6. Dominatio (1/2)



6.


Dominatio



23:04


«Giuro su Dio che ho finito di scarrozzarti da una parte all'altra della città.»

Damiano, sul sedile del passeggero, si voltò verso Ludovico inclinando un po' la testa. «Mmmh, probabilmente no» gli disse con una pacca sul braccio, proprio nel punto più tonico del suo bicipite. Nell'ultimo mese doveva aver intensificato di proposito gli allenamenti con il personal trainer per prepararsi all'estate. Non aveva mai visto una camicia aderirgli addosso a quel modo. «La mia vita sarebbe finita senza di te, e tu non vuoi che la mia vita finisca, vero?»

Ludovico gli rivolse un sorriso sarcastico. «Vaffanculo, Damià. Se ti fanno una rapina in questa fogna col cazzo che ti vengo a prendere.»

«Non ce ne sarà bisogno.»

Si girò di nuovo a guardare la strada buia, oltre il finestrino. Temporeggiò per qualche altro secondo. Aveva bisogno di calarsi nel suo stato di completa lucidità prima di scendere dall'auto. Gli turbinava dentro una smania che andava soppressa a tutti i costi.

Ludovico tamburellò le dita sul volante. Tra le clavicole gli pendeva una catenina d'oro e dalla manica arrotolata della camicia emergeva il tatuaggio che si era fatto a inizio maggio, un pugnale antico avvolto dalle spire di un pitone. Come gli altri quattro o cinque e l'orecchino al lobo destro, era riuscito a nasconderlo abilmente alle suore, finora.

Nel quadro d'insieme, ogni dettaglio inscritto su di lui emanava un lusso e un potere per cui le persone comuni si sarebbero fatte ammazzare, eppure Damiano intravedeva sempre in Ludovico, al di là di quella patina, una debolezza di fondo da cui in realtà era molto semplice attingere, all'occorrenza. Anche se nella vita non gli mancava nulla, sembrava che ci fosse sempre uno standard che non riusciva a raggiungere, per quanto si sforzasse, per un misero passo o due.

Nonostante fosse in estremo ritardo per la serata a cui lo avevano invitato, non protestò oltre. Non aveva fiatato nemmeno un paio d'ore prima, nel momento in cui gli aveva chiesto quel favore.

Solo quando Damiano si decise a uscire gli disse, piegandosi verso la portiera aperta: «Oh. Spero davvero che ne valga la pena.»

Damiano gli sorrise con un angolo della bocca. Comprese al volo che quella frase, ricoperta da un sottilissimo velo di imbarazzo, avesse un doppio significato. Ludovico sapeva perfettamente cosa stava andando a fare. Si appoggiò con un gomito alla portiera e lo guardò negli occhi. «Quando lo conoscerai ti sarà tutto più chiaro.»

Dopo qualche secondo, vide la Mercedes allontanarsi in direzione di chissà quale discoteca esclusiva e, poi, la casa di chissà quale ragazza, con dell'r&b sparato a tutto volume nelle casse.

Damiano si avviò verso la palazzina. L'ultima e unica volta che era stato in quel posto l'inverno non aveva ancora lasciato spazio alla primavera, ma neanche a distanza di mesi la desolazione era cambiata. Il marciapiede era ancora costellato di cartacce, mozziconi di sigaretta e piscio di cane.

Non aveva più accompagnato Iggy a casa, dopo quella notte fuori al Mirage. Le volte in cui si erano visti, in due mesi, Iggy gli aveva sempre indicato un punto di incontro in cui poi si presentava magicamente, un bar, una birreria o una piazza in centro. Ogni volta veniva verso di lui – sempre con almeno un quarto d'ora di ritardo – con le mani infilate nella sua giacca di pelle e una specie di sorrisetto di sfida, che Damiano avrebbe tanto voluto cancellargli dalla faccia in mille modi creativi. Per quanto avesse provato a farlo confessare riguardo alla lettera di Achille, Iggy aveva tenuto la bocca cucita.

La variabile assurda, però, era che nonostante avesse organizzato gli incontri con quell'unico scopo in mente, aveva cominciato ad apprezzare la sua compagnia.

Iggy gli aveva fatto ricordare come ci si sentiva a frequentare gente di un altro ceto. Non il genere di persone che si attaccavano come sanguisughe al collo di suo padre, bensì quelle del tutto disinteressate alla sua ricchezza. Era quasi una benedizione, potersi distaccare per un po' dall'ambiente in cui era immerso giorno e notte – senza che nessuno si aspettasse alcunché da lui, con la possibilità di vedere facce più genuine, che sapevano realmente prendere in mano la vita con i mezzi che avevano a disposizione.

Era sempre Damiano a invitarlo. Era sempre lui a pagare il conto. Gli piaceva giocare a quel gioco di appuntamenti con Iggy, perché in fondo si trattava di quello: una dinamica vecchia quanto il mondo che aveva a che fare con la seduzione. Non si spingevano mai oltre, però. Il gioco era racchiuso nella finestra di tempo in cui erano insieme, e ogni volta ricominciavano dal punto di partenza.

