52. Fino alla fine, io ci sarò
La luce della sala d'attesa m'acceca.
Fredda e bianca, mi penetra sotto la pelle regalandomi un presagio che cerco di allontanare dalla mente. Avverto la codardia della mia anima, smaniosa di cedere davanti alla morte. Le sue lunghe e sottili zampe di ragno si fanno strada fino al cuore per alterarne i battiti, ma non permetterò che m'accada nulla. Il ritmo continuerà la sua cadenza regolare e ampia, manterrà questo mio corpo in vita per lei, solo per lei.
Finché lei avrà respiro, io scaccerò i pensieri oscuri.
Finché avrò anche solo un brandello di speranza che potremo vivere l'uno accanto all'altra, combatterò con ogni mia forza.
Non importa quanto mi senta fragile, quanto ogni fibra in me tremi sotto il peso dell'attesa: finché lei avrà un solo respiro, sarò il suo scudo, la sua ombra costante contro il buio che vuole strapparmela.
Non temo né il dolore né la stanchezza, perché ogni mio battito è per lei.
Se c'è anche solo una scheggia di luce in questo incubo, la afferrerò, la trasformerò in forza.
Io ci sarò, Adele. Fino alla fine, io ci sarò.
Il tempo è immobile. Potrei essere qui da ore. Ho già cambiato posizione mille volte, ma nulla mi dà sollievo. Il passare degli infermieri, le vibrazioni dei cellulari, le vite che si incrociano nel corridoio senza lasciarmi nulla — tutto è ovattato, distante, irreale. Solo una voce, qualche sussurro. Ho solo una certezza: Ryan è in sala operatoria col chirurgo. Almeno con lui è al sicuro.
È stata colpita all'addome con un coltello da cucina di trenta centimetri.
«Per fortuna non è entrato tutto» ha detto qualcuno.
Fortuna? Si può davvero parlare di fortuna?
Vorrei saper pregare come i santi. Con le mani giunte e le parole magiche capaci di cancellare ogni colpa.
Avrei dovuto denunciare Talbot subito dopo avermi minacciato ma... sarebbe servito a qualcosa chiamare la polizia?
Un tocco sul braccio. Mi giro di scatto. È Fred. Le mie mani si stringono a pugno. Il primo istinto sarebbe quello di picchiarlo e mandarlo in pronto soccorso, due piani sotto in sostanza.
«Cosa fai qui?» mi domanda. Stringo così forte le dita che rischio di spezzarmi le falangi. Adele ha bisogno che io rimanga calmo e razionale, non pieno d'odio.
«Aspetto che esca dalla sala operatoria, poi la veglierò giorno e notte.»
Si siede accanto a me, curvo, la testa che oscilla come se portasse un peso insostenibile.
«Da quando l'hai sedotta, non ha pace... e ora anche questo. Non se lo meritava, povera la mia bambina.»
Le sue accuse ravvivano il mio senso di colpa, ma davvero si crede così senza peccato da potersi permettere di scagliare la prima pietra? Una sfilza di sue malefatte verso Adele si affaccia nella mia mente, smaniosa di riversarsi su di lui, di fargli sentire la verità. Eppure taccio. Non ho la forza per litigare adesso; persino discutere mi appare inutile, superfluo.
Se Adele dovesse mai...
No, basta! Devo addestrare la mia mente a restare salda, a non lasciarsi travolgere dalle ombre. Devo mantenere il controllo, ogni pensiero centrato su una sola cosa: mettere Adele al sicuro, e farlo il prima possibile.
«Fred,» dico, dopo un silenzio teso, «c'è una cosa che devi sapere.»
Lo vedo irrigidirsi. Non è solo l'ansia per Adele; dietro i suoi occhi c'è il peso delle colpe, un carico che lui stesso ha contribuito a costruire.
«Questo posto... l'UCS è compromesso. Talbot ha mani ovunque.» Fred sembra pensare che sia diventato pazzo, sorride con lo sguardo di chi non sa se credere alle parole di un malato. «Adele non è al sicuro qui.»
Lui continua a guardarmi, confuso e incredulo. «Ma che fantasie ti sei messo in mente? E poi non puoi pensare che farebbero del male a mia figlia, proprio qui, in ospedale.»
Mi avvicino e abbasso la voce, un sussurro affilato.
