42. Lettere d'amore

Due settimane dopo

Cara Adele, 

sei troppo giovane per ricordare i tempi in cui ci si scambiavano lettere di carta. 

Quando non eri ancora nata, avevo due amici di penna, si chiamavano così le persone con cui si intrattenevano rapporti epistolari: Pierre di Parigi, conosciuto durante un'estate di vacanze studio, e Alex di Boston che era solito passare le estati in compagnia dei nonni, amici dei nostri genitori.

Se ti stai chiedendo se mi si ispirato a lui quando si è trattato di farmi un falso profilo di Instagram, è così... 

Allora io e te eravamo più lontani di quanto lo siamo adesso, se ci pensi. È vero, per non destare sospetti possiamo solo scambiarci missive di carta tramite Erika e Ryan e tutto questo è ben poca cosa, ma ora siamo insieme, le nostre anime lo sono, i nostri cuori. 

Ricordi lo scorso autunno? 

Mentre io elemosinavo un po' di attenzione sotto mentite spoglie, tu affrontavi da sola una gravidanza difficile. 

Ti ho sempre vista così bisognosa di aiuto che non posso che essere sorpreso dalla tua pervicacia e caparbietà. Mi rendo conto di non sapere nulla di te, pensavo di conoscerti nell'intimo, ma sei un universo da scoprire. 

Poche sono le persone che mi hanno sorpreso nella vita, tu lo hai fatto e sento che rimarrò meravigliato dalla tua bella persona ancora e ancora. 
Sei così bella, giovane, forte che mi domando cosa tu abbia visto in me... Perché ti sei innamorata di questo stronzo che ti ha reso solamente triste in questa vita?

Tuo,
 Nicholas

P.S. Pensando a te ho scarabocchiato queste righe...

Il nostro abbraccio

si spezza nel mosaico

di un tempo che non torna.

Richiudo la lettera e la infilo con calma nella busta.

Rimarrò meravigliato dalla tua bella persona ancora e ancora.

Resisto alla tentazione di baciare la scrittura spigolosa, ma non a quella di portare la busta a contatto con lo sterno cosicché il cuore possa ritrovare il ritmo della speranza. 

Erika sorride benevola mentre sorseggia il tè bianco che mi ha regalato mio... Dice che è delizioso, io non l'assaggerò mai. 

Non sopporto l'uomo che m'ha messa al mondo, figuriamoci se riuscissi a trovare piacere dal degustare un suo dono. 
È l'ennesimo. 
"Per fare pace" ha detto.
Come se avessimo bisticciato per un'amenità.

Digrigno i denti, il suono dell'attrito è così forte che la donna spalanca gli occhi e mi interroga con lo sguardo.

«Brutti pensieri.» 

«Tuo padre?» 

«Sono così trasparente?»

«Ti ha più chiamato?»

«Sì.»

«E...?»

«Dice che troverà mio figlio.»

"Se è ancora vivo, ti giuro che lo troverò." Queste le sue esatte parole, forse spera che sia... Non oso nemmeno pensarlo.

«Sono sicura che tuo padre non c'entri nulla con questo secondo rapimento, anzi si sta veramente dando da fare.» 

«Lui spera che mio figlia sia...» 

L'aria non esce né entra più dal mio corpo. La mano preme sulla busta e sullo sterno ma non cambia nulla, non sento alcun sollievo dal sentire la vicinanza delle parole di Nichoolas. 

Erika mi è subito accanto per massaggiarmi la schiena e mimare l'atto dell'inspirazione.
«Respira con calma.»
Copio come un automa il suo agire, l'aria fresca torna nuovamente a ventilare i miei bronchi. Non so cosa dire. Scusarmi? Giustificarmi? Tutto è senza senso. 

«Era bella la lettera di Nicholas?» mi chiede con l'intento di distogliermi da brutti pensieri, mi rincresce d'averla fatta sentire a disagio.

«Bellissima... Come si sente?»