Di solito sedevano l'uno di fronte all'altro a sorseggiare un Gin Tonic. Iggy appoggiava il mento alle nocche di una mano per ascoltarlo e poi prendeva a raccontare a sua volta qualche aneddoto della sua giornata, Damiano si specchiava nei suoi enormi occhiali da sole tarocchi che non toglieva fino al tramonto, talvolta glieli rubava – un pretesto per toccarlo di sfuggita – e Iggy cercava di riprenderseli mentre camminavano per le vie della città. Era la stessa città in cui si muoveva ogni giorno, eppure appariva completamente diversa, vista attraverso gli occhi di Iggy. La città dei mezzi pubblici, dei vicoli senz'aria, dei ragazzi seduti sulle scalinate dei monumenti, delle fontane rotte e dei sampietrini saltati, la città che riusciva a trovare un po' di spazio per tutti, se si guardava attentamente.

Altre volte, ancora, Damiano avvolgeva un braccio intorno alle spalle di Iggy e lo attirava a sé, lui fingeva di divincolarsi, ma almeno per qualche metro proseguivano in quella posizione che era il culmine di ciò che Damiano si concedeva del corpo di Iggy, i suoi spigoli.

Dal suo comportamento, in generale, Damiano aveva intuito che il contenuto della lettera non doveva essere poi così problematico. Se le parole di Achille fossero state davvero incriminanti, Iggy non avrebbe aspettato tutto quel tempo per affrontarlo. Gli era rimasto il tarlo, certo, ma era convinto che prima o poi sarebbe riuscito a farsela consegnare. E la seduzione era un'arma che andava decisamente a suo vantaggio.

Perlomeno, aveva funzionato fino alla settimana precedente.

Salì i gradini che conducevano al portone della palazzina senza riuscire a spegnere la spia d'allarme che s'era accesa dentro di lui quella sera.

Erano giorni che Iggy non rispondeva alle sue chiamate e ai suoi messaggi. Aveva cercato di non badarci troppo, all'inizio, ma si era reso conto subito che era molto insolito da parte sua. Più che insolito. Non poteva trattarsi di un caso, dopo l'ultimo messaggio che gli aveva scritto in chat.

Forse è anche colpa mia.

Gliel'aveva inviato dal nulla alle due del mattino, dopo la loro ultima uscita.

Si erano fermati ai tavoli esterni di un bar in zona università, ed erano rimasti per tutto il pomeriggio a parlare di musica. Per Damiano aveva un'importanza cruciale conoscere i gusti delle persone, non solo perché i loro interessi gli permettevano di comprenderle meglio, ma anche perché era molto bravo ad assumere gli stessi interessi degli altri, a plasmarsi su di loro. Angelica una volta gli aveva detto che era proprio un atteggiamento da psicopatico.

Iggy però si era illuminato, quando gli aveva chiesto di fargli ascoltare qualche canzone. Avevano trascorso il resto del tempo l'uno proteso verso l'altro sul tavolino del bar, a fumare e a riprodurre dal telefono una playlist con i Deftones, i Placebo e i Nine Inch Nails, Damiano che annuiva e assorbiva l'entusiasmo di Iggy, Iggy che gli sorrideva tra una scrollata di sigaretta e l'altra come se stesse vedendo davvero per la prima volta il Damiano di cui si era innamorato Achille.

Poi, la notte, quel messaggio.

Che cosa è colpa tua?, aveva domandato di rimando.

Da allora Iggy si era volatilizzato.

Quella sera, dopo cena, invece di pensare a come passare la nottata – era sabato, del resto – a Damiano era tornata in mente un'altra frase che Iggy gli aveva rivolto durante la loro prima chiacchierata in macchina.

Tra me e Achille sono sempre stato io quello più di là che di qua.

Neanche il tempo di ragionare che si era fiondato di scatto dal divano a prendere il telefono e a chiamare Ludovico, col cuore che pulsava tra le tempie.

Possibile che fosse, di nuovo, troppo tardi?

«Damià, Gesù, stavo per entrare in doccia, devo uscire.»

«Ludo, è importante. Mi servi tu. Ho avuto un'idea.»

In verità, anche Damiano sapeva di essere estremamente debole, in certi casi. Non riusciva a stare troppo a lungo lontano dalle persone che si era scelto. Una volta che avevano catturato la sua attenzione, la sua vita cominciava a ruotare intorno a loro.

Suonò al citofono all'unico cognome che gli sembrava rumeno.

Gli rispose una voce femminile. «Chi è?»

«Sono un amico di Iggy.»

La voce non volle accertarsi d'altro. Gli aprì, e Damiano si ritrovò a salire le scale controllando le targhette con i nomi dei condomini porta per porta, quattro per piano. Al secondo, trovò la porta che stava cercando. La madre di Iggy la spalancò prima che potesse bussare, con un cesto del bucato sottobraccio e i capelli biondi raccolti in una crocchia in disordine. Lo squadrò dall'alto in basso senza delicatezza.

