5. Submissio



5.


Submissio



18:40


«Sei stata brava.»

Virginia si lasciò cadere di peso sul letto con una risata vibrante tra le clavicole. Non le importò molto di ripulirsi. Le piaceva sentire scorrere il seme di Damiano dentro di sé, le piaceva sentirsi, nel complesso, più liquida che di carne – quanto più scivoloso diventava il proprio corpo, tanto più s'inebriava. A dire il vero la riempiva anche di vanto, quella fiducia assolutamente folle che si era creata tra loro. Intrecciò le mani sulle pancia e guardò il soffitto immacolato di camera sua, dopodiché tornò a posare gli occhi su Damiano. Si stava riabbottonando la camicia meticoloso, il viso basso a osservare le proprie mani, le maniche arrotolate ai gomiti e qualche ciocca di capelli che gli ciondolava sugli zigomi. A differenza sua, sembrava in grado di riacquistare la propria compostezza in un battito di ciglia.

«Visto?»

«C'è stato un momento in cui ti stavi trattenendo talmente tanto che ho creduto seriamente che stessi per sentirti male e che ci avresti fatto beccare» disse lui, mentre si sedeva accanto a lei sul trapuntino rosa con la schiena appoggiata alla testiera del letto. Anche il suo petto stava domando una risata. Le scostò un po' la frangetta sudata sulla fronte. A dispetto dell'aria di fine maggio che arrivava ad accarezzarli dal balconcino, si erano accaldati più del solito e adesso si ritrovavano con la pelle infuocata e gli abiti più appiccicati addosso. Era vero, quindi: l'estate era alle porte. «Però era ora che imparassi un po' il silenzio. Ti ho viziato troppo, con quella storia del lasciarsi andare.»

«Se anche ci avessero sentito non me ne sarebbe importato nulla» rispose lei con una scrollata di spalle. «Non sai quante volte ho sentito i miei nell'altra stanza. Mia madre strilla come una gallina, quando lo fa.»

Damiano lasciò andare la risata, alla fine – baritonale e calda, come lei l'amava, con le palpebre un po' strizzate. Aveva notato, da piccoli segnali, che anche a Damiano piaceva vederla ridere. Quando Virginia sorrideva per una cosa che lui aveva detto o fatto, appariva compiaciuto e più dolce, anche se sempre con una venatura di superbia nello sguardo. «Beh, ma era comunque necessario che imparassi. Ci tornerà utile per altre occasioni, in futuro.»

Virginia si voltò su un fianco verso di lui, la gabbia toracica che gorgogliava di contentezza. In futuro. A quanto pareva, anche se si vedevano soltanto per il sesso, Damiano aveva intenzione di portare avanti il rapporto ancora a lungo. In effetti in momenti come quello Virginia aveva la sensazione che sarebbe potuto durare in eterno.

Non erano estranei a quelle due parole, insegnare e imparare. Quel pomeriggio Damiano era passato a casa sua con la scusa dello studio, e per la prima volta in quasi due mesi aveva incontrato i suoi genitori in veste di compagno di scuola. Sua madre era rimasta in stato di shock per un paio di secondi quando Damiano aveva varcato la soglia. Che sua figlia invitasse a casa un ragazzo era già un miracolo di per sé, ma che quel ragazzo fosse Damiano Vicari...

«Che piacere averti qui, vieni, vieni, entra!» aveva detto con tono più acuto del normale, prendendolo sottobraccio per scortarlo lungo il piano terra. Sovraeccitata, aveva iniziato a parlare a ruota, a raccontargli futilità sulla casa, sui marmi di Carrara e i dipinti commissionati a questo o quell'altro pittore esposti nel corridoio principale, a chiedergli di suo padre. Damiano era stato educato come sempre e aveva risposto a ogni sua domanda. Le aveva fatto uno strano effetto, vederlo al fianco di sua madre, uno scricciolo accanto a lui. Aveva persino provato una punta di gelosia. A lei c'era voluta un'infinità di tempo per conquistarsi il diritto di toccarlo, e mai in pubblico. Sua madre, invece, rappresentava tutte le belle ragazze sfacciate con cui Damiano aveva a che fare ogni giorno e che riuscivano a trovare dei modi per avvicinarlo con una facilità inaudita. Perlomeno nell'ultimo periodo lui non sembrava dar corda a nessuna di loro.

