37. Mani
Le notti, quando riesci a dormire, sono inesistenti. Chiudi gli occhi e ogni cosa svanisce chissà dove per ricomparire immutata la mattina seguente. Magari con più polvere addosso, ma la differenza non si nota molto. O forse non si fa notare, la quotidianità, immersa com'è in una teoria di azioni-fotocopia, pensieri ricorrenti, doveri da ottemperare.
Hanno tutt'altro colore le notti in cui il sonno si nasconde dietro a preoccupazioni, dolore o aspettative.
Il mio sonno dribbla ogni tentativo di pensiero positivo e continua a fuggire, inseguito dalla sensazione che Talbot sia stato veramente in questa stanza, dall'aritmia che fa traballare il mio cuore e da un pungolo che mi tortura appena sotto lo sterno. Una domanda continua ad assillarmi, la risposta si fa desiderare.
Cosa ne sarà di me domani?
Cerco di immaginare un qualsiasi futuro, ma una tenda scura copre qualunque visione. Ho la percezione che Adele, mio figlio, Claudia, Talbot, Fred siano attorno al mio letto, con le mani intrecciate dietro la schiena e stiano aspettando una qualsiasi azione da parte mia. Come faccio a muovermi incatenato qui?
È possibile che il sonno mi colga a tratti? La luce che filtra dalla finestra cambia, a volte noto che è via via più chiara. Il non accorgermi di addormentarmi aumenta la mia inquietudine perché sento di non riuscire a controllare nulla, tantomeno il mio corpo.
La porta che si apre mi sorprende perché è mattina e dovrebbe essere notte. Possibile che abbia sognato di non riuscire a dormire così come la visita di Talbot?
Saluto l'infermiere, ma lui tiene il viso di taglio e non mi guarda in faccia. Mi aspetto che mi misuri la temperatura, invece si limita a passarmi un cellulare. Dal rumore proveniente dal corridoio sembra sia giorno fatto, evidentemente ho riposato più di quanto pensassi, ma c'è comunque una nota stonata in quest'uomo: perché mai dovrebbe darmi un cellulare? E di chi sarebbe? Sono ancora assonnato così non faccio in tempo a chiederlo che è già scomparso. Nel toccare lo schermo, mi viene chiesta la password, che ovviamente ignoro, poi improvvisamente si sblocca e mi appare un video.
Qualcuno, che cammina lentamente tra alcuni alberi, deve aver in mano un cellulare da cui trasmette in diretta. Mi sembra di riconoscere quei luoghi, ma la ripresa traballante non è delle migliori. Osservo con maggior attenzione senza comprendere cosa dovrei vedere quando, improvvisamente, un gruppo di ragazzi alti e grossi cammina davanti al videomaker. Nel voltarsi a favore della telecamera, hanno tutti il volto coperto da un passamontagna e ridacchiano.
«Sei spaventato, coglione?» urla uno con un accento del Texas. Cristo santo, anche se è assurdo, sta proprio parlando con me. Che diavolo vuole?
«Goditi lo spettacolo dal letto, io me lo godrò tra le sue gambe.»
«Non avevo capito che fosse un bel bocconcino.»
Le voci provengono dal video ma non si capisce chi le pronunci perché ora stanno tutti guardando qualcosa. O qualcuno. Prima ancora che la telecamera la inquadri, so già di chi stiano parlando.
«Che figa. Ma questa io me la-»
«Dobbiamo solo spaventarla, hai capito?»
«Tacete. Non erano questi i piani.»
«Io credo che una così abbia bisogno di una scopata. Guardala, si vede che ha voglia.»
Urlo. O minaccio. O bestemmio. Seduto sul letto, fisso impotente la telecamera che inquadra Adele, spaventata, mentre queste bestie col passamontagna ridono e la spintonano passandosela da uno all'altro come una palla. Le prendono lo zainetto, lo aprono rovesciandole libri e quaderni per terra. Uno di loro afferra gli oggetti, li strappa, li lancia. Trova una foto, forse, non vedo, poi si mette a ridere.
«È il padre del tuo bastardo morto?»
La crudeltà di quella domanda mi fa sentire l'amaro della bile in bocca. Poi quando l'inquadratura scivola involontariamente sullo skyline, capisco da dove stiano trasmettendo. Afferrò il pulsante per chiamare aiuto, suono ripetutamente fino a romperlo. Prendo il mio cellulare mentre continuo a fissare l'altro schermo e compongo il 9-1-1.