«È un po' tardi» disse, con un forte accento dell'Est, ma si scostò ugualmente per farlo entrare. Almeno lei aveva imparato l'italiano, a differenza di sua madre.

«Scusi per il disturbo. Sono Damiano Vicari» si presentò lui tendendole la mano. E con quello, avrebbe anche potuto mettere una spunta al consueto incontro con la famiglia del candidato. La visita a casa Sannazzaro se l'era tolta di torno appena qualche giorno prima.

«Magda.» Le dita della donna erano ruvide tanto quanto il suo aspetto. Non sembrò granché impressionata da lui, né dal suo nome. Di sicuro non era il primo amico di Iggy che passava per quella casa. «È nella sua stanza» spiegò, con un cenno stanco verso la prima porta a destra. «Vediamo se almeno tu riesci a tirarlo fuori di lì.»

Mentre Magda si allontanava nel corridoio in una serie di schiocchi di ciabatta, Damiano si guardò intorno. A incrociare il proprio sguardo nello specchio all'ingresso, appeso sopra un tavolino ingombro di bomboniere e souvenir scadenti, sentì di non avere del tutto la presa ben salda su quella situazione.

Per l'appartamento, che sembrava composto solo da un'altra camera da letto oltre a quella di Iggy, un bagno e la stretta cucina che intravedeva sulla sinistra, aleggiava l'odore pesante di una cena a base di cipolle. Avanzò sulle mattonelle in graniglia finché non raggiunse la porta indicata dalla donna. La fissò per un paio di secondi prima di dare un colpo di nocche.

Come si aspettava, Iggy non gli rispose, così abbassò la maniglia ed entrò da sé.

La stanza era immersa nel buio. Eccetto per i lampioni che emanavano un bagliore polveroso al di là della finestra, fu Damiano a gettare un po' di luce dal corridoio. Era una camera piccola e spoglia, con l'intonaco che si sgretolava dalle pareti. Gli saltò all'occhio una collezione di lattine di birra esposta su uno scaffale e una sedia ingombra di vestiti sgualciti. Ci mise qualche istante per distinguere il corpo di Iggy. Era avvolto in un bozzolo di coperte sul letto accatastato contro il muro, un letto che pareva più una brandina con un materasso appoggiato sulla rete, e solo la sommità della sua testa sbucava sul cuscino. Le lenzuola non erano nemmeno infilate a dovere sotto il materasso – quanti giorni erano che si rigirava e sfregava i piedi in quelle coperte? Non moriva di caldo?

«Sei vivo, quindi» gli disse, sullo stipite della porta.

Iggy mantenne il silenzio per un attimo. Dal bozzolo, poi, si sollevò un mugugno spezzato e roco. «Non mi pare di averti dato il permesso di entrare.» Finora era rimasto immobile, con la faccia rivolta al muro, ma in quel momento Damiano intercettò un piccolo movimento sotto le coperte. Stava voltando un po' la testa verso di lui. «E comunque cosa cazzo ci fai qua?»

Damiano incrociò le braccia. «Sono venuto a prendermi quel giro in moto che mi devi da quasi tre mesi.»

La replica fu un debole verso di scherno e poi qualche altro secondo di silenzio. «Damiano, seriamente, fammi un piacere: vattene.»

La serietà e la spossatezza mortale nella sua voce gli provocarono un vuoto allo stomaco. Non immaginava che il dolore potesse cambiare in modo simile la voce di una persona.

«Purtroppo per te non sono venuto con la mia macchina e non so come tornare a casa» disse, ancora fiducioso del proprio piano. Era convinto che prenderlo con le pinze non sarebbe servito a nulla.

«Sai quanto mi interessa. Chiama un taxi.»

«Non ho il portafogli appresso.»

Le coperte vennero smosse da un altro movimento appena percettibile. Damiano vide apparire la sua frangia sudicia e scombinata sulla fronte pallida. «Non ci credo nemmeno se ti svuoti le tasche o se ti spogli in questo momento davanti a me.»

Anche se Iggy non poté notarlo, Damiano gli rivolse un sorriso tenue. «Vuoi che mi spogli, ho capito bene?»

«No. Voglio che te ne vai.»

«Dico davvero, Iggy, non so come andarmene. Ho organizzato tutto apposta per incastrarti. Preferisci che dorma qua?»

Solo allora Iggy iniziò a sembrare davvero irritato – e solo allora Damiano lo riconobbe, anche se la sua voce continuava a sfaldarsi. «Guarda che ci metto un attimo a sbatterti fuori di casa. Non me ne frega un cazzo di come ti organizzi per tornartene. Potrebbe essere la volta buona che prendi un treno. La stazione è a un chilometro di distanza. Hai mai preso un treno in vita tua? È un'esperienza che dovresti provare.»

Damiano si avvicinò al letto di qualche passo, e così la sua ombra che s'ingrandì sulla parete.

«È così che tratti i ragazzi con cui esci?»

Il corpo di Iggy venne percorso da un fremito di rabbia. «Noi non stiamo uscendo.»

