anche chiesto di avvisare i tuoi e di dargli il numero del fisso, nel caso avessero bisogno di chiamarti.»
In verità Damiano le aveva detto che il telefono non prendeva bene.
«L'ho fatto» si giustificò lei. «Solo, non pensavo che...»
«Vedrai che sarà una disintossicazione. Per secoli l'essere umano ha vissuto senza dipendere dai cellulari per campare e senza stare ventiquattr'ore su ventiquattro connesso con il mondo intero, ma solo con ciò che si trovava intorno a sé. Se ci sono riuscite intere popolazioni ci riuscirai anche tu per due settimane.»
Virginia sentì di non avere alcun margine di risposta. Dalla sua breve esperienza, aveva capito che era impossibile smuovere Damiano dai suoi princìpi – ne era quasi geloso, tanta era la cura che doveva aver dedicato negli anni per coltivarli, comporli, dar loro una coerenza. In qualche modo, sembravano sempre più intelligenti e profondi rispetto a qualsiasi cosa potesse venire in mente a lei.
«Comunque siamo quasi arrivati» aggiunse. «Quello è il borgo in cui di solito andiamo a fare la spesa.»
Sia Ludovico che Virginia si voltarono verso il punto da lui indicato, a destra, dove un concentrato di edifici in pietra che parevano incastonati gli uni agli altri come nello sforzo di tenersi tutti insieme era arroccato lungo il fianco della collina. Anche se ne aveva visti a decine, di borghi del genere, ebbe la sensazione di stare per mettere piede non solo in un luogo sconosciuto ma in un'altra epoca.
Dopo pochi minuti, Damiano e la moto che lo tallonava si staccarono dalla strada principale e seguirono una salita asfaltata che s'incurvava intorno alle rocce e alla vegetazione. Sorpassarono un cartello che segnalava pericolo di frana. Nella vegetazione, poi, finirono per addentrarsi. Anche l'asfalto venne sostituito da un sentiero sterrato su cui le ruote della macchina produssero un suono di carta vetrata. I cipressi lasciarono presto spazio ad alberi più selvatici, faggi e castagni dalle chiome folte che inghiottivano la luce del sole. A un tratto il percorso assunse vagamente le sembianze di un tunnel di rami e foglie senza via d'uscita. Virginia cercò con lo sguardo qualcosa di animato al di là degli alberi, inquieta. Temeva che dal bosco spuntasse d'improvviso qualche animale che li avrebbe attaccati o che si sarebbe incornato contro la portiera. Non vide nulla, ma quell'assenza le parve una bugia.
Non fiatò finché non raggiunsero il cancello della proprietà. Si rese conto solo in quel momento con quanta violenza le stesse battendo il cuore. Damiano estrasse una chiave elettronica dalla tasca e lo aprì con un tocco. Attese che entrambe le ante in ferro battuto, che unite componevano al centro il disegno di una stella dalle infinite punte, si spalancassero sul resto del sentiero, dopodiché ripartì.
Quando Virginia intravide le mura di Villa Anthares, il terrore sordo che aveva provato alla fine del tragitto si dissolse con la leggerezza di lenzuolo rimosso da un illusionista durante un trucco di magia. Sbucarono in una grande radura che sembrava essersi spianata rispettosamente proprio per trasformarsi in giardino segreto e ospitare la villa. Il sole, ora di nuovo brillante, la rendeva una conca di luce naturale. Stando all'orologio digitale della Coupé, erano le tre e quarantotto del pomeriggio.
Damiano parcheggiò nell'ampio spiazzo di ghiaia antistante alla villa, accanto all'unica altra auto in vista, un'Audi nera. Vedere il proprio riflesso sul finestrino dell'Audi attraverso il finestrino della BMW ricordò fatalmente a Virginia di non poter più sfuggire all'esistenza di quelli che per lei finora erano stati soltanto dei fantasmi.
Provò controvoglia a raccogliere le energie sociali necessarie a interagire con degli sconosciuti. Anche se era curiosa di vederli dal vivo, dopo aver ispezionato in lungo e in largo i loro account e aver fantasticato su di loro come su due personaggi di finzione – che voce avrebbero avuto, come si sarebbero comportati con lei, quale loro intrinseca qualità aveva permesso di farli restare per tutto quel tempo al fianco di Damiano – avrebbe preferito che non ci fossero. Non appena aprì la portiera per uscire, il passaggio dall'aria condizionata alla temperatura esterna le tolse il respiro. Non si aspettava che il bosco potesse essere così appiccicoso, né che l'umidità potesse arrivare a lasciare una consistenza tutta sua sulla pelle. Si stiracchiò le gambe e si fermò a guardare la facciata della villa.