Azzurra si era voltata verso di lei solo una volta, mentre Virginia camminava alle loro spalle, con un'espressione sbigottita d'intesa che significava: ma come hai fatto? Dal nulla le era parso che la stesse guardando con occhi diversi, come non l'aveva mai guardata in diciotto anni di vita.

In realtà, Damiano e Virginia avevano semplicemente voglia di vedersi dopo essersi cercati con gli occhi per tutto il giorno al Santa Teresa. In un modo o nell'altro, nell'ultima settimana avevano avuto pochissime opportunità per stare da soli. Così, quando Damiano aveva messo piede nella sua stanza fingendo di non esserci mai stato prima, le aveva detto che era giunto il momento di insegnarle a stare zitta. Zitta, mentre l'aveva presa in piedi contro il muro proprio accanto alla porta. Zitta mentre la porta era aperta e Cristiano e Azzurra ricevevano le amiche di lei al piano di sotto per il loro incontro pomeridiano di yoga. Era stata effettivamente zitta, ricacciando la voce nello stomaco con uno sforzo immane, la faccia congestionata e i palmi che scivolavano sulla carta da parati con i rami e i fiori di loto, anche quando Damiano le aveva sibilato all'orecchio: «Mi raccomando. Se ti sento emettere anche solo un suono ti scopo più forte.»

Virginia ce l'aveva messa tutta per vincere quella sfida. Non per i suoi genitori ma per lui, per dimostrargli di essere all'altezza delle sue aspettative o addirittura di poterle superare. Perciò, l'unico rumore ad aleggiare sul piano era stato quello inconfondibile delle loro cosce che si scontravano. Se qualcuno avesse salito le scale, avrebbe capito all'istante cosa stava accadendo nella stanza nonostante tutto quell'impegno. Non che Damiano non avesse calcato la mano apposta per farle perdere il controllo, a un certo punto.

Ogni giorno Virginia imparava qualcosa di nuovo. Avevano inaugurato l'abitudine poco dopo l'inizio di quella frequentazione: di volta in volta, Damiano trovava una nuova pratica da farle sperimentare. Talvolta non si trattava neanche di pratiche vere e proprie ma di sfumature, di situazioni, come nel caso di quel pomeriggio. Non aveva mai fretta. Non gradiva l'idea di farle esplorare tutto nel minor tempo possibile, al contrario, voleva che gustasse singolarmente e da cima a fondo ognuno di quei dettagli che andavano ad aggiungersi man mano alla mappa della sua esperienza. Ogni volta usava parole magiche come: «Oggi imparerai a stare sopra», oppure «Oggi vediamo quanto riesci a resistere senza venire.» Alla fine, tutto quello lo faceva apparire molto più votato al suo piacere che al proprio – ricoprire quel ruolo di guida lo divertiva, concentrarsi sul suo godimento e non su di sé, soprattutto perché Virginia non diceva mai di no a nulla ed era sempre curiosa di scoprire cosa avesse in serbo per lei, elettrizzata dal solo fatto che avesse pensato di farlo a lei. Si era chiesta se Damiano non avesse già provato in prima persona tutte le fantasie che l'avevano sempre attratta nella pornografia, e con chi. Se non le aveva provate o viste da qualche parte, da dove venivano? Le aveva immaginate prima ancora di vederle? Rispecchiava i suoi gusti in modo incredibilmente speculare, ma forse era Virginia a permettergli di tirar fuori certe inclinazioni concedendogli tutta quella libertà, magari era lui a plasmare il proprio desiderio in base al suo. In un certo senso, avevano creato una macchina perfetta.

Reclinò la testa sul materasso per guardarlo meglio. «Da questa prospettiva hai proprio un naso da folletto» gli disse, sollevando un braccio per sfiorargli il naso, dritto e lungo ma con la punta un po' all'insù.

Damiano le cinse il polso fingendosi offeso. «Come scusa? Cos'hai da dire sul mio naso?»

«Giuro! È un naso da folletto.»

Lui si chinò su di lei in uno slancio per attaccarla. Virginia si dimenò, rise, risero insieme, intrapresero un'improvvisa lotta dove Damiano ebbe inevitabilmente la meglio, finché dal nulla i gesti non rallentarono e si ritrovarono a toccarsi e a sospirare di nuovo come se stessero venendo in contatto con la pelle dell'altro per la prima volta. Come ad ogni incontro al di fuori delle mura scolastiche, non riuscivano a togliersi le mani di dosso. Forse per rimediare a tutto il tempo che trascorrevano quotidianamente a fingere di essere due sconosciuti.