«No?»

«Non mi risulta.»

Damiano avanzò fino al bordo del materasso. Dall'alto, Iggy sembrava ancora più amorfo e debole nella sua crisalide, proprio come un insetto morto, ed emanava un odore sgradevole. «Dio, sei proprio un caso perso...»

Quando gli sfiorò la spalla e fece per scostargli le coperte di dosso, tuttavia, Iggy voltò abbastanza il capo da fargli incrociare i suoi occhi iniettati di sangue, due lame adirate nella penombra, e Damiano dovette ricredersi sulla sua forza.

Scattò all'impiedi in un attimo, così bruscamente che Damiano fu costretto a indietreggiare, colto di sasso.

«Quale parte di "te ne devi andare" non ti entra nel cervello?» gridò.

Ma Damiano non prestò la minima attenzione alle sue parole. Iggy era a petto nudo nel triangolo di luce disegnato dalla porta, i capelli unti e arruffati sul collo, indossava solo i pantaloni del pigiama con l'elastico a vita bassa, ed era più magro che mai, l'ombelico allungato e dei piccoli tatuaggi sparsi tra il petto e le costole, principalmente scritte.

A catturare il suo sguardo, però, furono i tagli sulle braccia.

Erano troppi perché potesse contarli. Freschi e vecchi, alcuni incrostati e altri cicatrizzati da tempo come solchi in rilievo sulla pelle, percorrevano entrambi gli avambracci secondo una loro logica, paralleli ma a breve distanza l'uno dall'altro, risalendo sui bicipiti e quasi fino alle ascelle.

Capì, in quel momento, perché non l'avesse mai visto con una maglietta a mezze maniche. Era stato abile a non inquadrarsi i tagli nemmeno nelle foto che gli inviava ogni tanto.

Sollevò lentamente gli occhi per incontrare di nuovo i suoi, eloquente.

Cristo, Iggy.

Iggy lo fissò con il respiro accelerato. Stava aspettando la sua prossima mossa.

Damiano, in quegli istanti, cercò di afferrare da lui la soluzione giusta per spingerlo a reagire. Non avrebbe sopportato di vederselo sfuggire dalle mani, non ora che aveva finalmente preso una decisione. Glielo chiese in silenzio: allora, come vuoi essere trattato? E subito gli tornò in mente il modo peculiare in cui si piegava a lui quando gli diceva qualcosa di velatamente cattivo. Il lato che più lo incuriosiva e in cui si era sempre divertito a rigirare il coltello.

In fondo, quella non era la sua prova definitiva?

«Allora sono questi i problemi psichiatrici di cui soffri» gli disse in tono di sfida. «Sinceramente non pensavo che stessi messo così male.»

Iggy si scagliò su di lui con un ringhio. Lo spintonò con tutta la furia che aveva, e Damiano provò a pararsi agguantandogli i polsi, senza fiato, ma il suo corpo gli scivolò dalle dita agile e forte come quello di un anguilla, prima che lo spingesse di nuovo verso la porta.

«Vattene subito o ti ammazzo, Damià, giuro che ti ammazzo!» urlò, fuori di sé, mentre continuava a picchiargli il petto con una violenza che non avrebbe creduto possibile. «Non voglio più vedere la tua faccia da fighetto saccente, mi sono rotto le palle di farmi prendere per il culo! Lasciami a marcire in pace e levati dal cazzo!»

Damiano subì ogni colpo stringendo i denti. Non reagì e arretrò finché non fu di nuovo in corridoio. Neanche il tempo di veder accorrere Magda che Iggy si rinchiuse ancora una volta nel buio della stanza sbattendo la porta.

Madga gli gridò qualcosa in rumeno, a cui lui ribatté, a giudicare dalla frustrazione della donna, mandandola a fanculo.

«Cosa è successo?» chiese con un lieve affanno a Damiano. Sembrava sospettosa, ma anche un po' preoccupata, come se stesse sperando intimamente che Damiano non decidesse di denunciare il figlio. Se dava per scontato che Iggy fosse nel torto, doveva aver già assistito a episodi simili in passato. «Tutto bene?»

«Sì» rispose seccamente lui, gettandosi all'indietro una ciocca di capelli che gli penzolava sulla fronte. «È testardo, ma sono ancora in tempo per farlo uscire.» Dopodiché si riavvicinò alla porta e disse ad alta voce, per accertarsi che sentisse: «Ti ho detto che non so come tornare a casa. Ti aspetto giù, per quando ti sarai dato una calmata.»

Salutò Magda senza ulteriori spiegazioni e scese le scale del palazzo in preda all'adrenalina, la pelle che martellava dove le manate di Iggy lo avevano colpito. Una volta uscito dal portone, si andò a piazzare esattamente sotto la finestra di Iggy, che affacciava sulla strada. Ci teneva a fargli sapere che non stava scherzando e che non se ne sarebbe andato anche a costo di rimanere appostato lì per tutta la notte. Si appoggiò a un muretto e restò in attesa con lo sguardo puntato sul riflesso del lampione sulla finestra. Neanche per un attimo ebbe il dubbio che Iggy non l'avrebbe raggiunto.