Damiano le aveva raccontato che si trattava di un vecchio casale abbandonato su tre livelli che era stato acquistato da suo padre e sua madre poco dopo il matrimonio. Il primo anno l'avevano passato tutto a rimodernarlo – se possibile, aveva detto, avevano dedicato più attenzioni a quel progetto che alla loro prima casa, forse perché Erika se n'era innamorata a tal punto che non era riuscita a pensare ad altro nel corso dei mesi. L'idea di chiamarla Villa Anthares era stata sua.
«Perché Anthares? Cosa la lega alla stella?» aveva chiesto Virginia.
«Questo lo scoprirai una volta che saremo lì.»
Adesso, nonostante le ristrutturazioni e l'aggiunta di un'intera nuova ala, la villa conservava ancora alcune tracce del casale rustico che era stato un tempo; eppure le piante rampicanti che divoravano le pareti di mattoni e le tegole rossicce del tetto la facevano somigliare più a una creatura centenaria del bosco, nutrita dalla stessa linfa di cui si nutriva l'albero più antico, che a un prodotto dell'ingegno umano.
Forse perché dall'abbandono di Erika era stata lasciata un po' troppo a se stessa e ormai la natura la stava reclamando a sé.
Le foto pittoresche di questo o quell'altro scorcio non erano mai riuscite a catturarne davvero lo spirito, dunque. La facevano apparire idilliaca, sì, ma celando che fosse una cosa viva e con il peso dei suoi anni, o di un'intera storia sotterranea.
Virginia notò che la villa era costruita in pendenza, col bosco alle spalle che si faceva più fitto e scuro, e che per accedere all'ingresso principale occorreva salire alcuni gradini larghi di pietra modellati nel terreno.
In cima a quei gradini apparvero dal nulla due persone, come due miraggi generati da un colpo di sole.
Damiano cambiò espressione in un attimo. Il suo viso si schiuse e s'illuminò in un modo del tutto inedito per Virginia. Neanche il tempo di pronunciare alcunché che stava già avanzando verso di loro.
Virginia lo seguì imponendosi di mostrarsi cordiale. Non era mai stata brava a farsi degli amici o a trovare qualcosa da dire per animare la conversazione, però lì per lì poteva sforzarsi di mettere insieme quattro parole per far contento Damiano. Magari si stava fasciando la testa inutilmente e la vacanza sarebbe proseguita senza farsi torcere lo stomaco in loro compagnia.
Vide ogni dettaglio di quella scena. Mentre Virginia solcava il sentiero, Angelica scese la gradinata a passo svelto e agile, in shorts di jeans e canotta bianca; le gambe di Damiano si mossero con altrettanta rapidità verso di lei. Dopo l'ultimo scalino, mentre le caviglie di Virginia incontravano l'erba, Angelica gettò le braccia al collo di Damiano e Damiano la sollevò di peso compiendo un giro su se stesso, in una cornice di piante lussureggianti e fiori color corallo. Dalla complicità di quell'abbraccio, chiunque sarebbe riuscito a capire che tipo di rapporto intercorreva tra loro. Persino l'osservatore esterno avrebbe percepito che il mondo intorno, per entrambi, a ritrovare il corpo familiare dell'altro, aveva perso importanza per qualche istante.
Virginia si fermò in mezzo al prato a metà di un passo. Il sorriso che si stava sforzando di costruire le si cristallizzò tra le guance prima di morire del tutto. Il suo primo pensiero fu di correre all'interno, cercare il bagno al piano terra e rimettere i due terzi di panino al prosciutto che Damiano l'aveva convinta a mangiare prima di partire. Il secondo fu di tornare a casa. Era ben consapevole, però, che a quel punto nessuno l'avrebbe riaccompagnata indietro.
Bastò un nonnulla. Nel giro di un attimo il paesaggio circostante si tramutò per Virginia in uno scenario ostile: nessuna di quelle meraviglie era riservata a lei che era un'estranea. Meraviglie che, a esser più sinceri, non erano neanche tali. La villa non era poi così speciale come aveva immaginato dopo anni di mistero e speculazioni. Riusciva a riceverne la bellezza unicamente attraverso gli occhi di Damiano, Angelica e Michelangelo che avevano inventato lì il luogo dei propri sogni.