«Adele dovrà essere fuori di qui non appena uscirà dalla sala operatoria... C'è una cosa che non sai.»
«Un'altra? Non può essere peggiore dell'avere messo nei guai mia figlia!»
Lo afferro per il braccio, lo guardo. Le ombre sotto i suoi occhi, la barba mal rasata, il volto scavato... non ho spazio per la compassione. Ho forse dimenticato ciò che ci ha fatto passare?
«Devi sapere la verità sulla Future Genes. Non è solo un'azienda di biotecnologie: è una copertura che sfrutta bambini innocenti, orfani, i più indifesi... e li fa sparire, cancellandoli dalla società, come se non fossero mai esistiti. Usano enti di beneficenza fasulli per aggirare le leggi, strappano questi bambini ai pochi legami che potrebbero avere e li conducono ai loro laboratori. E lì... Dio, Fred, dimmi che non lo sapevi!»
Lo vedo diventare ancora più livido, tanto che si deve tenere alla sedia. Lo sento tremare.
«Cosa fanno lì dentro?»
La sua voce è un sussurro colmo di orrore. Difficile dar credito alle proprie congetture quando sono così tremende, vero?
«Usano i bambini come cavie. Esperimenti genetici non autorizzati, lontani da ogni etica. Talbot è un criminale e Claudia... è una pazza sadica.»
Si alza di scatto, quasi fosse seduto su braci ardenti.
La sua voce si alza di un'ottava, poi si trattiene, stringendo la mandibola così forte che ne sento lo schiocco.
«Abbiamo ingaggiato i migliori detective prima di firmare. Hanno tutto in regola.»
Scuote la testa incredulo, poi si risiede, schiacciato dal peso delle mie rivelazioni.
«Non hanno nulla in regola, solo l'apparenza. Talbot ha mani ovunque, anche qui in ospedale. Ieri stesso mi ha minacciato, dicendomi che avrebbe fatto del male ad Adele.»
La bruta realtà diventa manifesta.
«È stato lui?» sussurra, guardandosi intorno come se il nemico fosse lì, a pochi passi. «Se quello che dici è vero, mia figlia qui...»
«Ho decine di prove, Fred. Ed è per questo che dobbiamo muoverci subito. Dobbiamo chiamare l'FBI!»
All'improvviso dei passi nel corridoio ci fanno tacere. Un chirurgo, seguito da altri due medici in tenuta sterile, si avvicina. Mentre ci alziamo per stringergli la mano, noto che Ryan non è con loro. Mi preoccupo. Ogni istante senza conoscere è eterno, ogni secondo senza risposta pesa come un macigno.
«Signori, l'operazione d'emergenza è andata bene, ma è solo un primo passo. Ora la paziente è in condizioni stabili, ma critiche.»
Però è viva! Lo penso così intensamente che il capo chirurgo mi osserva e annuisce.
«Ha perso molto sangue ed è troppo debole per affrontare ora un intervento più complesso. La ferita all'addome richiede una procedura più approfondita, ma dobbiamo attendere che le sue condizioni migliorino.»
«Quanto tempo ci vorrà?»
La sola idea che non sia trasportabile mi terrorizza.
Il chirurgo potrebbe benissimo giocare a poker, dalla sua espressione non capisco se Adele sia fuori pericolo oppure no.
«Difficile dirlo. Dipenderà dalla sua capacità di riprendersi nelle prossime ore. Faremo tutto il possibile per aiutarla a ristabilirsi, ma è molto fragile. Il nuovo intervento sarà complesso e comporta dei rischi, soprattutto per via dell'entità della ferita all'addome e della compromissione del rene.»
Fragile... Parla di lei come fosse fatta di vetro. Ma so che dietro quella fragile corazza si nasconde un'anima forte e tenace.
Sento Fred respirare forte.
«Voglio che venga trasferita in un altro ospedale, uno dove possano darle le migliori cure possibili.»
Il chirurgo scuote la testa, serio.
«Capisco il suo desiderio, ma al momento il trasferimento è fuori questione. La paziente è troppo debole. Ogni movimento potrebbe peggiorare la sua condizione, se non renderla irreversibile.»
«E l'operazione che seguirà? Mia figlia sarà al sicuro?»