Trascorsero forse venti minuti.

Si era alzato un po' di vento, insieme al miagolio dei gatti randagi. Qualcuno aveva lasciato un piatto di plastica con delle crocchette ai piedi di una ringhiera. Damiano accarezzò il pelo di uno di loro prima che si fiondasse sul piatto.

La sagoma di Iggy, dritta e improvvisamente docile, con una canotta indosso, comparve alla finestra e lo fissò per qualche secondo da dietro le imposte. Damiano, dal marciapiede, resse il suo sguardo senza dire nulla. Poi Iggy si allontanò.

Damiano sorrise tra sé vittorioso. Dopo qualche altro minuto lo vide spuntare dal portone e venire verso di lui nei suoi soliti abiti.

Gli lanciò l'unico casco che aveva con sé, nero e con la visiera, e Damiano lo afferrò al volo come un pallone da basket. «Vieni» gli disse apatico, mentre cercava una chiave nel mazzo che aveva tra le mani.

Damiano lo seguì. Iggy lo condusse sul retro del palazzo, dove si accedeva a un cortile infestato dalle erbacce e da carriole piene di cemento e detriti abbandonate lì dopo qualche lavoro di ristrutturazione. Non c'era posto per le auto; solo per tre motorini parcheggiati forse senza permesso da qualche condomino.

Iggy si avvicinò alla sua moto, una custom in discrete condizioni che avrebbe potuto fare invidia ai biker più esperti.

«E questa da dove l'hai presa?» gli chiese Damiano.

«Il compagno di mia madre fa il meccanico. Me l'ha procurata e messa a nuovo per i diciotto anni» rispose Iggy senza emozione, mentre sollevava il cavalletto e la trascinava fuori dal cortile. «Quello te lo devi mettere. Preferirei non averti sulla coscienza, nel caso.»

Damiano si infilò il casco sulla testa. Iggy, già a cavalcioni sulla moto, si voltò verso di lui per aiutarlo ad allacciarselo, e nel compiere quel gesto gli sfiorò la gola con le sue dita fredde.

«E tu? Non ce ne hai un altro?»

«No.»

«E come porti i ragazzi in giro?»

«Di norma non ce li porto. Sali.»

Damiano ridacchiò sotto la visiera. Una volta che si fu seduto alle sue spalle, Iggy accese la moto e partì.

La strada si snodò davanti a loro anonima e senza sorprese, solo un manto scuro d'asfalto e di cielo che trasmise a Damiano una calma abissale, come se fossero gli unici esseri umani rimasti dopo un'apocalisse. Guardò nelle tenebre a sudovest: della sua stella ancora non v'era traccia.

Manca poco, pensò, indirizzando quel pensiero come una preghiera. Poco più di un mese e ci rivedremo.

Incrociarono pochi altri veicoli, lungo la statale. Il vento gli frustò le ginocchia e liberò del tutto la faccia di Iggy dai capelli. Con il respiro che gli risuonava in faccia, sotto il casco, Damiano si premette di più contro di lui abbrancandogli le cosce.

Per un momento si domandò di cosa potesse essere capace una persona depressa che guidava a quella velocità. Avvertì il brivido del pericolo sulla nuca, come se entrambi i loro corpi fossero cosparsi di una sostanza infiammabile, e ritrovò in un istante il lato di sé a cui meno dava spazio in società, quello della persona che prova sprezzo per il rischio, così dilaniata dalla curiosità da essere disposta ad andare incontro anche alla morte pur di soddisfare la propria conoscenza del mondo. Come Alice, o peggio di Alice, pronto ad azzannare il Bianconiglio.

Non era altro che la curiosità ad attrarlo verso Iggy. La scoperta del suo stato mentale non l'aveva intaccata neanche per un attimo, anzi, forse l'aveva acuita. La forza e la violenza sopite in lui, rivolte anche contro se stesso. L'indifferenza al dolore fisico. Cosa sarebbe successo, a introdurre quella mina vagante nel suo castello perfetto? Era una forma di autosabotaggio, il desiderio di portare un elemento di imprevedibilità nell'idillio, o ancora la sensazione di onnipotenza data dal rischio? La piccola ma concreta probabilità di mandare tutto meravigliosamente a puttane?

Il buonsenso avrebbe dovuto fargli fare marcia indietro, ma in fondo non poteva biasimarsi: l'estate era sempre stata la stagione della curiosità.