Sentì formarsi intorno a sé un campo di forza respingente. Stava prendendo vita davanti a lei proprio ciò che aveva evitato di pensare per più di un mese, il ronzio d'insetto che aveva soffocato deliberatamente sotto un manto d'ovatta anche quando aveva provato ad avvertirla: lei è lì e non c'è nulla che tu possa fare per prendere il suo posto.
Si accorse con la coda dell'occhio che Ludovico stava sghignazzando dinanzi alla sua reazione. Lasciò tutte le portiere dell'auto aperte e i bagagli ancora nel bagagliaio per affiancarsi a lei. Nessuno dei due distolse lo sguardo da Damiano e Angelica.
«Eccoli lì» le disse, infilando le mani in tasca. «Gli unici e soli. Ti consiglio di prepararti psicologicamente. Non hai idea del rapporto che hanno, quei tre.»
Un nodo serrò la gola di Virginia.
Intanto, anche Michelangelo aveva sceso i gradini, più lentamente. Sembrava in difficoltà con la gamba sinistra, che lo costringeva a zoppicare, ma non v'era traccia di dolore sul suo volto. Doveva averci fatto l'abitudine. Non appena fu accanto agli altri due, Damiano lo tirò a sé per le spalle e lo fece unire all'abbraccio. Nell'appoggiare la fronte alla sua testa, chiuse gli occhi in una specie di appagamento, di completezza.
Eccoli, si ripeté Virginia. I favoriti di quell'Arcadia, riuniti, tutti e tre vicini come in quadretto bucolico, così belli insieme da ipnotizzare chiunque nel loro raggio.
«Da quanto tempo siete arrivati?» chiese Damiano quando si separò da loro.
«Da un'oretta, più o meno» rispose Angelica, mentre s'incamminavano verso gli altri. «Prima volta che guido così a lungo e ho comunque fatto prima di te.»
«Questo perché ti ho dato un ampio margine di vantaggio.»
Angelica gli colpì il braccio con una gomitata.
«Hai dato una controllata all'interno? Quelli della ditta hanno lasciato tutto in ordine?» domandò poi Damiano direttamente a Michelangelo, che doveva avere una copia delle chiavi della proprietà.
Michelangelo scrollò le spalle in un'aria un po' annoiata e abbassò gli occhi sul terreno per vedere dove stesse mettendo i piedi. «Secondo me i pezzenti si sono intascati i soldi e hanno lasciato il lavoro a metà. In alcune stanze c'è polvere ovunque.»
Damiano arricciò la fronte, stranito. «Più tardi chiamo papà per avvisarlo, se gli girano abbastanza è capace di farli fallire in cinque minuti.»
Quando raggiunsero Virginia e Ludovico, entrambi parvero guardare attraverso di loro, attratti da qualcosa di più interessante che stava avvenendo alle loro spalle.
Angelica sventolò una mano in alto. «Ciao Iggy!»
Prima che Virginia potesse voltarsi, notò che in realtà Angelica aveva indirizzato anche a lei uno sguardo obliquo, da sibilla. Ma a quel punto erano tutti concentrati sull'ultimo arrivato.
Iggy stava scendendo in quel momento dalla sua moto. Si era tolto il casco e l'aveva appoggiato sulla sella per scrollarsi i capelli, come un cane dopo aver giocato in una pozzanghera. Si avviò verso il gruppetto con un'andatura dinoccolata e degli stivaletti a punta con le borchie che gli facevano calpestare la terra a ogni passo. Era la prima volta che Virginia lo rivedeva, dal funerale di Achille. Non era cambiato granché da allora. Ora almeno aveva qualche informazione in più su di lui. Il suo nome, ad esempio. Si chiese cosa fosse successo tra lui e Damiano in quei mesi, come si fossero avvicinati – come se l'era chiesto per ciascuno dei presenti e persino per Achille –, cosa avesse fatto di così speciale per essere invitato alla villa. Tra loro era decisamente e vistosamente quello più fuori luogo. Doveva essere il pensiero che stava passando nella testa di tutti e cinque, in quel momento. Lanciando un'occhiata di sottecchi a Damiano, però, si accorse che sembrava piuttosto compiaciuto del campione di persone che aveva messo insieme quell'anno, adesso che poteva vederlo al completo.
«Mi sorprende che siate tutti così felici della mia presenza» disse Iggy, inforcando degli enormi occhiali da sole che teneva appesi allo scollo della maglia. «Ciao Angie. Cazzo, si schiatta di caldo qua. È sempre così, di solito?»
Damiano piegò la bocca in un mezzo sorriso. «Sì, più o meno. Ci farete l'abitudine.»
«E comunque io sono davvero felice che tu sia qui» precisò Angelica. «Pensa passare un'altra estate solo con Ludovico...»