«Non ci sono alternative, purtroppo. L'intervento è ad alto rischio, ma è necessario. Dobbiamo rimuovere i tessuti danneggiati e stabilizzare le strutture compromesse. La paziente è sottopeso, e questo rende l'operazione estremamente delicata, per via della fragilità dei suoi organi.»
«Potrebbe non...?»
Non so se la domanda, interrotta, sia mia o di Fred.
Il chirurgo ci stringe la mano in modo meccanico, il suo modo di mettere fine alla conversazione. «Ora la portiamo in terapia intensiva. Quando sarà il momento, la mia equipe farà tutto il possibile.»
Non riesco a stare con le mani in mano. «Cosa posso fare per lei?»
Il medico mi fissa, la sua espressione impassibile. «Se è zero positivo, può donare sangue.»
Sono zero negativo, un donatore universale e, pur di salvarla, mi farei persino dissanguare.
Dopo avermi dato le indicazioni per la donazione, i tre si allontanano. Vedo Fred accasciarsi sulla sedia, la testa tra le mani. Le spalle hanno un singulto e, per la prima volta, lo vedo piangere come un bambino.
«Sylvie... lei... se n'è andata. Allison... non c'è più. E ora? La mia Adele? E io nemmeno ho il sangue giusto per aiutarla... e la King Allen...» Si volta verso di me, gli occhi persi, devastati. «E tu... tu mi hai pugnalato alle spalle!»
Lo afferro per la nuca, costringendolo a guardarmi negli occhi. Non so se picchiarlo o abbracciarlo. Mi ha fatto troppo male perché io possa lasciarmi andare alla compassione, prevarrebbe in me la voglia di schiacciarlo al suolo ma cerco di essere razionale.
«Fred, lo so che è dura, ma ora non è il momento di crollare. Se siamo mai stati amici, anche solo per un momento, allora è adesso che dobbiamo stare uniti. Se non possiamo portarla via, dobbiamo fare il possibile per salvarla.»
Lui mi fissa, gli occhi colmi di un dolore che riconosco. È lo stesso che mi brucia il petto. Annuisce, lento, finalmente sarreso al fatto che deve fare l'unica cosa che conta.
«Cosa possiamo fare?»
Alzo l'indice per dirgli di attendere e chiamo Ryan. Non risponde. Oggi non mi risponde mai, dannazione.
«Fatti autorizzare affinché io possa stare in terapia intensiva con lei... e poi dobbiamo trovare un chirurgo di nostra fiducia che la operi.»
Non termino nemmeno la frase che scatta in piedi, colpito da un'idea improvvisa.
«Ma certo! Perché non ho pensato subito a lui?» Il volto di Fred si illumina di una speranza cauta. «Il Dr. Gilardi, te lo ricordi?»
«Gilardi?» La mia mano va istintivamente alla cicatrice invisibile sul sopracciglio destro, ricordo di quando lui mi suturò il taglio che Claudia mi aveva procurato con un vaso. «Se non ricordo male è un esperto in chirurgia robotica addominale...»
Fred agguanta il cellulare.
«Lui può salvarla, ne sono certo. Potrei farlo venire dall'Italia con un jet privato. Ci vorranno circa 12 ore, ma all'UCS hanno la tecnologia che gli serve per operare Adele come si deve. Lo chiamo?»
«Fred, maledizione, non abbiamo tempo da perdere!»
Fred compone il numero, Gilardi risponde subito. Lo sento scambiare poche frasi con il medico, annuendo di tanto in tanto.
«Ha accettato. Tra dodici ore potrebbe già essere qui.»
Mentre lui chiama la segretaria per coordinare la logistica, io vado a donare il sangue per Adele.
Dodici ore.
Abbiamo dodici ore per riuscire a far arrestare Talbot in modo che qualunque rischio venga eliminato alla radice.
Dodici ore in cui tutto deve cambiare.
Grazie di cuore per essere arrivata fin qui, per ogni capitolo che hai letto e per il supporto che mi regali. Che tu stia seguendo questa storia dall'inizio o ti sia appena unita in quest'avventura, il tuo sostegno è prezioso e rende ogni parola più viva. Grazie per ogni segno del tuo passaggio, per i tuoi commenti, le tue reazioni, per il tempo che dedichi a vivere insieme a me l'avventura di Nicholas e Adele.❤️
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