Dopo mezz'ora di silenzio e di strade divorate, Iggy accostò a ridosso dei giardini deserti a qualche isolato di distanza da casa di Damiano. Quando spense la moto, nessuno dei due si alzò subito. Damiano si sfilò il casco e attirò ancora di più Iggy a sé facendogli scivolare le mani dalle anche all'inguine, lungo la V che aveva visto scomparire sotto l'elastico dei pantaloni. Avvertì una sensazione di freddo al tatto quando giunse alle borchie della sua cintura. Iggy si irrigidì. Damiano però si accorse, dallo specchietto retrovisore, che aveva socchiuso le palpebre. Gli avvicinò la punta del naso al collo, percorrendolo e inspirandolo fino all'attaccatura dell'orecchio. Si era dato una sciacquata, prima di scendere, ma aveva ancora quel suo odore caratteristico che non aveva mai riscontrato in nessun altro tra i suoi compagni, nemmeno dopo una partita di pallavolo.

Gli piaceva il suo odore. Le persone ricche non ne avevano uno proprio. I ragazzi ricchi erano tutti puliti e improfumati di profumi virili per nascondere la propria appartenenza volgare al genere umano. Non era un caso che fosse riuscito a sentire quello vero di Michelangelo e Ludovico, gli esempi impeccabili della sua specie, solo a Villa Anthares.

Quando furono le sue labbra a lambirgli di sfuggita il collo, Iggy ebbe un fremito tra le scapole e si ritrasse. «Damià, smettila, non puoi fa' così» bofonchiò, con una nota di esasperazione. Riabbassò il cavalletto e scese dalla moto.

Damiano si girò a sedere di lato. «Perché, non ti diverte più?»

Iggy alzò le spalle mentre cominciava a rollare una cartina con del tabacco. «Non lo so. È frustrante stare ai capricci di un etero annoiato che ti usa solo per fare qualche nuova esperienza elettrizzante.»

Etero annoiato.

Gli venne da ridere.

Non che esistesse una parola che si sentiva calzare bene addosso. Non da quando si stava aprendo alla possibilità di sperimentare.

Chissà cosa avrebbe pensato, Iggy, se avesse saputo che aveva dato il primo vero bacio a suo cugino Michelangelo.

All'epoca era effettivamente convinto che fosse normale, nella pubertà di un ragazzo etero, concedersi una toccatina qua e là anche con i maschi. Talvolta immaginandosi femmina, talvolta immaginando che lo fosse l'altro – in qualche modo molto contorto.

Michelangelo non era mai sembrato un finocchio. Questo lo aveva sempre rassicurato. Se non lo era Michelangelo, aveva pensato a dodici anni, non lo era neanche lui. Era impossibile che anche solo uno dei due lo fosse, quando a entrambi era venuta un'erezione dolorosa solo a vedere Angelica spogliarsi per la prima volta davanti a loro.

Era impossibile persino quando, alle medie, bruciava di gelosia e si chiudeva in bagno a piangere in preda alla furia solo perché Michelangelo aveva fatto amicizia con qualcun altro, qualcuno a cui poi desiderava puntualmente strappare tutti i denti di bocca.

Per il resto, aveva sempre rigettato l'idea del sesso penetrativo con un uomo. Una parte di sé era convinta che avrebbe potuto provarlo soltanto con Michelangelo, ma di recente aveva cominciato a sospettare che gli fosse venuto lo sfizio di farlo con altri ragazzi proprio perché non aveva mai potuto farlo con Michelangelo.

Da un'altra prospettiva, non poteva dare del tutto torto a Iggy: pubblicamente queer come lui non lo sarebbe mai stato, né gli interessava diventarlo. Sarebbe rimasto piantato con i piedi lì dove gli era conveniente. Non osava domandarsi quale sarebbe stata l'opinione di suo padre, se fosse venuto a conoscenza dei suoi esperimenti – in primis, con il figlio di suo fratello.

Come lo avrebbe spiegato, che Michelangelo era stata la prima persona che aveva amato nella sua vita?

«Quindi è questo quello che hai dedotto di me» disse a Iggy.

«È esattamente quello che sembri. E io sembro un rincoglionito a starti appresso.»

Damiano lo lasciò terminare il drummino, dopodiché glielo strappò di mano. Iggy imprecò e tentò di riprenderselo, ebbero un'altra breve colluttazione in cui si scontrarono con braccia e gomiti, forse entrambi sarebbero tornati a casa con qualche livido. Forse era proprio attraverso quel modo animalesco di interagire che erano in grado di sublimare.

«Se pensi questo non dovresti– sentirti onorato– di alleviare la mia noia?» sogghignò Damiano scansando i colpi.

Iggy alla fine riuscì a riprendersi il drummino e si staccò da lui. «Vaffanculo, per la trentesima volta.»

«Ne rolli uno anche a me?»

«Manco le sigarette ti sei portato?»

«No, ma in compenso ho portato questa» disse, estraendo dalla tasca dei pantaloni una piccola fiaschetta metallica con del whisky invecchiato di venticinque anni. Gliela fece dondolare davanti. «L'ho rubata a mio padre prima di uscire. Se mi prepari una sigaretta, mi sembra uno scambio equo.»

Lo scambio era troppo allettante perché Iggy non acconsentisse.

Nei minuti successivi, si trovarono entrambi appoggiati alla moto a passarsi di tanto in tanto la fiaschetta dopo aver tracannato un lungo sorso, lo sguardo rivolto alla strada e lo sterno piacevolmente in fiamme.