Ludovico sollevò il mento. «Sempre la più simpatica tu, eh?»
«E tu il meno permaloso. Sbaglio o ti sei fatto più brutto quest'anno?»
Virginia passava a focalizzarsi dall'uno all'altro senza avere la minima idea di come inserirsi. Il fatto che tutti conoscessero già Iggy, perché Damiano doveva averglielo presentato in qualche altra occasione, finì di avvilirla. Non le piaceva l'idea di essere l'unica novellina in un gruppo già affiatato. Finora aveva tratto conforto proprio dalla prospettiva che sarebbero stati in due, a essere introdotti per la prima volta.
Damiano decise che era il suo turno dopo qualche secondo. Con un semplice gesto – le posò delicatamente una mano dietro il gomito per farle compiere un passo in avanti, più verso Angelica e Michelangelo che verso Iggy – catalizzò l'attenzione di tutti su di lei, come se stesse esponendo il risultato in carne e ossa di un esperimento a un salotto di scienziati.
Nell'istante di silenzio che seguì, Virginia fu cosciente solo del proprio corpo ritto in mezzo alla radura; all'interno di esso, qualcosa che friniva alla stessa frequenza delle cicale appostate sugli alberi.
«Lei è Virginia» annunciò Damiano.
Quindi era il suo cenno ciò che tutti stavano tacitamente aspettando.
Il primo a porgerle la mano fu Michelangelo, il più vicino in linea d'aria. Virginia gliela strinse, e si stupì di quanto fossero rigide le sue dita.
«Piacere» disse lui, con lo stesso tono strascicato che aveva utilizzato poco prima. Cominciava a sospettare che fosse proprio quello il suo tono di voce naturale, che in fondo ben rispecchiava il quadro scocciato, altero e sonnolento della sua persona. Era alto quanto lei, una spanna sopra Ludovico e un paio al di sotto di Damiano, ma sembrava senza alcun dubbio il più debole tra tutti loro. Forse erano i suoi occhi a suggerirlo, due pozzi di morte – ecco perché su internet li chiamavano dead eyes –, con delle occhiaie marroncine, genetiche, che gli affossavano le palpebre. Non somigliava affatto a Damiano. Non condivideva con lui simmetria né composizione. Tutti i suoi tratti, come Damiano li aveva presi in gran parte da Erika, dovevano essergli stati trasmessi dalla madre, a sua memoria di origini sarde: i capelli mossi, nerissimi come le piume di un corvo, le sopracciglia folte, la carnagione grigio-olivastra e la mandibola affilata.
Il suo atteggiamento la mise immediatamente in soggezione. Si sentì giudicata da lui senza nemmeno aver parlato. Per il modo in cui la ignorò subito dopo averle rivolto quell'unica parola, le fu chiaro che non dava alcun valore alla sua presenza.
Angelica e la sua stretta di mano, invece, la lasciarono interdetta. Non appena ritrasse il palmo ebbe la sensazione, fresca sulla pelle, di aver ricevuto una carezza. Si ritrovò a fissarla senza poterne fare a meno. Era ingiusto che la sua figura coincidesse proprio con ciò che ci si poteva aspettare da una persona di nome Angelica. Anche se, calata in quello scenario, aveva più l'aspetto di una sidhe celtica, di una fata silvestre, piuttosto che di un angelo. A osservarla meglio, c'era in lei qualcosa di profondamente grezzo che disturbava l'immagine generale. Una riga di ricrescita tra i capelli biondo sporco, lisci, che già necessitavano di una lavata, o il lieve strabismo di un occhio in mezzo a un volto altrimenti aristocratico. Era poco formosa e snella come la gatta di sua nonna, che ogni tanto spuntava in giardino dopo essere sparita per giorni con un uccello morto che le penzolava dalla bocca. Sotto la canotta, non indossava il reggiseno.
Angelica le rivolse un sorriso sfuggente e per un attimo concentrò lo sguardo su un punto in mezzo alle sue clavicole, là dove avrebbe potuto essere incastonato un cristallo di famiglia, quasi a voler individuare un centro vulnerabile in lei – per colpirlo o per evitare di colpirlo? «Ero curiosa di conoscerti. Per una volta non sarò l'unica femmina del gruppo.»
Virginia non capì se fosse sincera. O almeno, lo sembrava, ma era davvero possibile che la ragazza più vicina a Damiano fosse genuinamente bendisposta verso l'ultima ragazza entrata nelle sue grazie? Le faceva forse pietà?