«Fiducioso!» 
Si rende subito contro di averlo detto con entusiasmo talmente eccessivo da risultare falso.
«Non ti mentirò. C'è sempre un uomo di Talbot fuori dall'albergo: io e Ryan facciamo non pochi salti mortali per fare in modo che non se ne accorga. Lui non si lamenta, ma credo che si senta in gabbia.» 

«Gli porterai la mia risposta se la scrivo ora?» 

«Certo. Sappi però che riusciremo a organizzare un altro incontro solo tra dieci giorni. Tu, nel frattempo, riesci a sopportare di vedere tuo padre per sapere come si sta muovendo?» 
Non voglio vederlo mai più in tutta la mia vita: non può chiedermi questo! 
«So quanto ti pesi incontrarlo, ma è importante non perdere tempo e unire le forze è fondamentale.»

Ingoio il rospo, asciugo le lacrime. Per ritrovare mio figlio sarei disposta a venire a patti con tutti i diavoli dell'inferno.

Tre settimane dopo

Non mi lasciano mai solo. 

Non appena metto il naso fuori dall'albergo o quando scendo al bar della struttura, compare sempre qualcuno che mi spia. 

Una ragazza che risponde al cellulare, un uomo intento a leggere sull'iPad, coppie che discorrono svogliatamente. 

Sono così insospettabili che potrebbero essere sì una ragazza qualunque, un uomo qualunque, una coppia qualunque che ignorano chi io sia... Però accade sempre qualcosa che stona, come il cellulare che inizia a squillare mentre la tizia lo aveva già all'orecchio oppure gli occhi dello sconosciuto che fissano ogni cosa tranne lo schermo del tablet o, ancora, la coppia che mantiene un distacco da risultare eccessivo anche per due sposati da anni. 

È se fosse tutto nella mia testa? 

Non so più se abbia una mania di persecuzione o mi stiano veramente seguendo.

Ryan, o Erika, sarebbe dovuto venire oggi per aggiornarmi sulle ricerche e darmi notizie di Adele, ma non si fanno vedere. 

Nell'attesa, aziono il dispositivo che rintraccia microspie... Sto diventando talmente paranoico che passo al setaccio tutto quanto almeno tre volte al giorno. 

Per quanto reggerò senza impazzire?

Perché non vengono? È successo qualcosa ad Adele?

Lui mi viene incontro sul viale della villa col sorriso imbarazzato e gli occhi lucidi. Quel lucore e quelle labbra tirate mi fanno montare una rabbia che non pensavo di essere capace di provare. Lo odio per avermi nascosto mio figlio e lo detesto per la donna che ha intenzione di farmi diventare: rancorosa, sola e senza nessun figlio da stringere tra le braccia. 

Fred - mi viene da pensare a lui come un individuo che ha perso il diritto d'essere chiamato papà - si ferma a un passo da me e mi tende le mani. Gli guardo i palmi rivolti al cielo, le dita sottili dalle unghie ben curate, la fede, il Panerai. 

«Non stiamo qui: entriamo che altrimenti prendi freddo.» 

Lo seguo in silenzio. Se aprissi bocca mi uscirebbero solo recriminazioni e non voglio, ho paura che dopo mi sentirei persino in colpa. 

Sylvie ci aspetta sulla porta con Allison in braccio. Mi sorride benevola. 
Perché mi sorride benevola? Non lo ha mai fatto. Forse mio padre le ha ordinato di farlo. 

«Ciao cara» mi dice baciando l'aria ai due lati delle mie guance e facendomi accomodare in salotto come una normale ospite. «La tua sorellina non vedeva l'ora di vederti. Le sei mancata.» 

Non faccio in tempo a ribattere che subito me la mette in braccio. 

Non oso abbassare lo sguardo. Sento il fagottino muoversi, ma non mi arrischio a compiere alcun gesto. 

Devo respirare e non pensare a nulla. 

I teneri versetti di Allison mi fanno però dimenticare subito il mio proposito e, non appena abbasso il volto, ecco che le sue dita sottili mi cercano le labbra per avere minuscoli baci. 

Tenera, tenera Allison, spero che l'uomo che ci ha messe al mondo abbia imparato a mie spese a essere padre e ti risparmi tanto dolore. 