Qualcuno la deve aiutare!
Mani che afferrano. Mani nello zaino. Mani che spingono. Mani che strattonano. Mani sulla foto di Nicholas. Mani che toccano. Mani sull'ecografia di mio figlio. Mani che schiaffeggiano. Mani sul viso. Mani sotto la giacca. Mani che stracciano l'ecografia. Mani sul seno. Mani sui jeans. Mani che tirano i capelli. Mani che spargono i coriandoli. Mani.
«Sei sicuro di non aver sognato?» mi domanda Ryan stizzito. Per la terza volta.
«Ti ripeto che non è mio quel cellulare. È entrato un tizio che-»
«Me l'hai già detto. Stai di nuovo chiamando la polizia?»
«Devo sapere se l'hanno trovata.»
«Comunque non le è successo nulla di-»
Sposto le coperte per rimettermi in piedi, non mi fermerà nessuno questa volta.
«Devo di nuovo chiamare aiuto per tenerti a letto oppure ti faccio sedare?»
«Tu mi aiuterai ad alzarmi e a cercarla: ecco cosa farai. Gli amici fanno questo.»
Mi dà una mano a rimettermi in piedi, anche se continua a borbottare.
«Io ti aiuto, ma hai detto che alla fine è arrivato qualcuno e che la trasmissione si è interrotta quando sono scappati.»
«Allora perché non risponde al telefono?»
«Sarà soltanto spaventata.»
«Soltanto?»
Ryan mi guarda e scuote la testa. «Da quello che mi hai detto, sarebbe potuta andare molto peggio. Piuttosto, non dovresti chiamare suo padre?»
«Gliene frega qualcosa di lei?»
«Penso proprio di sì... È comunque suo padre.»
Sembra titubante mentre mi passa i vestiti che ha preso dall'armadio e, dopo aver visto la mia difficoltà nel muovere il braccio, mi veste lui.
«Nick. Ero passato per dirti una cosa» dice infilandomi una manica della camicia.
Interrompiamo quella che pare la vestizione di un cavaliere con un'armatura medievale e ci guardiamo negli occhi. Ha scoperto qualcosa, è questo ciò che mi dice l'istinto.
«Il bambino?»
Annuisce. «Aspettavo che ci raggiungesse Erika per dirtelo.»
L'istinto, scatenato, mi suggerisce chi sia il responsabile. Il buon senso mi blandisce che nessun genitore farebbe mai una carognata simile. La razionalità mi sciorina migliaia di esempi di padri che hanno agito persino peggio quando hanno scoperto che la figlia era rimasta incinta al di fuori del matrimonio.
«C'entra Fred?» domando mentre una vocina borbotta Non siamo nel medioevo! E un'altra risponde Peggio del medioevo!
Annuisce per la seconda volta. «Erika ha solo accennato a lui, per il resto è meglio parlarne di persona, così ha detto»
Andare a cercare Adele o afferrare Fred per il collo fino a quando mi dice dove ha nascosto nostro figlio? Com'è possibile che un padre, nel terzo millennio, faccia sequestrare suo nipote.
«Ryan, cosa devo fare? Cercare lei o torturare lui?»
«Aspettiamo Erika, sta arrivando.»
Nessuno mi deve toccare. Nessuno.
Oltre al poliziotto che sta parlando con la professoressa Jones e il ragazzo che l'ha aiutata prendendo a pugni un paio di aggressori, ce n'è un altro che osserva il terreno in cerca di prove.
Mi accovaccio a terra faccendomi piccola piccola. Ero così nell'utero di mia mamma, al sicuro da questo mondo che non mi appartiene e di cui non mi sento figlia. Ho l'impressioni che centinaia di occhi posti sui rami spogli degli alberi mi giudichino colpevole per aver scelto di attraversare il parco per raggiungere l'università. Già una volta avevo rischiato un'aggressione, già una volta mi aveva tolto dai guai la professoressa Jones. Me la sono andata a cercare: tutti lo pensano o lo penseranno. Anche chi mi ha salvato mi biasimerà, come potrebbe essere altrimenti?