Damiano avvicinò le dita alla piega tra le sue gambe, dove la gonna del vestitino nero con il colletto da collegiale si era di nuovo stropicciata. Non aveva ancora indossato gli slip. Virginia, inerme sotto di lui, gli sorrise languida. Era così grata al suo corpo che si rigenerava ogni minuto di nuovo desiderio, secondo chissà quale incomprensibile meccanismo biologico, come se dentro di sé non contenesse nient'altro oltre a quell'energia statica pronta per essere consumata, ancora, ancora e ancora. Non era quello che i ragazzi sognavano, una persona sempre pronta a contorcersi e godere al loro tocco? O forse non era qualcosa che vedevano di buon occhio, perché alla maggior parte di loro non importava un bel niente del desiderio delle ragazze?

«Tu lo rifaresti già» constatò Damiano, in un moto di soddisfazione ma anche di velato stupore.

Virginia sbatté le palpebre, cosa che forse servì soltanto a darle un'espressione da bambina ingorda. «Tu no?»

«Per noi maschi è diverso. Ci serve un attimo per ricaricarci» rispose lui. Rifletté. «Ora che ci penso, qualche volta dobbiamo testare quante volte riesco a farti venire in un giorno.»

L'idea le diede un capogiro.

«Qual è stato il tuo massimo?»

Probabilmente le brillarono gli occhi mentre diceva: «Io... non lo so, non ho mai contato. Forse sette o otto.»

Damiano le scostò la mano dalle gambe e si attorcigliò una ciocca dei suoi capelli intorno all'indice. «Bene. Possiamo fare molto di meglio, ma ci servirà tutta la giornata libera.»

«E un posto in cui nessuno ci disturbi.»

«E un posto in cui nessuno ci disturbi» convenne lui, diventando tutt'a un tratto più distante. Ma ritornò presto in sé. «Tu continua pure a mettere queste gonne ché sono davvero molto comode e utili alla causa.»

Virginia ridacchiò. «Ti piacciono davvero? Sono cucite su misura. Quando vado nei negozi con mamma non trovo mai dei capi che mi calzino bene, così portiamo sempre le mie misure all'atelier di una sua amica.»

«Significa che dovrò ringraziarla personalmente, allora» disse Damiano, lanciando un'altra occhiata alle balze del vestitino smosse intorno all'inguine. «Fammene vedere altre.»

Virginia s'illuminò e si alzò a sedere sul letto, poi in piedi. Lo prese per mano e lo condusse verso la cabina armadio dall'altra parte della camera. Dal piano di sotto giungeva della pacifica musica orientale per la sessione di yoga di gruppo guidata dall'istruttrice di fiducia di sua madre, come ogni martedì, in cui Azzurra e quattro o cinque amiche si riunivano in salone con i tappetini di gomma, le loro tute firmate e i capelli raccolti in uno chignon. L'orologio a muro dalle sembianze di una luna piena segnava le sette meno venti.

Aprì le porte scorrevoli che nascondevano un'altra piccola stanza all'interno della stanza, quattro pareti interamente coperte da abiti appesi alle grucce, scaffali e cassetti, con al centro un divanetto rettangolare senza spalliera. Virginia accese nello stesso momento tutte le luci bianche della cabina, che di solito sfruttava per scattarsi delle foto allo specchio incastonato nel muro frontale. Damiano passeggiò in tondo, percorrendo ciascuna parete con un braccio teso a sfiorare uno dopo l'altro i suoi vestiti. Si fermò accanto al vano in cui erano appesi gli abiti estivi, ne tirò alcuni verso di sé e li sfregò tra i polpastrelli.

«Questi mi piacciono molto» disse, serio.

A Virginia mancò un battito. In quel momento teneva tra le mani uno dei suoi vestiti preferiti in stile cottage, bianco e bucherellato, con le spalline a sbuffo e un corpetto integrato per reggere il seno. L'aveva portato l'estate precedente a Montecarlo, per i brunch con i suoi parenti e le camminate sul lungomare. Non si era mai sentita così bella come quando l'aveva indossato. Diede a quelle parole di Damiano un significato che forse non avevano.

Pensò di dirgli: dammi un'occasione per farti vedere come mi sta, invece rimase in silenzio. Damiano osservò qualche altro vestito, poi sembrò perdere interesse e si voltò verso di lei.

«Sai cos'altro mi piacerebbe vedere?» le chiese. «La tua collezione di sex toys.»