Sfioro col naso la fronte bombata per aspirarne il meraviglioso odore che solo i neonati possiedono, chiudo gli occhi nel perdermi in fantasie di realtà parallele...

«Cosa stai facendo? Non vedi che la fai piangere?» 

La voce stizzita di Sylvie mi riporta al presente e spalanco gli occhi. Mi tremano le mani e Allison scoppia in un pianto disperato. Guardo la moglie di mio padre, lei sembra sorpresa, poi guardo la bambina, bagnata anche dalle mie lacrime. Sylvie accorre per riprenderla tra le sue braccia, porto più sicuro delle mie, poi torna a sedersi stizzita.

«Perché stai piangendo adesso? Non se ne può più di questa tua smania di attenzioni. Nemmeno coi neonati ci sai fare!»
Io...Io... Deglutisco a vuoto, incapace di ritrovare la voce.
«Non ti fai vedere né sentire da più di un mese, tuo padre è stato intrattabile per tutto questo tempo... Sei proprio una ragazzina viziata: la verità è che l'ultima volta che sei venuta qui è stato solo per il regalo di Natale!»

«Smettila, Sylvie, per favore» le intima Fred, ormai sono sicura che non lo stia facendo per difendermi ma per proteggere se stesso. 

Il fuoco scoppietta nel camino, il personale di servizio sembra essersi volatilizzato.

«Vediamo se hai il coraggio di dire pretendi!» 

«Ti assicuro che da mio padre vorrei un solo regalo» balbetto mentre cerco un fazzoletto per asciugarmi il naso. 

Perché sono venuta qui? Speravo di ottenere aiuto?

«Vedi caro? Che ti dicevo? Pretende e basta, si fa viva solo quando deve chiedere! Cosa vorresti adesso? »

L'amaro acre della bile mi riempie la bocca. Come osa parlarmi così questa stronza che non ha fatto altro che manipolare suo marito per innumerabili capricci?

«Io non voglio nulla delle cose che vuoi tu! Vorrei solo che mi aiutasse a ritrovare mio figlio! Il mio bambino! Vorrei che quest'uomo che mi è toccato in sorte come padre non mi avesse mai raccontato che mio figlio era morto durante il parto quando la verità è che l'ha nascosto. Sai che ha fatto? L'ha rapito perché la nostra famiglia non desse scandalo! E tu, mettendomi continuamente in braccio mia sorella, non fai altro che ferirmi ancora e ancora! Perché sai a cosa penso quando la stringo? Che avrebbe potuto capitare a te e che potrà capitare anche a tua figlia, perché non c'è nulla che giustifichi quanto ha fatto... Sai qual è stato l'unica mia colpa?Quella di amare un uomo meraviglioso. Un uomo con cui non potrò mai stare perché lui ha deciso così!» 

Nessuno dice nulla. Un ciocco di legno si spezza e, cadendo, interrompe il silenzio.

«Cosa?» la domanda di Sylvie, spontanea e atona, mi interrompe. «Tu hai un figlio? Dov'è? Chi è il...?»

«Cara, non ti agitare, non è esattamente come dice Adele.»

«Cosa?» urliamo all'unisono io e lei fissando Fred, poi ci guardiamo noi due. È sbiancata in volto e trema.

«Tu hai avuto un bambino?» 

La sua domanda è appena sussurrata. Io rispondo sì con la testa. Non dimenticherò mai lo sguardo disgustato che riserva ora a suo marito...

«Fred, è vero ciò che ha detto? Tu le hai fatto credere che suo figlio fosse morto per evitare che la nostra famiglia finisse sui giornali?» 

L'uomo vorrebbe toccarla, ma lei alza la mano per fermarlo. «Non è andata esattamente come dice Adele...»

L'emozione è così intensa che scoppio a piangere, i singhiozzi scuotono il mio corpo.

«Giurami che non le hai tolto il figlio! Giurami che non hai fatto questo a tuo nipote!» 

Una settimana dopo

Caro Nicholas, 

ti accolgo, con la tua fragilità, ti accolgo.