I tre continuano a parlare, il secondo poliziotto interrompe la sua ricerca perché ha trovato qualcosa. Mi getta un'occhiata fugace che sembra carica di pietà. O biasimo. A volte la pietà e il biasimo sono veleni mescolati che rinsecchiscono lo spirito di chi ne è oggetto. Raccoglie i coriandoli dell'ecografia di mio figlio, sporchi di fango, li osserva e poi comprende la loro origine. Mi guarda di nuovo, controlla attorno, sento chiedere dove possa essere mio figlio. È ciò che mi domando anche io da mesi. Poi domanda se io sia incinta con un tono di voce carico di giudizio. Penserà che sia un errore esserlo alla mia età, invece è un peccato non poterlo più essere. Quei coriandoli sporchi di fango sono l'unica prova di essere madre. O di esserlo stata.
Chi direbbe che è quasi Natale? Che il bimbo Gesù sta per nascere... Se chiudo gli occhi, tutto l'orrore scomparirà. Natale non era il periodo dei miracoli? Come lui è scampato alla strage di Erode, magari anche mio figlio potrebbe essere salvo da qualche parte.
È il padre del tuo bastardo morto?
Dov'è Nicholas? Dov'è il mio, di padre, e dov'è mio figlio?
Questo sarebbe il mio miracolo di Natale? Quello di far allontanare tutti gli uomini della mia vita per le ragioni più disparate? Tutte ottime ragioni, non sindaco nulla. C'è chi ha scelto il lavoro. C'è chi ha preferito rifarsi una famiglia. C'è chi è stato rapito. Io non sono mai stata la scelta di nessuno di loro.
Una mano sulla spalla mi fa perdere l'equilibrio per la sorpresa e cado a terra. Il ragazzo che stava assieme alla professoressa Jones è ora accanto a me. Oddio. Come ho potuto non riconoscerlo?
Mi tocca per la seconda volta e mi allontano in fretta da quella mano che sembra non voler smettere di toccarmi.
«Non voglio farti del male.»
La figura di Tyler Davis, magra ma massiccia, si curva su di me e io metto le mani sopra la testa. Le situazioni negative non avranno mai fine?
«È arrivata l'ambulanza: riesci a camminare?»
Lo sento afferrarmi da sotto le ascelle e rimettermi in piedi prima ancora che sia riuscita a ribellarmi.
«Adele, mi senti?» mi chiede il giocatore dei California Golden Bears, ma non capisco che intenzioni abbia. «Perché non risponde?» domanda voltando la testa per interrogare la professoressa. Si parlano tra di loro, quasi come se non esistessi.
Forse, però, hanno ragione. Non sono qui anima e corpo. Il corpo sì, ma la mia anima è in cielo.
Cogliendomi di sorpresa, Tyler mi prende in braccio. La sua presa, gentile ma forte, mi impedisce qualunque ribellione. Appare diverso da come l'ho visto finora, da come si è posto nei miei confronti. Non pensavo potesse aiutarmi, invece è ciò che ha fatto e sta facendo tutt'ora.
Due paramedici lo aiutano a farmi sedere all'interno dell'ambulanza. Mi puntano una luce nei occhi e misurano la pressione. Uno dei due mi drappeggia una coperta sulle spalle.
Mi senti?
Come ti chiami?
Sai dirci cos'è successo?
Sai che giorno è oggi?
Perché non riesco a parlare? Mi ricovereranno un'altra volta?
«È stata aggredita da sei persone col passamontagna.» Sento dire da Tyler. «L'hanno spintonata e fatta cadere. Quando sono arrivato le stavano stappando la giacca. Forse volevano...» Si interrompe e mi guarda. «Li ho fatti scappare, prima che... Credo sia spaventata e basta.»
«Facciamo alcuni controlli, poi la portiamo in ospedale.»
No!
No ripeto ancora, urlando con tutto il fiato che ho, ma nessuno mi sente.
«Ci senti? Ti ricordi il tuo nome?»
Mi chiamo Adele Allen e non voglio andare in ospedale. Voglio mio marito e mio figlio.
Ryan ed Erika mi guardano senza dire nulla aspettando la mia reazione.
La aspetto anche io.
«Amico, stai bene?»
Rimango a fissarli inebetito, quando il telefono squilla. «È quel figlio di puttana di Fred» dico guardando prima l'uno e poi l'altra.