Virginia abbassò la testa per nascondere un sorriso e le gote arrossate. «Ok.» Si avvicinò a un altro vano nascosto dietro un'anta, dove di solito riponeva accessori, borse e cinture. Si piegò sulle ginocchia e ne tirò fuori una scatola di latta a fiori che avrebbe potuto celare tutt'altro, magari stoffe e merletti per i suoi abiti di sartoria. Andò a sedersi sul divanetto e la aprì per mostrarne il contenuto a Damiano. Si domandò se la sua considerazione di lei sarebbe in qualche modo cambiata, dopo aver conosciuto quella sua parte segreta. Era da quasi un anno, da quando aveva avuto una carta di credito intestata a suo nome per i diciott'anni, che la custodiva gelosamente. Prima di allora, a partire dalla seconda media, ovvero da quando un compagno di classe le aveva mandato in chat un video di una violenta gang bang ambientata in una prigione per scandalizzarla, si era arrangiata con quello che trovava in casa.

Per primo Damiano estrasse il rabbit rosa shocking e se lo rigirò tra le mani con un sorrisetto. Azionò il pulsante, lo fece vibrare, lo azionò di nuovo per aumentare l'intensità, finché il rumore non divenne quasi fastidioso. «Ha la ricarica USB?»

«Sì, di solito lo ricarico sotto il letto.»

Lo spense e passò ai successivi. Frugò tra i plug, il succhiaclitoride, le bottigline di lubrificante, finché non trovò il dildo realistico in silicone di diciotto centimetri, il giocattolo più grosso che possedeva.

Lo esaminò di fronte al volto. «Interessante.»

Virginia arrossì e distolse lo sguardo, ma continuò a sbirciarlo attraverso lo specchio.

Fu dallo specchio che Damiano la guardò, sovrapponendole l'immagine del dildo, come se gli stesse passando davanti una sequenza vividissima di lei che lo utilizzava. «È con questo che ti sei fatta venire sette o otto volte?»

«S-sì... cioè, anche.»

«Non ti faceva male?»

«No, una volta che mi sono abituata.»

Damiano le rivolse un'occhiata più aguzza. «È perché ti bagni sempre tantissimo.» Si avvicinò di nuovo alla scatola, ma prima di riporlo lo soppesò un'ultima volta sul palmo e aggiunse: «Devo dire che mi stanno venendo in mente tante nuove idee. Comincia a esercitarti con questo, per la prossima volta.»

Virginia, da seduta, alzò il mento nella sua direzione. «... in che senso?»

«Con la bocca, intendo. Per andare più a fondo c'è bisogno di un po' di pratica.»

Mentre Damiano si allontanava dalla cabina armadio con le mani in tasca, Virginia richiuse la scatola e si affrettò a seguirlo, il cuore che accelerava di colpo. Si stava proprio domandando quale sarebbe stato il momento in cui Damiano le avrebbe chiesto di imparare una cosa del genere. Di solito nei video la eccitava moltissimo, ma le faceva anche un po' impressione, era un mistero per lei come facessero tutte quelle attrici a non vomitare. A molte di loro neanche sembrava piacere – nella maggior parte dei casi, era l'uomo a spingere loro la testa all'improvviso e a ficcarglielo in gola. Perlomeno Damiano voleva che fosse preparata. E lo sarebbe stata, per lui. Alla fin fine aveva un'idea abbastanza chiara di cosa volessero i ragazzi; per comprendere i ragazzi reali a lei era bastato guardare quei video per anni, perché era a loro che erano rivolti ed era da loro che venivano fabbricati, anche se di rimando, in qualche modo, era finita con il desiderare su di sé le stesse cose che veniva richiesto a loro di desiderare. Non aveva idea di come fosse successo. Nel suo piccolo, aveva capito che il porno aveva molto a che fare con la fantasia insita in ciascuno di superare ogni limite umano, ma in modo diverso per gli uomini e per le donne.

Damiano cominciò a raccogliere le sue cose in camera. Le chiavi della BMW lasciate sulla cassettiera accanto alla madonnina di porcellana, l'orologio da polso, una scatoletta di mentine. Virginia, come ogni volta, si sentì strattonare dall'ansia. Capì che stava per andarsene. Cercò attorno a sé un qualsiasi pretesto per farlo rimanere ancora un altro po'.

«Posso... posso chiederti un favore?» tentò, richiudendo le porte della cabina armadio. «Ti andrebbe di studiare per davvero un po' insieme? Ho un'interrogazione di greco, domani, e non ho ancora aperto libro.»

