56. Paradiso perduto

Questo Giardino...

Tutto qui è familiare, non sembra reale, è la memoria di un sogno sognato mille volte. Un albero maestoso svetta al centro, i suoi rami si perdono nel cielo, e le radici pulsano nella terra scura scavando fino al cuore del mondo. Un frutto pende pesante, scarlatto e lucente. Lo sento battere, la sua polpa è sangue vivo.

Ora ricordo. È qui che tutto è iniziato. E continua a iniziare ogni volta.

Quando il Signore Dio scacciò Adamo ed Eva dal Giardino, ritentò l'esperimento. Questa volta creò la donna per prima e dal suo sangue plasmò l'uomo, impastandolo con terra e saliva. Nelle loro narici soffiò un alito di vita. Ma alla donna, che aveva tradito la sua fiducia dannando la sua più bella creatura col frutto dell'Albero del Giusto e dello Sbagliato, donò la corruzione della carne e la mortalità dicendo: «Tu sei imperfetta. E così sarà ogni donna dopo di te.»

In un nuovo Giardino, il Signore Dio collocò la donna e l'uomo che aveva plasmato e fece spuntare dal terreno ogni sorta d'alberi.

Al centro, nella parte più interna del Giardino, piantò l'Albero della Vita Eterna. E vi mise a custode la più astuta tra tutte le bestie.

Non lo vedo mai, ma lo sento. Un sibilo scivola tra i rami, un movimento che striscia e osserva. È qui anche oggi, il serpente.

Poi il Signore Dio disse: «Di tutti gli alberi del giardino voi potete mangiare; ma dell'Albero della Vita Eterna non dovete mangiare perché, nel giorno in cui ve ne cibaste, voi verrete separati per sempre. La tua anima non potrà mai più sfiorare la sua e il tuo sangue non scorrerà mai più insieme al suo.»

Nella sua infinita saggezza, il Signore Dio pensava di punire solo la donna, ma era l'uomo a soffrire maggiormente la caducità dell'essere che amava. Quando le tenebre calavano sul Giardino e i loro corpi si acquietavano dall'unione, lui la vegliava dormire, combattendo il sonno, temendo lo scorrere del tempo e cercando di imprimersi nella memoria ogni dettaglio per evocarlo fino all'estremo più lontano dell'eternità.

Una notte, incapace di frenare le lacrime, si avventurò nel Giardino. Il sibilo della bestia si fece sempre più vicino fino a quando udì la sua voce.

«Ti osservo da sempre, uomo. Non hai bisogno di parlare. So cosa vuoi. So cosa temi. So che ogni giorno ti chiedi quanto a lungo resterà con te. Quanto a lungo ti sarà concesso di amarla. Nei più remoti recessi della tua mente bestemmi il Signore Dio Nostro Creatore perché ha scelto di fare della tua donna un'opera incompleta, la cui carne si corrompe ogni giorno fino al momento in cui il suo cuore smetterà di battere e il suo sangue diventerà di pietra.»

L'uomo negò urlando quei pensieri, ma le lacrime che solcavano le guance narravano una storia diversa.

«Tu sai che dico il vero. Lo vedi nei suoi occhi che si contornano di rughe. Lo senti nel suo respiro quando dorme accanto a te, sai che il suo petto smetterà di sollevarsi. Lo sai. Eppure resti qui, e continui a soffrire e a pregare. Dimmi uomo, perché preghi?»

«L'amo. Perché non capisci? Non c'è nulla oltre questo!»

«Oh, uomo. Perché preghi un Dio che si compiace del tuo tormento? Ti ha fatto credere che l'amore sia sofferenza, che vederla svanire, giorno dopo giorno, sia scritto nel tuo destino. Ma non è così. L'amore non si spegne. L'amore è per sempre, secolo dopo secolo. È più grande del Signore Dio Nostro Creatore, e Lui lo sa. Per questo ha negato l'eternità anche a lei. Perché vi teme. Ma io posso riparare ciò che Lui ha spezzato. Io posso darvi ciò che Lui vi nega: un amore senza fine, una vita senza sofferenza. Posso farlo ora, prima che sia troppo tardi. Prima che lei svanisca per sempre.»

«Perché mi vuoi corrompere? Perché tradisci la volontà dell'Eterna Saggezza?»