Sei così diverso dall'uomo invincibile che pensavo fossi e questo tuo lato fragile mi fa innamorare di te ancor di più. 

Anche prima avevi questo aspetto, non posso credere diversamente, ma lo tenevi nascosto.

C'era un Nicholas-superuomo che non temeva alcuno, che si circondava di belle donne e guidava una delle aziende farmaceutiche più innovative, una persona che suscitava invidia, gelosia, ammirazione, rabbia persino. 

Probabilmente quel Nicholas era molto solo, imprigionato in una torre di mattoni spessi dietro cui l'anima moriva di fame, lontana dalla possibilità di ricevere e donare affetto. Mentre ora, hai abbattuto quel muro e questa tua fragilità ti conferisce la forza di apparire all'esterno come sei nel tuo profondo. Se prima eri bello, ora sei magnifico. 

Non più eroe immaginario del mio essere bambina, ma uomo fiero e profondo e vigoroso. 

La connessione che esiste tra di noi, tangibile non solo nel momento in cui i nostri corpi si allacciano nell'unione carnale, ha allontanato quella sensazione di solitudine che pervadeva entrambi. Siamo insieme, uniti per ritrovare noi stessi e il frutto del nostro amore. Io so che nostro figlio è vivo, non mi domandare spiegazioni razionali che non saprei darti, ma sento che lo riabbracceremo presto. Anche se ora non possiamo abbracciarci, le nostre anime non si disgiungono mai... 

La tua poesia è bellissima, ma  non scrivermi mai più che il nostro abbraccio si spezza. 

Tua da sempre, 
Adele

Richiudo la lettera e la infilo con calma nella busta. 

Ti accolgo, con la tua fragilità, ti accolgo. 

La prima riga della sua lettera mi ha toccato il cuore e piangerei dal sollievo se Ryan non mi stesse guardando. 

«Una bella lettera?» mi domanda mentre rotea il bicchiere di whiskey per apprezzare le arcate che l'etanolo disegna sul cristallo. «Risale a un mese fa.»

«Come sta? L'hai vista?» 

Ryan si porta il liquore alle labbra e ne beve un sorso. «Mi sto bevendo un Macallan invecchiato di quanti anni?»

«Quindici.» 

«Fatto quando Adele aveva tre anni, insomma...» 

Mi guarda in modo diverso rispetto all'ultima volta. «E io ventuno, la matematica non è opinabile. Finché campiamo, avremo sempre diciotto anni di differenza.» Abbiamo solo finto di litigare, ma ho il dubbio che comunque ci sia qualcosa che non va. «Sputa il rospo. Come sta Adele?»

Nel sollevare il mento, gli angoli della bocca gli scivolano in basso in una smorfia che non promette nulla di buono. 

«Sai che Fred non aveva raccontato nulla alla moglie?  E sai cos'ha fatto Sylvie quando ha scoperto del rapimento? Tieniti forte: lo ha buttato fuori da casa.» 

Mi serve un altro bicchiere di whiskey. Non ha risposto alla domanda su come stia Adele.

«Lei. Come sta lei?» 

«Ha avuto un momento difficile, ma si sta riprendendo.» 

Mi alzo in piedi.

«Devo vederla.» 

«Non si può.» 

«Non me ne frega un cazzo, devo vederla.» 
Ryan si alza e mi mette una mano sulla spalla.
«È sempre più difficile venire da te senza dare nell'occhio, oggi sono qui perché dobbiamo andare in un luogo.»

Ingoio a vuoto. 

«Erika ha trovato due piste. Non è detto che una ci porti a vostro figlio.»

«Adele lo sa?»

«Di questo luogo no. Sinceramente, speriamo che non sia lì...» 

Buon agosto! 
Grazie infinite per la tua pazienza.

I nodi stanno venendo al pettine, tra poco la nostra piccola storia si concluderà... 

Hai già immaginato come? Io sì, anche se spero di rimanere in qualche modo sorpresa dal finale!

Fammi sapere cosa ne pensi e, se ti sono piaciuti i miei romanzi, parlane con le amiche e gli amici ❤️

Un abbraccio e a presto, 
Andelon Curse

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