«Mr King, senta cos'ha da dirle. Cerchi di comportarsi normalmente perché lui potrebbe essere l'unica possibilità di scoprire dove sia suo figlio» suggerisce Erika. Rispondo alla chiamata e metto in viva voce.
«Nick, amico, sei in ospedale?»
«Sto bene. Grazie per averlo chiesto.»
Erika mi fa il gesto con le mani di mantenere la calma.
«Mi hanno telefonato che stanno per portare Adele in ospedale, ma tu sei lì?»
I poliziotti mi hanno detto che stava bene e non le è successo nulla: com'è possibile? Ryan mi guarda, interdetto pure lui. Chiedigli perché, mima con le labbra.
«Cosa le è successo?»
«Ha subito un'aggressione, così mi hanno detto. Fisicamente sta bene, quel Tyler Davis a quanto pare l'ha salvata, ma non parla. Di nuovo.»
Quel Tyler Davis? Solo a sentirne il nome mi salta la mosca al naso. Per la seconda volta Erika mi fa il gesto di mantenere la calma. «Calma un cazzo, Miss Fisher» commento dopo aver messo il muto alla conversazione.
«Nick, sei ancora lì?»
«Sì, Fred» rispondo non appena mi ricordo di togliere il muto.
«Ho detto ai paramedici di portarla all'UCSF Medical Center. Io cerco di arrivare il prima possibile: ci pensi tu nel frattempo?»
«Mi prenderò io cura di lei.»
Interrompo la telefonata e guardo Ryan che mette subito mano al telefono.
«Mr King, a mio avviso dobbiamo approfittare di quanto è accaduto» dice Erika incrociando le braccia sotto il seno. Appare molto determinata e questo mi riesce a trasmettere molta calma. «Mr Allen sembrava molto scosso. È il momento perfetto per affrontarlo: deve dirgli che sa quello che ha fatto e che vuole sapere dove si trovi suo figlio.»
Mio figlio. Mio figlio... Solo ora mi rendo conto che sono diventato padre. Mio figlio è vivo. Mi viene da ridere. Da piangere. Da urlare. Da uccidere. Mio figlio è vivo, cazzo, ma lo hanno separato dai suoi genitori!
«So che anche lei è molto provato ma, mi creda, Mr Talbot è potente. È passato ai fatti. Possiamo solo sperare che non sappia tutta la verità... Dobbiamo trovare quel bambino oggi e Fred Allen è l'unico che può sapere dove sia.»
Ciao amica lettrice e amico lettore,
grazie per la tua lettura, nonostante siano passati mesi dall'ultimo capitolo sei ancora qui... Grazie di cuore!
Vorrei un po' di pace per potermi dedicare alla scrittura, ma la vita ha deciso di mettermi alla prova in diversi ambiti e, lo ammetto, non è semplice. Non è semplice trovare la forza di continuare ad avere fede nella convinzione che comunque riuscirò a fronteggiare tutto. Al momento mi sento deprivata di forza. Ci sono stati attimi in cui non trovavo più nemmeno conforto nella scrittura, momenti in cui dovevo fronteggiare la malattia della mia mamma (che sta meglio ed è in ripresa, per fortuna).
A marzo uscirà un secondo romanzo e mi chiedo perché non abbia aspettato... Ancora non ho finito di promuovere il primo! Anzi, in questo momento diverse persone mi chiedono presentazioni o partecipazione ai festival, oppure interventi presso centri anti-violenza, tutte cose che mi lusingano, è vero, ma soprattutto atterriscono. Io non ho mai fatto una presentazione di un romanzo dal vivo! Mi chiedo se sarò in grado di fronteggiare tutto. Tutto no, lo so già. A calendario ho mille impegni e ne ottempero uno su mille. Spesso anche male!
Il mio romanzo su Paolo e Francesca mi regala soddisfazioni perché chi lo legge si sente ispirato, per me questo vuol dire molto.
Ed è anche grazie a Wattpad che è stato scritto, non smetterò mai di ripeterlo.
Se desideri leggerlo, trovi i primi capitoli sulla piattaforma, poi lo può acquistare o nelle librerie online o in quelle fisiche servite dalle Messaggerie. Se lo desideri con dedica, puoi chiederlo a me. Lo spedisco in tutta Italia.
Ti auguro il meglio,
Andelon Curse
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