Il serpente scivolò sull'erba, la lingua biforcuta saggiava il suolo, gli occhi dalle pupille allungate si beavano della bellezza incorruttibile dell'uomo. Il suo sibilare, dolce come i fichi maturi, gli accarezzò le orecchie insinuandosi nel suo cuore.

«Perché ti amo quanto ami lei. Ti voglio quanto la vuoi tu. A me il Signore Dio Nostro Creatore ha riservato questo corpo corrotto, costretto a strisciare sul ventre e a nutrirmi dei miei stessi figli, ma ti amo così tanto che soffro nel vedere il tuo dolore. Ti amo così tanto che voglio aiutarti. Io posso fermare la tua agonia. Posso farti vivere con lei nell'Eternità.»

L'uomo si posò una mano sul petto per calmare il battito del cuore. Il suo respiro, profumato dell'alito di Dio, si spezzava in fiocchi di neve che cadevano silenziosi gelando il terreno.

«Io sono la Sua creatura più astuta. Ma non la più crudele. Non c'è peggior cattivo di colui che tutti pensano essere buono, ma perché credi che abbia creato di nuovo un uomo e una donna? Non si era forse stancato della solitudine, dopo la fuga di Adamo ed Eva? Io c'ero e per questo so che nulla nutre un Dio più del dolore inflitto alle sue creature.»

Il silenzio fu interrotto dal rumore dei passi della donna che passeggiava nel giardino alla brezza dell'alba.

«Per quanti altri giorni sentirai il suono dei suoi passi? Lei non è fatta per restare. Ma tu, uomo, tu sei eterno. E puoi salvarla. Un morso di quell'unico frutto, uno solo, e non dovrai più vederla soffrire.»

Le piante del Giardino si trasformavano in statue di ghiaccio. I rami, carichi di neve, si scrollavano il peso, segnando il trascorrere del tempo. Anche l'Albero della Vita Eterna divenne bianco e fragile. Solo il frutto scarlatto brillava lucido nel paesaggio albino.
«Il suo tempo sta per scadere. Solo tu puoi farla vivere accanto a te in eterno.»

Allora l'uomo vide che il frutto era la sola cosa che rimaneva per nutrirsi, perciò si arrampicò sull'albero maestoso, alcuni rami si sgretolavano sotto i suoi piedi, dagli altri nascevano spine che gli incidevano la pelle. Ma il dolore non era nulla in confronto alla paura che un giorno avrebbe potuto dimenticare la sfumatura dorate dei suoi occhi, o il rusciare cristallino della sua voce.

Ogni ferita era un giuramento: io vivrò per te. Io morirò per te.

Quando staccò il melograno, il ramo si piegò come un corpo ferito, e la linfa rossa colò insieme al suo sangue, mescolandosi al lucore della neve e profumando il Giardino.

«Lo senti anche tu, vero? Questo è l'alito divino che era destinato a lei ma che il Signore Dio Nostro Creatore ha riversato nel frutto della vera ricchezza. Se lei ne mangerà, vivrà in eterno insieme a te.»

L'uomo corse a portarlo alla sua donna, allora come oggi.

Lo porta a me, ogni volta, dall'alba dei tempi.

E io ancor oggi mangio i chicchi scarlatti di quel frutto, nutrendomi di baci rubati, di promesse che si congelano al calar della notte.

La linfa scorre nelle mie vene, calda e pulsante. Il cuore dell'uomo batte nel mio petto, il suo respiro si fonde al mio, il suo corpo si unisce al mio.

Per un attimo, siamo uno. Ma poi, come sempre, io mi dissolvo.

Sono neve, ed è il suo calore a farmi sciogliere. La mia vita svanisce tra le sue mani, il suo amore è insieme vita e condanna.

Sono io a morire.

Lui rimane, solo, in un Giardino sempre nuovo e sempre uguale, con il sangue sulle mani e il peso di un amore che non potrà mai avere.



🌳Grazie di cuore per aver letto questo capitolo, che si discosta un po' dagli altri. 

È un'allegoria che racchiude i temi centrali della storia: sacrificio, amore eterno e lotta contro il destino. 
Spero che ti abbia emozionate e fatto riflettere su cosa intendi tu con amore vero.  

Cosa credi significhi il sogno di Adele? E come reagirà quando si sveglierà e vedrà Nicholas?

Non vedo l'ora di leggere i tuoi pensieri! ❤️

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