Si sforzò di rispondere nonostante il sapore acidulo che le stava pizzicando la gola. «No, quest'anno ti faccio compagnia.»
«Per la gioia di tutti» commentò Ludovico, al che vide Damiano fare una smorfia strana, tra l'esasperato e il divertito, come se lo stesse ammonendo di non osare troppo o non avere fretta.
Terminate le presentazioni, fu di nuovo lui a prendere la parola. «Allora» esordì ad alta voce. «Direi che è arrivato il momento di farvi fare un giro della villa. Preciso che si tratterà di un giro parziale. Ci tengo che questo posto si sveli a voi un po' alla volta, secondo ciò che voi vorrete esplorare, così che alla fine ognuno abbia una mappa visiva e affettiva tutta propria, diciamo così, diversa da quella degli altri. Ho sempre pensato che Villa Anthares possa essere mille luoghi in uno, sconosciuti persino a me, e sono anche convinto che sia la villa stessa a mostrarsi in modo diverso, in base alla nostra capacità di vedere. Questo vi chiedo soltanto, di aprire bene gli occhi. Prima che ve ne rendiate conto, questo posto vi conoscerà meglio di quanto possiate conoscerlo voi. In generale, non c'è nulla che vi è precluso. Sentite liberi di spingervi fin dove volete e di toccare qualsiasi cosa.» S'incamminò verso l'ingresso, e agli altri bastò come segnale affinché lo seguissero. «Michelangelo, Angelica e Ludovico già lo sanno: libertà è la parola chiave. Voglio che dimentichiate senza rimorsi ogni vostro problema e ogni regola o convenzione del mondo esterno. Qui esistete soltanto voi e il vostro potenziale – e per una volta avrete la possibilità di incontrarlo faccia a faccia senza condizionamenti.»
Iggy, sotto il portico, si inclinò verso l'orecchio di Angelica. «Certo che se l'è preparato bene il discorso magniloquente.»
«E non hai ancora sentito nulla.»
Damiano aprì la porta con la propria chiave e fece loro strada lungo il piano terra. Non dedicò particolari osservazioni a questo o quell'altro ambiente: Virginia si lasciò scortare nell'immensa cucina in muratura sulla destra, che Delio ed Erika dovevano aver mantenuto apposta dal vecchio casale, con i mobili d'un legno scuro e una grande isola di pietra al centro a dominare lo spazio, dov'era facile immaginare generazioni di donne in grembiule indaffarate tra fumi e vapori; si spostò insieme agli altri nell'ala sinistra, con la sala per la colazione affacciata sul giardino posteriore, la zona pranzo, il salone pieno di divani di stoffa raccolti gli uni vicino agli altri, il camino, le anfore e i vasi dipinti a mano, i candelabri, il pianoforte a muro, l'arredamento classicheggiante come se ogni stanza volesse imitare la dimora coloniale di una famiglia nobile ma senza farlo notare troppo, i tessuti damascati e i tappeti d'ispirazione persiana, il perfetto covo – per atmosfera – in cui un uomo come Delio avrebbe potuto accendersi un sigaro, sorseggiare un liquore e discutere d'arte e di politica e di vecchie conquiste con un ristretto gruppo di amici.
Virginia si figurò in automatico delle rappresentazioni ideali della Virginia che avrebbe vissuto in quella villa per i giorni successivi, che si muoveva e passeggiava lì intorno senza goffaggine, con garbo e leggiadria, in totale sintonia con quegli spazi. Le rappresentazioni si moltiplicarono stanza dopo stanza, acquisendo via via una propria autonomia, tanto che alla fine la Virginia reale e presente si sentì osservata da loro con fare di sufficienza.
Damiano stava continuando a parlare. Indicò un telefono fisso con il filo appoggiato su una consolle in salone. «Come vi avevo anticipato, questo è l'unico telefono della villa. Se avete bisogno di fare una telefonata, venite qui. Nel resto della proprietà non c'è campo.» Rivolse uno sguardo d'intesa a Virginia. Iggy scrollò le spalle come se la notizia non fosse per lui un gran problema. «Dimenticate le comodità che vi aspettavate di trovare. Qui si vive alla giornata, a contatto con la natura, e si collabora: poiché nessuno deve disturbarci, non ci saranno domestici né altri dipendenti. La cura della villa è nelle nostre mani. Questo non significa che staremo a sgobbare tutto il giorno, ma che ci divideremo i compiti basilari per assicurare quantomeno la nostra sopravvivenza. Ad esempio, andare a fare la spesa al borgo. Credo ne basteranno due o tre abbondanti, per quindici giorni.»