Damiano corrugò le sopracciglia e parve ponderare per qualche istante, come se stesse valutando le implicazioni di ogni risposta. «Mmh. Va bene. Ma solo per un'oretta. Su cos'è l'interrogazione?»

Quasi tirò un sospiro di sollievo. «Su Plutarco.» Dalla scrivania, accanto ai due dizionari di greco e latino impilati l'uno sull'altro, recuperò il libro di letteratura con un foglio di appunti e andò a sedersi di nuovo sul letto. «In verità volevo chiederti anche se mi potessi dare una mano a scegliere l'argomento della tesina. Tu ce l'hai già in mente?»

Damiano sedette accanto a lei reggendosi con un gomito sul cuscino. Le loro braccia che si toccavano la rassicurarono. «Ce l'ho in mente dal terzo anno, si può dire. L'Arcadia di Sannazzaro. O più in generale il concetto di Arcadia.»

Virginia non riuscì a nascondere un sorriso. Lo interpretò come un segno inequivocabile. «Davvero?»

«Già. Il mitico mondo incontaminato dove l'uomo vive in armonia con la natura, le creature, gli dei, la poesia e le proprie pulsioni, risanando la frattura creata dalla società e dalla tecnologia. Il locus amoenus a cui tutti aspiriamo per trovare la felicità idilliaca che la civiltà corrotta ci nega. Eccetera.»

Virginia non gli chiese spiegazioni. Ne aveva parlato freddamente, ma qualcosa nel suo tono di voce o nella selezione delle parole era stata comunque in grado di rivelare il suo reale ardore verso quell'argomento. Senza neanche indagare, era certa che Damiano l'avesse scelto pensando a Villa Anthares.

«Comunque, devi basarti su un tema che ti piace o che ti interessa approfondire» proseguì lui. «Così viene tutto più semplice. A te cosa interessa?»

Virginia guardò le pagine aperte del libro senza metterne a fuoco i caratteri. A differenza di Damiano, non aveva mai sviluppato un legame così forte con nulla. «Io... non lo so.»

«In che senso non lo sai?»

Si sentì a disagio. In un modo molto contorto, era la domanda – se non la conversazione – più intima che si fossero mai rivolti negli ultimi due mesi. Ammutolì.

«Musica, film, libri...?» la incalzò lui.

«Non mi piace nulla in particolare.»

Non sapeva come dirgli che viveva nell'apatia da che ne aveva memoria, che invidiava tutta quella gente che riusciva a provare una genuina passione per le cose a cui era normale appassionarsi, che sì, nella vita fruiva anche lei di tanti prodotti e tante narrazioni, ma niente al mondo l'aveva mai resa felice come la rendeva felice lui.

Forse la gente comune aveva bisogno di disperdere il suo fuoco, a nessuno sarebbe mai venuto volontariamente in mente di cancellare ogni interesse dalla propria esistenza per votarsi con ogni fibra del corpo e dello spirito a una singola persona. Suonava patetico, persino malato.

Damiano la studiò stranito. «Questo non è possibile e non trovo neanche che sia vero.»

«No?»

«A te piace la moda, giusto? O almeno, ho notato che ci tieni, che hai uno stile personale e che lo usi per esprimerti, senza contare che la tua famiglia si occupa di gioielli e che ti fai realizzare gli abiti apposta...»

Le provocò una sensazione di calore, sapere che Damiano si era impegnato a osservarla. «È che quando penso alla moda mi viene in mente mia madre. In un modo o in un altro è una cosa che mi ha trasmesso, anche se adesso abbiamo gusti un po' diversi. Mi dice sempre che dovrei cominciare a vestire un po' più da adulta e che dovrei tagliare i capelli...»

«Dio, no.»

Le venne fuori dal petto un risolino addolcito.

Damiano le tolse dalle mani il tomo di letteratura greca, comprensivo del programma di tutto il triennio, e prese a sfogliarlo dal principio. Dopo qualche minuto, indugiò su una sezione nel primo terzo del libro. Doveva essergli balzata in testa un'altra idea.

«Ecco. Ti piace Saffo?»

Virginia sbirciò le poesie sulla prima pagina corredate di traduzione e analisi. «Sì. È uno dei pochi argomenti che ricordo, anche se suor Evelina non ci si è soffermata molto. Posso portarla anche se l'abbiamo fatta in terza?»

«Potenzialmente puoi portare qualsiasi cosa, finché ti inventi dei collegamenti. Conosci il frammento 182?»