Si creò il silenzio giusto. L'aria si appianò su di loro, la luce dei lampioni parve più familiare.

Damiano attese il necessario prima di voltarsi di nuovo verso Iggy. «Perché ti senti in colpa per la morte di Achille?» Nel suo tono stavolta non c'era la minima traccia di ironia. «Era riferito a quello il messaggio, no?»

Iggy bevve un altro sorso di whisky. «Hai visto le mie braccia.»

Damiano corrugò la fronte.

«La lametta» spiegò lui. «È un'idea che deve aver preso da me. Una volta stavamo parlando dei tagli e io gli avevo detto che per farla finita basta tracciare in verticale anziché in orizzontale. Non so perché glielo dissi. Forse volevo solo impressionarlo con qualcosa di estremo. In quel periodo mi atteggiavo a uomo vissuto solo perché ne avevo fatte diverse, di cose estreme.»

Damiano cercò di ritrovare un po' di tatto. Era la prima volta che Iggy si apriva davvero con lui. «Non lo so, Iggy... credo che lo avrebbe fatto comunque anche senza lametta. Per come la vedo io, ha solo scelto un metodo che potesse replicare a casa sua.»

«Può darsi. Ma non riesco a fare a meno di pensarci.»

Si zittì di nuovo, guardando la strada in lontananza.

«Non mi hai mai raccontato come vi siete conosciuti» lo esortò Damiano.

Iggy lasciò spuntare un fievole sorriso. «Beh, su internet. Lo sai che non frequentavamo gli stessi ambienti. Lo conobbi su un gruppo a tema roleplay, dove interpretavamo dei personaggi creati da noi. Io e lui finimmo per far mettere insieme le nostre, Kiki e Mira. Le amavano tutti, cazzo, erano fatte così bene che ogni giorno ci contattava qualche membro del gruppo per ruolare con noi. Avevamo quattordici e quindici anni, credo. All'inizio eravamo soltanto amici, e in verità col senno di poi penso che abbiamo sempre funzionato meglio come amici, solo che poi si è verificato il fatidico evento che si verifica nella vita della maggior parte degli adolescenti gay, ovvero che ci provi con il tuo amico solo perché è gay anche lui. Di fatto ci siamo messi insieme due anni fa dopo il mio...» D'un tratto si bloccò come se si fosse morso la lingua. «Beh, dopo il ricovero. Probabilmente gli facevo pena.»

Gli ripassò la fiaschetta. Damiano lo fissò in volto così che non distogliesse lo sguardo. «Il ricovero?»

La faccia di Iggy sembrò gelarsi. Solo dopo qualche istante si convinse a parlare, forse perché pensava di non avere più niente da perdere. «Sai cos'è il disturbo borderline di personalità?»

«Ne ho sentito parlare.»

«Bene. Eccomi qua» disse lui, sventolando la mano come per rispondere a un appello. «Me l'hanno diagnosticato a diciott'anni dopo delle settimane in TSO. Avevo combinato un bel casino a scuola. Roba che ha fatto impazzire sia le insegnanti che le mamme degli altri studenti. Mi hanno sospeso, e al resto ci hanno pensato gli assistenti sociali... Mia madre voleva opporsi, ma non ha avuto alcuna voce in capitolo.»

Damiano inarcò le sopracciglia. «Cosa puoi aver mai fatto di così grave?»

A Iggy sfuggì un risolino nervoso. «Avevo portato un taglierino per tagliarmi in bagno, solo che ho fatto veramente un macello perché ci sono andato giù pesante. Poi ho avuto la brillante idea di mettermi a urlare e brandire il taglierino davanti a tutti quando mi hanno scoperto.» Si passò una mano sul viso per nascondere una smorfia. «In quel periodo ci stavo meno del solito, con la testa. Se non fosse stato per la terapia e per Achille che mi è stato vicino non so dove sarei adesso. Achille era... l'unica persona che mi abbia mai capito davvero. Non riesco ancora a crederci che alla fine sia stato lui ad avere il destino che avevo sempre immaginato per me.»

A Damiano servì un attimo per metabolizzare quelle informazioni. Collegò i punti da quella sera a ritroso, passando per i dettagli che aveva raccolto durante le loro uscite e fino ad arrivare all'incontro fuori al Mirage, ed ebbe finalmente un'immagine più coerente e completa di Iggy. Invece che turbarlo, quell'immagine confermò la sua trepidazione.

Il suo desiderio di caos.

«Mi dispiace» disse, sfiorandogli un braccio sopra la manica del giubbotto, proprio nel punto in cui aveva coperto i suoi tagli freschi. «Vai ancora in terapia?»

«No. Dopo aver concluso il ciclo di sedute obbligatorie non me lo sono più potuto permettere» rispose lui. «Sai, mi avevano sconsigliato di guidare la moto, dopo il TSO. Io l'ho presa comunque, di tanto in tanto, ma è per questo che non ci avevo mai portato nessuno.»