«Toglimi una curiosità. Chi di voi cucina, di solito?» chiese Iggy.
«Ludovico, quando è ispirato.»
«Santo Dio.»
Ludovico grugnì di scherno. «Da bravo nuovo acquisto toccherà anche a te. Di sicuro tu hai più familiarità con i lavori di casa, non è vero?»
Iggy colse la provocazione. «Certo, ho familiarità con le abilità di base che solo i mocciosi dipendenti dalla mammina non posseggono.» Un sorriso sarcastico gli increspò le labbra. «Devo dire però che non mi aspettavo questo spirito da comune da parte vostra.»
«Allora non hai ancora afferrato bene la nostra filosofia» ribatté Damiano. «Qui tutto è un po' di tutti. Non c'è niente che non possiate fare. Per quanto riguarda le decisioni che interessano tutto il gruppo, le prendiamo insieme per votazione.»
Per la prima volta Virginia fu turbata dall'enfasi che Damiano, serissimo, stava continuando a porre su quell'aspetto. Cosa significava assoluta libertà, per lui? Quali erano i limiti che si dovevano oltrepassare? A parte ciò che poteva arrivare facilmente a immaginare, aveva la sensazione che le stesse sfuggendo qualcosa di piuttosto importante che invece gli altri appariva ovvio.
Le tornò in mente dal nulla il frammento di Saffo che avevano trovato quel pomeriggio di fine maggio sul libro di letteratura greca e che le era valso un dignitoso Ottanta alla maturità.
Che io possa andare oltre.
«Che tipo di decisioni?» domandò Iggy, di colpo più attento.
Ci fu una curiosa occhiata tra Michelangelo, Angelica e Ludovico. «Beh, quelle sulle attività da fare insieme» rispose Ludovico. «Ad esempio un bagno al lago al tramonto, più tardi. Così vi fate raccontare da Damiano il resto della storia della villa, che è sempre la parte più divertente.»
«Il bagno al lago era già in programma» disse Damiano. «E per favore, Ludo, non anticipare nulla. Non voglio rovinare la sorpresa a Iggy e Virginia.»
Ludovico alzò le mani in segno di resa.
Il passo successivo fu andare a recuperare i bagagli all'esterno per portarli nelle stanze da letto. Damiano sollevò sia il proprio trolley che quello di Virginia senza sforzo, rientrò in casa e si fermò per un istante davanti alle scale. Una delle due rampe conduceva a un piano interrato.
«Giù c'è lo scantinato. Mio padre ha una collezione di oltre cento vini di cui possiamo usufruire a nostro piacimento.»
Virginia si affacciò dal corrimano per sbirciare, ma non notò nulla a parte una parete grigia foderata di macchie d'umidità da cui pareva quasi traspirare un alito freddo. Salì in fila con gli altri verso il primo piano, e con una certa angoscia vide Damiano portare il suo trolley nella camera dipinta d'azzurrino in cui si era appena infilata Angelica.
«Al primo e al secondo piano ci sono solo camere da letto e qualche bagno» disse lui. «Potreste dormire da soli, ma suppongo che vi faccia più piacere un po' di compagnia. I rumori e il buio del bosco sanno mettere a dura prova, le prime notti.» Lasciò cadere il trolley tra i due letti singoli con un tonfo. «Qui possono sistemarsi Angelica e Virginia, così avranno occasione di conoscersi meglio. Iggy, tu invece dormirai con Michelangelo. Per di qua, vieni.»
Virginia, disorientata, fece per accodarsi a lui in corridoio con una domanda che le pendeva dalla punta delle labbra: ma... non possiamo dormire insieme io e te? Tuttavia Angelica la richiamò subito indietro.
«Non vuoi sistemare le tue cose?» le chiese, già accovacciata sulle mattonelle floreali del pavimento a disfare la valigia.
Virginia guardò un'ultima volta verso la porta e un'ultima volta verso Angelica prima di costringersi a rimanere. Un soffio di vento fece oscillare la tendina bianca alla finestra e le fronde dell'albero che la accarezzavano all'esterno. In alto, il condizionatore era ancora spento. Senza una parola si inginocchiò per aprire il trolley e tirar fuori, a capo chino, i primi vestiti che aveva portato con sé.
Angelica ne appese un paio alle grucce conservate nell'armadio di legno di fronte ai letti – le ante, già spalancate al loro arrivo, avevano degli intagli così belli da renderlo il complemento d'arredo perfetto per una casa di bambole. «Non ho molte cose appresso, puoi prenderti pure il resto dell'armadio. Per quanto riguarda i letti, invece? Preferisci lato porta o lato finestra?»