Virginia scosse la testa.

«È quello di cui resta una sola parola: ἰοίην.» Voltò qualche altra pagina, ma non lo trovò. «In sostanza si può tradurre con "che io possa andare oltre". Anche se il resto della poesia è andato perduto, gli è sempre stata riconosciuta una potenza di significato strabiliante. È una parola che racchiude il desiderio di superamento di un travaglio, dei propri limiti, quasi come l'Aufhebung hegeliano, ma trasmette anche un profondo senso di speranza. O di sfida, se ci pensi. Chi sta sfidando, l'io narrante? Oltre cosa si augura di andare?»

Virginia pendeva dalle sue labbra – si rese conto di star guardando proprio la curva delle sue labbra, le parole che gli si srotolavano di bocca. Sembrava che le stesse suggerendo qualcosa che si estendeva ben oltre l'argomento della tesina, ben oltre le pareti di casa o del Santa Teresa, che la stesse mettendo alla prova per un fine di cui lui solo era al corrente.

Damiano le passò di nuovo il libro, rivolgendole uno sguardo di sbieco. «Secondo me puoi lavorarci. È facile spaziare, con un concetto del genere.»

Per il resto dell'ora successiva, si misero effettivamente a ripetere Plutarco. Damiano la aiutò a schematizzare il discorso, a evidenziare i punti chiave delle Vite parallele, la interrogò con delle domande verosimili e le diede dei suggerimenti per memorizzare i nomi e le vicende dei personaggi. Virginia riuscì a concentrarsi nonostante il calore che il suo corpo rovente emanava accanto al suo. Anzi, forse fu proprio quello a tranquillizzarla. Le diede un senso di assoluta chiarezza. In quel momento, grazie a Damiano, lo studio le appariva per la prima volta semplice e persino interessante – perché era così che appariva a lui, e Virginia stava cominciando a capire che Damiano aveva la capacità di far vedere agli altri la realtà con i suoi occhi, o quantomeno nel modo in cui desiderava che la vedessero. Virginia si era chiesta spesso perché prendesse lo studio tanto sul serio quando di norma sarebbe bastato il suo nome per accaparrarsi il favore degli insegnanti, o di chiunque in generale. Alla maturità avrebbe potuto ottenere il massimo dei voti anche senza aprir bocca, se avesse voluto.

I suoi genitori dovevano essere molto fieri di lui. Era un peccato che non gliene parlasse mai, che l'avesse impostato sin da subito come un argomento da evitare. Era la persona più matura che conoscesse, tra i suoi coetanei. Spesso si sentiva molto più piccola di lui, quando pensava al modo totalmente diverso che avevano di stare al mondo.

Quando erano ormai giunti alla sezione di Alessandro e Cesare, sua madre e suo padre comparvero sullo stipite della porta. Avevano sentito di sfuggita i saluti delle amiche al piano di sotto e il loro ciarlare mentre si allontanavano sul vialetto proprio al di sotto del balcone di Virginia, ma Cristiano e Azzurra dovevano essere saliti il più possibile in punta di piedi. Vennero da loro vicini, quasi abbracciati, come da consuetudine dopo ogni loro litigio. Il più recente risaliva appena a un paio di giorni prima.

Di già hai alzato bandiera bianca, mamma?

Il loro problema era che amavano apparire come una coppia felice e affiatata, davanti agli altri. Sua madre si crogiolava di gioia, quando qualcuno le faceva notare quanto fosse lampante che suo padre era innamorato di lei.

Damiano si mise più composto sul letto, staccandosi di riflesso dalla sua pelle. Quel misero gesto le fece piombare addosso un manto d'angoscia. Per quanto lieve, nella sua intenzione era stato un movimento a dir poco spietato. Iniziava così, di solito, il loro rituale di separazione.

«Tutto bene, ragazzi? Avete finito di studiare?» chiese Cristiano, posando una mano sulla spalla della moglie. Accanto a lei era a tutti gli effetti un gigante. Lei alta poco più di un metro e cinquanta, magra e carina come una casalinga uscita da una pubblicità degli anni Cinquanta, e lui il parente di cui Virginia aveva indubbiamente ereditato i geni – la stazza, la faccia, il colore di capelli. Anche se le donne subivano il suo fascino e la sua personalità, non era un bell'uomo. A piacere di lui non era certo il corpo robusto, la barba o il viso da orso. Si era sempre mangiata le mani al pensiero che avrebbe potuto assomigliare ad Azzurra e che il destino avesse invece deciso di farle un dispetto. Per strada nessuno immaginava mai che fossero madre e figlia. Nessuno immaginava che quella ragazza tanto ingombrante un tempo fosse stata contenuta proprio in quella donna tanto minuta.