Damiano non ebbe bisogno di ascoltare altro. La prova era conclusa da ogni punto di vista: Iggy gli aveva appena dimostrato platealmente cosa era disposto a fare per lui.

«Lo sai, vero, che c'è un motivo serio se ti ho tirato fuori di casa a forza?»

Iggy parve confuso.

Damiano aveva sempre creduto che quelle parole, anche quando le aveva rivolte a Ludovico e ad Achille, possedessero una vena intrinseca di solennità. In quel caso, la notte e il silenzio la amplificarono, come se avessero preso forma apposta per lui. «Ti voglio a Villa Anthares con me, quest'anno.»

Iggy sgranò gli occhi. Le sue iridi cambiarono luce all'istante, come due monete fresche di conio.

Col suo stupore sembrava gli stesse domandando tacitamente: Sul serio? Dopo tutto quello che ti ho raccontato?

E Damiano lo guardò con più insistenza per dire: Sì.

Gli passarono per la testa decine di scenari terrificanti che avevano loro per protagonisti tra le fronde del bosco sulla collina, la pelle nuda sporca di terreno – persino i tagli di Iggy riempiti di terra e petali, come se stessero sbocciando da lui –, i richiami echeggianti degli animali, Iggy che impazziva al primo assaggio dei fiori e finiva con l'ammazzarsi anche lui davanti a tutti loro in un bagno di sangue. Pensò che sarebbe potuto succedere davvero. C'era l'eventualità che stesse per condurre alla morte un'altra persona senza aver minimamente imparato la lezione. Però aveva anche il sospetto che la vera lezione ancora non ci fosse stata. Che il suicidio di Achille avesse interrotto un processo. Doveva pur esserci, una persona in grado di reggere quell'estasi dalla prima all'ultima onda senza spezzarsi.

Per qualche motivo, era sicuro che Iggy le sarebbe piaciuto.

Era curioso di scoprire cosa avrebbe visto. Le persone con una certa fantasia davano il meglio di sé, a Villa Anthares.

Abbassò lo sguardo sulla sua bocca: non aveva mai incontrato un ragazzo con delle labbra così tumide e morbide, senza dubbio il suo tratto più gradevole tra le ombre del resto del volto, le occhiaie, le guance scavate con qualche cicatrice da acne, i capelli che intralciavano il resto. Mai come prima d'ora ebbe una voglia scorticante di baciarlo. Non gli costava nulla, Iggy non si sarebbe opposto, anzi, si sarebbe fatto piegare in due su quella stessa moto se Damiano lo avesse incalzato.

Ma Damiano sapeva che per tenerlo in pugno doveva prolungare quel gioco con lui ancora un altro po'.

A differenza di Virginia, la scintilla non si sarebbe alimentata accontentandolo. Ogni persona aveva un modo diverso di essere spinta al limite. Con Iggy era una sfida di unghie e denti. La fredda punta metallica di una fresa, che si arroventava solo quando azionata. Per quanto lo negasse, il desiderio di Iggy si dilatava con la frustrazione.

Anche lui forse stava cercando di resistere con tutto se stesso per non fare nulla di sconsiderato, in quel momento.

Dopo qualche secondo, si voltò per riaccendere la moto e disse con finta noncuranza, come se stesse parlando di un'altra delle loro uscite: «Perché no.» Ma qualcosa di nuovo in lui stava vibrando sotto la pelle.

Damiano ebbe l'assoluta certezza, mentre si sedeva di nuovo alle sue spalle, che Iggy non gli avesse raccontato tutta la verità quella notte. L'idea delle lamette non era l'unico motivo per cui si sentiva in colpa nei confronti di Achille, o magari era solo un pretesto. In realtà era molto più probabile che non riuscisse a venire a patti con l'idea di provare qualcosa per lo stesso ragazzo che aveva amato Achille prima di morire.

In un certo senso, era un traditore a tutti gli effetti.

Stava vivendo le fantasie di Achille al posto suo.

Per la prima volta dopo mesi, al contrario, Damiano non provò alcun rimorso.







Note d'autrice:

Buonasera ♥

Come anticipato su instagram, ho deciso di dividere in due questo capitolo dalle proporzioni mostruose per non ritardare ulteriormente l'aggiornamento (e perché sta venendo davvero troppo lungo per gli standard di Wattpad, le due parti possono davvero essere considerate due capitoli a sé stanti ahahahah).

La prima parte è dunque tutta dedicata a Iggy. Vi aspettavate che il rapporto tra lui e Damiano evolvesse in questo modo? 👀 

E che Damiano stia sperimentando anche con gli uomini in preda alla curiosità? Come dice lui stesso in questo capitolo, dopotutto, la curiosità è sempre stata la caratteristica trainante della sua personalità, nel bene e nel male. Che è anche il motivo per cui tende a tenere il piede in quaranta scarpe lol

Ci ribecchiamo tra qualche giorno con la seconda parte per scoprire come andrà a finire con Virginia ♥ (ps: non so perché ma mi piace tanto che il quinto e il sesto capitolo abbiano titoli speculari)


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