«Porta» mormorò lei.
«Bene. Io ho sempre dormito in questa stanza, sai? Sul muro dietro il tuo letto dovrebbe esserci ancora il disegnino di un cavalluccio marino che ho fatto a tredici anni.» Le indicò lo spicchio di muro dietro la testiera di ottone, ma Virginia non le diede corda. Angelica la scrutò per qualche secondo con le mani sui fianchi. «Sei silenziosa come Michelangelo tu, eh.»
Virginia avvertì la testa farsi più leggera e formicolante d'irritazione. Era uno strano paragone: aveva il presentimento che lei e Michelangelo non potessero essere più diversi. Con lentezza maniacale continuò a sfilare i vestiti dal trolley e a disporli sul letto, ripiegati, osservando nient'altro che le proprie mani – la furia pacata nelle proprie mani. Si ricordò della conversazione che aveva avuto con Damiano appena qualche giorno prima, quando gli aveva chiesto che genere di abiti avrebbe dovuto mettere in valigia.
«Porta i tuoi vestiti preferiti» aveva detto soltanto lui.
Proprio in quel momento si ritrovò tra le dita l'abito bianco in stile cottage che tanto lo aveva colpito quando l'aveva visto a casa sua. Lo sfregò con tenerezza tra i polpastrelli e si alzò per andare a posarlo su una gruccia, in un improvviso slancio di orgoglio. La sola immagine di sé all'interno dell'abito le dava l'audacia per pensare che Damiano si sarebbe innamorato di lei non appena gliel'avesse visto indosso. Forse perché anche lei si amava di colpo e in modo bruciante, che era proprio il modo in cui voleva essere amata, quando riusciva a vedersi bella.
Neanche ad Angelica passò inosservato. «Attenta che quello si rovina in un niente là fuori» disse, mentre spingeva con un piede la valigia vuota sotto al letto. Ma nel suo tono tutt'a un tratto si era creata una distanza, come se un pezzo di lei fosse stato catapultato altrove. «Avevo un vestito bianco che ha fatto una fine terribile, l'anno scorso. Dovrei averlo lasciato qui da qualche parte, ma non ci tengo granché a ritrovarlo.»
Virginia incassò il colpo annuendo tra sé. Ma certo. Anche lei aveva un vestito bianco. Stabilì per il proprio bene che non avrebbe dato peso alle parole di Angelica, d'ora in avanti. Se si fosse fermata a rimuginare su quanto lei fosse già impressa in ogni angolo della villa, su quante volte avesse già aperto quell'armadio, dormito in quel letto – qualche volta era venuto Damiano a svegliarla, bussando dolcemente alla porta? –, sulle mille cose che potevano essere successe tra lei e Damiano o tra lei e Michelangelo o tra lei e Ludovico – quale stanza, quale preciso punto tra gli alberi? –, sarebbe di certo impazzita.
«Sì, farò attenzione» disse laconica.
A quel nuovo tentativo di conversazione fallito, Angelica colse l'antifona. Evidentemente aveva capito che non sarebbe riuscita a trarre nulla da lei, quel pomeriggio. Forse, in realtà, l'aveva già letta da cima a fondo e aveva già intuito il motivo della sua diffidenza. Un po' delusa e con una vaga aria di compassione, uscì dalla stanza lasciando Virginia nella sua inespugnabilità, dove almeno si sarebbe sentita a proprio agio.
Libera dalla sua presenza, sistemò gli ultimi capi con la schiena più rilassata. Sul comò accanto all'armadio appoggiò una boccetta di profumo e l'occorrente per il bagno. Lasciò invece i gioielli – un paio di collane e di bracciali – in una tasca del trolley, insieme al portafogli, l'arricciacapelli e il caricabatterie del telefono. Alla fine si concesse un sospiro d'incoraggiamento e si sbrigò a tornare di sotto da Damiano.
Scese le scale quasi di corsa. Sugli ultimi gradini, però, si accorse subito che qualcosa non andava.
Al piano terra, poco lontano dalla rampa, Angelica, Michelangelo e Ludovico stavano chiacchierando tra loro a bassa voce. Quando videro sbucare Virginia dalle scale si zittirono all'istante – anche Michelangelo che le stava dando le spalle si voltò verso di lei, tagliente, dopo un cenno col mento di Ludovico. La fissarono tutti e tre per un paio di secondi senza dire nulla.
Esitò. «Dov'è Damiano?» chiese, senza avanzare oltre.