Damiano spostò le gambe dal letto e poggiò i piedi sul pavimento. «Sì, abbiamo appena finito. Stavo giusto andando via.»

«Damiano, in realtà stavamo pensando... perché non resti a cena da noi?» chiese Azzurra, visibilmente speranzosa ed elettrizzata nel suo abito a tubino indossato apposta per la cena – quando si era cambiata? Quando si era aggiustata il caschetto biondo tinto in quelle onde? Ci mancava solo che si presentasse da Damiano con le Louboutin o la sua Hermès sottobraccio o un altro qualsiasi dei regali di suo padre che amava sfoggiare intorno agli uomini. «Si è fatto un po' tardi, e la nostra Nina ha preparato un filetto di manzo al tartufo nero spettacolare... Potremmo approfittarne per conoscerci un po' meglio, Virginia non ci ha parlato proprio di te e della vostra... amicizia.»

A Virginia venne da vomitare. Avevano appena pronunciato la sequenza di parole più sbagliata che potessero pronunciare.

Damiano ruotò il polso per controllare l'orario sul suo orologio. Erano le otto e dieci. «È vero, si è fatto tardi. Purtroppo ho già avvisato che sarei tornato a casa. Mio padre mi aspetta» disse, ostentando una disinvoltura che Virginia lesse per ciò che era realmente.

Dal suo gelo improvviso seppe che si era pentito di aver passato il pomeriggio con lei.

«Ma possiamo parlarci noi!» insisté Azzurra, riuscendo a peggiorare la situazione e a far pietrificare ancora di più Virginia sul letto. «Sono sicura che non gli dispiacerà saperti nostro ospite, vero, amore?, ha conosciuto Cristiano e hanno riso così tanto quella volta al gala di–»

Damiano si stava allacciando le scarpe. «Grazie lo stesso, ma no» disse, senza alzare lo sguardo su nessuno di loro né dargli alcun margine di benevolenza, come se fossero di colpo diventati tutti e tre insignificanti. «Fate come se avessi accettato.»

Cristiano avanzò verso di lui per stringergli la mano. «Salutaci papà, allora. Quando vorrai venire sarai sempre il benvenuto.» Dopodiché si rivolse a Virginia. «Tesoro, ci vediamo giù tra poco, è quasi pronto in tavola.»

Probabilmente Virginia non avrebbe toccato cibo, quella sera. Aveva il presentimento che i suoi genitori avessero rovinato per sempre il suo rapporto con Damiano, insinuando che stessero insieme. Che avessero distrutto tutto. Li odiò con una forza bruciante, come non li aveva mai odiati prima d'ora. Restò immobile sul letto a fissare Damiano con occhi vitrei mentre sua madre e suo padre scendevano le scale.

Quando se ne furono andati, Damiano scattò in avanti in un movimento brusco per raccogliere lo zaino da terra.

Virginia scattò in piedi il secondo successivo, facendo cadere il libro di letteratura greca a faccia in giù sul letto, e gli fu subito alle calcagna.

Oh no. No no no no no no no ti prego ti prego ti prego...

«Damiano...»

Damiano si caricò lo zaino in spalla senza guardarla.

«Damiano, aspetta...»

Le mancava l'aria. Stava andando in panico. Se non avesse fatto qualcosa adesso Damiano avrebbe voltato i tacchi e non avrebbe voluto saperne più niente di lei. Lo costrinse a fronteggiarla tirandolo debolmente per la camicia, sul petto, e anche una volta che lui si fu girato con un sospiro infastidito non mollò la presa.

«Che c'è?»

«Prima che vai via...» biascicò, arrampicandosi con gli occhi fino al suo viso perfettamente rasato, per assicurarsi che non distogliesse lo sguardo. «Volevo... volevo dirti che per la prossima volta... possiamo fare qualsiasi cosa, va bene?» Lo disse d'istinto, ma si rese subito conto che era una buona idea. Si illuminò per quell'onda di coraggio e proseguì: «Non c'è neanche più bisogno che me lo chiedi. D'ora in avanti potrai decidere tutto tu e potrai farmi tutto quello che vorrai.»

Damiano inarcò le sopracciglia, incredulo. «Virginia, hai idea di quello che stai dicendo o hai sbattuto la testa?» chiese con sprezzo.