«È andato a fare la spesa» rispose Angelica. «Ha detto che era meglio non perdere tempo, così possiamo fare il bagno al lago prima del tramonto.»
Il peso che Virginia stava cercando di espellere si rituffò in lei inchiodandola al pavimento. «È andato da solo...?»
«No, si è portato Iggy.»
«Portato» ironizzò Ludovico con un altro sorrisetto incomprensibile, come se dopo tutti quei mesi sapesse ancora benissimo quali tasti toccare per pungolarla. «Se l'è praticamente trascinato. Di solito si offre volontario uno di noi, ma stavolta penso volesse proprio stare un po' con lui.»
A quel punto, Virginia sentì le guance infiammarsi di rabbia. Sembrava quasi che avessero ordito apposta un piano per tenere Damiano lontano da lei. Li odiò con tutto il cuore, come si odiano soltanto dei nemici; guardò le loro teste vicine e desiderò che esplodessero in mille cocci in quello stesso momento, così avrebbe potuto dire: erano soltanto delle stupide statue. Non delle persone vere. Erano soltanto un diversivo per allungare l'attesa tra noi.
«Perché non vai già a metterti il costume? Così quando tornano siamo tutti già pronti» le suggerì Angelica con improvvisa condiscendenza, come se stesse cercando di convincere una bambina.
Virginia voltò i tacchi accennando un secco: «Va bene». Risalì al piano di sopra piena di quel peso che rischiava di farla sbandare, e non appena fu di nuovo in camera chiuse di scatto la porta dietro di sé. Si accorse che non c'era una chiave infilata nella serratura. La cercò distrattamente in giro, ma lasciò perdere dopo poco. Si sarebbe cambiata in fretta.
Mentre si sfilava il vestitino celeste che le aveva fatto compagnia durante il viaggio, mentre le scorreva sulla pelle sudata, immaginò il tocco di Damiano che ne seguiva il movimento: a volte nemmeno lei sentiva di essere una persona vera, e aveva la necessità che qualcuno le ricordasse il confine materiale del suo corpo. Con Damiano era più semplice essere una persona. Era lui a mostrarle la persona che doveva essere. Senza di lui, ripiombava in quell'odioso stato in cui le sembrava di essere una figura abbozzata, una coscienza senza perimetro, e cominciava a provare un'inquietudine che diventava sempre più difficile da sopportare.
Sfilò via anche l'intimo, e in un attimo indossò senza pensarci il costume rosso per cui le sue zie e le sue cugine le avevano fatto i complimenti a una festa in piscina, l'estate precedente, in modo così marcato che le era quasi venuta voglia di andare a cambiarselo per aver attirato troppo l'attenzione.
Allora si sedette sul letto, con le ginocchia serrate e le mani sulle ginocchia, lo sguardo fisso nel vuoto davanti a sé, e attese. Pensò che le lenzuola fossero un po' ruvide. Pensò ad Achille e si chiese in quale stanza avesse dormito, da solo o con qualcuno di loro, e se si fosse fatto suggestionare dal buio come aveva detto Damiano. Si chiese quando sarebbe iniziato tutto, dove fosse il dio Pan con le ninfe e i pastori al seguito che intonavano i loro canti più dolci per coinvolgerli nella gioia dell'Arcadia – ammesso che quella fosse davvero l'Arcadia e non soltanto un'illusione destinata a crollare nel giro di qualche settimana.
Attese, perché in quella calura non c'era altro da fare.
Note d'autrice:
Ehilà ♥
A quanto pare il mio periodo di hiatus è finito. Mi perdonerete (spero) se ho deciso di prendermi una piccola pausa dalla scrittura a cavallo tra le due parti della storia, ma chi mi conosce sa che ultimamente ci sono in ballo un sacco di cose nella mia vita e che ho sempre più bisogno di dedicare il giusto tempo a ciascuna di esse.
Ho pensato che fosse importantissimo, in ogni caso, inaugurare l'anno con il nuovo capitolo. Da questo momento gli aggiornamenti riprenderanno con un filino di costanza in più ♥
Venendo al capitolo in sé, preferisco non sproloquiare oltre e lasciare piuttosto qualche domandina per voi: finalmente ho potuto presentarvi Villa Anthares 🥹 Era come ve la immaginavate?
Vi aspettavate le reazioni o l'umore negativo di Virginia?
Che impressione vi hanno fatto Michelangelo e Angelica alla loro prima apparizione?
Prima che venga rivelato, perché secondo voi la location prende il nome dalla stella Antares?
Sono curiosissima di sentire la vostra, come sempre ♥
A presto,
Ivana
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