«Dico davvero!» tenne duro lei, adagiando le mani sul suo costato. Ritrovare il suo calore le infuse un'ulteriore dose di determinazione. Cercò di assestare la voce e di sembrare il più convincente possibile. «Ormai mi fido di te. Non c'è nessun altro a cui proporrei una cosa simile. So che faresti tutto per il mio bene, e io... io voglio sapere cosa si prova a stare completamente nelle tue mani.»

Damiano scosse la testa con un verso sarcastico. «Sì, stai decisamente vaneggiando.»

Virginia strinse di nuovo i lembi della sua camicia tra le dita, ma più in basso. «Ma scusa, a te... a te non piacerebbe sapere cosa si prova dall'altro lato?» mormorò. «Ti sto dando io il permesso...»

Lui non seppe cosa rispondere. Non sembrava nemmeno che avesse davvero assimilato quella proposta. Sembrava solo stanco e svogliato, ormai, come se non avesse intenzione di ascoltare più nulla. Virginia capì che era il momento di lasciarlo andare. La sua occasione se l'era giocata.

«Facciamo così, ne parliamo un'altra volta, ok?» la assecondò per condiscendenza.

Lei annuì, sentendo scivolare di colpo le energie residue sotto i piedi, sotto terra.

Lo accompagnò al piano di sotto, scalza. Camminarono l'uno di fianco all'altra senza più rivolgersi la parola. Dalla sala da pranzo giunse qualche suono di piatti e di bicchieri, di Nina che stava apparecchiando la tavola. Dopo Damiano, sarebbe andata via anche lei per cenare nel suo appartamento di periferia con i suoi figli di otto e dieci anni che l'aspettavano.

All'ingresso, sull'uscio di casa, tra le due colonne al fianco del portone in finto stile corinzio, desiderò con tutta se stessa che Damiano la salutasse con un bacio. Era una speranza stupida e fuori luogo – non si salutavano mai baciandosi –, ma quando Damiano si girò un'ultima volta prima di scendere i gradini, fece lo stesso un minuscolo passo verso di lui, sulla pietra fredda, per vedere cosa sarebbe successo. Il cielo, alle sue spalle, era di un blu ancora tenue, come il nastro di raso di una bomboniera.

«Ci vediamo» disse lui, senza alcun tono particolare. Non "Ci vediamo a scuola". Del resto non si poteva certo affermare che a scuola si vedessero per più di qualche secondo.

«Ci vediamo» ripeté lei.

Damiano le risparmiò altri convenevoli e si allontanò sul vialetto verso la sua BMW.

Virginia rimase imbambolata sotto l'arco della porta: era così che sua madre si era sempre sentita, quindi. Era quella la tristezza degli adulti che cominciava a insediarsi in lei. Come Azzurra, Virginia sarebbe finita a sforzarsi ogni giorno di tenere in piedi un sogno di ragazza che era già andato in mille pezzi da tanto tempo? Non c'era alcun modo di tenerlo vivo per davvero? Le venne improvvisamente da piangere al pensiero che anche sua madre, una volta, fosse stata una ragazza.

Per qualche motivo, tutto ciò che facevano non bastava mai.







Note d'autrice:

Buonasera ♥

Sarò breve perché sto pubblicando al volo prima di cenare. Mi piace e mi dispiace al contempo che questo capitolo si chiuda con due atmosfere completamente diverse, ma credo la cosa racchiuda bene il rapporto che si sta sviluppando tra Virginia e Damiano. Vi assicuro che d'ora in avanti potrà solo scendere sempre più in basso 💀 Ci tengo tantissimo, in ogni caso, ai discorsi che vengono avanzati in questo capitolo sul desiderio e sulla sottomissione, per quanto "di passaggio" possa sembrare: in realtà, sono tra i temi che costituiscono il cuore pulsante della storia.

Perché il salto temporale? Come forse qualcuno avrà intuito, ci avviciniamo alla fantomatica estate della maturità a Villa/Hotel Anthares, che si dipanerà per l'intera seconda parte della storia (saranno solo due parti in tutto). Il capitolo 6 sarà infatti l'ultimo capitolo della prima parte, che rappresenta il build-up e l'antefatto generale - necessario - agli eventi che leggerete in seguito. In sostanza, allacciate le cinture perché stiamo per partire 😎

Come sempre, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate e se vi è piaciuto, il vostro parere mi aiuta enormemente in fase di scrittura e progettazione ♥

A presto!  



Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top